Il diavolo, novelle valdarnesi/La strega

La strega

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Cecco grullo Fioraccio
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LA STREGA

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LA STREGA



Il sole come un disco infuocato era per isparire dietro le montagne, e disegnava sulla parete della casa i cipressi ed i platani, che ne circondavano l’aia. Sentii piangere. Il bambino era pallido, macilento, cogli occhi sonnolenti ed infuocati. L’Annina lo carezzava senza poterlo racchetare.

— Dio come ti sè ridotto! — esclamò la Nunzia, una grossa massaia, la più chiacchierona dei dintorni, avvicinandosi a noi e trascinandosi dietro un suo bambino scalzo, senza cappello, col viso sudicio e colla camicia che gli usciva dai calzoni.

— State zitta! Io non so più quel che gli fare.

— Tu non ci vuoi credere, ma il tuo [p. 124 modifica] figliuolo ha il mal d’occhio: lo vedesti come la gocciola dell’olio si sparse per tutta l’acqua del piatto, invece di stare ravviata?

— Coteste le son tutte stregonerie!

— Sì, stregonerie! Intanto da quel giorno che passò da casa tua quella vecchia maledetta, e che tu non le volesti dare il pane, non avete avuto più bene.

— Non dubitare, è stata lei — disse una dell’altre donne lì del crocchio — è stata la Cecchina.

— Se la vedessi io girare intorno al mio uscio! È vero che l’abeto non mi manca! Ma...

— Ce ne hai certe frasche! Innanzi che l’abbia contate tutte le foglie, è bell’e passata l’ora.

— Ecco, Gesù non vuol bugie! Io ci starei a farle quel che le fece Bista del Coretti!

Domandai:

— Che cosa le fece?

— Ogni volta che passava da casa sua, e ci passava spesso, chiedeva sempre un po’ di refe alla sua moglie. E lei glielo dava, ma un giorno Bista le disse:

«Sai com’è? Se ritorna la Cecchina a chieder qualcosa tu non le devi dar nulla.»

«Perchè?»

«Perchè non voglio che ci giri più intorno casa: non vorrei che in ultimo ci dovesse [p. 125 modifica] accader qualcosa; te l'ho detto più di una volta: non mi ci piace.

«Bada che a negarglielo non ci debba succeder peggio, — rispose la moglie. — Sai che alle volte le malie.»

«O meglio, o peggio, voglio così.»

— Lo sapete, che quando Bista avea detto una cosa doveva esser quella; insomma eccoti un giorno la Cecchina a chiedere il refe secondo il solito. L’Emilia glielo voleva dare, ma per paura del marito la mandò in pace; e per esser grulla le disse:

«Se volete far bene, e fare un piacere a me, non ci passate tanto spesso di qui.»

«Non ci ho passare? — disse la vecchia — non mi ci volete? Ed io non ci verrò più, ma badate — aggiunse col dito ritto — me la pagherete!»

— Dopo otto giorni il bambino maggiore, ve ne rammentate? che era grasso e fresco, come una rosa, principiò a struggersi; e in poco tempo diventò precisamente come questo. Il dottore non seppe quel che si dire, le medicine era come non gliele dare, ed il bambino andava a male un giorno più dell’altro.

— Bista diceva:

«Vuo’ scommettere che me l’hanno stregato, che è stata quella birbona della Cecchina? Ma se mi batte sotto l’ugne!... » [p. 126 modifica]

— Un giorno eccotela. Bista non stette a far discorsi, prese un pezzo di legno e la bastonò ben bene.

— Bella forza! — disse l’Annina — a bastonare una vecchiaccia come quella! Se ne sarà potuto!

— Sì, come se le facessero qualche cosa? Pareva che le legnate non le dessero a lei, e poi se ne andò via svelta svelta come se non avesse avuto nulla. Che è che non è, dopo tre o quattro giorni, di un più bel branco di pecore che avea Bista, gliene rimasero due o tre sole, e se non era lesto ad andare dal medico di...., gli morivano anche quelle. Ma poi la Cecchina la rimediò poco bene. Giusto! Diteglielo voi, Pietro, se racconto bugie...

— Che dicevi? — domandò il nuovo venuto, un operante, che colla giubba sulla spalla tornava dal lavoro, e si era accostato, non parendo, voglioso di prerider parte alla conversazione.

— Dicevo — riprese la Nunzia, — si conobbe o non si conobbe che la Cecchina era strega? Raccontatelo voi, di quando la trovarono nella buca da grano; voi lo sapete meglio di me! È vero o non è vero?

Pietro esitò un poco, ma invitato di nuovo e con insistenza dalla Nunzia, disse:

— È vero sicuro! Bista dalla casa tutte le [p. 127 modifica] sere vedeva entrare un gatto nero in cucina sotto la panchetta nel canto del fuoco; a dargli mangiare, non lo voleva; a mandarlo via, dopo cinque minuti c’era daccapo. Una sera gli tirò una pedata da sfilarlo, e disse alla moglie:

«Secondo me non ci torna più a badare alla pentola!»

— La sera dopo, all’ora solita, lo rivede sotto la tavola. Cerca di arrivarlo, ma non gli riesce; un’altra sera lo stesso, e così per diverse volte. Una sera poi, stizzito, gli riuscì di chiapparlo, lo mise in un sacco, levò il chiusino alla buca da grano, che aveva sotto la loggia, ci buttò il gatto, il sacco, ogni cosa, richiuse la buca e andò a letto. Verso mezzanotte Cencio, che colla bestia veniva a far l’olio, quando fu di faccia alla loggia, sente come un lamento: lo sapete com’è pauroso; lasciò lì il bue, si dette a gambe, ed entrò nel fattoio col viso bianco.

— Nel vederlo trasfigurato in quel modo, gli domandarono che cosa fosse accaduto.

«Ma chi vuoi tu che ci sia a quest’ora! — gli dissero tutti; e si misero a ridere.

«C’è poco da ridere, — disse Cencio: — se non venite ad accompagnarmi, il bue lo lascio stare dov’è.»

Allora più per curiosità, che per altro, l’accompagnarono, e quando furono alla loggia, sentirono venir su una voce dalla buca che diceva: [p. 128 modifica]

«Aprite, per l’amor di Dio! Aprite!»

— Andarono a cercar del lume, e levarono il chiusino. Dentro c’era la strega.

— La Cecchina?

— Lei per l’appunto! Costì principiò a raccomandarsi per l’amor di Dio che non la bastonassero, e la lasciassero andare, e che non avrebbe fatto più male a nessuno. La tirarono su, e la mandarono via. Da quella notte in poi non ce la rividero più in quelle parti. E non sarà, ma deve essere stata lei che mi stregò anche il mio bambino piccino. Fortuna che ci presi rimedio in tempo.

— Come rimedio in tempo? Che faceste!...

— Andai dal medico di .....

— Dallo Stregone eh? — disse l’Annina.

— E ti so dire che, se non facevo in quel modo, chi sa come sarebbe andata a finire. O non ci andai anche per la nipote del priore di ....? e guarì anche lei, e ora l’è viva e verde.

— E ha fatto altri quattro figliuoli!

— Dopo Dio e la Madonna deve davvero ringraziare il medico. Mi rammento che un giorno ritornavo dal mercato; avevo comprato certe patate per seme, e mi riposavo sul ponte della Crocina, lì alla Canonica, voi lo sapete Nunzia; ad un tratto vedo uscir di casa il priore tutto sgomento e cogli occhi mesti. Piangere non piangeva, ma le lacrime l’aveva in [p. 129 modifica] pelle in pelle. Gli domandai come stava, così come si farebbe.

«Come vo’ tu che stia?» mi rispose.

— Perchè? — gli domandai — ci sono dei malati in casa?

«Altro che malati! Devi dire dei moribondi; sono otto giorni che la mia nipote non si sa più se sia morta o viva. Le ho bell’e detto addio. Il dottore non ci viene neppur più, È lì nel letto senza mangiare, cogli occhi chiusi; a chiamarla non risponde, è lo stesso che dire al muro. Se volete passare a vederla.»

— Io, lo sapete, Nunzia, ho bazzicato tante case, e ne ho visti tanti de’ malati! Una certa pratica ce l’ho... e poi la conoscevo bene; mi rammento che la facevo sempre confondere, e poi le ero affezionato, da che fece tanta assistenza alla mia povera Gioconda: insomma volli andare a vederla, ed entrai in camera. L’avete visto un morto? Così era lei; stecchita lì nel letto a occhi chiusi, ghiaccia come un pezzo di marmo; respirava a mala pena. Aveva avuto tutti i sacramenti, e il prete le aveva bell’e raccomandato l’anima. A vederla in quella maniera, Gesù non vuol bugìe, mi vennero le lacrime agli occhi; lo sapete come son fatto. Io dissi: — Non l’avete provate tutte? I dottori non l’hanno bell’è fatta spedita? Morta per morta si dee tentar l’ultima. Vo’ andare a sentire il medico di ***. [p. 130 modifica]

«Ma io — disse il prete — certe cose non le voglio fare: non bisogna crederci agli stregoni.»

— E lei non ci creda! — gli risposi — e la lasci morire. — Ma glielo dissi stizzito.

— Ma poi vi disse di sì, — interruppe la Nunzia.

— Di sì subito no, ma quando badava a ripetere che non bisogna credere nè a streghe nè a stregoni, io gli risposi che non credevo che a quel che avevo visto, e quel che avevo visto fare al medico di *** non l’avevo visto fare a nessun dottore: e lì un pezzo a contrastare. Il prete a voler persuader me, io a voler persuader lui. Alla fine dietro le ragioni che gli portavo — e sai, io gli citavo i fatti di quello e di quell’altro bell’e fatti spediti e che erano tornati più sani di prima — mi disse:

«Fai quel che tu vuoi, se vuoi andare vai, ma, bada bene, io non ti ci mando! Poi non vo’ discorsi!»

— Non mi ci manda, lo so, — risposi io, — ma, chi gli ha persi i cinque franchi che ci vogliono? Il viaggio ce lo rimetto volentieri, ma spendere.

— Ma pure ve li dette lui, — disse la Nunzia.

— Chi me gli aveva a dare? Presi un pezzo di pane, e via. Sarà stata l’un’ora: volevo [p. 131 modifica] arrivar presto al mercato per esser uno dei primi. Ma per quanto camminassi, e a quei tempi avevo la gamba meglio d’ora, nella stanza ci trovai un monte di gente ad aspettare. E sapete, lì bisogna mettersi a fila, come quando uno va a confessarsi. Ne passa uno, poi due, poi tre; intanto si faceva tardi, e la mia paura era di tornare in su e trovarla bell’e morta. E dentro di me mi aspettavo di sentirmi rispondere, come quando ci andai per la figliuola di Cecco; allora il medico mi disse innanzi che aprissi bocca:

«Lo so quel che volete, ma chi v’insegna a venir a cercar del medico, quando uno è bell’e morto?»

— E detto fatto: lo sapete, per rimediare le malie c’è quel dato tempo; passato quello non c’è rimedio che valga. Per ripigliare il discorso, domandai a certe donne, che erano ad aspettare che toccasse a loro, se per piacere mi avessero fatto passare, perchè avevo grande urgenza, di vedere il medico. Bisognerebbe averle sentite, neanche l’avessi offese! Principiarono a dire che dovevo arrivar prima, e che se non volevo aspettare, me ne fossi andato. Io son di sangue rosso, e risposi a dovere. Ad un tratto l’uscio s’apre, e comparisce il medico.

«Passate, galantuomo! Voi avete più bisogno di loro, lasciatele dire.» [p. 132 modifica]

— Lui lo sapeva quel che andavo a fare. Entrai nella stanza. Il medico si mise a sedere, e sempre a capo basso, senza mai guardarmi in faccia, mi domandò che cosa volevo. Io costì gli feci tutto il racconto, gli dissi che questa ragazza aveva le convulsioni, che era tutta un ghiaccio da quattro giorni; insomma gli rappresentai la cosa, com’era, e che nonostante la ragazza era sempre viva.

«Eh sicuro! Se era morta non venivi da me,» disse, sempre senza guardare in viso. «Questa ragazza è malata da diversi giorni, non è vero?»

— Sì, signore, — risposi.

«Dovete far presto a tornare a casa; non c’è tempo da perdere. Prendete un pentolo, tre spicchi d’aglio sbucciato, una midolla di pane, che passi per l’appunto dalla bocca del pentolo, due quartucci di vino, e mettete ogni cosa a bollire a fuoco lento: state attento però che non strabocchi: se dà di fuori, è bell’e buttato via il tempo! Quando il vino a forza di bollire sarà ridotto alla metà, dovete prendere il pentolo e scolare tutto il vino in un altro recipiente; con quel che rimane fate un’impiastro, mettetelo sul petto dell’ammalata. Col resto del vino le stropiccerete più forte che potete le braccia, finchè ci rimanga un granellino di sangue appallottolato. Perchè si tratta d’una [p. 133 modifica] rappressione di sangue! tenetela Per le mani, stroppiccìate forte e badate che non vi scappi. Potete andare.»

— E io venni via. Per la strada trovai Cammillo col baroccio; montai su, e verso le tre ero bell’ e arrivato.

— È viva sempre? — domandai, nel tempo che salivo le scale. Quando mi dissero di sì, mi sentii allargare il cuore. Io subito entro in camera, e vo per metterle l’impiastro.

— Voi? — esclamò la Nunzia.

— Io, già; chi gliel’aveva a mettere? Sì, c’era proprio di molto tempo da perdere! Eppoi li non c’era altro che la gobba di Bartolo. Giusto appena fo l’atto di tirar giù il lenzuolo, quella maledetta cominciò a dire:

«Come! Non vi vergognate a far cotesto lavoro, voi?»

— Mi andò il sangue al capo! Quella povera figliola non aveva a far altro che spirare. E poi come se non se ne fossero mai viste delle donne? Io non vorrei che l’aveste stregata voi! Andate fuori, — le dissi — fatemi il piacere! E senza stare a far tanti discorsi la presi per un braccio, la misi fuor dell’uscio, e misi il paletto. Non mi riusciva a scioglierle la camicia legata al collo; ed io gliela strappai: presi l’impiastro, glielo misi sullo stomaco, e glielo legai con due fazzoletti, perchè il medico [p. 134 modifica] m’aveva raccomandato di stringerla forte. Poi prendo il pentolo, cerco del vino, e non lo vedo più: era tutto assodato nel fondo. Allora mi rammentai di quel che aveva detto il medico.

«Se il vino non s’accaglia, segno brutto, è inutile che proviate.»

— Levo il vino dal fondo del pentolo col coltello; ci sarà stato alto quanto due monete di dieci paoli; poi prendo la Bettina per le mani, e comincio a stropicciare le braccia. Appena toccata con quel vino, parve che l’avessi toccata col fuoco: principiò a scotersi tutta e a divincolarsi come una serpe, ad alzarsi a mezza vita nel letto come per iscappare, ed a mugghiare come una bestia. Ma io la tenevo forte, e seguitavo a stropicciare per far ripigliare al sangue il suo corso. Nel sentire quegli urli eccoti il prete. Ogni volta che me ne ricordo, mi vien da ridere. Nel divincolarsi la Bettina s’era tutta scoperta, e nel veder quella donna ignuda in quel modo, il prete scappò via come se avesse visto il diavolo. — Per farla corta, dopo la Bettina il giorno era a desinare collo zio.

— Ma che fosse proprio sangue rappreso? — disse l’Annina.

— Altro che sangue rappreso! Gli è che l’era proprio una malìa; e io so chi glie la aveva fatta! Metterei una mano nel fuoco, e sarei sicuro di non me la bruciare! [p. 135 modifica]

— E allora, se la conoscevi la strega, perchè non la buttaste in un fosso?

— Perchè non ne avevo la certezza: e poi lo stregone non me lo disse mica chi veramente aveva fatto la malìa.

— Ecco — riprese la Nunzia, mettendosi le mani sui fianchi — io lo avrei voluto sapere.

— E’ pare che io non glielo domandassi! Ma tanto non lo dicono. Stanno zitti per via delle vendette, perchè se si sapesse con certezza chi ha fatto le malìe, succederebbero troppi ammazzamemti.

— Ma Dio le gastiga tutte queste birbone! — esclamò la Nunzia — guardate che fine fanno.

— Oh! — disse l’Annina — Se me l’hanno stregato il mio Gigino, non desidero male a chi è stato: purché Dio me lo facesse guarire vorrei che la strega diventasse la regina.....

E dette un bacio al bambino.

— ..... Quando le sono per morire, le principiano a dire: A chi lascio? A chi lascio? E se qualcuno che non lo sa, dice: Lascia a me, sta fresco.

— Già, diventa strega o stregone.

— Sicuro — riprese Pietro, — secondo se è un uomo o una donna. Chi se ne rammenta del Moretto della Casuccia? Quello che stava sempre alla finestra, sempre, dalla mattina alla [p. 136 modifica] sera: era tisico rifinito, e si struggeva a poco a poco come una candela? Quando vedeva passar qualcuno di sotto, diceva sempre: A chi la devo lasciare la mia roba, a chi lascio? Ma tutti lo conoscevano, e non gli rispose mai nessuno.

— Davvero! che cose ci devono essere in questo mondo!

Intanto si era fatto buio, e dopo qualche minuto ci separammo.

Una mattina volli andare al piccolo paese di P... Il vecchio cane della fattoria camminava avanti a me per la bella strada quasi piana, tagliata nel monte: sotto a me le pendici piene d’olivi; le colline più sotto si ergevano dall’aria nebbiosa della valle; il sole era poco potente e guardavo la mia ombra sulla strada bianca. Ad un tratto vidi un’altra ombra accosto alla mia: era l’Annina, scalza, che s’accompagnò con me, ed attaccò subito discorso dicendomi che andava a P... a comprare il sale. Arrivati ad un crocicchio, dal quale si vedeva spuntare tra gli olivi un campanile annerito; mi disse:

Vedrà che bel paese è P...! Firenze non c’è per nulla!

— Vedremo!

E dopo pochi minuti arrivammo. Il paesuccio è fabbricato sopra una balza scoscesa [p. 137 modifica] da tutte le parti; le case, una quarantina, tutte sudice, stonacate, colle finestre senza imposte, cogli usci sempre aperti: le sole case imbiancate erano due oltre la prioria. Le strade strette, tutte a salita, col massicciato sconnesso, fatto di ciottoli intramezzati coll’erba; monti di spazzatura da ogni parte; sulla soglia degli usci donne sudicie a rattoppar calzoni e giubbe strappate; ragazzi mezzi nudi, qualche cane allampanato a frugare in quei monti di spazzatura fra le bucce di cocomero e di popone, coperte di mosche.

L’Annina entrò nell’appalto; una bottega, scura, buia, che aveva per contrassegno una piccola asse bigia sulla porta, con un’arme di Savoia, fatta nel peggior modo che si possa immaginare. Mi ero fermato sull’uscio, mentre il bottegaio, uomo vecchiotto, tutto incartapecorito, colla camicia sbottonata e le maniche rimboccate metteva adagio adagio il sale colla mestola nella bilancia d’ottone, fatta nera dalle mosche, ed allungava il collo, guardando con la bocca aperta le tacche della stadera attraverso ai sudici occhiali. L'Annina mi toccò in un braccio:

— La vuol vedere la strega? La Cecchina? Eccola lì.

Era a sedere sull’uscio di un orticello vicino ad un mucchio di letame; intorno a lei tre ragazzi, che urlavano: [p. 138 modifica]

«L’hai mangiata la minestra?»

Mi avvicinai: i ragazzi si chetarono. La vecchia aveva il capo fra le mani: mi vide.

— Buona sera! — e riabbassò il capo.

— Buona sera! Questi ragazzi vi fanno confondere eh?

— È la sorte dei vecchi! Una volta non era così.

E mi fissò con certi occhi grigi, che aveano de’ riflessi gialli come quelli dei gatti; la bocca era tagliata come con un coltello, le labbra erano bianchicce e riarse; il viso grinzoso e le corde del collo andavano a sparire in un grosso vestito turchino a righe bianche, tutto stinto e mezzo sbottonato. Le era caduto il fazzoletto sulle spalle e si vedeva attraverso i radi e bianchi capelli il cranio lucido e rossiccio.

— Si dà loro noia anco a mangiare questa po’ di minestra!

— Come vi va, Cecchina? — disse l’Annina.

— Come volete che vada? Come la può andare a chi non ha più nessuno al mondo.

— O i vostri figliuoli?... La vostra cognata?

— Mi hanno preso ogni cosa, e mi hanno mandato fuor di casa come una bestia.... ora cercano di darmi veleno. Dio li sperga quanti sono.... ma facciano, facciano.... intanto di chi mi voleva male, uno è al camposanto.... quell’altro è in agonia, e quel birbante di prete vecchio, che mi rubò i quattrini, è all’inferno.... [p. 139 modifica]

— State zitta, state zitta! O questa minestra chi ve la fa?

— Da me, ma non mi riesce di mangiarla: non ho neanche un po’ d’olio per condirla.

— Venite da me a casa, ve lo darò io.

— Fate per canzonarmi!... non mi ci strascico più; non ho più fiato di star ritta..... già non mi par vero di cascar moria.

— Ma che si dicono certe cose!

— Se foste come me, le direste anche voi; i figlioli non mi voglion conoscere, è come se non li avessi; a vedersi così sbeffata da tutti, a non mangiar altro che un po’ di pane accattato; a esser ridotta come un cane, senza casa nè tetto, vorreste morire anche voi. Ed è per via di loro, di quei figliolacci che io mi danno, che starò male di qua e di là; quante volte l’ho maledetto quel giorno....

— Ma ora che direte, Cecchina? Chetatevi!

— Eppoi vorrebbero anche darmi veleno quei birboni! E quella donnaccia della mia nuora, sempre a dire: «Guardala quella vecchiaccia!... guardala quella strega maligna!...» e sempre a sbeffarmi!... e ritrovarsi così vecchia, impotente.... senza più nessuno.... — E si mise a piangere.

Volevo dar qualche soldo a quella povera vecchia: li rifiutò.

— Non lo compro più il pane — mi disse — tanto mi ci mettono il veleno. [p. 140 modifica]

Poi si alzò reggendosi alla soglia, ed entrò in casa.

Guardai addolorato quella vecchia, e mi allontanai. L’Annina, intanto mi diceva:

— Vede come si è ridotta? Ha due figliuoli: prima le presero que’ po’ di quattrini, che avea riposti nella coltrice, poi la mandarono fuor di casa, e non ce la vollero più: se ci tornava, la bastonavano. Aveva degli altri quattrinelli, messi da parte soldo per soldo a filare: quelli li aveva dati al prete morto, perchè glieli tenesse lui; il prete morì, vennero gli eredi, e non rivide più nulla. Da quel giorno in poi principiò a ringrullire, ad essere uggiosa, a piangere. Sfido, avrei pianto anch’io! Chi sa quante notti avrà passato senza dormire per mettere insieme que’ po’ di soldi! Principiò a dir dell’eresie, a rinsecchire; e tutti cominciarono a chiamarla strega.... E strega di qui, strega di là.... ora la credono strega per davvero, nessuno ci discorre e nessuno, la vuol più vedere intorno a casa. Sentì l’altro giorno? Ma io però non ci credo.... Se le streghe avessero quel potere, che si dice....

E intanto quei ragazzi urlavano:

«È buona la minestra? L’hai mangiata la minestra?»