Il diavolo, novelle valdarnesi/Cecco grullo
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CECCO GRULLO
CECCO GRULLO
Verità di vangelo. Ad avergli detto — Cecco, tu non hai naso, — era capace di tastarselo subito.
Alle volte gliene davano ad intendere certe proprio senza babbo né mamma. Spesso a qualcuno di confidenza domandava:
— Ma non ti pare che io sia andato a male? Che io sia sbiancato?
E siccome lo ripeteva spesso, i birboni che non mancano mai, gli dicevano:
— Cecco, ma che vi sentite male? Avete brutta cera stamane.
Allora Cecco faceva il viso bianco, s’impauriva ed andava subito in camera, a guardarsi la lingua allo specchio; poi era capace di purgarsi, di mettersi a letto e magari di stare otto giorni chiuso in casa. Sentite quel che gli fecero una volta. È proprio da mettersi nel giornale. Allora le domeniche andava alla messa delle dieci a ***, ed ogni tanto andava a farsi la barba da un barbiere che stava in piazza. Un giorno, che aveva la barba lunga, entra in bottega, e si mette a sedere sulla panca ad aspettare lì, zitto, senza fare una parola.
— Cecco, tocca a voi — gli disse il barbiere.
E Cecco entrò sotto.
Bisogna sapere che questo barbiere era un capo ameno, che per far ridere le avrebbe trovate di sottoterra. Quando l’ebbe insaponato bene bene e che ebbe principiato a fargli la barba, disse ad un tratto:
— Questo non è rasoio per la vostra barba.
Va nella retrostanza, figurando di andare a prendere un rasoio, e invece nel passare dice a sua moglie:
— Quando son tornato in là, nel tempo che fo la barba a Cecco, prendigli il cappello, lì sulla panca, e ristringigli il nastro un paio di dita.
La moglie lo guardò in viso.
— Devo ristringere il nastro? Per che fare?
— Sta zitta: ristringilo, ti ho detto. Il perchè te lo dirò poi. Fa presto e rimettilo lì.
E, tornato in bottega, principiò, nel tempo che affilava il rasoio sulla striscia, a guardar fisso Cecco e a dirgli:
— Cecco, ditemi la verità, ma che vi sentite male stamani?
— Perchè? — gli rispose Cecco meravigliato da quella domanda e guardandolo in viso con quella sua aria grulla.
— L’ho dimandato così di mio, tanto per dir qualcosa.
E seguitò a strisciargli sul viso il rasoio. Ma figurava solamente di fargli la barba, perchè strisciava quasi sempre nel medesimo posto.
— Ma come? Non vi sentite proprio male? Pare impossibile!
— No, ma perchè mi fate questa domanda?
— Mi pareva che aveste il viso bianco.
— Il viso bianco?!
— Se volete alzarvi, alzatevi pure: non fate complimenti; non vi riguardate.
E seguitò a fargli un altra po’ di barba.
Poi si fermò di nuovo, e serrò il rasoio.
— Gli è che non lo volete dire, ma voi vi dovete sentir male. È meglio smettere.... Avete fatto un certo viso...
— Ma che ho?
— Forse parrà a me... cioè senza forse... vi gonfia il capo.
Cecco lo guardò stupito.
— È un fatto. Vi cresce sempre di più. Vi gonfia a tutt’andare. E poi guardate se vi dico bugia: guardatevi da voi. — E gli dette quello specchio tondo, che hanno i barbieri, dove si vede grande. Un occhio di un cristiano lo fa grosso come quello di un bue.
Cecco non si riconobbe: sfido io, a vedersi una faccia grande come un’aia! Allora sì che lo fece il viso bianco dalla paura. E quell’altro seguitava, sempre senza ridere:
— Date retta a me. Andate a cercare il medico: tante volte non si può sapere ... E poi alle cose è sempre bene pigliar rimedio in tempo. Dove avete il cappello? Ah! È qui!
Gli dà il cappello: Cecco prova a metterselo in capo, e non gli entra... Sfido io, gli avevano ritirato il nastro due dita!... Impaurito, va sotto le logge... Quel birbone di barbiere apposta gli aveva fatto la barba solamente da una parte e tutti lo guardavano ridendo: Cecco, confuso, si persuase sempre più di avere la testa enfiata per davvero.
— Appunto lei, — disse il barbiere al dottore che passava. — C’era quest’uomo che ne cercava.
Cecco aveva il cappello in mano.
— State comodo, galantuomo. Che mi dicevi?
— Ero venuto da lei...
— Vi sentite male?
— Sì, signore.
— Che vi sentite?
— Male al capo.
— Male al capo? Vediamo! In che punto? Quando vi è principiato?
— Stamani, quando son venuto via da casa, non avevo nulla, ma ora... guardi anche lei, mi hanno detto... mi pare che mi sia.... un po’ enfiato.
Il resto figuratevelo da voi.
Bisognava averlo sentito il dottore come lo trattò, perchè giusto era il dottore giovane, che non ci metteva tanto a trattar male la gente. Alle volte si rivoltava come una bestia.
— Questa è troppo bella! — dissero tutti in coro.
— O sentite: se non la volete credere, non vi voglio mica pagare. Io ve la vendo così, come l’ho comprata. Al fatto non mi ci ritrovai, e non ci potrei giurare. Ma io, che l’ho conosciuto questo Cecco, e l’ho praticato per tanto tempo, vi dico che era capace di far questo e peggio.
Pareva per fino impossibile che dovesse essere tanto grullo, perchè non era davvero degli ultimi nell’arte del contadino. Se si trattava di conoscere una bestia, di fare un nesto, di fare una piantata, pochi gli potevano stare a confronto. E siccome lo conoscevano, chi gliene faceva una, chi gliene faceva un’altra; lo tenevano per il ridicolo. Le donne poi non lo potevano vedere, benchè in casa sua avesse dei soldi e fosse anche un discreto giovanotto. Era alto quasi quanto me, grassoccio, di capelli ricciuti e con un viso bianco e rosso come una mela-rosa. La domenica, quando usciva la messa, o dopo il vespro, quando le ragazze lo vedevano passare, si domandavano:
— Lo sposeresti tu Cecco?
— Piuttosto più brutto, ma grullo in quel modo no davvero!
Le ho sentite più d’una volta.
A voler ridere, di sera, con questo Cecco bisognava discorrere di paure e di spiriti. Si metteva subito attento lì ad ascoltare a bocca aperta senza perdere una parola e sempre accosto, accosto a quello che raccontava. Tante volte cercavano apposta di allontanarsi, e lui sempre dietro perchè aveva paura di rimaner solo. Io dico che si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che passar solo di notte da qualche posto, dove dicevano che ci si vedeva o che ci si sentiva. Com’erano sonate le ventiquattro, entrava in casa, e se poi doveva andare anche nella stalla, non c’era pericolo che ci andasse solo; o con una scusa o con un’altra ci voleva sempre qualcheduno con sè. Anche un ragazzo gli bastava, pure di non andarci solo. Lo sa Gesù gli scherzi che gli hanno fatto. Non ho tanti capelli in capo.
Ogni tanto gli dicevano:
— Cecco, o che fai che non prendi moglie?
— La piglierò, — rispondeva lui.
— Ma quando?
— Quando la trovo!
— Allora starai un bel pezzo!
E stette davvero un pezzo a trovarla, perchè poveretto morì colla ghirlanda. E sapete se la meritò sul serio lui..... perchè il mondo è grande, non è vero? Ma io dico che anche a girarlo tutto in tondo non si sarebbe potuto trovare uno più vergognoso di lui colle donne. Se per combinazione ne trovava una che non conosceva, lo pigliava la vergogna, e invece di mettersi a discorrere come si farebbe tutti e stare in conversazione, a mala pena apriva bocca: se arrivava a guardarla, faceva un bel fare.
Quando fu morto il suo povero babbo, egli avrà avuto quindici o sedici anni; i suoi vennero via da podere, e tornarono alla Badia, a quel poderino che ci avevano di suo. Costì appena arrivato, fece subito amicizia con tutti que’ giovinotti, che lo volevano sempre con loro, e lo conducevano alle feste, e Cecco qua, Cecco là; pareva che tutti gli volessero un gran bene e che senza di lui non potessero stare.
E la sua ragione c’era. Cecco per farsi ben volere, e perchè aveva il cuor bono, pagava il bicchierino a tutti, fossero stati anche cento; se uno gli chiedeva un franco, non c’era caso che glie lo negasse: se arrivava in un giuoco di palle gli dicevano: — Cecco si deve fare una partita? — Lo facevano giuocare, e siccome facevan tutti la cordellina, in un momento gli cantavano il quare me repulisti. Non c’era pericolo no, che a casa ne riportasse mai uno. Ma anche a perdere era contento; gli bastava di essere carezzato.... Chi lo sa? Secondo me gli pareva d’essere il Sindaco, e non s’avvedeva che invece lo corbellavano fine fine.
Quando passava qualche bella ragazza, i compagni lo toccavano nel gomito e gli dicevano:
— Quel che vuol dire esser belli! Vogliono tutte te. Hai visto come ti ha guardato?.... Ma che ci hai qualcosa?
E Cecco rideva tutto contento, come se fosse stato vero. Dentro di sè forse credeva che tutte le ragazze fossero sue e che poi non avesse dovuto far che scegliere.
E le ragazze che lo sapevano, quando gli passavan d’accosto, gli ridevano in faccia.
— E perchè tu non la sposi la tale? — gli domandavano: quello sarebbe un buon partito.
— O che avete paura che manchin le donne? Eppure lo dovreste sapere che ce ne toccano sette e mezzo per uno! Quando la vorrò moglie, la piglierò!
Diceva così per fare il disprezzante, ma lui aveva bell’e messi gli occhi addosso ad una e, per dir la verità, non aveva avuto cattivo gusto.
Era la figliuola del contadino del priore di ***, ma bella, la più bella del vicinato. Era un pezzo di ragazza bionda, grande, formata, di un bel carnato, e fresca come una rosa: non pareva neppure una contadina.
Per la festa a ***, dopo le funzioni, Cecco era con un certo Tonino, uno strumento, cari miei, da non si dire. S’era proprio accostato bene; e si misero tutt’e due sul cimitero a veder uscir le ragazze di chiesa.
Ad un tratto esce la Lisa, quella che piaceva a lui, come ho detto. Tutti guardavan lei. Pareva un occhio di sole.
Quando passò davanti a Cecco e al suo compagno, la Lisa sorrise, com’era suo fare.
Cecco prese quel sorriso per sè, si sentì crescere mezzo braccio, e gli scappò detto, così come si farebbe:
— Gesù non vuol bugie, ma con lei ci farei all’amore proprio volentieri!
— Tu dici sempre che ne toccano sette e mezzo per uno... ma a quel che vedo, ti contenteresti anche di lei sola!... Perchè non glie lo domandi, se ci vuol fare all’amore con te?
— Già.... ma se lei....
— Sarà il male che ti dica di no. Domandare è lecito. Lascia fare a me: io ci sto bene co’ suoi di casa. Giusto, una di queste sere ci devo andare a veglia; piglio io a farle l’imbasciata; aspetterò che non ci sia la massaia.... tanto per sentir quel che risponde.
— Credi, che, se mi fai questo piacere, io non finirò mai di ringraziarti. Chiedi anche a me, e dove posso....
— Che discorsi!! Son cose che non costano nulla. Eppoi, abbi pazienza, se mi ritrovassi io in un caso simile, non lo faresti tu per me? Eppure lo dovresti sapere che io le cose non le fo per interesse!...
E il birbone ci faceva lui all’amore, e ci andava quasi tutte le sere!
Avanti di lasciarlo dette a Cecco il primo saluto. Gli disse che doveva riscuotere certi quattrini, e che non aveva potuto veder quello che glieli doveva dare, o che so io; fatto sta che gli cavò di sotto venti lire. Cecco gliele dette volentieri, perchè credeva davvero che facesse per lui.
Passarono tre o quattro giorni, e Cecco non rivedeva nessuno. Ci si può figurare, non aveva bene; gli pareva esser sulle spine, e domandava a tutti:
— L’avete veduto Tonino?
E tutti dicevano:
— O che diavolo vuole Cecco da Tonino, a cercarne in quel modo per mare e per terra?
Finalmente una sera lo incontra.
— E così?...
— Lasciami stare, — gli rispose Tonino; — non lo crederai, ma in questi giorni non ho avuto tempo neppure di respirare.
— O allora quando ci vai?
— Domani sera ho fatto conto di andarci in tutte quante le maniere.
— Sicchè.... domani....
— Domani no: doman l’altro ti so dir qualcosa di sicuro. Rimettiti a me, e non dubitare.
Per Cecco il giorno dopo non finì mai. La sera andò a letto, ma non dormì; appena giorno usci fuori, e andò difilato a cercar di Tonino fino a casa.
— E così?
— E così... Ritorno ora... ma non di lì...
— O da dove?
— Da Firenze! Tu mi guardi eh! Quando lasciai te l’altra sera, arrivai a casa e ci trovai una lettera del balio della mia cognata, che mi chiamava a Firenze. (Cecco non sapeva leggere, e gli fece vedere un fogliaccio qualunque.) Che vuoi? Bisognò che andassi. Son tornato stamani, saranno due ore.
— E allora?
— Santo Dio! Abbi un po’ di pazienza; Roma non fu fatta in un giorno. Te l’ho detto, e te lo ripeto: rimettiti a me, e va franco.
Cecco intanto alla messa alla sua cura non ci andava più. Tutte le feste faceva otto miglia, quattro ad andare e quattro a tornare, per vedere uscir la Lisa dalla messa. Si fece un vestito nuovo, si comprò un cappello alla moda, le scarpe se le fece fare a ***: e non gli pareva vero che arrivasse la domenica per andare ad aspettar la Lisa sul cimitero. Nel passargli d’accosto, un giorno, alla Lisa le venne fatto di voltarsi, e vedendolo, non potè fare a meno di ridere: poi si mise a discorrere con una sua compagna.
Cecco prese quel riso per sè, e si cosse più che mai. Ogni momento era da Tonino a domandargli, se c’era nulla di nuovo; ma Tonino trovava ora questa scusa ora quell’altra... Ora non aveva potuto, ora non aveva avuto comodo; e così i giorni passavano. Cecco finalmente cominciò a perder la pazienza, vedendosi sempre rimandato da un giorno all’altro.
— Mi pare che tu abbia preso a corbellarmi, — disse un giorno a Tonino. — Piuttosto se non avevi voglia di farmelo questo piacere, me lo dovevi dire....
Tonino figurò di adirarsi.
— Già lo sapevo: a far del bene a te è lo stesso che lavare il capo all’asino. Dopo che io....
— No, non volevo dir questo....
— Ho inteso alla prima, non dubitare, quel che tu volevi dire. Cerca pure di un altro, chè a me non me ne importa proprio nulla. Abbi giudizio però.... perchè tu non li conosci i fratelli di quella ragazza.... Te lo dico per tuo bene: Non ti far vedere tanto girar intorno casa.
— No, senti, — principiò a dir Cecco mezzo impaurito; — tu ti sei preso la cosa a torto... io non volevo....
— Non volevi, lo so....
— Lasciami dire.... Ti puoi figurare..... compatiscimi!...
E andò a finire che gli chiese scusa lui. Tonino stette un po’ duro apposta, si fece pregare e ripregare, ma poi la rifece la pace facendosi prestar da Cecco altre dieci lire che andarono da quell’altre.
Una sera verso le ventiquattro, si dette la combinazione che Cecco tornando da ***, vide discorrere Tonino colla Lisa: e discorrevano fitto, e si tenevano per le mani.
— Ora la cosa è fatta, — disse fra sè, — e strisciò lungo la macchia adagio adagio per non disturbarli. Tonino andò ad accompagnare la Lisa a casa, e Cecco si mise ad aspettare. Ma poi si fece buio a buono; voleva aspettar dell’altro, ma, pauroso com’era, benchè mal volentieri, si avviò verso casa sua.
— Lo vedrò domattina, — disse fra sè.
La mattina dopo Cecco, innanzi giorno andò difilato a casa di Tonino.
Lo trovò nella stalla a governare le vacche.
— Finalmente!!!...
— Come finalmente?
— Iersera....
— Iersera?...
— Ci hai discorso...,
— Con chi?
— Colla Lisa.
— Io! no.
— Vien via birbone!... se ti vidi io!
— Dove?
— Nel tal posto; — e gli disse minutamente dove l’aveva visto. Allora Tonino si accorse che non c’era più da negarlo.
— Facevo per farti confondere; ci andai l’altra sera, ma non ci fu verso di fare una parola a solo, a solo. C'era sempre quella strega della massaia, che secondo me si dubitava di qualcosa.... Tu lo sai come le son birbone queste vecchie! Sicchè dovei trovare il verso di farla venir là con una scusa....
— Che scusa?
— Le dissi che avevo bisogno di farle un imbasciata di premura. Ma se tu sapessi però quanto mi ci volle! Non c’era verso di farcela venire.
Cecco gli battè colla mano sulla spalla.
— Tu sei un gran birbone! E che ti disse?... Sì o no?.... Già me lo figuro... ti avrà detto di no.
— Sta zitto; l’affare non mette male.
— Che ti ha detto di sì?
— Parola decisiva non me l’ha voluta dare.
— Perchè?
— Lo sai come sono fatte le donne. Ha detto che vuole un po’ di tempo, che ci penserà e che quanto prima ti saprà dare una risposta.
— Quando?
— Quanto prima.... In quest’altra settimana.... Ma intanto acqua in bocca veh! Perchè altrimenti v’è da guastar l’affare. Che ne hai forse discorso?
— Io non ho detto nulla a nessuno.
— Giudizio!.... Queste cose non vanno dette mai!
La Domenica Cecco era come il solito a veder uscir la messa. Eccoti la Lisa. Quando passava, qualcosa tutti dicevano sempre. Cecco era accosto a due contadini, che discorrevano.
— Che bel pezzo di ragazza! — disse uno.
— Posto preso: — gli rispose quell’altro.
Cecco si sentì ghiacciare il sangue nelle vene.
— O con chi fa all’amore?
— Con Tonino.
— Con chi Tonino?
— Tonino di ***.
A Cecco parve di avere inteso male: non poteva esser possibile!... Non ci poteva credere! Non desinò neppure, e andò subito a cercare l’amico, che quando lo vide disse fra sè:
— Eccolo questo c....
— Senti, tu mi devi dir la verità.
— E ora? Che c’è di nuovo?
— Ma tu non mi fai una celia, eh?
— Che celia?
— Della Lisa....
— Se tu non ti spieghi meglio, io non t’intendo.
— Stamani ho sentito fare un certo discorso, che se fosse vero....
— Che discorso?
— Dice che ci fai all’amore tu con lei.... Allora....
— Già l’ho detto sempre: Tu sei nato grullo, e morirai grullo. Mi pare che ti dovresti vergognare a far certi discorsi!
— Lo dicevo anch’io che non poteva esser vero; non sarebbe stata da te... Ma, tante volte...
— O senti, Cecco: Fra te e me si deve fare un discorso solo. Io fino da questo momento me ne lavo le mani, e non ne voglio saper più nulla; e giacchè tu mi stimi capace di far certe azioni.... giusto ti dovevo dire una cosa.... ma vai a pigliarla da te la risposta, che sarà meglio. —
E, data una spallata, se ne andò canterellando giù per l’aia.
— Tonino! Tonino!
— Vai, vai!... Troverai chi ti farà peggio!
— Tonino, senti.... vieni qua....
E quello seguitava a cantare.
— Tu sei proprio permaloso! Io ti ho detto quel che ho sentito dire: non che ci creda....
E Torino cantava sempre.
— Tonino!
— Non te l’ho detto? Tu devi far da te! Non mi uggire.
Poi girò dietro casa, e lo lasciò lì.
Ma Cecco si mise a sedere, e l’aspettò finche non fu ritornato nell’aia.
— Me lo dici quel che ti ha detto?
Tonino seguitò un altro po’ a far l’adirato: poi rifece la pace, che costò qualche altro franco a quel povero grullo di Cecco.
— Tu devi far la penitenza! — gli diceva Tonino. — Fino a Domenica non devi saper nulla.
La Domenica gli si accostò ad un orecchio e gli disse:
— Se tu ci vuoi andare a veglia qualche sera, vai pure liberamente.
— Te lo ha detto lei, la Lisa?
— O chi me l’aveva a dire?
— Ma.... Ha risposto di sì o di no?
— Ancora non mi ha voluto dare una risposta decisiva; ma quando ti dico: Vai a veglia, vuol dire che il suo perchè c'è....
Detto questo, s’imbrancò coi compagni, lo lasciò lì, e per otto giorni non si rividero.
Quando Tonino incontrò Cecco, gli domandò:
— E così? Ci sei stato?
— No.
— O che fai? Lo dicevo io che lo perdevo bene il mio tempo a confondermi con te.
— Lasciami dire.
— C’è poco da lasciar dire: tu mi hai seccato tanto, perchè ti trovassi il verso di avvicinar la ragazza, e ora che hai il permesso, ti fai pregare ad andarci. Chi ci capisce è bravo! Quando tu avevi intenzione di farmi così, me lo dovevi dire, che io non mi sarei confuso, e non avrei fatto una cattiva figura. Parrà quasi che abbia detto ogni cosa di mio, ed a passar da farabolone non ci sono avvezzo, e mi rincresce.
Cecco rimase male.... Trovò delle scuse e poi alla fine gli confessò che solo non c’era voluto andare.
— O che ti vergogni?
— No; ma a tornar di notte in quel modo, tante volte, lo sai, fanno degli scherzi.
— Ho bell’e inteso ogni cosa: tu hai paura.... potevi dirlo prima, tu vuoi che proprio finisca di far la parte. Ebbene. Quando dobbiamo andare?
— Quando vuoi: anche stasera.
— Stasera non posso: domani sera.
— Andiamo domani sera.
— Ma, ora che ci ripenso, domani bisogna che vada in tutti i modi al mercato e tornerò tardi, perchè la strada è lunga; a spender due franchi nella vettura non me la sento.
— Se fosse il male di quello....
— Paghi tu? Allora vengo certo. O perchè non vieni anche tu al mercato? Che vuoi fare sempre a casa?
— Verrò anch’io....
— Resta fissato. Domattina passo da casa tua. Anderemo insieme.
La mattina dopo erano tutti e due al mercato.
— O non si fuma oggi? — disse Tonino a Cecco. — Che devo spendere anche nei sigari?
E Cecco buono buono ne comprò una ventina, ne dette cinque o sei a Tonino e gli altri se li mise nel taschino della giubba.
Nel veder tutti quei sigari far capolino dalla tasca, i suoi compagni principiarono a dirgli:
— Guarda che levata di sigari ha fatto Cecco stamani! Si può degnare?
— Prendete, prendete, — rispondeva Cecco, e rideva sotto i baffi tutto contento. Avrebbe regalato il mondo.
La sera alle ventitre Cecco e Tonino, secondo il combinato, erano alle tre vie.
Era serataccia: tirava vento, e voleva piovere.
— Per l’appunto si è azzeccato una bella stagione! — disse Tonino. — O tu, come si fa, a non prender l’ombrello?. Io l’ho preso perchè, o all’andare o al tornare, un po’ d’acqua ci tocca di sicuro, ma coraggio!... coraggio!
E lo prese a braccetto canterellando l’aria della Pianella.
E al buio, alla pioggia, alla neve |
Dopo mezz’ora poco più camminarono per pratica, perchè la strada non si vedeva. Serata più brutta non poteva essere. Camminavano tutti e due sotto lo stesso ombrello, e Cecco ogni tanto si voltava indietro. Allora Tonino si voltava anche lui per divertirsi a vederlo impaurire.
— Mi par sempre di sentir gente, — diceva, — e poi non c’è nessuno. Non ti par di sentir camminare?
Cecco si voltava e stringeva il braccio al compagno, che godeva a sentirlo tremare. A ogni lume di casa e di tabernacolo Cecco si faceva un po’ di coraggio e discorreva; sparito il lume, non si sentiva più. Quando furono vicini alla casa. Tonino disse:
— Glielo voglio raccontare alla Lisa che tu sei un uomo dimolto coraggioso!
— Non ci sarebbe sugo — rispose Cecco. — Chi ci ha che fare se son fatto così?
Arrivarono.
— Ci devono essere i cani! Eccoli! Bada, perchè son cattivi.
— Quanta paura tu hai! Sta a vedere: Leone, toh!.... Moschino!...
E i cani smisero di abbaiare, andarono incontro a Tonino, ringhiarono un po’ a Cecco e poi andarono a cuccia al pagliaio.
— Che ti conoscono?....
— Cani con cani non si mordono mai. Vien via!
Bussarono all’uscio ed il capoccia fece loro lume da capo scala.
— Guarda chi c’è stasera! Che miracoli son questi, a questo tempo?
C’era un monte di gente intorno al fuoco a far le bruciate. Tutti ridevano e scherzavano, che era un piacere. Cecco camminava dietro a Tonino: si vergognava....
— Cecco, come va? — gli disse la Lisa.
— Bene, — rispose Cecco a mezza voce.
— Venite, venite, accomodatevi.... qui; — e gli diede una seggiola accosto alla sua.
A Cecco pareva di essere in un altro mondo. Più che voleva fare il franco, e più si trovava impappinato: non gli riusciva a spiccicar parola. Durava fatica a rispondere sì e no, A una cert’ora Tonino disse:
— Si deve andare, Cecco?... si fa tardi.
— Tanto presto? — domandò la Lisa.
— Sì, perchè l’ho detto ai miei di casa di tornar presto stasera, e, se mi vedessero tardare con questa stagione, starebbero in pensiero. Sino a che non torno io, lo so, non vanno a letto.
— Tornateci.... con Tonino.
— Ci tornerò.... non dubitate!
— Buona notte!
— Buona notte!
Il buio era più fitto, e pioviscolava. Cecco era più impaurito che all’andare, e Tonino lo voleva far discorrere per forza.
— O che hai? Hai perso la lingua? Ma perchè ti volti sempre indietro? Ah! Ho inteso.... Un po’ di paura eh? Ma tu sei con me: non tremare. Coraggio! E per corbellarlo gli cantarellava:
E al buio, alla pioggia, alla neve |
Cecco ritornò altre due o tre sere a veglia. La seconda volta fu un po’ vergognoso colla Lisa, la terza meno.
Un giorno, un certo Santi, amico di Tonino, gli disse:
— È vero che Cecco è grullo, ma non c'è da sapere. Tante volte la comodità, dice il proverbio, fa l’uomo ladro, e anche coi grulli non c’è poi tanto da scherzare. Sarebbe bella che t’avesse a rubar la sposa e t’avesse a corbellar lui! Tu avessi a far come i pifferi di montagna!
Alla Lisa un’amica le domandò:
— Ma è vero che tu fai all’amore con Cecco!.... Tu lo sbertavi tanto!....
— Ma che ti pare?!! — rispose la Lisa! — Che mi volessi mettere con quel grullo lì!
— Bada, — soggiunse l’altra; — tante volte chi biasima vuol comprare!
Qualcun’altra le fece il medesimo discorso, sicchè dopo la quarta sera la Lisa trovò Tonino, e gli disse:
— Tonino, senti: finchè è celia, è celia... Ier sera Cecco mi domandò se volevo fare all’amore con lui. Figurai di non intendere.... me lo ridomandò, e io mutai discorso. Poi come Dio volle andò via, ma sempre così non c'è da fare. E poi siamo giusti. Ogni giuoco è bello, quando dura poco, e ora che ci ripenso...
— Ormai la celia è fatta.
— È fatta.... e fatta da te. E ora tu pensa a disfarla.
— E come?
— Tu devi fare in modo che Cecco non ci torni più a veglia.
— Quando torna, tu gli devi fare qualche smusata.... qualche mossaccia.... Già, me lo figuro, non vorrà capire.
— Io no! Se ti rammenti, quando tu mi dicesti di condurlo per una sera o due, dissi di sì tanto per contentarti; tu hai voluto seguitare a condurcelo, benchè non volessi, e ora tu pensa a riportarlo via! Lo dicevo io che doveva andare a finir così! Chi ha fatto il peccato, faccia la penitenza!
E anche a Tonino la celia principiava a mettere un po’ di pensiero. Una mattina si dà la combinazione che andando alla fiera con un certo Gosto, un capo ameno come lui, e suo fido, si misero a ragionare del più e del meno ed entrarono a discorrere della Lisa.
— Ma che è vero che ti fai prendere il posto da Cecco, — disse Gosto — oppure le son ciarle?
— Sta’ zitto: lasciami stare! — rispose Tonino, a cui non piacque il discorso.
— O come va?
Tonino gli raccontò tutto dall’a fino alla zeta.
— La Lisa non ce lo vuol più, e non le posso dare il torto: neppur io ce lo gradisco, e ora non so proprio come mi fare. A fargli una partaccia certo non ci tornerebbe, lo so, ma mi pare che non ci stia.
— Te lo dirò io come devi fare: ci vuol poco. O senti.
Discorsero un pezzetto fra loro e ogni tanto ridevano.
— Tu l’hai studiata proprio bene!
— E se tu fai a modo mio, non ci torna, non dubitare.
— Facciamo anche questa, — disse Tonino.
— Sicché resta fissato! Per Domenica?
— Resta fissato....
E si separarono ridendo.
La Domenica mattina Tonino e altri tre o quattro avevano fatto un crocchio, e discorrevano sulla piazzetta davanti la chiesa. Appena videro Cecco da lontano, Gosto dètte nel gomito a Tonino:
— Eccolo! Discorriamo forte. E badiamo di non ridere. Sentirete; la fo io la parte. Via, via, eccolo!...
— Ed io scommetto che tu non ci passeresti no, di notte dal tabernacolo di ***. Anche mille lire, se le avessi. Di giorno si fa tutti i bravi, ma la notte.... la notte è un altro par di maniche. Che ho avuto mai paura io?... Eppure dall’altra sera in poi.... ci penserei due volte, e poi non ne farei nulla.
Cecco si accostò.
— Non mi vergogno a dirlo, io non ci tornerei neppure a darmi cento lire.... Lo sentivo dir da tutti, che lì al tabernacolo, ci si vedeva, ma non ci credevo; ora però ci credo.
— O che ti hanno fatto? — domandò Cecco adagio adagio.
— Fatto non mi hanno fatto nulla. Ma ecco, veder quell’ombra.... lì proprio al tabernacolo, sentirsi camminar dietro in quel modo... pareva uno scalzo.... e con quegli occhi rossi, e vederselo a un tratto accosto sotto l’ombrello e sentir quel coso tutto pelo.... Ogni volta che me ne rammento mi viene un non so che....
— Ma che vi sia parso?.... — domandò Cecco.
— Che parso e non parso?
— I discorsi non li conto. Insomma. Scommetto che tu non sei capace d’andarci.
— Io non dico....
— Non dico.... non dico.... Già nessuno di quanti siete qui. Tu poi mi fai ridere solamente a dirlo.
— Ecco, tu discorri tanto, e io scommetto, — disse risoluto Tonino — che Cecco ci va solo.
— Su venti lire!
— Non ce l'ho — Mettile su tu, Cecco.
— Ma io in queste cose....
Tonino dètte tre o quattro gomitate a Cecco e gli sussurrò all’orecchio:
— Chetati.... sta’ zitto.... Scommetti; si fa a mezzo. T’accompagno io.
In ultimo la scommessa corse, e fu fissato per il Sabato sera.
— Badiamo veh! — disse Tonino, — nessuno deve andare a fargli paura, perchè allora la scommessa non corre.
— S’intende! — risposero gli altri.
La sera andarono a veglia dalla Lisa, come avevano fissato, e Tonino le disse:
— O non sapete, Lisa, che Cecco ha fatto la scommessa di venir qui solo?
Cecco fece il viso bianco.
— Abbiate pazienza, ma non ci credo — disse la Lisa.
— Lo vedrete — rispose Tonino, — io ne sono sicuro, tanto sicuro che si sono scommesse venti lire, dieci per uno.
— Ma che ci devo creder davvero?
Tonino le strinse l’occhio.
— Allora, caro mio, vi rimetto l’onore! Mi dicevan tutti che eravate tanto pauroso!
— Io?
— E poi farebbe vergogna a un pezzo di giovanotto grande e grosso come te ad aver paura degli spiriti!
— Sicchè domani l’altro a sera vi aspetto.
Cecco per quella sera non parlò più.
— Ma in che cimenti mi vai tu a mettere? — disse Cecco a Tonino, quando furono usciti fuori. — Fai quel che tu vuoi, ma io non ci vengo.
— Vorrei veder questa! Sta’ zitto. Intanto si pigliano dieci lire per uno; e poi non conti nulla di fartene onore colla Lisa? Lo sai, la gente paurosa non la può soffrire. Eppure l’hai sentito!
— O che c’era bisogno che tu andassi per l’appunto a dirle della scommessa?
— Ormai abbi pazienza; mi è scappata senza volere.
— Tanto io non ci vengo!
— Tu non ci vieni? Io dico che tu verrai! Anche se credessi di portartici per un orecchio.
Il giorno dopo il tempo si turbò a buono dopo mezzogiorno, e cominciò a tirare il vento acquaio. Verso sera poi si fece proprio brutto: una serataccia come tante se ne danno nell’inverno. Neanche ad averlo fatto apposta: peggio non la potevano scegliere.
Verso le ventitre Tonino era a casa di Cecco, che diceva:
— Ma con questa stagione forse non verranno.
— Se verranno!?.... Aspetta un altro po’ e vedrai. Vengono, vengono, non dubitare.
Difatti, dopo pochi momenti c’erano tutti.
— Quando si parte, Cecco?
— Ma guarda che sughi infradiciarsi per gusto! Ma se poi ammalo e muoio, me la rifate voi la pelle?
— Non ci farebbe punto caso che tu facessi il ragazzo. Dopo averci fatti venir fin qui.... Portaci piuttosto un fiasco di vino.
Cecco andò a prenderlo, e la sua sorella gli disse:
— Cecco, fammi il piacere, non andare.
— O come devo fare? — rispose. — Maledetto me e quando dissi di sì!
— E ora digli di no....
Tonino gli andò incontro, quando scendeva la scala, e gli disse adagio:
— Via, lesto. Avviati. Io prendo la scorciatoia dietro casa, e ti aspetto alla voltata.
— Eccolo Cecco! Si credeva d’aver perso te e il vino! Beviamo e poi partenza!
— Risoluzione! — gli disse Tonino, dandogli una gomitata.
Cecco dall’uscio aperto guardava nel buio.
— Insomma?
Cecco uscì fuori. Il lume della stanza riproduceva la sua ombra lunga, smisurata nella strada diritta. Fece venti passi, e poi si voltò!
Vide la sua casa, il chiarore del fuoco, senti ridere i suoi compagni sull’uscio, e si fermò. Fece altri venti passi, e si fermò da capo. Lo principiava a prendere la paura a buono. Gli venne in mente di tornare indietro. Avrebbero riso, l’avrebbero corbellato. Tutto meglio che patire in quel modo. Ma la Lisa?.... Se la Lisa lo avesse poi saputo? Ella che non poteva soffrire la gente paurosa! E seguitò a camminare macchinalmente, quasi a tastoni, per la strada buia. Davanti a lui e dietro a lui correvano le foglie secche; il vento soffiava fra i rami delle querci, e gli strisciava caldo ed afoso sul viso fradicio di sudore.
Udì un fischio. Non era quello di Tonino. Si fermò. Udì di nuovo il medesimo fischio.
— Tonino?.... sei tu?
Nessuno rispose.
Il povero Cecco non ne poteva più. Il rumore, che sentiva, non era il rumore delle foglie, era il passo di una persona.
Apparve un’ombra.
— Toni....
— Chetati imbecille! O che bisogno c’è di fare tutto questo chiasso?
— Credevo che fosse un altro!
— Quando avevo detto di aspettarti, ti aspettavo. — Lasciami accendere la pipa. Per l’appunto principia a piovere.... L’avrebbe a essere proprio una bella nottatina! Basta.... coraggio!
— Tu ne hai dimolto, e invece io ne ho poco.
— Ma mi fai il piacere di dirmi di che cosa hai paura? Io non l’ho mai avuta della gente, figurati degli spiriti. O da una parte non avrei piacere di vederne qualcheduno?
— Sta’ zitto!... Non ci scherzare su queste cose.
— Se vengono, tu senti che orzo con questo randello!
— Andiamo, fammi il piacere: sta’ zitto!
— Allora discorri tu.
Cecco non ne aveva voglia davvero.
Tonino si mise a cantar forte.
Cecco non poteva sentire, e diceva:
— Andiamo, sta’ zitto, Tonino.
E quello seguitava a cantare. Ad ogni nuova folata di vento le foglie cadevano dagli alberi.
— Senti....
— Che cosa?
— Non ti par di sentire dei campanellini?
— Se è un baroccio!
E infatti un baroccio, dopo poco, apparve lontano, alla voltata. Si vedeva il lume del lanternino strisciare per la strada fradicia fino a loro. Quando passò vicino, l’ombra delle rote girò nel chiarore del lume, e un canino pomero abbaiò. Il barrocciaio, che dormiva bocconi, alzò il capo e si ributtò giù.
— Se non sbagliamo la strada, è un miracolo davvero!
Poi:
— Ora c’è lo spirito sul serio.
— Che c’è?... — diceva Cecco stringendo il braccio al compagno.
— Nulla.... — e rideva. L’acqua veniva più fitta e più grossa.
E Tonino seguitava:
— Se avessi creduto d’incontrare una nottata simile, non ci sarei venuto davvero!
— Se torniamo a casa è un vero miracolo.
— Coraggio.... sempre coraggio!
Intanto si erano avvicinati al luogo scabroso.
Apparve di lontano il lumicino fioco del tabernacolo. Cecco si levò il cappello e Tonino al riflesso del lume gli vide il viso bianco come un panno lavato.
— Cecco, non ti pare di veder roba quaggiù?
— Io non vedo nulla.
— C’è davvero qualche cosa.... Mi pare uno ritto.... Ma sarà forse un ubbia. No, qualcosa c’è. L’hai il coltello tu? Già il coltello in certi casi è inutile.
— Fermati!
— Lasciami!
— Dio!.... C'è un’ombra!
Era davvero un’ombra grande, smisurata, tutta bianca, cogli occhi e colla bocca di fuoco, che si avanzava lentamente verso di loro.
Tonino dètte una stretta a Cecco, e via a gambe.
Colla coda dell’occhio Cecco vide l’ombra bianca, e fuggì dietro a Tonino. Gli si rizzarono i capelli in capo, e si sentì piegare i ginocchi. — A un tratto sbucarono fuori da una macchia quattro o cinque, che gli si pararono davanti. Cecco non vide più nulla: gli parve di esser morto, e cascò in terra.
Quei quattro o cinque erano i compagni, che aspettavano l’esito della celia: dopo qualche minuto apparve anche quello, che aveva fatto da ombra, e costì principiarono tutti a ridergli d’intorno. Cecco era come fuori di sé... Li guardava tutti cogli occhi fissi, e rideva, ma con riso da strullo.
Per farla corta, lo portarono a casa come un morto. — Quella povera figliuola della sua sorella, vedendoselo riportare in quel modo badava a dire:
— Lo dicevo io che doveva andare a finir così!
— Ma chi credeva?.... — si azzardò a dire Tonino.
— Non lo sapevi com’era fatto? Bella forza! Ora sarete contenti eh? Vi sarete sudati? Andate a vantarvene della vostra prodezza!
Costì successe come doveva succedere. A uno per volta se ne andarono tutti, e non si fecero più vedere.... C'è da immaginarselo. Cecco stette otto o dieci giorni a tornare in sè per bene; cioè.... per bene non tornò mai, perchè dopo quella paura non fu più lui.
La celia andò sparsa, e quando lo vedevano passare, tutti si mettevano a ridere. Cecco si vergognava, e non usciva quasi più. Non si vedeva mai allegro, non praticava più nessuno, ed era diventato tanto uggioso, che anche in casa sua duravano fatica a sopportarlo. Quando fu un po’ rimesso, e ci volle del tempo, la sua prima gita lunga fu quella di andare alla messa a *** per rivedere la Lisa. Chi lo sa, forse voleva vedere che viso gli facesse: era sempre malaticcio, e fece un bel fare ad arrivarci. Entra in chiesa appunto quando bandivano i matrimoni, e sente bandire quello della Lisa con Tonino. Figuriamoci come rimase!
Mancò poco che non gli venisse un colpo. La gente disse che era abbasito dal caldo; ma altro che abbasimento! Fu quello il vero suo tracollo.
Un giorno, me ne rammento, mi fece male. Era lì sull’uscio di casa, al sole, come stava sempre dopo desinare. Passò un certo Beppe di *** e gli domandò:
— Ma perchè, Cecco, tu non l’hai sposata la Lisa?
— Perchè non mi ha voluto, — rispose. — Che gusto ci trovate a domandare quello che sanno tutti?
E gli si empirono gli occhi di lacrime.
Per vedere se gli passava la fissazione i suoi pensarono di mandarlo nelle montagne di sotto; ma durarono fatica a tenercelo quindici giorni. Il cervello ormai gli si era indebolito.
Principiarono a chiamarlo Cecco grullo, e il nome gli rimase. Non usciva quasi più di casa. Ogni tanto andava alla messa a ***: si metteva in un cantuccio solo solo, pareva che si vergognasse di tutti. E sapete perchè ci andava? Per riveder la Lisa.... La guardava passare. La guardava tutto mesto.... finché la poteva scorgere. Poi si avviava a casa a passo lento,.... pensoso, a capo basso.