Dell'anfiteatro di Verona
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DELL’ANFITEATRO
DI
VERONA
RAGIONAMENTO CRITICO
DEL CONTE
ALESSANDRO CARLI
Numquam hoc invenies secus.
VERONA: MDCCLXXXV.
PER GLI EREDI MORONI
Con Pubblica Approvazione.
Conjectura ire in occulta tantum licet.
Sen. 7. nat. quæst. c. 29. ex MSS.
L’Anfiteatro di Verona, detto volgarmente l’Arena, uno si è de’ misteriosi monumenti, non anche asseguito dalla sagacità degl’interpreti; il quale per difetto d’iscrizioni e di lapidi che assegnino più certa contezza della sua fondazione, conserva tuttora il secreto della sua origine. Superbo avanzo dell’antica magnificenza questo maestoso edifizio apparisce nella superstite parte così perfetto, e ammirabile, e con sì meraviglioso artifizio, e con tale intendimento costrutto, che viene concordemente supposto una sontuosa intrapresa della splendidezza Romana. Ma la notizia di questo fatto è rimasta offuscata talmente nella caligin dei secoli, o piuttosto a mio credere così involuta ne’ testi d’un latino scrittore, che l’occasione, ed il tempo, in cui s’inalzò tanta mole, ha formato fin qui una ricerca, a cui in soddisfacente maniera non fu per anche risposto.
Secondo una lapide, che si disse ritrovata in Lucca nella Chiesa di S. Fidriano, si stabilì fabbricata l’Arena nel secolo viii. di Roma da L. Q. Flaminio: ma questa lapide che più mai non si vide, e che fu solo citata da Leandro Alberti, si tenne poi sempre in conto di un’impostura.
Chi ha creduto questo anfiteatro fabbricato da Augusto, per ciò che Svetonio rapporta molti sontuosi edifizj essere stati inalzati da codesto Imperatore, ha appoggiata la presunzione ad una assai lieve probabilità. Il Saraina, e Mabillon, e dietro questi l’insigne nostro Moscardo si sono trovati indotti in così facil credenza. Il celebre Marchese Maffei combatte con giudiziosi riflessi questa opinione; dicendo fra le altre cose, che Plinio non avria ommesso di darne notizia, se tale anfiteatro esistito avesse a’ suoi giorni; Plinio, ei soggiunge, che di pietre e di cose di minor momento del suo natio paese in più luoghi fa ricordanza. Si potrebbe aggiungere ancora, che le fabbriche da Svetonio accennate, e secondo le quali vollero i citati autori fissar l’epoca del nostro anfiteatro a quella di Augusto, sono poi nominatamente distinte dallo stesso scrittore, che non oblia i privati palagi, ed i restauri de’ templi; e che segnatamente specifica il teatro di Marcello, e l’anfiteatro eretto in campo di Marte da Statilio Tauro. Dopo sì esatta enumerazione pur anche estesa a notizie di non grande momento; e come poi credere, che qualora il nostro anfiteatro stato fosse similmente un’impresa del secol di Augusto, avesse ommesso l’istorico di farne menzione?
Sigonio vuole fabbricata l’Arena da Massimiano: e non d’altro s’induce a crederlo, che dall’aver esso Imperatore fatto fabbricare un palagio in Brescia, come riferisce il Lydiat nella sua serie Cronologica. Chiederò a quanti sanno considerare le cose con discreto giudizio, se ciò vaglia a formare una ragionevole congettura. Il Marchese Maffei trova qui pure nella condizione de’ tempi, e nella decadenza dell’arti possenti ragioni a non crederla produzione di basse età: suppone che cotal opera molto prima di Massimiano fosse stata costrutta, ammettendo già senza dubbio che sotto Gallieno fossesi incominciata a disfare; il che desume coll’autorità del Saraina da’ pezzi di pietra che rimangono nelle antiche mura erette in tempo di Gallieno; la forma, e il color delle quali l’hanno persuaso, che avessero già prima servito all’anfiteatro. Inclina parimenti a supporre il Maffei che dopo il regno di Augusto, ma non di là da quel di Trajano, sia stata eretta l’Arena: ed in sì fatta indeterminazione di tempo si sforza anco a credere, che la fabbrica di questo edifizio possa essere stata intrapresa da’ Veronesi. Ei di questo particolar suo pensiero non adduce però prova alcuna, e molto meno ne cita autorità. Gli è un dubbio passo ch’ei confessa di mover tentone tra il foltoFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 bujo che ottenebra questo oggetto di erudizione.
La celebrità de’ mentovati scrittori, e quella principalmente del chiaro Marchese Maffei distolto m’avrebbero dall’inoltrarmi in nuove ricerche su tale argomento, s’eglino stessi non avessero lasciato libero il campo ad altri pareri, mostrando poca persuasione de’ loro stessi giudizj, e convenendo alla fine di non aver ritrovati fondamenti autorevoli, sopra cui stabilire delle men dubbie asserzioni.
Io frammezzo di queste tenebre ho creduto di scoprire una luce ne’ libri di Tacito: l’ho secondata internandomi negli sparsi ragguagli della sua storia; e n’è derivato un accordo di circostanze, insiem componenti la verisimiglianza, o fors’anche l’evidenza di un fatto, ch’è per quanto si aspetta all’antiquaria importante.
E’ malagevole però l’impresa, trattandosi d’argomento sopra del quale ha versato la critica de’ letterati: giacchè non si vorrà certamente, che rimasto sia ignoto il senso della tradizione, dopo che sì gran numero di chiari ingegni aver devono esauriti i soggetti dell’antiche dottrine, e cogli studj, e cogli scritti, e co’ lunghi comenti essiccati perfino i fonti delle scoperte. Io a sì fatti obbietti, oppostimi dalla prevenzione, non altro contrapporrò che questo passo di Fedro:
Decipit |
Inganna in fatti il primo aspetto de’ testi, sopra de’ quali appoggia la mia deduzione; e il cogliere la verità per mezzo a’ recessi reconditi, ov’era celata, non doveva altrimenti succedere, che da una rara combinazion di riflessi: rara io dico in tal senso; che essendo già state in questo spazioso campo da tanto prima raccolte, e perfino rispigolate le messi, l’avvenirsi ne’ pochi avanzi dispersi, e vederli ad un tempo, e considerarli dal lato, che potea presentare l’idea del vero, doveva essere opra fortuita di solo accidente.
Io in questo mi sono forse avvenuto sulle pagine di Tacito: e mediante l’unione d’alcuni disgiunti, e quasi sterili fatti forse son giunto a combinare le idee, che risolvono questa erudita curiosità, e stabiliscono l’epoca di un monumento, che ha esercitato inutilmente finora lo studio dei dotti. Vediamo subito il lemma di questo discorso.
L’anfiteatro di Verona io rilevo dalle istorie di C. Corn. Tacito che sia stato eretto d’ordine dell’Imperatore Vitellio dalle coorti della Legione xiii. nell’anno dcccxxii. di Roma, e 69. dell’era nostra.
Questa notizia, che risulta dalla connessione di varj tratti d’istoria, raccolti per molti testi, vuolsi riscontrarla nella derivazione de’ fatti, e coll’esame delle prove, che la contessono; sgombrando il velo, che l’ha occultata finora agli occhi d’ognuno.
Vediamo prima di tutto quale si fosse Verona ne’ giorni, che, aspirante Vitellio all’impero, e poi da esso acquistata l’assoluta potestà di Cesare per la morte di Ottone, occuparono a vicenda gli eserciti di lui, ed i Flaviani la parte principalmente d’Italia, che da Verona si estende ad Ostilia, e Cremona.
Verona situata di qua dall’alpi Rezie, e frontiera della Gallia cisalpina, fu sempre piazza di guarnigione, sede di armamento, e posto di somma importanza. Antonio Primo Generale di Vespasiano1 consultando del luogo ove piantare l’esercito, credette a ciò più atta Verona, siccome quella, che avea pianura idonea all’evoluzioni della cavalleria, in che erano i Flaviani più forti; e credea non meno (sono sempre le parole di Tacito) che il torre a Vitellio così possente provincia dovesse all’armi proprie recare vantaggio, e concetto. Nè mal si fondò in tal pensiero;2 tratto avendo da’ Veronesi il frutto che ne attendeva:Fonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 essi coll’esempio e colle sostanze avendo di nuova possa inforzato il di lui partito. Ho detto ch’era Verona a que’ tempi piazza di guarnigione, e campo di armamento; perchè3 all’arrivo delle legioni quivi sichieraronsi in accampamento le truppe, e si trincierò la città con militare riparo. Dopo il sacco di Cremona4 in Verona lasciossi co’ vessilli e l’aquile delle vittoriose legioni, e co’ feriti, ed invalidi per età, una vigorosa guarnigione di truppe. E quando Antonio Primo meditava di passar l’Appennino5 fe da Verona venire copia d’armati coll’aquile delle legioni, e co’ soldati che custodivano gli stendardi. Quale si fu Verona sotto de’ Vitelliani e Flaviani, tale anche prima si fu al tempo di Ottone, poco innanzi della famosa giornata di Bedriaco. Tali passi comunque inordinatamente qui esposti, tutti attenentisi a più circostanze della vita di Vitellio, provano assai in qual sommo conto fosse in que’ giorni tenuto il Veronese municipio.
Premesse tali notizie, qualor si dicesse, che datasi una battaglia non lunge da Verona, e poscia a studio di pace disperse dal vincitore le forze del vinto esercito, che quivi una legion si trattenne onde fosse unicamente occupata nelle fabbriche degli anfiteatri; io chiederò, se potria in simil caso ricorrere naturalmente il pensiero a supporre che in Verona, prima che in altro luogo, si dovesse aver data opera a sì fatto lavoro. Che se poi fra questo lato d’Italia solo in Verona esistesse una sublime reliquia di tale intrapresa, la quale meravigliosamente costrutta offerisse l’idea stupenda dell’antica grandezza, e fosse un anche vivo portento del gusto Romano; io chiederò parimenti, se per questa maggior circostanza dovesse essere ragionevolmente accresciuta la presunzion del supposto; e massime se mancasse nelle convicine provincie ogni qualunque memoria d’altro simile monumento; e più, se l’origine di questo medesimo, che qui ancora sussiste, non fosse manifestata da altri documenti più certi.
Non è però che su questa supposizione, che pur verrà stabilita, unicamente si fondi la mia congettura: ho ben altri argomenti, siccome vedrassi, di comprovare capaci l’impreso assunto. Sebbene io anche per questa sola, e così semplice prova vorrei pure aspirare all’indulgenza che ottennero il Saraina e il Sigonio, e quanti altri finora hanno fantasticati i principj di questa antichità. E potria forse maravigliarsi taluno, come vere essendo le cose sol ora supposte, uomini poi versatissimi, ed interpreti di chiaro grido abbiano potuto inosservata trascorrere simil notizia. Il perchè lo vedremo ben tosto. Esaminiamone intanto il fatto nel suo principio.
Alquanti giorni dopo la battaglia di Bedriaco,6 Borgo situato tra Verona e Cremona, Vitellio disceso dalle Gallie in Torino7 covando in petto timore delle vinte legioni, che sparse per l’Italia, e miste co’ vincitori minacciavano tumulti...8 si pose quietamente a dividerle...9 sbandando i Pretoriani principalmente da lui temuti, e disarmandoli, e licenziandoli poi con onesto congedo...10 La Prima legione inviò dall’accampamento in Ispagna a poltrir nella pace e nell’ozio; mandò a lor proprj quartieri la Settima e l’Undecima; ed impiegò i soldati della Decimaterza nelle fabbriche degli anfiteatri. Qual altro anfiteatro esiste in questo lato d’Italia, che attesti la veracità di questo istorico documento, e faccia fede dell’industria delle Romane coorti in simil opra impiegate?
Prevedo l’obbiezione che mi vien fatta da’ lettori di Tacito. Gli anfiteatri, diranno, de’ quali è a questo luogo parlato, sono quelli che dovettero essere costruiti di legno11 per gli spettacoli de’ gladiatori, che Cecina e Valente preparavano a Vitellio in Cremona, e in Bologna. E qui è appunto che decipit frons prima multos; e che però è di mestieri scioglierne il dubbio con qualche ragionamento. E certo anche peritissimi ingegni sono stati colti in inganno al leggere di un tal passo: giacchè il nominar quivi le feste di Cecina e Valente all’incidenza della parola anfiteatri dovette molto facilmenteFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 produrre la fallace induzione, che resta ciò nondimeno smentita dal contesto dell’istoria che segue. Questa, e l’altra difficoltà che ne insorge al vedersi alquanto dopo indicata fuori d’Italia la legione xiii. sono le due opposizioni che si affacciano ad oscurare in apparenza questa dottrina; ma che però posta al cimento degli esami, e del raziocinio dovrà acquistare chiarezza di verità.
La difficoltà di costruire la grand’opra di un anfiteatro in tanta ristrettezza di tempo, qual noi vedremo che si fu questa, ha fatto immaginare a chi ha voluto pur credere, che esso siasi eseguito in Cremona, che di solo legno debba essere stato costrutto: in ciò anche fondati sulla non vera supposizione, che anfiteatro di pietra non potesse essere eretto, mentre che quello di Tito, in tal materia, dicevano, primo esemplare degli altri, non era ancora edificato; asserzione smentita dall’autorità degli storici, e degl’interpreti: sapendosi da Svetonio, che Statilio Tauro uno ne fabbricò in campo Marzio, dei quale ne fe menzione Isidoro, che ne osservò le rovine, e che al detto di Guglielmo Pastrengo lo nominò Amphitheatrum lapideum.
Ma io son di parere che neppure di legno si potessero costruire anfiteatri nel brevissimo spazio, non di una intera stagione, com’altri non rettamente ha supposto, ma di appena una settimana; e molto meno anfiteatri così vasti e capaci, com’era pur necessario che fossero quelli, ne’ quali oltre l’immenso numero degli spettatori amplissima esser doveavi l’Arena, ed atta all’evoluzioni de’ ludi agonali, siccome li denominavano, cioè a’ combattimenti di più migliaja di gladiatori,12 laido ripieno, come Tacito il chiama, de’ quali due mille ve n’erano dalla parte sola del vinto esercito. La difficoltà di movere in chiuso loco schiere sì numerose di combattenti concorre a farmi supporre, che in più spazioso campo si celebrasse in que’ giorni tal festa. E certo non si dee credere, che anfiteatri necessarj poi fossero per sì fatti spettacoli. Il Marchese Maffei ci assicura, che motivo preciso d’inventare e di costruire anfiteatri non fu veramente lo spettacolo de’ gladiatori, ma sì quello delle fiere. Gran tempo, soggiunge egli, corse in Roma l’uso de’ gladiatori, che non però si pensò a tal fabbrica. Svetonio poi scrive che gl’Imperatori Tiberio e Caligola degli steccati, cioè de’ ferragli (scepti allor detti) si valsero per i gladiatorj certami. E Dione afferma, concordando ei così colle notizie degli altri, che Caligola ora diede i suoi spettacoli negli scepti, ora in luoghi, ch’egli facea a tal fine circondare di palizzate. Claudio ancora che si dilettò di spettacoli grandemente, il gladiatorio più solenne lo diede ne’ scepti. In fine sappiamo dal nostro Tacito, che i medesimi due Capitani13 Cecina e Valente diedero a Vitellio combattimenti di gladiatori qua e là pei borghi di Roma, festeggiando così il dì natale dell’Imperatore.
E che non sia stato per tai certami anfiteatro eretto in Cremona lo fa credere il non vederlo nominato nell’arsione per ostil odio pochi mesi dopo accaduta a quella città, cose non solite ad esser dimentiche dal nostro scrittore; il quale anche poco prima all’occasione di parlare d’una battaglia datasi in Piacenza uno14 bellissimo ne ricorda posto fuori della città, che abbruciò nell’atto di quel conflitto. E se all’incontro immune dall’incendio fosse rimasto in Cremona un anfiteatro, lo avrebbe l’istorico segnatamente indicato per tale eccezione; siccome in tale evento rimarcò eccettuato dalle fiamme15 il tempio di Mefite posto avanti alle mura, che al rovinar d’altri sacri e profani edifizj si conservò.
Puossi da questo arguire che la costruzione d’alcuni steccati, o palizzate, o scepti, o con qual altro nome si voglia chiamarli, eretti per l’occasione d’un solo e fuggitivo spettacolo, non doveva in que’ tempi esser ella poi cosa di tal momento, che da un parco espositore, quale si è Tacito, meritasse la distinzione d’essere particolarmente notata. Ed altronde sapendosi, ch’era de’ Romani costume l’impiegare i soldati in manuali lavori,16 onde (siccome altrove raccogliesi) non si struggessero nell’infingardia del riposo; chiaro si mostra essere stata allora intenzione di simil comando, d’in tal modo occupare i Legionarj che si trattenevano in Italia, a deviarli dall’ozio, ed acciò (che così interpreta anche il Lipsio) non facessero stormo: ne coirent. Ma l’opra di pochi giorni, e quasi dir potrebbesi d’ore, non avrebbe secondato il prudente antivedimento. E però s’io giunga a provare, che tra il tempo in cui l’ordine si emanò da Vitellio di costruire l’anfiteatro, e quello della festa data adFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 esso in Cremona, non potè restarvi compreso, che il ristrettissimo spazio di circa quattro o sei giorni; spero riescirò a persuadere, che gli anfiteatri comandati da Vitellio a’ legionarj della Tredicesima non poteano aver per oggetto le feste di Cecina, e Valente. Questa che sarà propriamente una vera dimostrazione, ma che per vero dire risulta da troppo lungo tratto di storia, io mi studierò d’accennarla in succinto, onde evitare in parte le lungherie, del tutto però inevitabili nelle critiche discussioni.
Conviene fissare il punto della battaglia di Bedriaco: guerra famosa, per cui, e per la morte di Ottone rimase Aulo Vitellio Sovran dell’impero.17 Ei nelle Gallie ignaro di sua vittoria, traendo seco il rimanente del Germanico esercito, venia come in atto di dar principio alla pugna.... quando dopo breve viaggio ebbe le fauste notizie dell’avvenuto in Bedriaco, e della morte di Ottone, e della fin della guerra. Convocò allor parlamenti, e celebrò con elogi la virtù de’ soldati; diede feste e conviti, e conferì premj ed onori. Poi tutto ciò, che può esservi di più importante ad un Principe, recarono quivi a Vitellio, che lento venia giù per la Sonna, i nunzj dell’Africa; dedizioni di provincie, ribellamenti di regni, perfidie di governatori, battaglie, e stragi. Giunto in Lione spiegò l’Imperial dignità, e ricevè gli omaggi de’ duci vincitori, e de’ vinti: fe da tutto l’esercito festeggiar con solenne incontro il figlio suo ancor bambino, quivi essendo assistenti a tal prematura ovazione, accompagnata pur d’altre formalità, Cecina, e Valente. E’ osservabile qui, ch’essi capitani non subito dopo la battaglia devono esser partiti dal campo, dovendo aver prima provvisto, massime successa la morte di Ottone, alla sicurezza e al buon ordine d’ambi gli eserciti, e che ciò nulla ostante ritrovarono Vitellio anco in Lione; argomento de’ gran ritardi del suo viaggio. In Lione ei parimenti s’informò delle accuse, ascoltò le discolpe, fe comporre processi, e pronunciò le sentenze: molti Ottoniani condannò al supplizio, altri ne assolvè, dopo però di averli con angustiosa sospensione (tristi mora) ben macerati: quindi pure decretò ordini, fe inscriver leggi, segnò editti, e mandò nuove regolazioni in Roma. Fu in questo tempo che certo Marico alla testa di numeroso corpo di Edui sediziosi occupò per alquanti giorni le forze dell’esercito; finchè vinto, e preso in un combattimento, fu condannato ad essere in solenne spettacolo, ed a vista dell’Imperatore gettato alle fiere. Nuovi affari della Spagna, poi che si partì da Lione, ed altri della Britannia sopravvennero a trattenerlo in cammino, e quinci impiegar ei dovettesi in udire dicerie di accuse e discolpe, e quindi punire ed assolvere, e cassar vecchj, e nuovi elegger Proconsoli. Trascorro di volo tai fatti; e parrà forse che mi dilunghi di troppo: ma la prova dell’assunto esige l’indicazione, di tutto ciò, che apportò nelle Gallie indugio a Vitellio dopo la notizia recatagli della vittoria di Bedriaco: riflessibile essendo ch’entro lo spazio non maggiore d’un mese egli abbia in suo viaggio eseguite le tante cose, che accenno, e che descrive l’istorico. Fra le quali non si può non riflettere (giacchè a tal luogo tanto ciò rimarca anche Tacito)18 agli avidi, ed incontinenti appetiti della sua gola, per cui d’Italia e di Roma venir faceva i condimenti più eletti, mettendo a contribuzione i mari dall’un clima all’altro. Dovevano gli apparati e le pompe di tanti conviti, ne’ quali asciugavansi le sostanze de’ grandi, anzi delle istesse città, oltre il viaggio del Principe, anco le marchie rallentar de’19 soldati inviliti di svogliatezza fra l’eccesso di tanti piaceri. Giunse ei finalmente in Torino. Quivi si fu che preso da sospetti del vinto esercito, ed all’occasione d’alcuni tumulti da private querele insorti tra soldati, deliberò di sbandar le legioni, disponendole, come si è detto, in più parti, e* 1 commettendo ai Tredicesimi la costruzione degli anfiteatri. Da Torino arrivato in Pavia, vi sedò alcune lievi brighe, e scemò alle legioni gli ajuti dando loro congedo:20 indi piegò a Cremona, ove goduta la festa che gli diede Cecina, desiderò di portarsi al campo di Bedriaco, e contemplare i vestigi della recente vittoria: feano dopo quaranta giorni schifoso e tetro spettacolo gli straziati cadaveri, le tronche membra.... basta così. Si lascia adesso trarne al lettore la naturale induzione, che ne deriva.
Dal giorno della battaglia di Bedriaco fino a quello, in cui Vitellio, veduta la festa di Cecina, vi si portò, erano scorsi appunto quaranta giorni Intra quadraginta pugnæ diem: si diffalchi da questi tutto il tempo necessario a Vitellio per fare e il viaggio delle Gallie, e quante più cose visto abbiam che vi fece prima dell’arrivo in Torino, donde spiccò il comando di questa fabbrica; si tolga parimenti il giorno dello spettacolo, prima del quale, qualunque codest’opra si fosse, esser dovette compiuta; si levi altresì il giorno, compreso pur ne’ quaranta, in cui Vitellio si portò in Bedriaco; e non ne rimarrà che tanto appena di tempo, quanto ne potè occorrere all’Imperatore per il viaggio da Torino a Cremona. E veggasi finalmente, se in così breve intervallo siasi potuto eseguire, di qualunque pur si voglia materia, l’inalzamento di un edifizio, ch’appo le coorti della legione permanenti in Italia equivalere doveva a’ lunghi viaggi, ed alle lontane stazioni dell’altre nella Spagna e in Pannonia.
E qui ad osservare presentasi, che le legioni disposte a’ quartieri della Spagna e della Germania fors’anco non erano, o appena potevano esser d’Italia partite, quando in Cremona si celebrò lo spettacolo di Cecina. E perchè dunque si avrebbe detto, che Vitellio qua e là disperse le legioni, e che trattenne i Tredicesimi per i lavori degli anfiteatri, quando tal opra fosse poi stata di sì breve occupazione da poter essere terminata al tempo, o anche prima della partenza degli altri legionarj? Noi sappiamo però di certo che per lo meno gli operaj della Tredicesima si fermarono in Italia; e ne lo conferma lo Storico, quando poco avanti l’incendio di Cremona ei rapporta, siccome quivi21 la plebe arrogante insultò con pungenti scherni i soldati Tredicesimi lasciati a costruire l’anfiteatro. La voce lasciati usata a questo luogo (relictos), e quella di anfiteatro non presentano l’idea d’un lavoro di pochi momenti.
Sola di tutte le legioni occupata ne’ grandiosi lavori di prodiga pompa, e di lusso, dovea avere tra’ suoi Veliti la Tredicesima vasto numero di costruttori e di artefici; per il che attissima a’ manuali lavori puossi ragionevolmente presumere, che alcune bande di essa abbiano pur anche assistito a’ frettolosi apprestamenti de’ circhi pe’ giuochi di Cecina e Valente. Sebbene poi questa, che si deduce, siccome probabile, non era poi cosa, che per se sola meritar si potesse la commemorazion dell’Istorico: ed ecco ch’egli anche per ciò in plural forma si espresse abbracciando gli steccati, ed i circhi colla denominazion generale di anfiteatri.
Si ritrae conclusione dal fin qui detto, che il comando dato a’ legionarj Tredicesimi quand’erano accampati in Bedriaco* 2 borgo tra Cremona e Verona, non potea contemplar solamente la costruzione degli scepti pei giuochi de’ gladiatori; ma che da tal comando una mole dovea risultarne competente all’idea concepita della grandezza Romana, e del secol dei Cesari; e degna d’un Sovrano del mondo, che l’ordinò, delle legionarie coorti, che ne intrapresero l’opra, e dello Storico che le assegna le circostanze. Quando in Cremona o in Bedriaco (oggi Caneto) mi si mostri alcuna reliquia di anfiteatro, dubiterò che l’Arena di Verona lavoro sia di quel tempo.
Una non inutile digressione ne condurrà intanto a far qualche parola delle legioni, ond’anche da questo argomento ricavar lumi e notizie a rischiaramento del vero. Io entro adesso nel più intralciato campo, e ne’ più cupi sentieri della storia Romana. Cotanto rare e sì oscure si presentano le notizie degli antichi scrittori intorno al governo, ed a’ riti di questi famosi corpi d’armata, che a non traviare in cammino vuolsi aver d’ogni passo fedel compagna la critica.
Bene spesso anche in Tacito s’affacciano in tal proposito equivoci, e memorie fra se ripugnanti; non di raro trovandosi le legioni, agenti principali de’ più gran fatti, mentovate, e disposte con tal contrasto da far supporre viziate ne’ vecchj codici le lezioni, errore tanto più facile a occorrere, che, trattandosi di cifre numeriche, potè facilmente allo smarrire di breve linea cangiar faccia il soggetto. Io comunque non fuor di sospetto, che possano essere incorsi error simili anche nella parte del testo qui pur contemplata, senza l’uopo ciò nulla ostante di tale supposizione sarò forse riescito a porre insieme, ed a coordinare, vorrei dir quasi, la cronica di questo fatto.
Dopo l’enunciata dispersion dell’esercito nelle varie provincie, io ritrovo la legione de’ nostri fabbricatori dell’Arena contrassegnata dallo Storico col soprannome di Gemina. Fra le xxxii. legioni che si annoverano nel frantume d’un’antica colonna trovata in Roma, e segnata si dee credere in tempi molto posteriori a Vitellio, leggendovisi anche la legione Trajana, quattro se ne distinguono coll’aggiunto di Gemine, compresa la Decimaterza. Fa fede dell’autentica pietra l’autorità di Dion Cassio, che tre ne rapporta di Gemine, e tutte tre delle quattro colà scolpite.
Distinguevansi col nome di Gemine le legioni di due composte, ed accoppiate insieme sotto l’insegna d’una sol’aquila. Le aquile già prima insegne de’ Persi, a detto di Senofonte, e poi scelte da Mario secondo Plinio ad ornare i principali vessilli del latino esercito, divennero in seguito gli Dei tutelari del campo, e quasi i Numi Penati delle legioni. Custodite a principio ne’ giorni di pace entro il tempio di Saturno, furono sempre al dir di Dionigi d’Alicarnasso venerate in guerra con religiosa superstizione. Overkampio nelle note al Tesoro del Morelli cita un testo di Tertulliano, che prova il devoto culto osservatosi dai Legionarj22 in riverenza de’ lor vessilli, pei quali religiosamente giuravano, anteponendoli a tutti i Numi. Ed anche Plinio ricorda il costume di23 praticare a certi giorni le cerimonie lustrali intorno a questi polverosi, com’ei li chiama, e da tremende schiere circondati stemmi della latina milizia. Circondate le aquile da’ Triarj, alla cui guardia erano sempre affidate, vuolsi avvertire, ch’ov’erano soltanto esse, e i Triarj, ivi dicevasi essere la legione; però che questi tutto fiore di scelti veterani, e nerbo dell’armata, componevano il più nobile dei quattro ordini de’ legionarj, ed avevano, siccome quelli che circondavano l’aquila, il posto d’onor fra gli eserciti. Premesse coll’autorità degl’interpreti queste opportune istruzioni, torniamo a dir della Tredicesima, che si creò legion Gemina.
Unica che sia notata da Tacito con questo nome fu essa la prima ad essere accresciuta coll’addizione di dieci nuove coorti, e perciò Gemina detta: e nè a’ giorni della Repubblica, ne mai sotto de’ primi Cesari fatta essendo di sì fatti accoppiamenti menzione; è di ragion l’inferirne, che sieno di tempo posteriore a Vitellio, oltre la già detta Trajana, anco l’altre due Gemine con la Tredicesima incise sulla colonna accennata. Gli è dunque verisimile il credere che a questa, siccome a prima delle Gemine, si riferisca l’uso poscia adottato nell’aquile degli stemmi imperiali di rappresentarle bifronti; dovendo tal costumanza avere avuto principio dalle doppie aquile alzate sopra l’insegne di due legioni in cotal modo commiste: già non reggendo l’opinione di quegli autori che agl’Imperatori d’Oriente, o più tardi a Carlo Magno ne rapportano l’invenzione; opinione smentita dall’aquila a due teste, che osservò il Lipsio nella colonna Antonina. Ma lasciando queste ricerche estranee al nostro proposito, vediamo in vece (il che gioverà al nostro assunto) qual cosa abbia dato motivo a sì fatti militari accoppiamenti.
Convien ricordarsi di que’ rinforzi o sia ajuti, che troncò dalle legioni, e congedò Vitellio in Pavia; e maggiormente poi sovvenirsi* 3 quelle coorti di Pretoriani, che dopo la battaglia di Bedriaco imprimevano sì gran timore nell’animo del Principe, le quali poi che da esso licenziate restarono24 al primo fermentar della guerra di Vespasiano, siccome ne dice lo Storico, ripresero l’armi, e diero aggiunta di forze al partito Flaviano. L’infallibil certezza ch’esse soldatesche voltate si sieno a Vespasiano, e il silenzio dello storico intorno ad ogn’altra disposizione di tanta gente, invitano a credere, che appunto di siffatte milizie formata siasi la composizion della Gemina, la quale in quel tempo medesimo si raddoppiò.
Composta in questo o altro modo, che puossi a piacimento supporre, la congiunzione per altro certa della nostra legione; s’inviarono l’aquila, e però i Triarj di essa, lo che pure è certissimo, e fors’anche, lo che soltanto è probabile, le nuove aggiunte coorti, troppo numerose per gli assegnati lavori, ai loro quartieri in Pannonia.
E qui pur viene opportuna nuova osservazione, che in ambo le volte in cui vedemmo, che Tacito ha fatto chiaro cenno di una costruzione in Italia d’anfiteatro, e de’ soldati quivi a tal uopo rimasti, non dice mai Legio, o Tertiadecima legio, ma sempre usa la parola di Tertiadecimani, espression, che non obbliga l’intera legione. Era in fatti l’aquila di questa25 in Petavio, ne’ cui quartieri espressamente citati fu dai Flaviani tenuto il consiglio di guerra. Bastano le parole hyberna legionis a far comprendere ch’ivi è parlato de’ Triarj e dell’aquila: fa di ciò espressa fede con molti altri l’asserzione di Plinio, che sentenzialmente ne dice26 essere stato costante uso delle legioni di non fissar mai quartieri, se non dove piantati si fossero i vessilli dell’aquile. Forse all’udir nominarsi in Pannonia la Tredicesima, e i quartieri di lei, hanno altri creduto, che i legionari prima stabiliti alle fabbriche sloggiato di già avessero dall’Italia; ed a trarne di dubbio chi potesse esserne impresso, era necessaria l’esposizione de’ documenti risguardanti tai discipline dell’antica milizia. Mi secondi il leggitore anche per poco sulle traccie di questi investigamenti, giacchè non in altro modo puossi venire a capo di tal verità, che seguendo il raggiro dell’istoria, per mezzo alla quale è dispersa.
Gli altri Tredicesimi adunque, cioè gli Astati, i Principali, e i Veliti se ne restarono al lor presidio in Verona intenti al lavoro della fabbrica loro imposta. Oltre le cose addotte, e l’ordine espresso dell’Imperatore, comprova esser quivi restato il rimanente della legione anche il tratto d’istoria, che segue. Io l’ho raccolto in epitome sulla versione del Davanzati, onde qui specialmente non si sospettino per mia parte arbitrj o scelta di termini a favore delle più importanti deduzioni, che ne conseguono.
Volando Antonio27 co’ vessillarj tratti delle coorti, e con parte de’ cavalli alla volta d’Italia, gli fu compagno Arrio Varo. Occupando intorno Aquilea ogni cosa; guadagnaronsi Este, e Padova. Ivi si seppe tre coorti di Vitellio, e la cornetta della Scriboniana essersi fermati a Ferrara: furono all’alba quasi tutti senz’arme sorpresi, e pochi secondo il dato ordine ammazzatine, forzati gli altri per paura a mutar fede. Divolgatasi tal vittoria de’ Flaviani in principio di guerra, se ne vengono due legioni, la Settima detta Galbiana, e la Tredicesima Gemina con Vedio Aquila legato a Padova baldanzose (ecco la nostra legione in campo per la prima volta col contrassegno di Gemina). Consultossi poi che la pianta della guerra fosse Verona; perchè v’era pianura atta alla cavalleria, ond’eran più forti: e il torre a Vitellio sì possente colonia dava utile e riputazione. Nel passare si prese Vicenza, terricciuola; ma si stimò l’aver tolta la sua patria a Cecina capitano del nemico. Giovaron bene i Veronesi con l’esempio, e con le facoltà, e si ritennero gli eserciti di Germania, che non passassero per la Rezia.
Qui osservo primieramente, che all’arrivo in Padova di Vedio Legato della Gemina, tosto si stabilisce di piantare il campo in Verona: in secondo luogo rifletto, che tutte l’altre città poste avanti Verona, e per fino le picciole terre, rimarcate appunto per essere in allora di poco conto, furono tutte sorprese, o guadagnate di forza; e veggo soltanto in Verona entrare i Flaviani senza ostacolo di ostilità, e fermarvi l’esercito. Era a cotal tempo Verona, a detto pur dello Storico, possente di forze copiis valida; e si credette per ciò d’aver fatto un gran colpo nel torla a Vitellio: e come adunque ne successe la presa senza un fatto d’armi? perchè se vediamo anche in seguito quante battaglie in Ostilia e in Cremona, e quanto di sangue e di stragi siano costati gli assedj di quelle piazze, solo Verona non fa motoFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 di difesa, e si arrende pacificamente a’ Flaviani, che vi accampano l’armata? Il Lipsio28 quell’intelligente interprete di Tacito per non aver riflettuto in tal luogo alla commissione già prima datasi a’ Tredicesimi, vi trova un inestricabile involgimento, ch’ei però non discioglie; e fa le meraviglie, com’altri critici prima di lui osservata non abbiano la difficoltà di un tal passo: giacchè basta, dic’egli, legger Tacito con qualche accuratezza per vedere, e toccar con mano l’impossibilità che sia stata eletta così sicuramente in Verona la stanza dell’esercito, quando non d’altra parte quivi avanzarono truppe; e conchiude col dire, che tutta la narrazione è in questa parte incomposita, dissona. La stazione de’ legionarj da Vitellio in Verona occupati riduce al senso storico questo avvenimento.
Quando la Tredicesima (cioè come s’è detto l’aquila, e i Triarj di lei) giunse a principio in Pannonia; essa, e la Settima Galbiana29 non potendo superare lo sdegno della rotta avuta in Bedriaco, stimolate da Antonio Primo si diedero senza più a Vespasiano. Il nuovo Cesare allora, forse perchè aveva i Veliti, e parte dell’altre sue forze in Italia, e potea, siccome fece, accrescergli colle corrispondenze il partito; la destinò ad esser legione di doppio numero. E’ patente la preferenza che le accordò Vespasiano, mostrando principal persuasione de’ Centurioni, e Prefetti di lei, eleggendo i di lei proprj quartieri a tenervi il consiglio. E già non sì tosto la Gemina raggiunse in Padova l’armata di Antonio Primo, che deliberossi con Vedio suo Legato d’accampare in Verona: dove stanti le intelligenze, le socie coorti alla Tredicesima d’ogni cosa disposero a favor de’ Flaviani, dando esse primiere, ciò che più apprezzasi nelle guerre civili, l’esempio del sottomettersi: in Veronensibus pretium fuit: exemplo opibusque partes juvere.
Quelli che con perito discernimento fanno ponderare la forza delle probabilità, si facciano adesso a considerare, se anche a maggior chiarezza de’ passi qui esposti non giovi determinarsi per tali interpretazioni, senza le quali il contesto di tanti aneddoti resterebbe maggiormente offuscato di contraddizioni, e di dubbj. Parrebbe che in questo luogo la probabilità acquistasse anzi i caratteri della verisimiglianza: e quando un’opinione considerata in ogni sua parte presenta l’idea del vero; io vorrei credere, che la verità di tal opinione esser dovesse la natural conseguenza, che ne deriva. Ma andiamo avanti, ch’io spero di condurre il lettore persino al monte, donde le pietre si trassero per questo edifizio; e di più ancora indicargli l’occasione, e le circostanze, che ne favorirono l’opera.
La strada che da Verona direttamente comunica coll’alpi Rezie (oggi il Tirolo) è stata già altre volte supposta un industrioso prodotto del militar ozio Romano. Nel mezzo di quella via a quattordici miglia da Verona è il passo detto della Chiusa, escavato, come si vede, nella balza petrosa del giogo, che da una ripida altezza mette le piante nel fiume adige. Prima di Vitellio la strada dell’alpi Rezie non era frequentemente battuta; più spesso per l’alpi Giulie già fatte essendosi valicare le truppe. Non anche aperto il varco della Chiusa coll’appianamento di quella parte di monte, dovevano da prima le armate guadare la corrente del fiume, cosa non sempre eseguibile, e sempre certamente di grave impaccio agli eserciti. Floro ne dà contezza del come altri eserciti passassero il nostro fiume, molto prima che la via per Verona fosse aperta nel monte: ei dice, che scendendo30 dai gioghi Trentini in Italia, e non potendo trar ponte sull’adige, nè avervi barche, vi gittorno in mezzo ogni cosa, che loro si offerse; e per tal modo sopra di un’emergente congerie lo tragittarono. Nei ragguagliati viaggi de’ Vitelliani per l’alpi Rezie in Italia mai non si parla di ponti tratti sull’Adige, nè in verun altro modo di guado del fiume; prova evidente, che a’ giorni di Vitellio l’opra si fu eseguita d’aprir la via della Chiusa nel giogo del monte. Era allor31 nella Rezia nemica (a Vespasiano) Procuratore Porzio Settimio, uom fedelissimo a Vitellio, che molto probabilmente può avere cooperato a tale intrapresa. Ma che poi si direbbe qualora si ritrovasse, che la parte del monte, divelta per formar cotal via, fosse della vena istessa di pietre, onde venne costrutta l’Arena? l’ispezione dell’attual superficie ne fa fede di questo; ed inoltre vengo assicurato di tal verità da uomini peritissimi in simili cognizioni. Vero è, che sopra altri monti del Veronese, e particolarmente in Grezzana, pur altre pietre s’attrovano di pari vena: e il Marchese Maffei ha supposto che di quelle appunto di Grezzana ne sia stato composto l’esteriore recinto: ma a cotai luoghi non apparisce sì gran lacuna di balza, quale è pur necessario si vegga, ove estratti s’abbiano i materiali richiesti all’intero inalzamento di sì gran mole. Ed a persuadere tolti dalla Chiusa, anzi che di Grezzana, i componenti di tal edifizio, oltre la vastità dell’escavo più ampiamente in quella, che in questa parte apparente, milita un’altra ragione non dispregevole.
All’uopo di così vasto lavoro prima di tutto provedere dovevasi alla facilità de’ trasporti; oggetto principale in tant’opera, e da cui dovea risultarne assai men grave il dispendio.
Perciò nell’atto medesimo che l’industria di que’ bellicosi operaj aprivaFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 alle armate il passaggio di sopra a’ monti, si disponevano le materie per la composizion di questo altro liberale travaglio: e la corrente del fiume, che radea il piè di quell’alpe, offriva agevole il mezzo per convogliarne i gravi massi in città. La certezza, che quella via sia stata ivi ad arte escavata; la congettura, che ciò siasi fatto in quel tempo; e l’altra infallibil certezza, che la vena di quella rupe sia consimile alle pietre dell’anfiteatro, formar debbono un’illazione, io vorrei creder, maggiore della probabilità. E noi non abbiamo, siccome credo aver detto, altro più certo mezzo di cogliere il vero, che d’attenerci al concorso delle circostanze, che lo rappresentano. Eppure qui ancor non s’arrestano tutte le prove.
Al passo medesimo della Chiusa situato al confin della Rezia, osservasi anche al giorno d’oggi un castello, riedificato, com’è di evidenza, sulle basi d’altro antichissimo forte, che nelle parti sussistenti della vecchia pianta ha impressi tutti i caratteri, e quasi a dire la data de’ tempi Romani. Andiamo a vedere di che siasi anzi d’ogn’altra cosa occupato Antonio Primo tosto ch’ei giunse, e piantò in Verona l’armata.* 4 Consultando Antonio del luogo ove piantare il campo di guerra, credè per questo adatto posto Verona....32 ove coll’interposizione del proprio esercito tenne lungi le armate di Germania, chiudendo i passi della Rezia, e dell’alpi Giulie. Era, siccome vedemmo, per l’alpi Giulie che prima soleano il più spesso far tragitto le truppe di Germania in Italia; e questa volta si chiudono anche i passi della Rezia. Evvi ora ragion di supporre che sia stato a quest’uopo eretto il forte della Chiusa? vediamolo. Aperta poco prima da Vitellio, come si disse, quella nuova via, dovettero naturalmente i Flaviani guardarla con geloso sospetto, e considerarla siccome il canale, da cui poteane sgorgare la piena de’ nemici: in fatti si dice, che Antonio al suo primo arrivo in Verona chiuse i passi della Rezia. La Chiusa, l’abbiamo già detto, è posta al confine di quella: e già dall’altro lato del Veronese, ove il fiume Adige separa il confin dell’Italia da quel fianco della Germania, sarebbe stata inutile provvidenza l’erezione di un forte. Concorre a dar molto di peso a questa congettura la citazione di un’autorità, che rilevasi da vecchia cronaca. Il Rolandino all’occasione di citare codesto luogo, oggi nominato la Chiusa, ci fa testimonianza della formaFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 che aveva più anticamente il vocabolo, che lo indicava, chiamandolo egli Clusæ, vale, a dire alpes Clusæ; e ciò molto probabilmente perchè fin dal tempo dell’invasion de’ Flaviani Antonio Primo, ne pervium illa Germanicis exercitibus foret, obsepserat. Da questo tempo in poi frequentemente nominata s’incontra cotal via della Rezia, dimostrandosi sempre il timor, che si aveva di sì fatto passaggio, di cui da prima non si facea verun conto; e si legge:33 chiuso dalle guardie il passo dell’alpi per timore della Germania, che armava in favor di Vitellio. Ed acciò veggasi, che di questo passaggio, e non d’altri a tal luogo si parla, accadea ciò nel tempo,* 5 ch’era ferma in Verona vigorosa guarnigion di soldati; e quivi erano i vessilli piantati, e l’aquile delle legioni. La verisimiglianza, che a codesto luogo i Flaviani possano aver costruito un tal forte, accresce la probabilità, ch’abbiano così i Vitelliani escavata la via della Chiusa: e d’ambo tai fatti nuova evidenza desume l’origine da noi stabilita all’anfiteatro. E in vero troppo sarebbe, nè parria verisimile, che una serie così ordinata d’avvenimenti tendenti tutti a convenire del tempo, delle circostanze, del modo di tal fondazione, fosse a caso soltanto, e da un mero accidente disposta, senza che avesse relazione alcuna coll’opera, la formazion della quale con tanta apparenza determina.
Ma dirà forse taluno: un tal monumento che ne fa fede dell’onor prisco dei tempi, sorto come si dice per comando d’Imperatore, e per opra delle bellicose coorti, non fu esso poi dedicato secondo l’uso de’ tempi? Fece menzione Svetonio della dedica del tempio di Nola, e del Campidoglio dedicato a Tiberio da’ Capuani; e della dedicazione di questo autor non è, che ne assegni notizia alcuna? Soleano pure i Romani perpetuare se non men colle lapidi la memoria delle lor fondazioni; e come adunque non ne rimane di questa pure una cifra? Ecco ciò che ancora convalida le congetture.
Alquanto tempo dopo la destinazione de’ legionarj Tredicesimi a sì fatto travaglio; all’udire l’arrivo in Italia dell’esercito de’ Flaviani, indi i successi della battaglia di Ferrara, tutta intera, siccome vedemmo, la Gemina si voltò a Vespasiano. Divenuta allora Verona il quartier general dell’armata, furono rivolte le truppe all’uopo di più urgenti lavori* 6 col fortificar la città di militari trincee, e col dar pronta opera* 7 a chiudere i passi della Germania. Distratta in sì fatto modo la continuazion della fabbrica, in seguito poi pe’ varj successi della guerra e delle battaglie, per le marchie dell’esercito, e per la morte dello stesso Vitellio, ne dovette rimaner l’opra interrotta, e defraudata di pubblico documento, non venendo illustrata colla solenne formalità della dedica.
Se poi in seguito questo edifizio sia stato condotto a termine, ella è cosa da non potersi con sicurezza asserire: giacchè le pietre supposteFonte/commento: Pagina:Carli - Dell'anfiteatro di Verona, 1785.djvu/56 dell’anfiteatro, che si sono scoperte nelle mura di fabbriche posteriori, state esser possono preparate soltanto, e non poste in opera. Ciò nulla ostante non è fuor di ragione il supporre, ch’altre coorti poscia acquartierate in Verona, e forse quegli stessi invalidi, milites ætate graves, ch’ivi lasciaronsi, impiegati in ciò per comando, ridotto essi lo abbiano a compimento. E chi sa ancora, che i Veronesi medesimi non abbiano in parte adempiuto ciò, che da altri fu supposto in intero da essi eseguito? e che trattandosi della perfezione d’un’opera di tanto lustro e decoro per la lor patria, non n’abbiano di lor mano, e con lor proprio dispendio ultimata l’impresa? e forse fu allora, che di Grezzana si tolsero l’altre occorrenti pietre a tal facimento.
Comprova se questo fu, ch’indi a poco nell’universale decadenza dell’arti quella principalmente della solida architettura ecclissò. Poichè se sia vero, ch’abbiano prima composto l’anfiteatro le pietre che si trovarono per mezzo alle mura erette in tempo di Gallieno, questa mole crollò poco dopo la sua fondazione. Ed in seguito altri documenti ci fanno credere, che nell’anno dell’era nostra 894. cadde dall’urto del terremoto l’esteriore recinto dell’Arena, che pur dev’essere stata la parte ultimamente eseguita. Il Moscardo rapporta una determinazione di Berengario, che ad istanza del Vescovo Adelardo concesse ad ognuno nell’anno 895. di demolire per materia di nuove fabbriche quella parte dell’anfiteatro, che minacciava cadere. Dal che può dedursi, che eseguita da’ legionarj la parte interna di questa mole, e solo cominciata da essi la precinzione, che in tempi meno felici fu poi da altri compiuta; questa marmorea corteccia comunque intera, e concatenata fra se, rovinò poco dopo la sua formazione: mentre i pochi archi di essa, naturalmente da’ primi costruttori inalzati, hanno resistito, isolati siccome rimasero, e tuttora resistono al conquasso de’ terremoti, e d’ogn’altra vicenda.
Soggiungerò qui per ultimo, che l’epoca, ch’io mi sono fatto a stabilire al nostro anfiteatro, concorda altresì co’ maturi anni di vita del Veronese architetto Vitruvio Cerdone figlio, o liberto, o discepolo del famoso Vitruvio, che fiorì a’ tempi d’Augusto e di Tiberio. Il chiaro nostro scrittore Marchese Maffei inclina ad attribuire al Cerdone l’onor di quest’opera; e nel celebrato suo libro degli anfiteatri parla di esso in tal modo: Insigne architetto fu qui Vitruvio Cerdone, come ben mostrano le reliquie dell’arco che abbiamo di lui. Se fosse opera sua l’anfiteatro, nè ardirei asserir francamente, nè di negare; ma la congettura n’è per certo molto ragionevole.
Molt’altre interpretazioni ausiliarie all’assunto mio, parte intorno alla cronologia di questo ramo d’istoria, e parte sopra i viaggi delle legioni ho omesso di rapportare, perciò che tropp’oltre condotto m’avrebbero colla diffusion de’ preamboli indispensabili all’intelligenza di esse. Mi sono contentato di trattenermi sopra de’ più importanti argomenti, che formano la radice della ricerca, riducendo a miglior lume coll’esame de’ fatti, e determinando col giudizio delle prove l’origine di un monumento, che preservato in onta al furore, e l’ignoranza de’ secoli, sussiste a ricordanza dell’antica gloria dell’arti, ed è tutto giorno di meraviglia agli estranei, che ad ammirarlo concorrono. E per non tacere i recenti suoi massimi onori trassero insieme in questo corrente anno in Verona, e ciò espressamente per osservare la nostra Arena, la Sacr. Ces. Maestà di Giuseppe II. Imperatore, Ferdinando IV. Re delle due Sicilie, con la Regina Maria Carolina d’Austria sua Sposa, e Ferdinando Arciduca d’Austria Capitanio-Generale della Lombardia; che intenti alla presenza d’immenso popolo spettatore a venerare l’antichità, e a contemplarne i prodigi in questa superba reliquia, ne invidiarono quasi il possesso, ed insieme d’averla conservata applaudirono alla Patria nostra; la quale ben può ripetere, ed in corretto senso applicarsi le parole di Seneca: hanc ego habeo sub meo jure, quæ quatuor Principum, idest totius imperii vires contractas in unum locum vidit. Sen. quæst. nat. lib. iv.
Il Fine.
Note
- ↑ Quæsitum inde quæ sedes bello legeretur, Verona potior visa, patentibus circum campis ad pugnam equestrem, qua prævalebant; simul coloniam copiis validam auferre Vitellio in rem, famamque videbatur. Tac. hist. lib. 3.
- ↑ In Veronensibus prætium fuit: exemplo opibusque partes juvere. ibid.
- ↑ Adventu deinde legionum ostentare vires, & militari vallo Veronam circumdare placuit. ibid.
- ↑ Signa aquilæque victricium legionum, milites vulneribus, aut ætate graves, plerique etiam integri Veronæ relicti. ibid.
- ↑ acciti aquilas, signaque, & quidquid Veronæ militum foret. ibid.
- ↑ Inter Veronam Cremonamque situs est (Bedriaci) vicus.
- ↑ Augebat Vitellium victarum legionum haud quaquam fractus animus: sparsæ per Italiam, & victoribus permixtæ hostilia loquebantur...
- ↑ Et quidem partes modeste distraxerat....
- ↑ Proxima Vitellio e prætoriis cohortibus metus erat; separatim primo, deinde addito honestæ missionis lenimento....
- ↑ Prima classicorum legio in Hispaniam missa, ut pace, & otio mitesceret; undecima, ac septima suis hibernis redditæ; Tertiadecimani struere amphitheatra jussi. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Cæcina Cremonæ, Valens Bononia spectaculum gladiatorum edere parabant. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Deforme insuper auxilium, duo millia gladiatorum. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Natalem Vitellii diem Cæcina, ac Valens editis tota urbe vicatim gladiatoribus celebravere. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ In eo certamine pulcherrimum amphitheatri opus situm extra muros, conflagravit. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Cum omnia sacra, profanaque in igne considerent, solum Mephitis tempium stetit ante mœnia. Tac. lib. 3.
- ↑ Ne miles segne otium tereret. Tac. hist. lib. 1.
- ↑ Interim Vitellius victoriæ suæ nescius, ut ad integrum bellum reliquas Germanici exercitus vires trahebat.... & paucorum dierum iter progressus prosperas apud Bedriacum res, ac morte Othonis concidisse bellum accepit. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Ex Urbe atque Italia irritamenta gulæ gestabantur, strepentibus ab utroque mari itineribus: exhausti conviviorem apparatibus principes civitatis; vastabantur ipsæ civitates. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Degenerabat a labore, ac virtute miles assuetudine voluptatum. ibid.
- ↑ Inde Vitellius Cremonam flexit; & spectato munere Cæcina, insistere Bedriacensibus campis, ac vestigia recentis victoriæ lustrare oculis concupivit; fœdum atque atrox spectaculum intra quadraginta pugnæ diem lacera corpora, trunci artus.... Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Tertiadecimanos ad construendum amphitheatrum relictos, ut sunt procacia urbanæ plebis ingenia, petulantibus jurgiis illuserant. Tac. hist. lib. 3.
- ↑ Religio tota castrensis signa veneratur, signa jurat, signa omnibus Diis præponit.
- ↑ Aquilæ certe, ac signa pulverulenta illa, ac custodiis horrida inunguntur festis diebus. Plin. hist. lib. 13. cap. 3.
- ↑ Motum a Vespasiano bellum crebresceret; tum resumpta militia, robur Flavianarum partium fuere. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ Petovionem in hyberna tertiædecimæ legionis convenerant. Tac. hist. lib. 3.
- ↑ Notatum non fere legionis unquam hyberna esse castra, nisi aquilarum fit jugum. Plin. nat. hist. lib. 10. cap. 4.
- ↑ Antonio Vexillarios e cohortibus, & partem equitum ad invadendam Italiam rapienti comes fuit Arrius Varus.... Occupantes Aquilejæ proxima quæque... Patavium & Ateste partibus adjunxere. Illic cognitum tres Vitellianas cohortes, & alam cui Scribonianæ nomen ad forum Alieni consedisse.... inermes plerosque oppressere: prædictum, ut paucis interfectis, ceteros pavore ad mutandam fidem cogerent.... Vulgata victoria post principia belli secundum Flavianos, duæ legiones septima Galbiana, & Tertiadecima Gemina cum Vedio Aquila Legato Patavium alacres veniunt.... Quæsitum inde quæ sedes bello legeretur. Verona potior visa, patentibus circum campis ad pugnam equestrem, qua prævalebant: simul coloniam copiis validam auferre Vitellio in rem, famamque videbatur. Possessa ipso transitu Vicetia, quod per se parum (etenim modicæ municipio vires) magni momenti locum obtinuit; reputantibus illic Cæcinam gentium & patriam hostium Duci ereptam. In Veronensibus prætium fuit; esemplo, opibusque partes juvere: & interjectus exercitus Rhætiam.... obsepserat. Tac. hist. lib. 3.
- ↑ Quomodo autem id alii critici non advertere ante me? mirum: nam historiam saltem lege non ignave, videbis, immo tanges: en hic deliberatur de sede belli in Italia, & Verona eligitur: atqui nondum in Italiam copiæ ullæ transmissæ. Pagina demum sequenti narratur: Antonio rapienti partem equitum ad invadendam Italiam, & Aquilejam & proxima quæque occupasse: Veronamne igitur venire potuerunt a tergo his relictis? sed & tota narratio incomposita, dissona. In Lipsii notis ad secund. histor. Taciti.
- ↑ dolorem, iramque Bedriacensis pugnæ retinentes haud cunctanter Vespasiano accessere, vi præcipua Primi Antonii. Tac. lib 2.
- ↑ Tridentinis jugis in Italiam.... athesim flumen non ponte, nec navibus: sed primum corporibus aggressi, ingesta obtutum silva transilvere. L. A. Flori in rerum Rom. lib. 3.
- ↑ Infesta Rhætia, cui Portius Septimius Procurator erat, incorruptæ erga Vitellium fidei. Tac. hist. lib. 2.
- ↑ .... et interjectus exercitus Rhætiam Juliasque alpes, ne pervium illa Germanicis exercitibus foret, obsepserat. Tac. hist. lib. 3.
- ↑ Simul transitus alpium præsidiis occupati, suspecta Germania, tamquam in auxilium Vitellii accingeretur. Tac. hist. lib. 3.