Gli zingari nel modenese
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GLI ZINGARI NEL MODENESE
Di A. G. Spinelli
Premessa
Il bibliotecario dell’Estense, sapendo che mi ero occupato dell’argomento,1 mi propose di assumere l’incarico di scorrere detta bibliografia e di apporvi le giunte, che egli manderebbe prima del prossimo luglio, a New York allo stesso Sig. Dott. Black, che si propone di curare l’edizione definitiva, con le giunte che indubbiamente gli arriveranno da ogni parte.
Accettai la piacevole offerta, ed ora mentre aduno le poche note bibliografiche a me note da aggiungere al ricco saggio di Liverpool, ho pensato di dare un po’ di forma, di ordinare e pubblicare le notizie che da tempo avevo adunate (mentre attendevo ad altri studi per gli archivi e biblioteche nostre), sul popolo nomade, la di cui storia è buia perchè gli Zingari, spregianti pressochè tutto ciò che sa di civiltà, non la scrissero e chi tentò di conoscerla e fissarla, troppo spesso dove urtare contro difficoltà veramente enormi e notissime, che qui sarebbe ozioso voler ridire.
Manifestai il concetto di questo lavoro al segretario della Gypsy Lore Society, il quale non solo si compiacque di approvarlo, ma volle offrirmi di stamparlo nel loro giornale. Non mi nascosi che l’offerta era troppo superiore all’importanza della cosa, nulladimeno accettai con animo grato.
Ora premetto che la cronologia mi guiderà nell’ordinamento delle mie schede, che raccolsi non perchè io mirassi a condurre questa ricerca, ma perchè l’argomento mi interessava e le notizie che mi si presentavano durante le mie indagini, spettanti unicamente al modenese, risultavano con qualche nesso.
Per questo io confido che ne possano uscire particolarità le quali forse ad alcuno sembraranno di nessun conto, ma credo che se unite ad altre in buon numero ed avvicinate logicamente, non potranno più risultare inutili e forse daranno la conferma o la negazione di punti oscuri al ricercatore delle cose zingaresche; e per questo saranno accette benchè manchi a queste povere pagine l’appoggio di una qualsiasi erudizione e di carattere scientifico. Sutor ne ultra crepidam.
Secolo XV
È notissima la prima comparsa degli Zingari in Italia, fissata da una cronaca pubblicata dal Muratori.2
II 18 luglio 1422 essi giunsero a Bologna dall’Ungheria, condotti da un Duca Andrea ‘dell’Egitto minore’, che lui e il suo popolo, avendo rinnegato la fede peregrinavano in penitenza. Esibirono a loro tutela patenti Imperiali, mostrarono pure di aver molto denaro, predicevano la sorte, facevano molti furti, dicevano e commettevano giunterie e perciò provocarono pubbliche rappresaglie e una grida che li costrinse a lasciar la città dopo quindici giorni di sosta, avviandosi verso Roma per la via Emilia.
Passò dunque la banda per le Romagne, ma dovè certamente lasciare qualche sbandato a ponente della città che trovò tornaconto a fermarsi nell’Emilia, perchè non si spiegherebbe altrimenti la nota del Catasto Censuario di Carpi3 compilata nel 1448 che porta un Nicolò Zingaro il quale possedeva sei biolche di terra e case, accanto a Carpi, ai Sozzi.
Sicuramente non tutti, fin da allora, questi nomadi marciavano agglomerati in bande fortissime come quella del Duca Andrea, perchè venti anni dopo un Registro di spese4 del Duca di Ferrara Borso d’Este relativo all’anno 1469, 4 febbraio, si trova scritto ‛et per Sua Signoria in done ad uno Cingano che sonava una citola [citara?] denanzi a Sua Signoria L. 0,6.’ Fin d’allora la musica accompagnava il popolo vagante.
Queste sono constatazioni di fatti slegati che si allacciano però a condizioni generali sugli Zingari e li caratterizzano di già con una di quelle fisionomie che furono da loro inscindibili per sempre.
Ma da fatti minimi passando ai grandi riguardanti il famoso movimento etnografico che versò in Europa questo popolo, due documenti di valore ho potuto raccogliere.
Nel Tomo 1° degli Atti spettanti agli Arcipreti di Carpi uniti dall’Abbate Paolo Guaitoli, trovasi registrata una ‛Littera Passus pro Cingalis,’ in data 147...
La comitiva, dice il documento, era condotta dal Nobile Conte Michele dell’Egitto minore, che si fermava in Carpi per alcuni giorni e poi intendeva recarsi in altre terre, che non sono indicate. Onde favorirlo, il Signore di Carpi, pregava con essa i suoi amici di accogliere lui e la sua comitiva di cavalli e di fanti e gli uomini e le donne che vagavano peregrinando con lui in penitenza, permettendo ad essi di liberamente passare e stare nelle loro terre ed anche di intromettersi fra loro ove sorgesse qualche litigio.
La presente escursione del sedicente Duca Michele, che forse veniva da Roma, e segnata negli itinerari del Colocci, ma con un’altra percorrenza, che nella valle del Po è fissata più a settentrione. Sarebbe stato ad ogni modo interessante di conoscere, per quali ragioni il principe di Carpi Marco Pio, concedeva questa sosta nel suo dominio ai nomadi; cioè se questa fosse stata accordata perchè si trovasse impotente a far rispettare un suo divieto, o se fosse stabilito in seguito a trattative corse; giacchè pare ragionevole il credere che qualche negozio o convenzione fosse stata conclusa almeno verbalmente fra loro, se dopo un soggiorno di cui è ignota la durata, il Principe rilasciava una lettera di passo, la quale dava col nome suo conosciutissimo, un credito al vagante che non si potrebbe giustificare. Forse ciò era stato dettato al Pio dal bisogno di scongiurare un danno inaggiore al suo dominio? Forse perchè il soggiorno venisse ben compensato? O perchè il ‛Conte’ fosse munito, di una patente Imperiale o Pontificia che ponesse in evidenza il suo pellegrinaggio, come presentavano allora tanti condottieri di Zingari? Così sarebbe tutto spiegato, ma in tal caso le patenti sarebbero anche state ricordate nella lettera di passo.
Tutto quì è buio, e il silenzio dei cronisti modenesi e reggiani sul passaggio del Conte Michele sorprende e lascia alla fantasia immaginare disparatissime riflessioni, onde spiegare il motivo per cui sia rimasta ignorata la via tenuta da questa truppa di Zingari, comparsa a Carpi senza che se ne trovino vestigie altrove; almeno per quanto consta a me. Conviene però riflettere che furono tante le arsioni e i saccheggi con cui l’Italia scontò la colpa di avere incivilito il mondo, che è gran mercè sian rimasti i documenti trascritti dall’Abbate Guaitoli, a conservarci una memoria, la quale essendo importante per la storia zingaresca, la inserisco qui ad litteram:
Excerpta ex ms. Ioannis Lazari de Sigismundis Carpensis a Secretis Marci Pii.5
Littera Passus pro Cingalis, 147...
Marcus Pius, etc. Cum vir nobilis Comes Michael de Egypto minori patentium ostensor steterit allogiatus cum ejus comitiva aliquibus diebus in hac nostra terra Carpi, et in presentiarum alio transferre se intendat, requisitioni sue annuere volentes harum nostrarum sic Illustrissimos quoscumque Principes et dominos tam ecclesiasticos quam seculares, nec non presentes fratres Capitaneos, Potestates, Vicarios, Offitiales, et amicos nostros ex corde rogamus quatenus Comitem Michaolem cum ejus comitiva tam equestrem quam pedestrem utriusque sexus sic vagantem, et in Penitentiam sic peregrinantem cum omnibus et singulis bonis suis cujusvis maneriei sint per omnes eorum terras, portus, passus, pontes, et loca, libera et absque solutione alicujus datii, pedatii, fundi navis et bolletarum, ire, transire et morari permittant, ac sibi vellint Pio Opere providere de alogiamentis juxta solitum, quodque casu aliquo inter ipsos Egyptianos diferentia aliqua, vel quando oriri contingat medio asistere velint, et pro viribus operari eos omnes Concordes reddere, ac eis providere velint de guidis choortis et salvis conductis, ubi opus fuerit, et duxerit requirendum, quod nobis gratissimum, et ad singularem complacentiam adscribemus. In quorum . . .
Notai in principio di questo capitolo come uno Zingaro avesse stabilito dimora e possedesse terre nel Carpigiano fino dal 1448, ed ora non lascierò inosservato che il nome di Cingaro fosse già, poco dopo, entrato nell’uso, o per stabilire l’origine di una persona che si nominava, o perchè fosse veramente tale; ma qui mi giova l’osservazione per indicare che uno designato con questo nome, fin dagli ultimi anni del sec. xv., occupava l’opera sua in ufficio che esigeva nomina sovrana.
Infatti l’8 gennaio 1484, il Duca di Ferrara Ercole 1°. accordava a Pietro Giovanni detto Cingaro, di porre una nave nel fiume Secchia fra il Modenese e il Reggiano all’altezza di Toano e Montefiorino, e di esercitarvi il passo.6 Queste sono notizie di scarso valore viste così isolate, ma non rimarranno tali quando si pensi che potranno essere coordinate ad altre che anche sole rivestano il carrattere di importanza assoluta. Come sarebbe un’altra lettera di passo concessa dal predetto Marco Pio il 28 maggio 1485 al ‛Conte’ Giovanni del Piccolo Egitto, che colla sua banda arrivava in Carpi nelle medesime condizioni presentate nel 147... dall’altro Conte. ottenendo gli stessi favori, come le stesse condizioni di fatto che accompagnavano il Conte Michele, cioè di un completo silenzio su di lui da parte degli storici nostri.
Perciò trascrivo anche questa Littera passus, rogata al medesimo notaio dell’antecedente.
Littera Passus, 1485.
Marcus Pius, etc. Cum nobis vir Ioannes Comes de Egypto parvo patentium ostensor peterit allodiatus cum ejus comitiva aliquibus diebus in Castro nostro Carpi in presentiarumque alio se transferre intendit cui petitioni annuere volentes, harum nostrarum serie Illm̅os quoscumque Principes et Dominos tam Ecclesiasticos quam seculares Excellentiasque Dominationes, et comunitates, nec non Magnificos Dominos, patres, fratres, Capitaneos, Vicarios, Potestates et Offitiales spectabilesque et Nobiles Amicos et benevolos omnes nostros ex corde rogamus, Officialibus et subditis nostris quibuscumque stricte percipiendo mandamus quatenus prenominatum Comitem Ioannem tam equestrem quam pedestrem cum tota ejus comitiva utriusque sexus sic vagantem et in penitentiam ibi invictam, ut asserit, peregrinantem cum carriagiis et bonis suis cujuscumque conditionis aut maneriei existant per quascunque eorum Civitates, terras, Castra et loca, passus, portas et pontes ire, transire, morari, pernoctare et redire permittant libere absque ulla solutione datii, pedagii, fundi navis, vel gabelle, eidem providendo de guidis, cohortibus, libero transitu et securo, salvi conductu semel et pluries quotiens duxerit ipse requirendi omni penitus molestia et arrestatione cessante, providentes eidem de alogiamentis juxta eorum consuetudinem. Et que si aliquo casu inter ipsos Egyptiacos differentia aliqua seu quando oriri contingerit, pro viribus operentur eos Concordes fieri, quod nobis pergratum erit. Et que seipse comes Ioannes aut aliquis de ejus comitiva damnum aliquod subditis nostris, aut possessionibus et proprietatibus nostris inferret, presentes nostre patentes littera nequaquam sibi valeant, nec ejus prodesse possint nec ipsis ullo pacto serventur, ad nostri beneplacitum valiture.
Datum Carpi sub impressione sigilli nostri magni. In fidem omnium premissorum. Die xxviii. Maj. 1485. Inditione iii.7
Per ultimo aggiungerò che in un libro di appunti fiscali dei primi anni della signoria di Alberto Pio in Carpi (fine sec. xv.), si legge una condanna contro Giovan Maria da Bràndola, perchè aveva dato molte ferite, in Carpi stessa, ad un Cingaro;8 il che proverebbe che anche gli Zingari erano allora ritenuti esseri del genere umano, e tutelati dalla giustizia comune, sentimento di carità che in pratica si dimenticò troppo spesso di poi.
E chiuderò la narrazione di quanto mi è noto riguardare gli Zingari, tra noi, nella seconda metà del sec. xv. primo della loro comparsa in Italia e nel Modenese; non ometterò di riflettere che leggi statutarie che li riguardassero, non ne ho trovato; forse perchè non esisteva la cosa da colpire per comune salvaguardia essendo la loro una dimora fra noi di transito; benchè sia molto inverosimile che alla presenza di Zingari non andassero congiunti, malefizi, e non si opponessero subito gride a pubblica difesa, come avvenne a Bologna; e lo Zingaro nemmeno è ricordato nell’altra grida contro i delinquenti dello Stato, pubblicata a Ferrara il 22 febbraio 1457, che riguardava anche Modena e Reggio.
Comunque fosse è ben sicuro che statuti di Modena e del modenese, i quali abbiano disposizioni riguardanti gli Zingari, fino a tutto il sec. xv., non ne ho trovato. Dico ciò che mi è risultato e non azzardo possibilità, perchè si tratta di uno studio che attende informazioni certe da ogni parte onde potere stabilmente affermarsi.
Sarebbe stato, nel modenese, ricordo di questo primo passaggio di Zingari, l’importazione di una specie di columbi, ora perduta, della quale dice Carlo Malmusi9 ‘Questa razza più non esiste, è tradizione che fosse introdotta dai Zingari d’Ungheria nel secolo xv., donde furono detti Zingarini e Zinganini.’
Secolo XVI
Lettere corse nel 1507, fra Angelo Villa Capitano di Modena, il Duca Alfonso 1°. d’Este e il Cardinale Ippolito, suo fratello, ci provano che gli Zingari erano assunti dagli Estensi a prestar l’opera loro ove giovasse. Era ciò tenuto per fatto normale, non essendo ancora gli Zingari nel Modenese, fuor dalla legge. Trovo che il 7 agosto di quell’anno il Capitano suddetto informava la corte che manderebbe a Ferrara il Cingaro ‘cavalcatore di vaglia’ che essendo ‘un gran furfante’ era in prigione e perciò lo instradava incatenato ai piedi.10 Tre mesi dopo, la scuderia ducale sentiva ancora il bisogno di avere questo Zingaro, ed il Villa rimandandolo avvertiva che lo toglieva ancora di prigione, ove era detenuto per avere insultato i suoi balestrieri.11
Poco dopo rilevasi nei registri ducali del 151112 che si sono pagate L. 10, 13, 8, per fatture e robe somministrate alla fabbrica della Bastia di Zanolio al ’cingaro magnano.’ Nota che la Lira marchesana equivaleva a circa 20,00 delle nostre.
Finora pubblici manifesti contro gli Zingari non ne trovai e perciò non meraviglia se prestassero l’opera loro agli Estensi. Ma presto, anche nel Modenese, vengono editti ad indicare gli Zingari come dannosi e incompatibili colla vita civile, a perciò furono banditi.
È necessario riflettere che i passaggi delle grandi carovane, che ho notato nella seconda meta del sec. xv., dovettero, per forza dell’indole loro, lasciar molti sbandati che formarono lungo il loro percorso gruppi autonomi, i quali furono rafforzati da coloro, e non eran pochi, che in ogni tempo e paese vagavano nomadi. Su questi il fatto sorprendente, nuovo, delle forti bande condotte dai sedicenti Conti Michele e Giovanni, deve aver esercitato una decisa attrazione che costituì fra noi, e forse anche altrove, una popolazione girovaga, composta di indigeni che uniti a famiglie di Zingari veri, vivevano ex lege a carico del paese. Così ebbe vita la massa ibrida, amorfa che si mantiene tuttodì, avendo se non ragione di essere, almeno tanta forza di elementi vitali, da resistere e perpetuarsi, fra una campagine sociale che non li vuole distrutti, soltanto perchè ha sperato da cinque secoli, e spera ancora di ridurli tutti a fissa dimora civile.
Ed e l’8 aprile 1524, che il Comune di Modena ordina ‘quod expellantur Cingani quare niultum damnificantur et ad saccomannum vadunt.’ Ma il Podestà mitigò la misura, forse di rappresaglia chiesta dal Comune, perchè seguono queste parole: ‘Illus. Potestas Mutinae dixit quod expellantur.’13
Questa disposizione, che seguiva di circa quattro anni, l’altra bandita in Germania alio stesso effetto, a sua volta viene ribadita da altra del Comune di Modena la quale conferma che i danni inflitti al paese dagli Zingari dovevano essere molto gravi, perchè leggesi nei Partiti Comunali del 26 aprile 1527 che i Conservatori ‘commiserunt notificari capitaneo plate ut curet cum effectu ut Cingani seu Æyptiaci se disedant extra agro mutinense, alias operabunt quod milites existentes in civitate eos depopulabuntur.’14
Conviene credere che queste gravi misure riguardassero soltanto gli Zingari nomadi, non quelli che erano diventati cittadini fissandosi nel comune, ed a questa supposizione darebbe appoggio una deliberazione del Consiglio Comunale del Finale, il quale radunatosi nel 1527 nel ‘salotto delle balle’ aveva tra i convocati Bartolomeo Cingano.15
I bandi che miravano a far sloggiare gli Zingari dal paese non dovevano proprio restare sine effectu immediato. Se ne saranno andati, perchè la rassegnazione contro il più forte e un carattere spiccato degli Zingari, ma poi saranno anche ritornati, perchè in terra c’erano anch’essi e doveva pure la terra alimentarli. E poi è probabile che qualche servizio rendessero a lor volta a chi avrebbe dovuto far osservare i bandi che li espellevano: e quando il 28 di agosto 1533 Alberto Pio tolse Novi al Duca di Ferrara, furono Zingari che accampavano sulle fosse di quel castello che ne recarono l’avviso a Giacomo Altoviti Governatore di Modena, che li mandò subito l’avviso per staffetta al Duca di Ferrara con un cito cito che diceva tutta l’importanza della notizia ricevuta.16
Intanto in Germania, come ho notato, erano usciti bandi contro gli Zingari, che furono tosto imitati anche in Italia di egual tenore e ferocia, colla differenza che qui uscivano con qualche ritardo. O perchè le enormita commcsse da questi sfortunati senza patria non fossero rivoltanti come oltremonte, o perchè i governi qui fossero più umani, o più avveduti e se ne sapessero guardare.
Un ventennio più tardi, cioè il 5 dicembre 1541 trovo a Modena nuovi reclami contro loro.17 In quel giorno Giovanni Codebò, uno dei conservatori, domandava in Consiglio che fosse provveduto a misure che tutelassero i cittadini dagli Zingari che abitavano in Modena e vi commettevano in gran numero ogni specie di furti. Franca il notare che essi rubavano, è vero, ma anche prendevan parte alle feste della città e Luigi Maini, nel suo scritto Le corse al pallio in Modena ci informa18 che il 24 giugno del 1542 essi tenevano la gara con i loro cavalli, e tale partecipazione per parte di banditi sembra una anormalita che spunta l’acutezza alle espulsioni e da ad esse un carattere assai blando.
L’ordine di espulsione provocato dal Codebò non ottenne quindi l’esito voluto, e trovo che fu ripubblicato l’anno seguente il 7 di luglio 1542, e Tommasino Lancilotto ai 14 dello stesso mese scriveva.19 ‘Molti Cingani sono nel modenese et al presente nel borgo di Saliceta [accanto alla città] fanno grandissimo danno e ognuno grida e nessuno provvede perchè, perchè. . . .’ Questa sospensione, che esattamente figura nel testo ms. dice chiaro che il cronista si trovava imbarazzato a dirne i motivi pei quali non si provvedeva allo sfratto dei Zingari, che sarebbe stato utile a me e ad altri sapere.
Le cose rimanevano tali anche nell’anno seguente e perciò fu rinnovato il bando per l’espulsione del rapace ospite dalla città, forse con egual risultato, essendo impossibile alla citta stessa di liberarsi da quella servitù dannosa ed odiosa, la quale non poteva essere tolta se non colla violenta soppressione e con una carneficina superiore ad ogni follia barbarica. Qualunque tentativo di porre un argine a queste invasioni riusciva inefficace, malgrado che in qualcuno dei nostri statuti si cominciassero dai giuristi ad introduce anche pene corporali.
Lo studiosissimo delle cose nostre, Dottore e Cavaliere Ferdinando Jacòli, mi indica una rubrica degli Statuta et ordinamenta terrae Turricellae nel Frignano, ossia di Pavullo,20 dove si tenevano mercati e fiere di importanza massima alla vita economica della montagna modenese, in aperto mercato; e dico aperto perchè altrove nel modenese il punto ove si mercanteggiava era cintato come a Bruino nel Mirandolano dove si teneva l’antichissima fiera di Modena. II Prof. Jacòli mi indicò la rubrica 23 di quegli Statuti, in data 1° gennaio 1547, riguardanti i Cingari, che suona così. Era proibito alloggiarli sotto pena di Lire 5 estesa anche agli albergatori, ‘e per ciascheduna compagnia di Cingari che li alloggiasse da una sera in su sia condannato in Lire 10 per ogni giorno.’ Questa notizia ha importanza per me, essendo la prima in materia di Zingari che trovo negli statuti modenesi.
Le grida seguivano dunque alle grida, ma non ottenevano alcun frutto. Di queste io citero soltanto quelle che contengono qualche particolarità che io non avessi notato nelle antecedenti.21
II 19 maggio 1548 una grida tratta di Zingari, venuti da un po’ di tempo ad abitare il dominio del Duca di Ferrara, ed intima loro il bando entro tre giorni, perchè rei di frodi, inganni e truffe, minacciando corda agli uomini e frusta alle donne.22
Che la legislazione generale (allora riassunta in queste grida) considerasse gli Zingari come malfattori di professione molto tardi, si potrebbe ritenere come provato, se resultasse esatto, come lo fu a me, che il nome di Zingaro compare stampato per la prima volta solo in questa grida. Ma la sostanza nulla variava, prima saranno stati compresi nei nomi generici di tristi, malfattori, vagabondi, ladri, banditi, stregoni, furfanti . . . sinonimi nel linguaggio penale d’allora, non saprei se nelle sotigliezze dell’attuale; ma, ripeto, il crisma fosco che li colpiva rimaneva inesorabilmente lo stesso.
Un’altra grida fu lanciata contro di essi il 17 maggio 1548, e la ricorda Tommasino che ho già citato e forse citerò ancora. Per essa ai Cingani non potevano valere le patenti cui si negava qualunque autenticità, e li colpiva con minaccia di corda e di svaligiamento, e questo rigore perchè ‘potrieno menare qualche trattato [accordo] e non se ne intende il suo parlare,’ e si espellevano perche i contadini potessero venire ai lavori della fortezza di Modena che allora si costruiva, senza tema che le case loro fossero saccheggiate.
La vita degli Zingari non avendo nulla di normale, era sempre accompagnata dalle minaccie della società, che non riconoscono se non perchè ci vivono in mezzo per insidiarla, mentre che essa compie, come ha sempre compiuto, un lavoro continuo per difendersi da loro.
Ma consoliamoci per onore del nostro nome, questa difesa tra noi, fu mai sì barbara ed inumana come altrove. Pur tanto era forza armarsi di tutto ciò che i tempi e l’indole nostra davano in mano alle città, ai reggenti dei comuni rurali, per tener lontano lo Zingaro quando come un nemico sempre vigile, tenace ed affamato, entrava nei confini, e perciò valersi di nuove grida, di nuove sanzioni per cacciarlo.
II Comune di Modena si valse ancora di questo mezzo, il 1° luglio 1550, per espellerli dalla citta e dal distretto che era allora vasto pressochè quanto la provincia. E cosi, pare, che per un decennio stessero lontani, giacchè non si trovano nuovi bandi in proposito, per quanto io conosco. E giova credere che guai forti per causa di questi molestissimi ospiti, su noi non abbiano gravato allora.
Ma poi troviamo che nulla era mutato, perchè il 16 luglio 1560 i Conservatori del Comune si dolgono col Duca e chiedono provvedimenti contro una compagnia ‘di Cingani che si trova nei luochi delli signori feudatari del ducato di Modena e fanno latrocini, e depredamenti,’ ed avendone imprigionati tre domandano la loro espulsione secondo le gride.
Ciò avrà avuto sicuramente luogo, è ovvio il crederlo, ma in proposito par facile notare, e non sarà presunzione maligna ed arbitraria il pensare, che questo asilo dato alle bande dei Zingari dai feudatari, si effettuasse in corrisponsione o di denaro, o di altri servizi, che resi da uomini di simile natura, senza scrupoli, ben si può immaginare di quale enormità fossero.
Per due lustri non ho trovato notizie sull’argomento, ma i partiti comunali del modenese, quando si entra nella seconda metà del secolo xvi., mostrano che la nostra provincia non era menomamente salva dal flagello delle bande girovaghe, perchè il 24 luglio 1561 Alfonso Naselli in consiglio ‘espose ai signori conservatori che i Cingani si trovavano al presente nei modenese là attorno da S. Martino di Secchia e alla Pioppa et facevano dei grandissimi malanni dando anche occasione alle brigate di qualche scandalo.’ Noi non abbiamo una serie ordinata dei processi del secolo xvi. e nemmeno dei seguenti e perciò non è facile rilevare come la giustizia avesse il suo corso e i particolari delle condanne inflitte ma certamente quando essa riusciva ad avere nelle mani qualche Zingaro era energica e i Podesta comandavano assai facilinente il capestro.
E come poteva essere altrimenti se le bande degii Zingari assalivano nelle compagne case isolate, e grassavano sulle vie uomini inermi? Pur tanto non tutti erano degni di forca, e fra noi nel 1562 Mastro Giacomo Zingaro, eseguiva lavori da fabbro ferraio nel Castello di Modena ai tempi in cui era massaro Antonio Montecatini; x e Carlo Egitiaco, naturalmente Zingaro, ottiene di poter dimorare nel modenese colla sua compagnia, al patto che se facesse danno sarebbe punito a norma delle grida che sopprimevano.
E che proprio non fossero sempre così dannosi i passaggi fra noi di questa razza, generalmente abbrutita, e che si confondessero le violenze loro con le comuni dell’indole del tempo, pare doversi ammettere, quando sappiasi che il Commune di Modena 2 si rivolgeva, il 1° febbraio 1563, al Governatore perchè cacciasse gli Zingari dal distretto, e come nella lettera relativa, i conservatori non domandavano applicazioni di pene quali erano comminate nelle grida, ma usassero la frase ’ che quegli Zingari se ne andassero con Dio’ il che porterebbe a pensare, o che non vi fosse motivo di chiedere rigore di pene eccessive, o che si temessero le rappressaglie di quei liberi vaganti.
D’altra parte il bisogno di non vivere sempre collo spauracchio del capestro, e quello di soggiornare tra noi da buoni cristiani, come dicevasi allora, adattandosi alla vita socievole, risulterebbe sentito da quest’altra nota dei nostri Partiti Comunali del 1° luglio 1563, ove si narra che ’ Francesco Cingano entrato in consiglio prego i signori che fossero contenti di fargli fare per mano dei suoi cancellieri una fede dei suoi buoni portamenti mentre egli e stato nel modenese, intendendo ora di andarsene nel ferrarese.
Forse questo Francesco era lo stesso che col titolo di capitano otteneva dal Duca Alfonso n. I’ll agosto seguente di potersi stabilire nello Stato, ’ attesoche si portera modestissimamente e non dara causa ad alcuno di dolersi di lui.’ 3 Una seconda lettera testimoniale dei suoi buoni portamenti domando Francesco al Comune di Modena il 21 gennaio 1564 e licenza di permanere nel paese, che gli fu accordata. Questa 1 Arch, di Stato in Modena, Gassa Segreta Vtcchia, 929.
2 Arch. Com. di Modena, Partiti.
3 Arch, di Stato in Modena, Reg. Dec, cit. 202 v. licenza pero il Comune non voile fosse rispettata dipoi, quando chiese deroga da tutte le concessioni date, allorche bandi l’espulsione de’ Zingari nel 1574. Nella richiesta lo Zingaro viene detto ancora Capitano forse perchè soldato di ventura che seppe guadagnarsi il grado durante le guerre di quel battagliero Estense. £ noto come molti Zingari, a guisa di corvi, seguissero gli eserciti di quei tempi, o Alfonso n. desse sovente a questi facolta di stabilirsi nello Stato; il 29 maggio 1564 l’accordava per lui e per la famiglia a un Conte figlio di Spadazino. 1 L’anno seguente una banda di Zingari traversata la Romagna, fra le ostilita delle popolazioni, era entrata negli Stati Estensi, e in causa ’ delle frodi inganni e infamie che commettevano ’ un bando loro fissava il termine di tre giorni ad uscire dallo stato sotto pena della corda, della frusta, della perdita dei bagagli, delle armi e dei cavalli. 2 Altre prove si rinvengono in questi anni a dimostrare Zingari stanziati nel modenese. Ercole Pio Signore di Sassuolo rispondendo il 21 settembre 1567, a Cesare Gonzaga, che mandava in traccia di una sua cavalla statagli rubata e riteneva da Zingari, rispondeva che nel suo stato di questi non ve ne erano ’ eccetto uno che e qui, sono già più di quattro anni, tiene casa sua propria nella terra, ne attende a simili pratiche.’ 3 Bramava pure di poter abitare in Modena un Giovanni Zingaro, fabbro ferraio; ma questi son fatti isolati e se mostrano una tendenza evolutiva verso la civilta, non scemano il tristo nome a questi vagabondi i quali buttavano lo sgomento dovunque fosse loro possibile di riuscire ad esercitare rapina a man salva.
II 4 gennaio 1569 Gian Battista Gozo, Podesta di Guiglia, scriveva al Duca che egli aveva fatto impiccare lo Zingaro che già teneva in prigione ’ con ordine che fosse lasciato cosl sulle forche per esempio de’ suoi compagni che minacciavano, per quanto intende, voler venir per dispetto ad abbruciare il paese.’ 4 Gli Zingari rintanati cola negli anfratti dei Sassi delle Rocche de’ Malatigni, e facile intendere, come si ridessero del Podesta di Guiglia, e come poco curassero per durezza naturale di sentimento le sue minaccie ed esecuzioni e scorrazzassero i monti piu sicuri che non lo fossero in aperta pianura.
11 Govematore del Frignano li perseguitava da Sestola con 1 Arch, di Stato in Modena, Reg. Dec. cit. 202 v.
- Arch, di Stato in Modena, Gride, filza i.
- Bibl. Estense, Autograft Campori.
4 Arch, di Stato in Modena, Rettori. quest’altra grida uscita il 24 agosto 1570, che qui trascrivo, perchè entro nel corpo degli statuti locali: — ’ Oltre l’altre previsioni fatte intorno a Cingari, quali per esser gente scandalosa non intende per rnodo alcuno pratichino in questa Provincia di Frignano, per questa sua nuova deterrninatione ordina, comanda, et bandisce sotto pena della Galera tutti li Cingari grandi et piccoli, che si troveranno essere, o nello avvenire verranno nel Frignano, concedendo et comandando a ciascuno, che possi senza pena fargli prigioni, svaligiarli et darli nelle mani alia ragione, che guadagneranno quel tutto che si troveranno. Et in oltre, se in mercato o fiera saranno trovati, o ivi vicini in giorno di fiera, o di mercato haveranno subito tre strappate di corda, et saranno ancor per ogni minimo furto puniti in quella maggior pena che comportera la giustitia; et le donne oltre che saranno svaligiate saranno ancora frustate, se verranno in detta Provincia o sue pertinentie. Comandando ad ognuno che non li debba dar ricetto, ne vivere, ne aiuto, ne favore di sorte alcuna sotto la stessa pena et quella maggiore che parera a S. Ecc. 1 . . . Die 24 Augusti 1570 Pubblicatum fuit suprascriptum Proclama in foro Padulli, etc’ Queste sanzioni non valsero sicuramente ad allontanare un male, che altri mali rendevano incurabile, benche entrasse in linea una nuova penalita che io non trovai ancora; quella che minacciava la galera, forse perchè eransi trovate impotenti la corda, la frusta ecc.
Per raccogliere altri dati sulla dirnora e naturalizzazione degli Zingari nel modenese, notero come trovisi registrata fra le spese fatte da Ippolito Rocca Massaro ducale di Modena nel 1570, quella pagata a Galatino Zingaro per ristauri fatti nel castello della citta in attesa di un Farnese di Parma.
E serve anche all’argomento il notare che Silvio Bertolaja podesta del Finale, il 2 giugno 1572, informava il Duca come fossero comparsi nel mercato del mercoledi due Zingari, l’uno di 18 e l’altro di 14 anni, e tosto ad uno fosse levata la borsa e ad un altro il fazzoletto con 50 bolognini. Egli li fece porre in prigione ma non fu trovato ad essi alcun indizio del furto; gli venne pero detto che avevano con loro una Cingana, vestita alla nostrana, alia quale potevano aver passato gli oggetti. Anche qui l’abito non faceva il monaco e gli Zingari indossavano il costume del paese dove si trovavano.
1 Dal volume manoscritto ’ Registro delle Gride, Ordini e Provisioni per l’Ufficio di Sebtola e Provincia del Friguano,’ a 17 v, Nel 1572 si ha una grida di Ferrante Estense-Tassoni goveraatore di Modena, che proibisce il passo agli Zingari ed a tutti i vagabond! onde sottrarre il modenese dalla peste; la qual grida però non impedì il fatto loro ad essi e nemmeno al male di grassare il paesc.
Alt re pene minaccio due anni dopo Ercole Contrari, signore di Montefestino, 1 con una grida per liberarsi di una banda di Zingari, che eran scappati dal ferrarese in seguito ad una grida del 10 maeerio 1574 e cercavano terre che li tenesse e non la trovavano qui; giacche anche Modena aveva supplicato il Duca ’ a voler conceder che il Governatore possa, (dice il testo), far caciare i Zingari dalla citta e distretto suo per le ruberie grandissime che fanno a questo paese sicche tutto il di se ne odano ruinore, gridi e querele di niolti.’ La supplica aggiunge, che ciò sia accordato nonostante il privilegio concesso da S. E. ad un capitano Francesco Cingano per poter stare andare e abitare in questa citta e suo distretto. Le molestie e i danni dagli recati Zingari dovevano esser ben forti se un privilegio del Sovrano si chiedeva non fosse mantenuto.
Passan gli anni e vediamo che anche ad un ordine ducale, in fatto di Zingari, non si voleva obbedire. Nel 1586 il Duca voleva che fosse consegnato al Governatore di Modena un Zingaro chiamato Orazio caduto nelle mani degli Ufficiali di Guiglia, e ne scriveva al marchese Ercole Aldrovandi feudatario del luogo, il quale vi si rifiuto. 2 II carteggio e tronco rna si puo credere che questa ripulsa avesse causa fiscale.
Un altro fatto, sebbene un po’ confuso, interessa i rapporti che correvano tra gli Zingari e gli abitanti dei luoghi da essi percorsi, certo per ritornarvi. Don Orazio Ferrari curato di S. Martino di Secchia il 6 marzo 1586, in Carpi, depone alla presenza del Canonico Bartolomeo Grillenzoni Vicario dell’Arciprete, intorno a fatti che si riferivano all’anno precedente, cioè al 15 febbraio 1585, nel qual giorno, die’ egli ’ venne alla Canipagnola sul modenese messer Lauro Grillenzoni per parlare con certi Zingari che erano cola. Ivi trovo Alessandro, proprio padre, che lo condusse a dimorare in casa sua, ove udi i discorsi fatti da Lauro suddetto e i Zingari nonche tra questi ed alcuni della Bastia ivi convenuti. Lauro aveva un credito coi Zingari i quali gli rilasciarono una carta scritta da Lodovico Molza.’ 3 1 Bibl. Estense MSS. Campori, 7, 2, 17. 2 Arch, di Stato in Modena, Guiglia.
3 Arch, di Stato in Modena, Carteggio Governatori, Le deduzioni che escono da questo racconto sono uiolte, ma a me preme di rilevare che qui si trattava di Zingari italiauizzati o italiani veri, ai quali fu sempre grande rifugio il bosco del Lovoleto oggi detto della Saliceta.
Prima di ultimare la narrazione di ciò che riguarda il secolo xvi. diro, che nel 1578 Antonio Trombato barbiere (chirurgo) denunciava al Podesta del Finale di aver curato di una ferita Alessandro Cingano che l’aveva riportata da Santo Duntino pure Zingaro; x e come Ercole Zingaro fosse fra i birri esecutori a San Felice, 2 e grida per l’espulsione di essi fossero publicate nel 1588, ed un’altra nel 1598 regis tra lo Spaccini nella sua cronaca di Modena. 3 Entrerebbe pure nel nostro argomento il ricercare minutamente se la legislatura ecclesiastica abbia considerato lo Zingaro in questi tempi, ma nel 400 e nel 500 non appare, nemmeno dopo il Consiglio di Trento nei Sinodi diocesiani di Modena e di Nonantola, e l’occuparsi di essi spettera al seguente secolo con una armonia assoluta colle leggi civili.
Secolo XVII
L governo del Duca Cesare che fu tanto debole contro il Papa che lo spogliava di Ferrara e di Comacchio, ebbe invece un feroce ardimento per sbarazzare dagli Zingari il suo dominio. Inoro la data precisa di una grida la quale tra le solite minaccie, diffide e pene per coloro di essi che fossero sorpresi in terra del ducato, vuole ’ che anche per gli Zingari che fossero trovati lungo le strade e non dessero danno ad alcun, debbasi dare la campana a martello, seguitarli, svaligiarli e costringere alla fuga quando non si potessero imprigionare ’; x e anche previsto il caso che essi opponessero resistenza colle armi, allora si era autorizzati ad ucciderli.
Delitti enormi dovevano pesare sugli Zingari, ma le pene ininacciate non lo erano minori, ed oggi sembrano assolutamente prive di un senso di giustizia, e dettate invece da uno spirito di rappresaglia e di vendetta. Cosi era il sentimento della legislazione in quei tempi religiosissimi! Ma quasi in compenso, gli Zingari non ispiravano soltanto ripugnanza, in tutti, perchè ovunque il popolo nonche i letterati-poeti e gli artisti, specialmente i pittori, trovarono qualche cosa che colpiva la loro immaginazione in quella vita randagia e perseguitata, e lo Spaccini cronista modenese, descrivendo una mascherata che animo la citta il 4 gennaio 1600 narra che vi preser parte ’ otto Cingane bene adornate che andavano dagando la buona ventura.’ Accennai ad una grida feroce di Cesare d’Este che se, forse, avra allontanato per un momento le bande, non estirpo il furto zing-aresco che da oltre un secolo era indigeno e si confondeva furbescamente coi malfattori locali. II Conte Brusantini notissimo Governatore di Sassuolo, in una sua lettera del 31 ottobre 1600 al Segretario Ducale Laderchi, parla di cavalli rubati cola e condotti nel modenese e dice che sa di un Francesco Moreni che ne compro diversi da Zingari, ma che poi gli furono rubati dai venditori stessi. 2 Circa le bande, che scorazzavano le borgate, il Comune di Modena il 2 novembre 1601 presentava doglianza al Duca pei molti danni che causavano attorno ad un casello del Ponte Alto, non lungi dalla citta, chiedendo che fossero costretti a levarsi dal paese; 3 e il 21 giugno 1603 sappiamo da un rapporto del Podesta Flaminio Puglia, che ai Molini Nuovi accanto a Modena, era sostata una compagnia di Zingari, e che egli ne aveva fatto arrestare 17 di essi, fra uomini e donne con bambini lattanti. 4 II capo della comitiva era Francesco Galantino e li conduceva dal Bresciano, ove, strada facendo, aveva rubato agli Orci Vecchi due 1 Arch, di Stato in Modena, Gride.
2 Arch, di Stato in Modena, Sassuolo f. 1 .
3 Arch. Municipale di Modena, Partiti cons.
4 Arch, di Stato in Modena, Rettori i. 4. cavalle ad Antonio Crescini che li avova inseguiti e raggiunti poi ai detti Molini. 11 Podesta nota chc per avere contravvenuto alle grida le donne dovevano essere punite di frusta e gli uomini colla galera; osservazione che provcrcbbe non essere le sanzioni penal i applicate illico et immediate, ma invece dopo un secondo esarae.
Nel 1G05 si avrebbe, infatti, un’altra prova di questa tolleranza neir applicare il rigore delle grida; perch e il 21 di febbraio si lesse ai Conservatori del Comune di Modena, un memoriale contro alcuni Zingari annidati da molti mesi nel Bosco della Saliceta, in Camposanto e ville finitime. Essi ’ rubano e danneggiano il paese e fu ordinato al Sindaco generate che procuri col sig. Imola et ancora con Sua Altezza, se sara necessario, che siano scacciati.’ l Nulla di pin si chiedeva alla giustizia pei danni; forse l’indigenza loro non lusingava la speranza di poter avere un compenso, mentre la naturale dolcezza dei costumi non esigeva pene inutili.
In quest’anno 1605, cade un’altra notizia la quale conferma nella certezza che questi Zingari vaganti per i nostri paesi, se non erano tutti indigeni lo erano almeno in gran parte e per nome.
II Capitano Ferrante Forni, di chiara famiglia modenese che possedeva vastissime terre di attorno al Lovoleto o Saliceta in Camposanto, si dolse che certi Zingari si fossero nascosti cola in un bosco dei suoi pupilli. Mandati gli esecutori trovarono uno di essi chiamato Rodomonte Bianco con moglie e quattro figli e lo catturarono. Esaminato confesso che due giorni prima era arrivato da una devozione dalla Madonna di Reggio, e che per la pioggia si era fermato nel modenese, ove ben sapeva non poter restare. In seguito all’esame si venne a scoprire che il Rodomonte, malgrado la sua devozione, aveva subito la corda sulla piazza di Modena per furti, e percio Vincenzo Arlotti, 2 magistrate che inquisiva, opinava che gli si potrebbero infliggere altri tre strappi di corda poi rilasciarlo. Anche qui si passava per altro giudizio, altre approvazioni, prima di colpire lo Zingaro con esecuzioni immediate che pare fossero ammesse soltanto nei casi di flagranza. E forza riconoscere che si usava loro un trattamento da uomini e non da bestie, come avveniva in Germania ed altrove, e siccome ci6 che si praticava in Modena era sempre osservato nei luoghi dei feudatari, cosi piacc ritenere che eguale umanita sara stata legge nelle terre loro; e lo Statuto di Vignola, pubblicato da Gregorio Boncompagni 1 Arch. Mimic, di Modena, Partiti Comunali.
2 Arch, di Stato in Modena, Rtttori, fil. 4. nel 1616 che comminava galera agli uomini e frusta alio donne, sara stato applicato cum grano salis: come per motivi facilmente intuibili, al rigore, alla durezza degli statuti e dei bandi erano spesso compagne eccezioni che li distruggevano o mitigavano.
Nei decreti dell’anno se ne legge infatti uno rilasciato al Capitano Francesco Almoro Zingaro, in cui gli si da permesso di dimorare colla sua famiglia, per un rnese, nel territorio del Finale, ’ purche non diano molestie e fastidio ne facciano contratti ne baratti di sorta veruna di cavalli.’ 1 Questa proibizione contrasta pero col fatto che essi erano ammessi a correre al pallio a Modena, e lo saranno stati dovunque.
Ometto cose di minor conto, e come lo Stato desse salvacondotti a Zingari per riuscire a catturarne altri di loro che erano famosi delinquenti, e come nelF agosto del 1618 si frustasse, nel mercato di Pazzano, una Zingara perchè dirigeva un manipolo di ragazzi che rapinavano attorno a Monfestino.
Bande di Zingari si fermavano, con una consuetudine che merita attenzione, sui confini di Ferrara con Finale, e ve ne erano nel maggio 1620. Un giorno, essendo lontani gli uomini, alcuni mascalzoni finalesi sruidati da un certo Annibale Parmesano, detto il ’ dottorino ’ sorpresero in un fienile le zingare Giulia, Imperia e Celidonia e violentemente ne abusarono. La cosa fece rumore e giunse fino agli orecchi del Cardinale Legato di Ferrara, che assunte le parti delle Zingare, diede la caccia al finalese condottiero di quella vile impresa. Mi e ignoto come continuassero le ricerche del prelato e a qual fine giungessero, ma so che gli Zingari ricoverati sul confine assalirono allora e saccheggiarono, per 200 lire, la casa di Domenico Battocchi al Canal Bianco. 2 II Podesta del Finale dava parte a Modena, sulla fine del detto mese e condannava Alberto Lusenti ’ per aver dato percosse ad una Zingara ’ ed Ottavio Raschini perchè aveva menato le mani su Zingari e Francesco Sedazzari fu imprigionato il 3 novembre 1620 ’ per aver fatto certo insulto ad una Zingara e cacciatele le mani contro offendendola con un pugnale.’ Forse conviene credere che questi non fossero Zingari ma cittadini noti e viventi in comitiva con una banda di veri Zingari oltramontani.
E sul modo con cui si eseguiva la legge su di essi, fa menzione la podesteria di San Felice che pare avesse a capo persona cruda.
II 10 marzo 1622 il Governatore di Modena comanda a quel 1 Arch, di Stato in Modena, Decreti.
2 Arch, di Stato in Modena, Rettori Finale. Podest£ di ’liberare senza spesa trc donno Cingarc essendoche innero da Lui per riavere una scrittura sua e che stanno di stanza su quel di S. Felice ’ * e il giorno 11 seguente si rilascia a Modena un salvacondotto a Giulia e Maria Sforza Cingare abitanti pur esse su quel di S. Felice, e forse le stesse già ricordate, ’ perchè possano andare a Montecchio, a prender robe spettanti ad una figlia di Giulia e di Sforza Trombetta,’ e il 1° ottobre 1G22, si concede a Giulia, Maria ed Eleonora Zingare pure di S. Felice, di poter passare per Modena c suo distretto così nell’andare che nel tornare da Reggio e da Montecchio a S. Felice per riportarvi robe dell’eredita del suddetto Sforza. 2 Questi eran Zingari sedentari.
L’Inquisizione si occupava spesso degli Zingari, ed io di questo punto d’osservazione che e molto importante, purtroppo non ho potuto occuparmene ex professo, perchè questa mia ricerca era fatica da potersi esaurire da un giovane, non da chi numera 66 auni. Pure siccorae ha tratto a stregherie in cui le Zingare avevano ed hanno larga nomea, ricordero come il 6 maggio 1623 comparisse davanti all’Inquisitore di Modena Pietro Gaspari del Finale e deponesse come ’ essendo in luoco denominato il Dosso ove faceva legare il fruinento, vi venne a spigolare una Cingana chiamata Giulia che sta sempre su quel del Finale e gli disse che Madonna Alessandra, moglie di Giovanni Nicolo Roinei suo parente, lo voleva far guastare e che andasse riguardato che non gli levassero la pedega,’ cioè l’impronta che il piede lascia nel camminare, la quale allora si credeva servisse a sortilegi. Questa Giulia era fisdia di Antonio Mori di S. Felice e vedova di un Orazio Zingaro che abitava al Finale nella Via dei Frati. Erano dunque Zingari locali. 3 E indigeni erano egualmente quelli che costituivano la banda condotta da un Santo Campana chiamato il Cingano Bolognese ladro famoso arrestato il 19 giugno alla Pioppa di Sorbara.
Pure in quest’anno si legge nella corrispondenza fra il Duca Cesare e il Cardinale Alessandro suo fratello (30 settembre del 1023): ’Si trovano in Carpi due Zingani i quali si ha qualche intentione che abbiano narrato ad un nominato Magnanino, che essi furono con uno che aveva la barba longa in questi giardini per offendervi’; percio ha ordinato a Carpi che li mandino a 1 Arch, di Stato in Modena, Partimento, 1°.
2 Arch, di Stato in Modena, Decreti dell’anno.
3 Arch, di Stato in Modena, Atti Inquisizione, all’anno. Modena. Si puo iinmaginare che qualche cosa di brutale ne avra seguito.
Passando al 1624 trovo negli Atti della Inquisizione di Modena un cenno che tocca al matrimonio fra gli Zingari, che ben si sa non professare religione alcuna, e questo bisogno da essi sia soltanto provato per opportunity; come ben si sa che non hanno alcun bisogno di ammettere l’esistenza di Dio, idea che si introdusse fra loro colla lunga percorrenza in paesi civili. Questo accenno e importante in materia, perchè data ad un tribunale severissimo come quello dell’Inquisizione. Al quale, il 15 maggio dell’anno predetto D. Iacopo Galliani Rettore di S. Maria di Tole dichiarava di non aver uniti in matrimonio due Zingari di nome Laura e Donnino. E non e da meravigliare perchè le sanzioni del Consiglio di Trento non erano ancora imposte rigorosamente.
Ma più minuti particolari sul matrimonio degli Zingari, si rilevano da altre dichiarazioni. Gabrielle Paolucci di Sillano depone devanti al rettore della Pieve di Castello in Garfagnana di aver ’incontrato Laura che andava vagando cola, ma era moglie di Donnino Zingaro, sopra ricordato, e chiestole perchè non stesse con suo marito che la cercava, rispose: perchè aveva un altro uomo che era un birro in una pattuglia che sopragiunse. La donna pareva gravida, era figlia di Zingari di Tole ed abitava a Modena e suo marito, che era birro, si chiamava Santino.’ Laura portata alle prigioni dell’Inquisizione (il tribunale giudicava anche in materia di matrimoni) disse che si era maritata l’anno prima, in presenza di due Zingari di Tole i quali furono ammazzati, e il marito le fu imposto a forza da suo fratello: disse inoltre ’ che il marito le dava delle botte e il di lei fratello glielo tolse, volendo dire che divise l’unione e percio vagava così con un altro uomo.’ Questa donna che non aveva più di 20 anni, aggiungeva che ’ tra gli Zingari non vi era altro matrimonio senonche mio marito mi ha tolto così e mio fratello me li ha dato.’ Essendole contestata qualche deposizione, ribatte ’ io non dissi mi ha sposata, ma mi ha tolto nella chiesa di Tole, giurando alla presenza di mio barba e di mio fratello e di altre persone di non abbandonarmi mai. Vi era presente il rettore di Tole il quale dette il giuramento sopra un libro che non dovessimo mai abbandonarci. Vi sono altre donne in Tole che fanno come faccio io,’ e conviene credere che fra girovaghi sara stato così pressoche dapertutto. 1 Deduzioni 1 Arch, di Stato in Modena, Atti Inquisizione. importanti, da questa deposizione, ne trarra lo studio delle credenze religiose tra gli Zingari. Nell’anno seguente ai 27 di agosto 1625, per furti e fattucchierie furono querelate Imperia e Maria Zingare; da Francesco Mussato di Nirano davanti al governatore di Sassuolo conte Alfonso Malaguzzi. 1 Le cose rubate erano ’una collana d’oro e molte velctte da naso,’ che furon poi trovate a Monteforco sulla Rassenna, in mano di Lodovico suocero di Imperia e di Signorino, birbante famigerato, che ritroveremo di nuovo subito, ma passando dalle montagne sulle rive del Secchin, a levante del Panaro, pure fra i monti, ove oltre a furti e violenze ladresche troveremo superstizioni sortilegi e ribalderie affini.
A Savigno, Don Bartolomeo rettore del luogo, udi per bocca di Madonna Fiora Zagnoni, che Signorino ’aveva una calamita cosita nel gippone, che Maddalena di Mariano da Sassone, pure di Savigno, amante di Signorino teneva una calamita battezzata, e che la Maddalena stessa era stata menata via dagli Zingari perchè Signorino gli aveva cosita della calamita nella vesta che quando l’aveva indosso le bisognava andare dove era esso Zingaro.’ Correva voce, inoltre, che Signorino si chiamasse Ercole Pallavicino e che sul suo conto dicesse: ’ La mia patria io non la sio essendo Cingaro, sono nato pero nella Rocca di Guia e sono stato battezzato da Don Giovanni a Guia, io non sio la mia eta, il mio esercizio e di Cingaro e di sbirro, ho praticato in diversi paesi di qua e di la dai monti, perchè noi altri poveri Cingani sempre siamo in viaggio e tutti ci voglion male.’ 2 £ ben contornato il ritratto di questo Zingaro volontario, ma tra poco altre notizie completeranno la triste figura.
Don Alessandro Micheli, prete di Savigno, raccontava infatti come una sera andando a veglia per giuocare, si incontrasse con Signorino che gli propose di insegnargli un segreto per farsi voler bene dalle donne, e soggiungesse che avendo veduto nella chiesa di S. Biagio la pila dell’acqua santa fuori dalla porta per la quale entrava il popolo, egli aveva il modo di insegnargli il segreto. E cosi andarono insieme alla chiesa. Quivi Signorino levo il pugnale e fece un circolo nel pavimento sotto la pila, poi sfondo il ghiaccio dell’acqua santa, cavo fuori dalla bisaccia uno scaitolno ’ involto e coperto tutto attorno di capelli di donna’ lo pose in mezzo a quel circolo, vi mise un anello sopra e butto tutto nell’acqua santa 1 Arch, di Stato in Modena, Sassvolo, filza 14.
2 Arch, di Stato in Modena, Anno 1625, filza 3. morinorando alcune parole delle quali il prete non intese che noliter e politer. Presagli poi la mano destra la tuftb nell’acqua, ponendogli la sinistra sopra gli occhi e ordinandogli che pescasse lo scatolino ripetendo: ’ opera e fa quello che vuole e comanda Signorino.’ Dipoi gli diede di quei capelli, sparo due archibugiate e prese la via. Al prete, andato a letto e addormentatosi, fu strappata la coperta, e terrorizzato si raccomandb a Dio recitando il ’ Te lucis ante terminum,’ 1 ina insistendo il fenoineno brucio i capelli avuti da Signorino e pote riprendere il sonno.
Queste giunterie che vengono detti sortilegi, sono nei processi dell’Inquisizione, nell’Archivio di Stato a Modena e io le ho desunte come frettolosamente ho saputo e potuto.
Abbandoniamo i sortilegi e rientriamo ad occuparci del furto inseparabile dallo Zingaro.
II 24 maggio 1627 il Podesta di Monfestino, Annibale Mattarelli, avvertiva il Duca che ’li Cingani in conventicola di 16 e piu, armati, non tanto per loro natura quanto per sdegno di aver io posto in berlina alcune donne trovate in questa podesteria contro le grida marchionali, si sono dati a saccheggiare questa giurisdizione e per loro asilo si servono di un luogo detto Degagna da dove di notte escono a depredare questo povero paese,’ 2 e domandava forza per cacciarli.
Ma il cacciarli non era sempre possibile, per quanto assai di rado opponessero resistenza colle armi, non potendosi ricorrere a mezzi estremi, se non in caso di resistenza. A prova si puo citare il caso avvenuto al Finale sui primi del marzo 1628. 3 Quel Governatore voile liberare il paese da una loro banda e ne diede ordine al bargello, ma questi non pote eseguirlo perchè i soldati della milizia si rifiutarono di aiutarlo quando non venisse concesso il permesso di ammazzare i Zingari. II permesso fu chiesto al Duca, ma per quanto fosse accordato, era sempre superfluo perchè gli Zingari non sfidavano il pericolo, ma cercavano, come cercarono sempre, di mettersi in salvo senza resistere:
sarebbe una prova di coraggio inutile data la maniera del viver loro.
Nei Partiti Comuncdi di Modena del 1627 trovo il 3 gennaio, un nome che ritengo non sia da ommettere perchè forse riguarda un personaggio celebre. Cornelio Malvasia di Bologna, 1 Hymnus ad Gompletorium.
2 Arch, di Stato in Modena, Vi’jnola, Podesth di Monfestino.
3 Arch, di Stato in Modena, Partinunto 1°. aveva ucciso anni prima, davanti all’osteria della Campana in Modena, un tale G. Francesco Cappelli sbirro Zingano, perchè tra altro gli aveva rubato un cavallo a Panzano. II Malvasia domando orazia al Duca avendo ottenuta la remissione dell’omicidio dai parenti dell’ucciso. Questo Malvasia sarebbe il Conte Cornelio che fu poi Senatore di Bologna, Generale ed Astronomo ed ebbe il merito di innalzaro due Osservatori a Modena ed a Panzano nel secolo di Galileo.
E ritornando ai birri citero un Ludovico Vecchi dell’origine del Cigani che aveva un figlio a Rubiera pure birro e domandava licenza di fissarsi nello Stato nel 1625; nonche la cacciata di Galeazzo Cingano avvenuta per opera del governatore di Rubiera nel o-ennaio 1626 per le sue ribalderie e per aver puntato una pistola al petto di un frate francescano. 1 Nel 1630, durante la peste, une forte banda di Zingari tutti nativi della provincia trovo largo e facile campo ai suoi istinti rapaci, e tra essi vi ricomparve alla testa il noto Ercole Pallavicino.
Proveniente da Pescia si riverso nel inodenese ove trovava favore in un Giovan Nicola Borghi che abitava alle Grotte di Monchio, feudo dei Molza. Questi briganti entravano nelle case, murate perchè rimaste vuote pei morti dalla peste, vi toglievano tutto, e saccheggiavano pei monti di Saltino rovinando, tagliando, assassinando, senza che alcuno ardisse parlare per le ininaccia di morte che lanciavano. Essi erano i seguenti:
Tommaso d’anni 15, nato a Guia.
Lodovico di 17, a Messano.
Giovanno di 18, a Marano.
Lucia di anni 7, nata alla torre di Gorzano.
Degna di 2, di Garfagnana nei boschi.
Diamanta di 4 e Antonia di 9 anni nata a Bologna.
Poi vi erano:
La sorella di Signorino, Leandra.
Certa Iacorna moglie di Cesare.
Maddalena da Montetortore che stava con Signorino, di anni 30.
Una figlia di Cesare nata a Montecchio per noine Maria, e infine Un’altra ragazza di 14 anni nativa del Finale.
Arch, di Stato in Modena, Partimento 1°. Questi Zingari uiodenesi J che sono dati dal Conte Valdrighi in un suo scritto sulla peste bubbonica a Formigine 2 ci offrono la prova evidente della formazione di una banda di malfattori senza che alla sua costituzione fosse abbisognata la presenza di un solo Zingaro autentico per aumentare col suo temuto norne il valore produttivo della masnada. La quale inseguita dai soldati della rnilizia pei monti di Prignano e Santa Julia fu tutto presa il 31 gennaio 1631 e chiusa nella rocca del Pigneto.
Zingari, di questa natura, sbandati nel territorio di Sassuolo ne rimanevano ancora, e quel governatore, conte Ippolito Estense Tassoni il 7 giugno 1631 lamentava ancora che . . . ’il male fosse cagionato piuttosto da ricettatori e dai fautori loro, che sono stati un Paolo dalla Campagna del territorio di Monchio, un Martino Rossello bandito di Gombola abitante a Dignatico, giurisdizione di Saltino e Virgilio Dallara pure di Saltino. Questi erano coloro che fattisi Zingari assai più dei veri, insegnavano i luoghi, li assicuravano e poi svaligiavano le case, come quella di Don Vincenzo Dallara rettore di Saltino e l’osteria della Volta. Bisosrna credere che una compagnia così numerosa, che dal settembre fino adesso, e vissuta così grassamente, abbia consumato molta roba e abbia ammazzato gran quantita di castrati, pecore, capre, e anche buona parte vendutane. Qua, sempre si e detto che, il male del contagio che principio a Saltino, vi fosse portato da questi Zingari, come quelli che rubando nel paese dove era l’infezione ve lo portassero seco . . . Questi Zingari imprigionati non hanno modo di mantenersi da loro, sono ora alle spese della Camera in ragione di bolognini 10 per testa.’ La narrazione e abbastanza importante, ma lo diviene anche di più in una lettera seguente nelle quale il governatore osserva che questa banda era ben armata, si era difesa a fucilate dalla milizia e dai birri nel lucchese, nel fiorentino e nel bolognese, il che ciò non pote aver luogo nel modenese, perchè non ebbe tempo di farlo, quando fu sorpresa.
Le birbanterie della masnada di Signorino sono estesamente 1 Non ho dati siouri per stahilire che matrimoni siansi contratti da noi tra nazionali e veri Zingari. Restano soltanto fatti nsionornicamente eloquenti a testimoniare che unioni avvennero, certo ex lege, ma a nie preme e constato il fatto, e cito tra altri, non rari, questi che ho potuto fotografare: una donna a Camurana, accanto alla Mirandola, altra a Montegibio nelle colline di Sassuolo, e un professore di Liceo. Tutti presentano stupendi tipi di razza zingaresca sotto il sole di Modena.
2 Valdrighi, Contagio di pestilenza bubbonica in Formigine durante il sec. X VII (1630-31). Modena, 1897, Soc. Tip., in 8°, p. 351.
VOL. III. — NO. li. G narrate in una lettera del 25 di gennaio di quest’anno, dello stesso governatore Tassoni ai Fattori Gcnerali, che riassumo perchè molti dati di valore riescono utili a far risaltare le gesta di questi furfanti che mantcnnero il terrore nel paese, malgrade i bandi, gli statuti le forche, le fruste, le galere. . . .
II Commissario si era trasferito al Pigneto dove si trovano gli Zingari, ed esso avendoli esaminati per scoprire i furti, non meno che i delitti commessi, i complici e i ricettatori, seppe che erano nello Stato dall’ultimo di maggio e venivano da Pescia pel Lucchese, ove all’osteria di Rocca Pelago fu loro tolta [ossia: data] fede di sanita. Erano in 15 e andarono a Miceno e vi soggiornarono quaranta giorni con licenza di quel Podesta Orazio Manzieri, passarono a Saltino mangiando e bevendo con molti particolari [abitanti] e poi ritornarono a Miceno assicurati dal Capitano Andrea Venturelli che come la prima, come la seconda volta, ottenne dal Podesta la licenza di fermarsi. Passarono poi a Monchio giurisdizione di Rancidoro e vi si fermarono frnche furono presi, benche avessero licenza [di sor/giornarvi]. Quivi e fama che commettessero molti furti e avessero fail tori, fra i quali Giovanni Beccamonti e uno detto Tamburlano, quali entravano nelle case appestate e desolate dal contagio rubando tutto e si godevano allegramente il furto. II Commissario si inoltro a Moncerato per prendere informazioni e gli si presento Paolo Telleri querelandosi che l’anno antecedente gli Zingari, e tra essi Cesare Signorino, avevano ammazzato Giovanni Rossignoli di Monte Forco, nel Comune di Monfestino, ducato di Sora, e che un altro omicidio avevano compiuto a Sestolo al molino di Magnavacca seppellendo il morto in riva alio Scoltenna.’ Si davano testimoni e si ripeteva che rubavano sulla via i mercanti diretti alla riera di Pavullo.
’ Questi si trovarono, altresi, di concerto alla morte di Antonio Baldaccini bandito, la testa di cui fu portata a Monfestino. Vivevano di rapina. erano tutti banditi e sapevano di dover essere impiccati; all’osteria della Volta di Saltino si fermarono perchè non vi trovarono che tre putti, essendo tutti morti di contagio.’ II Governatore, narrata ai Fattori Generali tutta questa sequela di fatti, ognuno dei quali avrebbe meritato la forca, mestamente rifletteva: ’ e perchè si trovano molte difficolta in scacciar dallo Stato questi Zingari avendo cinque figliuolini seco, perchè nello Stato confinante ove entreranno saranno presi e ammazzati, per non aver fede di sanita e come sospetti di contagio, se ne replica una parola alle Sig. Loro IU me a ci6 restino servite (li avvisare il modo più facile e se si devono mandare verso Modena o altrove.’ * Alia pieta del Governatore di Sassuolo ho cercato di vedere se corresse una consonanza colle parole della religione; ma trovai che non avevano altra idealita, e che non si elevavano sulle sanzioni delle leggi civili. Nelle costituzioni diocesane del 1637 queste poche parole li riguardano e dicono che carita cristiana non esisteva per loro. ’ I Cingari vagabonda gente e data ad ogni empieta, se non vivranno cristianainente, quando lo si possa, siano respinti dalla diocesi.‛2 Al disgusto che sollevano queste narrazioni di tristezze affliggenti il nostro paese, mentre era fiagellato da altre sciagure che lo spopolavano, seguono alcuni anni che degli Zingari non si trovan notizie, astrazione fatta dalle solite gride intese più a intimorire o da far sembrare anormale ciò che era quotidiano. Ma quando arriviamo al 1657 troviamo, per la prima volta, un documento che rialza lo spirito dalla solita persecazione e dalla continua minaccia del capestro, esso e finalmente un atto di clemenza.
Fra le lettere di Jacopo Spaccini che fu Segretario dei Duchi Alfonso iv° e Francesco i°, e del Cardinale Alessandro, stampate a Bologna nel 57, evvene una che essendo insolita in tanta brutalita di giustizia umana qui la traserivo. £ senza data, e la do qui nella sua forma gentile:
’ Al signor Governatore di Brescello. — Le Zingare che l’altro giorno raccomandai in nome della Signora Principessa Giulia, mia sorella, e mio ancora, se ne sono tornate qui riferendo che poco abbian loro giovate le nostre intercessioni. Non ho potuto credere perche ho moltissime prove che V. S. e solito di commettere piuttosto eccesso che difetto nel soddisfare alle nostre domande . . . tuttavia ho stimato bene di venire a questo nuovo ricordo, il quale mostrera tanto meglio il desiderio nostro che dette povere donne restino consolate e l’obbligo suo di consolarle in cosa per se stessa giusta e per la promessa di V. S. necessaria.’ 3 Non so a nome di quale dei due Sovrani fosse stesa questa lettera, ma se spettasse a Francesco i°, ben mostrerebbe come la mente che si rese celebre nelle storie militari e in quella delle belle arti italiane sentisse umanamente la sua missione sovrana.
1 Tutte queste notizie sono nell’Arch, di Stato in Modena, Sassuolo, fil. 14.
2 Constitutiones et decreta in Synodo Mutince, 1635, Cassiani, pag. 7.
3 Lettere del Sig. Giacomo Spacini dedicate all’III Sig. Conte Lelio Roverella.
In Bologna, 1657, per Giac. Monti, in-16°, p. 87. Ma passato questo caso, per mo unico di clemenza, nel quale l’animo di sfuggita si e riposato, continuo la narrazione sempre tristissima.
Compare, circa nel 1660, uno Zingaro nazionale, Giovanni Bianchi, cremonese, capitano di Zingari che domanda, ’ di poter abitaro tre giorni per ogni luogo dello Stato con sette uomini e donne e famiglie con le loro armi.’ Questa richiesta che si risolveva in una autorizzazione perpetua di scorazzare il modenese e agli abitanti di fargli le spese, per fas aut per ne fas gli venne accordato per 15 giorni in tutto. Cio non gli impedi di continuare a lungo la sua vita randagia e già vecchissimo guidava ancora una compagnia di Cingani del Monferrato, ed ebbe a ridomandare nel 1693 un’altra licenza di sosta nel modenese, ’ promettendo di vivere da buoni cristiani e di non molestare alcuno.’ x II governo pero, questa volta, non fidandosi di chi non poteva vivere che di furto, non accordo.
Una lettera di Guglielmo Botti, Podesta di Brescello, del 28 dicembre 1564 ci presenta una informazione, assai interessante, sui modi violenti coi quali, sotto l’influenza delle gride, i contadini si buttavano adosso agli Zingari.
’ Alia fine di Giugno, in campo Rainero, nella giurisdizione di Brescello, vennero certi Cingari e quivi si fermarono coi loro bagagli. Mentre appiccavano li fuochi sopragiunsero molti di Castelnovo armati di spade, picche et archibugi, che subito corsero adosso alii prefati Cingani, che se non si fossero rifugiati in quel di Reggio, e salvati in una osteria, avrebbero anco ricevuto delle ferite, ma li svaligiarono assai robe di rame, una tazza d’argento e un cavallo di pelamo rosso, con le quali robe si tornarono a Castelnovo.’ 2 E giacche siamo a Brescello noteru che una grida ivi pubblicata, il 1° ottobre di quest’anno, vietava in causa di difesa dalla peste, ’di alloggiare i questuari, furfanti, mendicanti, forestieri, canta in banco, herbolatti, bagatellieri, commedianti et cingani.’ Curioso accostamento di nomi.
Che risse tra gli Zingari dovessero sovente destarsene, lo dice il tenore della loro vita e la Littera Passus fin dalle prime pagine di questo scialbo scritto, ma io non ho trovato fin ora denuncia di un fatto positivo che esca dall’ambito di pure risse. Ma adesso riscontro che nel 2 agosto 1677 il Massaro del Cavezzo informava 1 Arch, di Stato in Modena, Particolari’at nome.
’-’ Arch, di Stato in Modeua, Brescello Ufficiali. il Giudice di Modena, che ’ i Cingani erano venuti fra loro a contesa in quelle campagne, si eran sparati contro e che sulla strada uno era rimasto morto.’ x Che avranno fatto di quel misero corpo il parroco e il rnassaro?
Lo avranno sicuramente abbandonato ai corvi e ai lupi, obbedendo ai criteri che allora stabilivano i sinodi diocesiani. Difatti in quelle- dell’Abbazia di Nonantola, nella cui giurisdizione e posto il Cavezzo, in rapporto ai Zingari leggesi al Capo II, De Haereticis, de Haeresi suspectis Iudeis, Sortilegis, aliisque damnatis artibus incumbentibus.
’ xEgyptii, vulgo Cingari nuncupati per nostrani Dioecesim ultra tres dies vagari non possint, et interim nostri Vicarii Generales et Foranei curent ne hoc vagum et fallax hominum genus Sortilegii operarn tribuat, et ne vanis divinationibus rudes personas seducat; Parochi quoque sollicite inquirant an Ecclesiae Catholicae praecepta, ritus et instituta observent, cibisque vescantur vetitis, et delinquentes ad nos illico deferant, graviter puniendos juxta Canones et Pontificias Sanctiones; si viri cum foeminis fuerint, ab illis postulentur litterae testimoniales de contracto matrimonio in faciem Ecclesiae, nee non de suscepto Baptismo, quas si non habeant authenticas, et legitimas, illico expellantur. Si quis vero ex eis interim diem suum clauserit extremum, nisi constet de fide, suscepti Baptismi, seu de Communione in Paschate, seu de alio signo vitae Christianae, sepultura Ecclesiastica privetur.’ 2 Ripeto: Le crudezze di queste disposizioni ecclesiastiche erano all’unissono con le leggi civili, in tutta la loro manifestazione di violenze continuate contro uno stato di fatto dannosissimo, generale, che solo disposizioni comuni ovunque prese, avrebbero potuto sanare o mitigare, dato che ciò fosse possibile. Una di queste manifestazioni della legge civile, sullo scorcio del sec. xvn.
(e del 1690) si ha dagli ordini, provvisioni e gride pel Marchionato di Guiglia del Marchese Raimondo Montecuccoli. II capitolo 23, virtualmente copiato dalle grida di Modena, suona testualmente cosi ’ Si proibisce a tutti i Cingani il potere in qualsivoglia modo habitare ne fermarsi nelle Giurisdittioni di S. S. Illnia, se non quanclo portava il bisogno di transitare, sotto pena rispetto alii maschi di tre tratti di corda in pubblico, e rispetto alle femmine, 1 Arch, di Stato in Modena, Giud.
2 Sinodus diocesana Augusta; Abbatim S. Sylveslri de Nonantula . . . ab Emo a Revo Dono Iacobo . . . Card. De Angelis ejusdem Abbatiae Abbate ac perpetuo Commendatario, celebrata in Gathedrali Ecrt. S. Sylvestri die 8 sept. 1688, — Bononiae 1691, Petrus Maria de Monti. — in f°. pag. 4. d’esser frustatc, e chi li ricettasse senza licenza incorrera in pena di scudi 10 per ogni volta che contrafaranno.’ Eran già due secoli che la legge continuava ad iinporre agli Zingari quel moto continuo, cui essendo già istintivo, fini per mao-oriormcnte pervertirli e renderli inconciliabili colla vita civile.
Secolo XVIII.
Per le risultanze dei fatti esposti nei due capitoli precedenti, gli Zingari che graavano sul modenese non erano più tali da forse due secoli, ma sibbene indigeni in grande maggioranza, oppure italiani di colonie d’altre provincie vaganti per le nostre regioni. Tra questa accozzaglia ibrida e probabile vi fosse ancora qualche Zingaro autentico, ma senza che di esso, a preferenza degli altri, sian rimasti fatti caratteristici per determinare l’origine di razza asiatica o slava soltanto. Restava il crisma comune del vagabondaggio, del ladrocinio, della divinazione: ma tali elementi non sono sufficenti a precisare etnologicamente le bande infestanti con saltuaria costanza il modenese, le quali non erano più di Zingari originari, ma si appropriavano di quelli il costume nomade, gli usi malvagi e lo storico nome eccettato dal popolo nostro che cosi li chiamava tutti indistintamente.
Comunque fosse cio, esso non mi interessa, perchè non ricerco memorie dei ladri e dei banditi che turbarono per secoli il modenese, ma bensi quelle soltanto che si riferiscono al vero popolo errante, che apparve fra noi nel secolo xv. Purtanto ricordero qui alcune schede che sull’argomento mi fu dato raccogliere; sono fila sottili di una grande trama dalla quale potrebbero aver luce studi generali.
Nel 1714 e segnalata al Governatore di Modena una compagnia di quaranta Zingari che si era fissata fra Mirandola e San Felice, alia Galleazza. Essa impressionava molto perchè assai forte e molestava non solo dando la caccia al pollame, ma rubando quanto poteva afterrare. I contadini alto gridavano reclamando difesa, ma, ciò che era grave, si e che qualcuno vi pareva interessato a quei furti nei luoghi stessi, impedento che si desse colla campana l’allarme. Si mandarono birri infatti, ma probabilmente quando le ruberie erano finite e gli Zingari avevan passato il confine. 1 II Mirandolano e il Finalese nella loro parte valliva, allora.
paludosa, ma solcata da grandi strade, era battuta dalle bande dei nomadi, e ne e rimasto il ricordo dal nome di certe case dette 1 Arch, di Stato in Modena, Partimenti. ancora la Zingara, la Zingaretta, poste ad 8 km. al riord del Finale, notate in una carta dell’anno 1711 spettante all’Archivio di Stato modenese.
Francesco Ignazio Papotti negli Annali Delia Mirandola, 1 scrive che nel 1740 ’una lega di birbanti assassinava i viandanti e assaliva le case nella campagna di Mirandola onde teneva tutti in agitazione. Si suborno poi che fosse una truppa di Zingari capitanata da Luciana Bianchi e spalleggiata da alcuni caporioni che tenevano agitato il paese.’ Ne segui un fatto che assai di raro si verificava, come pure nuova era la particolarita che una band a fosse capitanata da una donna; ’ il popolo di S. Martino in Spino si mise in armi, prese Olimpia figlia di Luciana e fu giustiziata alia Mirandola; gli altri lasciarono il paese.’ 2 Questa esecuzione prova che le grida esistevano ancora e se non risultano applicate con inumana frequenza, e il risultato dei tempi mutati e perchè gli Zingari non erano più quel flagello che reclamasse provvedimenti immediati da parte dei Governi. Questo lo direbbe anche il silenzio che su di essi mantiene l’alta e serena voce di Lodovico Antonio Muratori, il quale appunto scrivendo sulla Pabblica Felicitd, 3 che deve essere cura speciale di un buon Principe, non avrebbe certamente ommesso, fra i tanti mali cui esso deve porre rimedio, gli Zingari, qualora avessero tuttora costituito una piaga palpitante di quei tempi. Essi non erano scomparsi, ma si eran fatti più rari, la legislazione degli Stati Slavo-tedeschi aveva tentato di fissarli al suolo e di conseguenza il male, per noi, non era più così acuto come prima, ne la frequenza minacciosa.
Frattanto usciva da Modena, nel 1755, 4 il primo codice penale, diciamo cosi, di Francesco iii°, il quale elimino tutte le sanzioni spietate della giustizia punitiva, e percio anche quelle che toccavano gli Zingari e lo stesso nome di Zingaro si cercherebbe invano in esso.
Queste disposizioni saggiamente informate furono poi incluse nell’altro codice 5 delle leggi pubblicate nel 1771. Ma pur troppo tale legge, che era dello Stato, non venne applicata anche alia montagna, e negli Statuti e Privilegi di Pavullo e Torricella, stampati nel 1785, trovansi ancora sanzioni penali per gli Zingari.
1 Vol. ii. p. 232.
2 Ricordero che Cesare Cantii nel suo scritto: L ’abate Parini e la Lombardia, (Milano, 1854, Gnocchi, in-S°) p. 12’J riporta una grida del 7 sett. 1739 che proibisce il giuoco della Cingarella Indovina.
3 Lucca, 1749.
4 Provvisioni-gride, decreti da osservarsl negli Stati di S.A.S.
5 Codice delle leggi e costituzioni per gli Stati di S.A.S. — Modena, Soc. Tip., 1771. 1 1 cui tristc nome sempro li accompagno, giacche essi rimasero inerti c insoflerenti d’ogni lcgge anche quando esse vennero a loro per elevarli a dignity di uoraini. Ripetero qui, a tale riguardo, un brano che tolgo dalle Memorie Storiche delta terra di Guiglia 1 scritto inedito del sacerdote Anselmo Ginotti, circa del 1796, che al Capo X XI ’ Pregiudizi popolari ’ così si esprime circa gli Zingari:
’ Agli Zingari, dal basso popolo si presta assai fede. Costoro altro non sono che ladri e ingannatori nati credo nella Valachia.’ Cita poi il Muratori e dopo aver ricordato bandi usciti in Guiglia contro di essi nel 1623 e nel 1696 colle solite minaccie di corda, frusta e impiccagioni, conchiude: ’ ma con poco frutto, mentre fino ad oggi qucsti birboni fanno le loro scorrerie e il peggio si e che trovano degli sciocchi che li circondano e porgon loro le palme per esser strologati. . . .’ Non trovo più notizie sul mio tenia, ma coll’invasione del 1796 (spiace dirlo) nel modenese, il triste compito dello Zingaro pare lo assumessero i francesi. Le gesta loro (argomento d’altre ricerche) durante il passaggio per la montagna modenese del corpo di Macdonald, segnano una triste pagina di saccheggi e di violenze, che continuarono anche nel secolo seguente e alle quali non poterono mancare come gregari gli Zingari.
Secolo XIX Più ci accostiamo ai tempi che volgono, più si fanno rari i dati sui quali fondare considerazioni intorno agli Zingari, perchè col progredire della civilta diminuirono di nuraero e fors’anche di rozzezza, e le leggi di polizia li obbligarono bensi ad un moto continuo, ma non li irritavano piu.
Ma questi dati, siano pur rari, come si afferrano? Statistiche di confine e di costa, le quali chiariscano e guidino alla ricerca del vero Zingaro, che e nomade per fato, non ve ne sono, od io non le ho saputo trovarle, anche perchè queste avvolgono la fattispecie Zingaro, nella enorme folia dei vagabondi, dei mendicanti e peggio, mentre da altra parte accresce il buio la stampa politica che ha tanta importanza nella vita contemporanea. Essa non se ne occupa, se non in quanto ciu che riguarda le carovane dei Zingari, dessero motivo di interessare la pubblica quiete o contravvengano 1 MS. della Estense di Modena. A Guiglia, per chi sale la strada che viene dal Panaro, trovasi presso Lavachiello la Cd de’ Zinyari, che su queste colline abbiamo tante volte trovati. A Spilamberto nel 1621, ed anche prima, esisteva un ubicazione, presso la chiesa di S. Maria degli Angeli, riconosciuta volgarmente sotto il titolo di Guasto dei Zimjari, denominazione scomparsa in tempi non lontani. alle leggi in modo clamoroso, e questa non e tendenza che sia nell’indole dello Zingaro.
Mancandomi dunque questi appoggi importantissimi, ho cercato di raccogliere notizie in proposito da persone che potessero essere in grado di possederne de visu. Ma non trovai molta accoglienza, purtanto, qualche risposta ottenni. II signor Cav. Alessandro Rebucci, Dottore chimico, dimorante al Cavezzo, ricco Comune del Modenese, così rispondeva ad una mia, il 24 marzo di quest’anno.
’ Zingari?
’ Io non ti posso dire che poche cose. Dalla gente credula si diceva ai tempi della mia fanciullezza, che erano ladri capaci delle piu nere azioni, ed appunto rubavano ragazzi. Io credo che ci6 non fosse che una fiaba: ho visto qualche volta di passaggio di questi che si dicevano Zingari che facevano i calderai, avevano carri coperti e nell’interno donne e bambini luridi straccioni, per solito in comitive di tre o quattro carri, a cui avevano attaccati buonissimi cavalli. Erano ubbidienti al capo e qualche volta questi era una donna, il quale capo non partiva dalla tenda che con un lungo bastone segnale del comando. Erano tipi magri, asciutti, dagli occhi neri, vivaci, capelli corvini abbondanti, eran rissosi. Credevo fossero Italiani e venissero dal Friuli. Ora pero che ci penso, e facile fossero Dalmati e forse anche Montenegrini.’ A proposito di informatori, mi piace notare, che il M.R. Sig.
Don Alfonso Pigioli, Priore di Montegibio, ottantenne, scendeva apposta a Modena per esprimermi il suo interessamento pel mio studio. Mi narro alcune cosucce relative ai Zingari e concludeva che la religione e il governo doveva interessarsi per spegnere tale abbiezione. Qaesto interessamento del modesto vecchio ottuagenario compensa l’indifferenza d’altri.
Pel nostro argomento ha qualche importanza il seguente brano della relazione di un viaggio sull’Appennino Modenese, fatto da Galdino Gardini, il quale nel 1851, x salendo a S. Pellegrino incontro alcuni ruderi ’ e il piano erboso che li circonda era occupato da gente la più nuova; chi distend eva par terra un candido drappo e poneavi sopra in assetto semplice imbandigione, chi dopo il cibo cantava, chi stava sdraiato sotto un albero, come stanco da fatica.
Gente sana e vigorosa al vederla, di vestito bianco e uniforme, con un far disinvolto ed altero. Al nostro approssimarsi udimmo un fischio dopo il quale tutti si alzarono in piedi. La guida li saluto 1 Galdino Gardini: Rimembranze di un Viaggio all’Alpe di S. Pellegrino e al Monte Orientah o Cimone. . . . Bologna, 1852, tip. alla Volpe in-16°, pag. 24. con rispetto levandosi il cappcllo e passando oltre. Interrogata poscia la guida da noi che gente fosse e come la si trovasse, disse, e un drappello di Zingari, e buon per voi che siete capitati nell’ora del mangiare, poiche in altro tempo avreste dovuto senza dubbio pagare tributo d’alcun danaro a l’arte industriosa che essi hanno di trarne ai viandanti colle loro profezie e coi loro incantesimi.’ Viene a proposito un ricordo zingaresco in questi monti.
Poco lungi da qui, sul confine bolognese, e Monte Acuto dell’ Alpi i cui abitanti hanno bisogno di intraprendere lunghi viaggi in cerca dei luoghi ove esercitare le loro professioni o per far prowiste, e siccome prima di partire si uniscono in grosse carovane e poi si avviano, così i vicini dei circostanti paesi hanno dato loro il nome di Zingari. Agli abitanti di Monte Acuto non resterebbe che a scegliere per stemma del loro Comune, la curetola o motacilla alba, allegro uccelletto che si crede predica l’arrivo dei Zingari svolazzando vivace e leggero al sole lungo le grand i vie.
Sulle quali, ai nostri di, abbronziva uno Zingaro eletto di cui ebbe la ventura che mi si favorissero dati per le mie ricerche; dati rari e assai importanti, che io trascrivo in questi fogli con animo riconoscente verso chi me li comunico, lieto di poter concorrere a render tributo di lode ad un Zingaro benemerito, la memoria del quale sicuramente si perderebbe.
Modena, 30 aprile 1909.
Preg mo . Sig. Cav. Spinelli, — Notizie bibliografiche sugli Zingari io non ne ho. Ma, se pud farle piacere e tornarle utile, avrei da offrirle uno Zingaro autentico, un tipo interessante e non volgare della grande famiglia dei nomadi, una vera e propria personality zingaresca.
Ecco. In illo tempore, (s’invecchia! e la locuzione bibblica, dovendo riandare i ricordi del mio passato remoto, non mi pare fuor di proposito), in illo tempore, e cioè una grossa ventina d’anni sono (1889), conobbi l’uomo alla biblioteca estense di Modena, ove io ero venuto da poco, da Roma. Si chiamava Sigismondo Caccini
- ma nome e cognome, celati fra le pieghe del sudicio passaporto,
non dovevano servire che alla molesta e cavillosa curiosita delle questure internazionali. Egli si firmava su le schede di biblioteca col suo nome Zingaresco di Ui Falusci, che in quella lingua significa: ’ Nuovo Paese,’ e voleva che lo chiamassimo sempre cosi; e io e Isnardo Astolfi, che era il suo più valido aiuto nell’ardua ricerca di quanto l’Estense possedeva di storia e di letteratura Zingaresca, lo accontentavamo anche in questa bizzarria, con tutto il piacere. Naturalmente non era un frequentatore della Biblioteca. Faceva le sue apparizioni a larghi intervalli, arrivando con una valigetta di tela unta e lacera ove erano . . . i manoscritti del suo lessico italo-zingaresco e qualche lurido cencio. La valigetta, per ragioni . . . diremo cosi, di prudenza, noi gliela facevamo lasciare sera pre nel vestibolo; perchè avevamo il fondato sospetto che potesse essere, oltre che l’area della sapienza filologica del suo proprietario, anche una specie di succursale dell’ area di Noe, per i piccoli insetti. Si tratteneva a Modena per alcuni giorni e nel frattempo restava in Biblioteca dalle 9 alle 5 di ciascun giorno, tutto l’orario, consultando grammatiche, confrontando vocabolari, meditando su libri di storia, di archeologia, e via dicendo. E la colazione? . . . Un’abitudine da gran signori e da stomachini delicati! Una raffinatezza di questa povera razza frolla! . . . Che bisogno e’era di colazione, di pranzo, di cena, di questo convenzionale frazionamento della nutrizione regolata col cronometro, in nome dell’igiene? Miserie ... da ricchi! . . . Egli, Ui Falusci, era arrivato a volte a Modena, in Biblioteca, alla mattina alle 9 precise, dopo un giorno e una notte di marcia forzata e di piu forzato digiuno, senza il più piccolo segno di sofferenza sul volto abbronzato e fiero; dominato, sorretto, spronato solo da un pensiero, solo da una aspirazione: potere fraalmente consultare i libri di cui aveva sentito di lontano, tra i bagordi di una flera villereccia, la raancanza e la necessita. E quando io, dopo i primi saluti e le prime domande, porgendogli alcuni soldi che egli accettava con un bellissimo gesto di dignitosa e disinvolta noncuranza, lo pregavo di andare a sdigiunarsi, egli, il fortissimo uomo, usciva infatti di Biblioteca; ma per ritornarvi dopo 5 minuti . . . bello, pettinato, sbarbato, incipriato, coi baffi tirati in su e con una grande aria di soddisfazione e di benessere. I soldi erano finiti dal barbiere! — ’ Ma . . . e mangiare? ’ — chiedevo io; e lui: — ’ C e tempo, c’e serapre tempo. Oggi trovero qualche carovana che mi dara la minestra; oppure faro fuori di una porta qualche gioco di prestigio o qualche capriola, e così mangero. Ora avevo solo bisogno di ripulirmi.’ — Strana illusione, invero! poiche, per ripulirsi a dovere, non gli sarebbe forse bastata una settimana di permanenza nelle celle della sterilizzatrice comunale! . . .
Del resto, era un uomo garbato e di maniere quasi signorili.
Parlava adagio, con voce limpida e dolce, accompagnando il suo dire con una mimica espressiva ma non mai sguaiata. Eramagro, alto, arso dal sole, coi capelli e i baffi color dell’ebano; gli occhi pure erano nerissimi e pieni di arguta vivacita: solo, di quando in (jiiando, avevano degli strani baleni, dei fuggevoli lampi selvaggi, che tradivano l’uomo della macchia e della ventura.
Ul Falusci era un solitario. Non aveva mai voluto far parte di carovane, viaggiava sempre solo, non aveva parenti, non aveva e non avrebbe mai tollerato padroni o legami di sorta. Ci diceva che gli studi suoi erano tutti destinati al Marchese Adriano Colocci, di cui ci mostrava le lettere che conservava con orgoglio e con compiacenza.
Nel 1896 io lasciai Modena per Lucca. Passarono alcuni anni; e un giorno mi vidi capitare in Biblioteca, proprio a Lucca, il fedele amico che Astolfi mi mandava da Modena. Stette in Lucca un solo giorno; si fece radere, pettinare, impomatare come il solito coi pochi soldi che io gli diedi: poi spari, e da allora non lo vidi mai piii.
Sara vivo? sara morto? sara . . .? ma! chi lo sa . . .
E ho finito. Ora pregiatissimo Cav. Spinelli, accolga il mio amichevole saluto e m’abbia pel suo — Dev mo .
AUGUSTO BOSELLI.
Una donna gentile ha pure voluto cooperare al mio intento con questa interessante graziosa lettera.
Carpi, 11 luglio 1909.
Egregio amico, — Corrispondo alla di lei richiesta come meglio so e posso riguardo alla sosta degli Zingari a Carpi.
Or sono due anni, l’alba tiepida di un bel giorno di maggio sorprese nella nostra cittadina nuovi ospiti. Era una carovana di Zingari che aveva posto le tende a levante della citta, e precisamente nell’area delle demolite mura, di fronte al molino Sacerdoti.
L’avvenimento sollevo grande curiosita negli abitanti, che a gruppi si recarono a vedere gli strani individui.
L’accampamento era formato da tre lunghi cariaggi, disposti in semicircolo, e coperti da larghe tele cerate. Interessanti i componenti la tribu che stranamente somigliavano alle razze nomadi dell’Arabia.
Erano circa una ventina tra uomini, donne e fanciulli; i primi tipi fortissimi dall’alta statura, dal largo petto, avevano i capelli neri, folti e cresputi come pure la barba; la pelle color di rame sfolgoranti gli occhi, energiche e risolute le linee del volto. 1 1 II capo della carovana era Cristo Giorgio di Trifone di Corfu, e fu in Carpi nel maggio 1907. Le loro vesti attiravano in modo speciale la curiosita. Lunghi giubboni di grosso panno con artistici e grossi bottoni d’argento in forma di frutti e larefhi calzoni di velluto bleu stretti con nose, nell’ alta calzatura di cuoio.
Le donne di color olivastro, coi ricciuti e folti capelli foggiati a treccie scendenti sulle spalle; belli avevano gli ocelli dai riflessi verdastri. Di altezza media vestivano con corsetti e sottanelle di colore e stoffa indefinibile causa il lungo uso; tutte sudicie.
Gli uomini, sotto una larga tenda cerata, lavoravano il rame, dimostrando nel loro mestiere grande precisione ed abilita; delle donne parte accudiva all’allestimento dei cibi, parte sedute in terra lavorando la maglia ed aggiustando abiti cantavano canzoni.
Questi canti avevano una cadenza strana, monotona, malinconica, e ricordavano gli incantatori egiziani.
Sudici e cenciosi i fanciulli che ruzzavano con diletto nella polvere, mandando grida gutturali e parole in un dialetto incomprensibile a noi.
Cominciava già Carpi a vedere con indifferenza gli Zingari quando di nuovo la generale curiosita fu eccitata dalla strana cerimonia che ebbe luogo in questa tribu.
Due giovani fidanzati, giunti al termine dei loro voti si univano in matrimonio. Per l’occasione l’accampamento fu trasformato, sgombrato dalle fucine e dagli arnesi del loro mestiere, il terreno appianato, battuto e bagnato. Furono tese delle lunghe corde attorno ai carriaggi sulle quali furono stesi ricchi tappeti a colori vivacissimi a disegno orientale. Nelle prime ore della notte furono accese parecchie torcie a vento ed a questa luce tremolante e fumigginosa un rabbino, giunto appositaraente da ignoto paese, abbigliato con ricchi indumenti sacerdotali uni in matrimonio i due giovani.
Celebrati gli sponsali, tutti gli Zingari che per la circostanza avevano indossato ricchi abiti, formarono circolo e tenendosi per le mani cominciarono a danzare, danze che assunsero un carattere assolutamente strano, fantastico, vorticoso accompagnate dal suono di tamburelli e da canto.
Terminato la cerimonia fra abbracci e baci tutti si portarono ad un caffe libando a più non posso birra e liquori tanto da ridursi un po’ alticci. Ritornati all’accampamento nuove danze e canto; poi salutarono i novelli sposi sulla soglia della felicita. Era desiderio di Piero J conservare ricordo dell’accamparnento e del recinto nuziale, ma sfortunatamente quando la mattina dopo egli si reco sul luogo colla sua Kodak, gli Zingari eran tutti partiti coi loro carriaggi, colla loro sudicia prole, col loro amore, accompagnati dal destino misterioso ed infallibile dello Zingaro che par non possa ferraare a lungo il nomade e randagio istinto suo.
Ecco quanto io so a proposito della sosta a Carpi degli Zingari due anni or sono allorche una tiepida alba di maggio li sorprese nostri ospiti.
Gradisca egregio Cavaliere ed Amico i iniei cordiali e distinti saluti. — Con affetto sua, Emilia Foresti, nata Pederzoli.
Alcuno forse ineravigliera che io non mi fermi susfli Zino-ari odierni, prima di chiudere la narrazione; ma qui più forte che mai, si fa sentire il bisogno di cognizioni da scienziato, che io non ho, e poi anche più forte il bisogno di precisare a quali razze appartengano i manipoli dei nomadi, che su carri e pedibus, solcano la regione; cioè se debbono ritenersi Zingari per razza o non piuttosto nomadi spettanti a stirpi diverse coi caratteri negativi comuni ad essi ed allarmanti la pubblica quiete. A porre un argine, a sorvegliare questi varchi umani, provvedono le disposizioni politiche e di pubblica sicurezza, che furono compendiate dal dott. Sebastiano Tringali, 2 in apposito volume. Io dunque lascio l’argomento, perchè mi mancano i materiali pratici per dime con persuasione di essere nel vero.
Conclusione Con Ui Falusci e col matrimonio zingaresco brillantemente finisce questa scialba e sconnessa narrazione; non potendo io, per incompetenza, rilevare i caratteri scientifici coi quali i dotti considerano e studiano gli Zingari, sottraendoli così all’empirico, al romanziere, che va in caccia di lettori e ne fa un oofcretto di ricerche a sensazioni e non di indagini storico-filosofiche ed etnoerafiche.
o 1 II Cav. Pietro Foresti suo marito, Regio Ispettore dei Monument e Scavi, raccoglitore d’arte notissimo ed intelligente, che già mi invogliu a stendere memorie sull’arte del truciolo, che in Carpi fiorisce e sulla musica in questa ridente cittadina.
2 Dizionario politico e di pubblica sicurezza: Milano, 1903. Tip. Poligrafica, in-8, gr. pp. 1054. Che se io nel cornpilare queste notizie avessi tenuto un metodo troppo elementare, ma se poi risultasse utile a chi si occupa della materia, e potesse consigliare e confortare lo studio tendente a procurare l’acceleramento della scomparsa degli Zingari nel grernbo della societa, allora la mia non sara certamente considerata come fatica perduta.
La quale fatica se ora vede la luce per le stampe lo si deve, come ho detto, all’on. Gypsy Lore Society, ma ancora al Capitano aw. Cesare Cesari, del 36° Fanteria, il quale mi coadiuvo, durante le indisposizioni che mi affligono, in modo tanto intelligente quanto colmo di fine abnegazione, cosiche se oggi essa viene alla luce lo si deve anche a lui. E mi e doveroso altresi rivolgere un grato pensiero, ai miei colleghi nella Estense, Signori Isnardo Astolfi ed Augusto Boselli, per la preziosa e paziente assistenza prestatami nelle investigazioni bibliografiche le quali sono l’anima di queste indagini.
- ↑ Gli Zingari mi hanno sempre interessato, e sorvolando alle qualità negative che li accompagnano, fui compreso di ammirazione per i caratteri etnografici, per le strane singolarità del loro temperamento, che tenacemente conservarono attraverso i secoli e le persecuzioni atrocissime peregrinando pel mondo.
E questa stessa ammirazione mi condusse a raccogliere dati sul martirio, ultra millenario, eroicamente sostenuto per la loro fede dal popolo ebreo, e mi consigliò a scrivere Del ghetto e degli israeliti in Modena, nel giornale Il Panaro della Domenica del 4 e 11 giugno 1893, articoli poi interrotti avendo il giornale stesso, per ragioni politiche, sospesa la rubrica fino allora riservata alla parte letteraria e storica, proprio con l’11 giugno di quell’anno. - ↑ Rerum Italicarum Scriptures, vol. xviii. col. 611.
- ↑ Archivio Municipale di Carpi, c. 301 v.
- ↑ Arch. di Stato in Modena, c. 60 v.
- ↑ Spinelli, A. G., Catalogo sommario dell’Archivio Guaitoli per la Storia Carpense. Carpi, Rossi, 1897, pag. 126, n°. 230, ‛Atti degli Arcipreti della chiesa di Carpi’. Questo documento è nel suddetto ms. nella carta 15 prima dell’ultima pag. del vol. 1°. di questi atti.
- ↑ Arch, di Stato in Modena, Reg. Dime, di Ercole P. T. V c . n°. 8.
- ↑ Arch, di Stato in Modena, Reg. Duc. di Ercole I°., c. 10-10.
- ↑ Arch. Guaitoli, cit. filza 107, num. 6.
- ↑ Dei Triganieri [Addestratori di colombi al volo], cenni storici, Modena 1851, Moneti e Pelloni, in-16°, pp. 34. Estr. dall’Indicatore Modenese, An. I., Ni. 5 e 6. 1
- ↑ Arch. di Stato in Modena, Rettori all’anno.
- ↑ Arch. di Stato in Modena, Famiglia Villa.
- ↑ Arch. di Stato in Modena, Causa segreta vecchia, N. 55.
- ↑ Arch. Com. di Modena, Partiti Comunali all’anno.
- ↑ Ibid.
- ↑ 3 Arch, di Stato in Modena, Cass. segreta vecchia, N. 120.
- ↑ Arch. di Stato in Modena, Lett. di G. Altoviti.
- ↑ Arch. Com., Partiti Comunali.
- ↑ Le corse al Pallio in Modena, Cenni storici, Ivi 1853, Cappelli in 8° p. 20.
- ↑ De Bianchi Thomasino detto Lancillotto, Cronaca di Modena all’anno.
- ↑ Statuti editi poi a Modena del Soliani, nel 1785.
- ↑ Ommetto le citazioui archiviali delle singole gride, perchè sono cronologicamente conservate in riparti del R. Arch. di Stato in Modena.
- ↑ Arch. di Stato in Modena, Canc. Duc. Gride MSS.