Commedia (Buti)/Purgatorio/Canto XXXII

Purgatorio
Canto trentaduesimo

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Purgatorio - Canto XXXI Purgatorio - Canto XXXIII
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C A N T O   X X X I I.





1Tant’eran li occhi miei fissi et attenti1
     A disbramarsi la decenne sete,
     Che li altri sensi m’eran tutti spenti;2
4Et essi quinci e quindi avean parete3
     Di non caler: così lo santo riso4
     A sè tirolli co l’antica rete;5
7Quando per forza mi fu volto ’l viso
     Ver la sinistra mia da quelle dee,
     Perch’io udi’ da lor un: Troppo fiso.6
10E la disposizion che al veder ee7
     Nelli occhi pur testè dal Sol percossi,
     Senza la vista alquanto esser mi fee.8
13Ma poi ch’al poco il viso riformossi9 10
     (Io dico al poco per rispetto al molto
     Sensibile, unde a forza mi rimossi)

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16Viddi ’n sul braccio destro esser rivolto
     Lo glorioso esercito, e tornarsi
     Col Sole e co le sette fiamme al volto.
19Come sotto li scudi per salvarsi
     Volgesi schiera, e sè gira col segno,
     Prima che possa tutta in sè mutarsi;
22Quella milizia del celeste regno,
     Che procedeva, tutta trapassonne,11
     Pria che piegasse ’l carro ’l primo legno.
25Indi a le ruote si tornar le donne,
     E ’l Griffon mosse ’l beneditto carco12
     Sì che però nulla penna crollonne.
28La bella donna, che mi trasse al varco,
     E Stazio et io seguitavam la rota,
     Che fe l’orbita sua con minor arco.13
31Sì passeggiando l’alta selva vota
     (Colpa di quella, ch’al serpente crese)14
     Temprava i passi un’angelica nota.
34Fors’in tre voli tanto spazio prese
     Disfrenata saetta, quanto eramo
     Rimossi quando Beatrice scese.
37Io senti’ mormorare a tutti: Adamo!
     Poi cerchiaro una pianta dispolliata
     Di follie e d’altre fronde in ciascun ramo.15
40La coma sua, che tanto si dilata
     Più, quanto più è su, fora dall’Indi16
     Nei boschi lor per altezza mirata.

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43Beato se’, Grifon, che non discindi
     Col becco d’esto legno dolce al gusto,
     Poscia che mal si torce ’l ventre quindi.
46Così d’intorno all’arbore robusto
     Gridavan li altri; e l’animal binato:17
     Sì si conserva il seme d’ogni giusto.
49E, volto al temo ch’elli avea tirato,18
     Trasselo al piè della vedova frasca;
     E quel di lei a lei lassò legato.
52Come le nostre piante, quando casca
     Giù la gran luce meschiata con quella
     Che raggia dietro a la celeste lasca,
55Turgide fansi, e poi si rinnovella
     Di suo color ciascuna, pria che ’l Sole
     Giunga li suo corsier sott’altra stella.
58Men che di rose, e più che di viole
     Colore aprendosi, innovò la pianta,19
     Che prima avea le ramora sì sole.20
61Io nollo intesi, e qui già non si canta21
     L’inno che quella gente allor cantaro,
     Nè la nota soffersi tutta quanta.
64S’io potesse ritrar come assonnaro
     Li occhi spietati, udendo di Siringa,
     Li occhi a cui pur vegghiar gostò sì caro;
67Come pintor, che con esemplo pinga,
     Disegnerei com’io m’addormentai;22
     Ma sia qual vuol che l’assonnar ben finga:23

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70Però trascorro; e quand’io mi svegliai,
     Io dico, ch’un splendor mi squarciò ’l velo24
     Del sonno, et un chiamar: Surge, che fai?
73Qual a veder dei fioretti del melo,25
     Che di suo pome li Angeli fa ghiotti,26
     E perpetue nozze fa nel Cielo,
76Piero, Giovanni e Iacopo condotti,
     E vinti ritornaro a la parola,
     Dalla qual furon maggior sonni rotti,
79E viddero scemata loro scola,
     Così di Moisè come d’Elia,
     Et al Maestro suo cangiata stola;
82Tal tornai io, e viddi quella pia27
     Sovra me starsi, che conducitrice
     Fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria.
85E tutto in dubbio dissi: Ov’è Beatrice?
     Ond’ella: Vedi lei sotto la fronda
     Nuova sedere in su la sua radice.
88Vedi la compagnia che la circonda:
     Li altri dopo ’l Griffon se vanno suso28
     Con più dolce canzon e più profonda.
91E se più fu lo suo parlar diffuso,29
     Non so: però che già nelli occhi m’era
     Quella, che ad altro intender m’avea chiuso.
94Sola sedeasi in su la terra vera,
     Come guardia lassata lì del plaustro,30
     Che legar viddi a la biforme fera.

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97In cerchio li facean di sè claustro31
     Le sette Ninfe con quei lumi in mano,
     Che son siguri d’Aquilone e d’Austro.
100Qui serai tu poco tempo silvano,
     E serai meco senza fine cive
     Di quella Roma, onde Cristo è romano;
103Però in pro del mondo che mal vive,
     Al carro tieni or li occhi, e quil che vedi,
     Ritornato di là fa che tu scrive.32
106Così Beatrice; et io, che tutto ai piedi
     Dei suoi comandamenti era devoto,
     La mente e li occhi, ov’ella volle, diedi.
109Non scese mai con sì veloce moto
     Foco di spessa nube, quando piove,
     Da quil confine che più è rimoto;33
112Com’io senti calar l’uccel di Giove34
     Per l’arbor giù, rompendo de la scorza,35
     Non che dei fiori e de le follie nove;
115E ferì ’l carro di tutta sua forza;
     Ond’ei piegò, come nave in fortuna
     Vinta dall’onda, or da poggia or da orza.
118Poscia viddi avventarsi ne la cuna
     Del triunfal veiculo una volpe,
     Che d’ogni pasto buon parea digiuna.
121Ma riprendendo lei di laide colpe,
     La donna mia la volse in tanta futa,
     Quanto soffersen l’ossa senza polpe.36
124Poscia per indi, und’era pria venuta,
     L’aquila viddi scender giù nell’arca
     Del carro, e lassar lei di sè pennuta.

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127E qual’esce di cuor che si rammarca;
     Tal voce uscì del Cielo, e cotal disse:
     O navicella mia, com mal se’ carca!37
130Poi parve a me che la terra s’aprisse
     Tra ambo le ruote, e viddi uscirne un drago,38
     Che per lo carro su la coda fisse;
133E come vespa che ritraggie l’ago,39
     A sè traendo la coda maligna
     Trasse del fondo, e gissen vago vago.
136Quel che rimase, come di gramigna40
     Vivace terra, de la piuma offerta,
     Forse con intenzion sana e benigna,
139Si ricoperse, e fùne ricoperta41
     E l’una e l’altra rota e ’l temo in tanto,
     Che più tien un sospir la bocca aperta.
142Trasformato così il difizio santo,42
     Misse fuor teste per le parti sue;
     Tre sovra ’l temo, et una in ciascun canto.
145Le prime eran cornute come bue;
     Ma le quattro un sol corno avean per fronte:
     Simile mostro visto ancor non fue.
148Sigura, come rocca in alto monte,43
     Seder sovr’esso una puttana sciolta
     M’apparve co le cillia intorno pronte.44
151E, come perchè nolli fusse tolta,
     Viddi da costa a lei dritto un gigante;45
     E baciavansi insieme alcuna volta.

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154Ma, perchè l’occhio cupido e vagante
     A me rivolse, quel feroce drudo
     La flagellò dal capo infin le piante.
157Poi di dispetto pieno e d’ira crudo46
     Di sciolse ’l mostro, e trassel per la selva
     Tanto, che sol di lei mi fece scudo47
160A la puttana, et a la nuova belva.

  1. v. 1. C. A. Tanto eran
  2. v. 3. C. A. Che tutti gli altri sensi m'eran spenti;
  3. v. 4. C. A. avien parete
  4. v. 5. C. A. Di non calare, così ’l
  5. v. 6. C. A. traeali con
  6. v. 9. C. A. da lor: Non troppo
  7. v. 10. Ee; voce intera della terza persona singolare, risultante dall’essersi detto nella seconda tu ei, come bee da tu bei ec. E.
  8. v. 12. Fee; terza singolare del perfetto, alla quale fu aggiunta un’e per uniformità di cadenza, come in amoe, temee, udie. E.
  9. v. 13. C. M. rifermossi
  10. v. 13. C. A. il viso non fermossi
  11. v. 23. C. M. precedeva,
  12. v. 26. C. A. volse il glorioso carco,
  13. v. 30. C. A. minor varco.
  14. v. 32. Crese; dall’infinito crere, frequente nelle antiche scritture ed in alcuni contadi d’Italia. E.
  15. v. 39. C. A. Di fiori e d’altra fronda in
  16. v. 41. C. A. più va su
  17. v. 47. C. A. Gridaron
  18. v. 49. C. A. volti al
  19. v. 59. C. A. aprendo s’innovò
  20. v. 60. Ramora; terminazione avanzataci dall’altra pure feminile col plurale in a: le letta, le prata ec. E.
  21. v. 61. C. A. Io non lo intesi, nè qui non si canta
  22. v. 68. C. M. Designerei
  23. v. 69. C. A. Ma qual vuol sia che l’assonnar
  24. v. 71. C. A. E dico che un
  25. v. 73. C. M. Quali
  26. v. 74. C. A. de’ suoi pomi
  27. v. 82. C. M. Tal trovai io,
  28. v. 89. C. M. C. A. sen vanno
  29. v. 91. C. M. E se è più su lo suo
  30. v. 95. C. A. lasciata
  31. v. 97. C. A. le facevan
  32. v. 105. C. M. Ritornando
  33. v. 111. C. A. più va remoto;
  34. v. 112. C.A. io vidi calar
  35. v. 113. C. A. Dell’alber giù,
  36. v. 123. C. A. sofferser
  37. v. 129. C. A. con mal sei
  38. v. 131. C. A. e d’indi uscire
  39. v. 133. C. M. C. A. ritragge
  40. v. 136. C. A. come da
  41. v. 139. C. A. funne
  42. v. 142. Difizio; toltone l’e in principio, secondo l’uso antico, siccome in pistola, reditare per epistola, ereditare. Nel Virgilio dell’Ugurgeri, lib. iii «facciano sacrifici e dificazioni». E.
  43. v. 148. C. A. Sicura, quasi rocca
  44. v. 150. C. A. N’apparve colle ciglia
  45. v. 152. C. A. Vidi di costa lei
  46. v. 157. C. A. sospetto
  47. v. 159. C. A. che il Sol

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C O M M E N T O


Tant’eran li occhi miei ec. In questo xxxii canto lo nostro autore finge come lo griffone guidò lo carro all’arbaro de la scienzia1, e figura tutte le cose che avvenneno ne la primitiva Chiesa; e però si divide questo canto in du’ parti: imperò che prima finge come lo griffone guidò e rimenò lo carro e la processione con tutto quello ordine, ch’era venuto, all’arbore de la notizia del bene e del male2: ne la seconda parte, che serà la seconda lezione, finge come svelliato dimanda Matelda di Beatrice, et ella liela mostra, e come Beatrice lo fa attento a comprendere le cose che avverranno, che figurano quello che fu ne la primitiva Chiesa, et incominciasi quive, cioè: E tutto in dubbio ec. La prima, che serà la prima lezione, si divide in sei parti: imperò che prima dimostra la fissa attenzione ch’elli avea a ragguardare Beatrice, e come ne fu rimosso; ne la seconda dimostra come vidde rivolta la processione, che avea veduto venire a ritornare unde era partita, et incominciasi quive: E la disposizion che al veder ec.; ne la tersa finge come elli e Stazio e Matelda seguitonno la ditta processione e come giunsono a la pianta de la disobedienzia, et incominciasi quive: La bella donna, ec.; ne la quarta finge come voci gridavano certe lode del griffone e come elli rispondea, et incominciasi quive: Beato se’, Grifon, ec.; ne la quinta finge come la ditta pianta, ch’era spolliata di fronde3, si rivestitte di nuove frondi, et incominciasi quive: Come le nostre piante ec.; ne la sesta finge come s’addormentò e come ebbe una bella [p. 778 modifica]visione, et incominciasi quive: S’io potesse ritrair ec. Divisa la lezione, ora è da vedere l’esposizione del testo letterale, allegorica e morale.

C. XXXII — v. 1-9. In questi tre ternari lo nostro autore finge quanto era la sua4 intenzione ferma a ragguardare Beatrice, e come di quinde fu rimosso da le virtù. Dice così: Tant’eran; cioè tanto erano, li occhi miei; cioè di me Dante, fissi; cioè fermati, et attenti; cioè e pieni d’attenzione, A disbramarsi; cioè a tolliersi la brama e saziare, la decenne sete; cioè la sete e lo desiderio, ch’io avea sostenuto diece anni, di rivedere Beatrice. Come è stato ditto di sopra, lo nostro autore infine la sua puerizia prese vaghezza per piacere de la santa Scrittura, e però à finto che s’innamorasse di Beatrice; e poi che l’ebbe studiata tutta e veduta, secondo la lettera e moralità, abbandonò tale studio, e però finge ch’ella cresciuta morisse: imperò che la iovanetta li era piaciuta; cioè secondo lo intelletto iuvenale5, letterale e morale, e però la finge corporale e carnale. E fatta grande; cioè quando dovea venire allo intelletto allegorico et anagogico ch’è spirituale, fu abbandonata da lui e diedesi a le cose del mondo, e però à finto ch’ella morisse: imperò che non avea veduto la santa Scrittura, se non secondo ’l corpo, cioè secondo la lettera e moralità; e lo spirituale intelletto non avea cercato, anco l’avea al tutto abbandonato, e di ciò è stato ripreso da lei di sopra. E così finge che stesse in fine ai 25 anni, poi finge ch’elli s’avvedesse del suo errore, e prendesse desiderio di ritornare a la santa Scrittura a volere vedere lo suo spirituale intelletto, e questo desiderio li vastasse dal xxv anno al xxxv; et in quello tempo del xxxv anno avesse grande combattimento coi vizi e peccati, et a le fine, soccorso da la grazia preveniente d’iddio, addimandò la grazia illuminante, cooperante e perficente; et avutola venne ricognoscendo li vizi e li peccati quanto a la loro viltà e pena, sicchè tutti li ebbe in abominazione. E poi si diede a considerare la penitenzia che a ciascuno peccato si convenia, et avere le virtù purgatorie in tanto ch’elli devenisse6 a lo stato de la innocenzia co le virtù, che li Filosofi diceno dell’animo purgato; et allora ritornò a la santa Scrittura a considerare lo suo intelletto spirituale. E questo àe dimostrato ne le fizione del canto xxx e xxxi, e però ora finge che, venuto a la presenzia di Beatrice, et ella apertosili e manifestatoli le sue bellezze spirituali, abbia defisso in lei li occhi; cioè la ragione e lo intelletto, per saziare lo desiderio, che avea portato già diece anni, di ritornare a la contemplazione de lo intelletto spirituale de la santa Teologia e de la beatitudine eterna, a la quale ella tira l’animo umano. E così [p. 779 modifica]sotto questa figurazione àe dimostrato l’autore lo processo de la sua vita, et àe insegnato a chi fusse in simile stato di vita come debbia ritornare a Dio, ultra le belle istorie e fizione, di che à ripieno lo libro suo; e però bene à ditto: A disbramarsi la decenne sete: imperò che diece anni inanti avea portato sì fatto desiderio. Che li altri sensi; cioè che li altri sentimenti, che sono quattro ultra lo vedere, m’eran tutti spenti; cioè erano tutti addormentati: tanto eran attesi li occhi a ragguardare Beatrice. Et allegoricamente intende che tanto era la ragione e lo intelletto occupato a contemplare la santa Scrittura, che a niuna altra cosa intendevano. Et essi; cioè li miei occhi, quinci e quindi; cioè da la destra e da la sinistra, avean; cioè aveano, parete; cioè riparo, Di non caler; cioè di non curare di quil che fusse da la parte destra, nè di quil che fusse da la parte sinistra; e questa parete era la costanzia dell’animo che lo facea star fermo in quello a che s’era dato, sicchè non si curava de le cose prospere del mondo significate per la parte destra, nè de le cose avverse significate per la parte sinistra, così; cioè per sì fatto modo, lo santo riso; cioè la santa letizia e lo santo iubilo, che generò ne la mente sua lo contemplamento de la santa Teologia, A sè tirolli co l’antica rete; cioè co l’antico amore: imperò che anticamente l’avea amata, Quando per forza mi fu volto ’l viso; cioè a me Dante fu volto il volto, secondo la lettera; ma secondo l’allegoria, s’intende la volontà, Ver la sinistra mia; cioè in verso la parte sua sinistra: imperò che cusì era necessario a vedere la processione venuta inverso lui, volta a la parte destra e ritornare in suso, ch’elli la vedesse da la sua sinistra, considerando che Beatrice era in su la coscia sinistra del carro, volta in verso ’l griffone e Dante, inansi a lei tenendo li occhi suoi fissi et attenti alli occhi di Beatrice, da quelle dee; cioè da le quattro virtù cardinali, che lo presentonno inanti a Beatrice, Perch’io udi’ da lor; ecco la cagione, per che li fu volto il volto; cioè ch’elli sel volse elli medesmo, perch’elli uditte dire da loro, cioè da quelle virtù, un: Troppo fiso; questo disse la temperansa che vuole modo in tutte le cose, la quale si dè intendere che dicesse: Tu non ragguardi queste altre cose, tu stai troppo fiso. E perch’elli era sì attento a ragguardare Beatrice, finge che non intendesse se non l’ultima parte, cioè Troppo fiso; e questa fu la cagione ancora che lo fece volgere a la sinistra sua, per vedere se lo dicessono, cioè Troppo fiso le tre teologiche, che stanno dal lato ritto del carro, ch’erano venute a raccomandare Dante a Beatrice, che li era stato presentato da le quattro cardinali che stanno da la parte sinistra del carro, sicchè veniano a Dante da la parte destra perch’elli stava inanti a Beatrice, e le tre noll’arebbeno detto quello Troppo fiso: imperò che non può essere troppa la [p. 780 modifica]defissione a la contemplazione de la santa Teologia. E finge che da la contemplazione fusse rimosso, perchè seguitasse oltra nel suo poema: imperò che non era anco da fermarsi: imperò ch’elli era anco viatore e non comprensore.

C. XXXII — v. 10-27. In questi sei ternari lo nostro autore finge che la processione, veduta da lui venire in verso l’occidente, mossa dall’oriente, poi ch’elli fu volto da la sua sinistra, vidde volta in sul destro ritornarsi adrieto, inverso l’oriente, dicendo così: E la disposizion; cioè e tale disposizione e sì fatta, che al veder ee; cioè caente è7 al vedere, Nelli occhi pur testè dal Sol percossi; cioè nelli occhi che abbino di nuovo ragguardato la spera del Sole, che sono abballiati e non possano vedere alcuna cosa se non bianco e giallo8 o d’altri colori, così fatta venuta alli occhi miei per lo ragguardare fiso lo volto di Beatrice, Senza la vista alquanto; cioè tempo, esser mi fee; cioè fece esser me Dante sensa ’l vedere quella così fatta disposizione. E per questo dà ad intendere che lo nostro ingegno non è capace de lo intelletto spirituale de la santa Teologia, e che viene meno a tale intelletto. Ma poi ch’al poco; cioè lume, il viso; cioè la vista mia, dice Dante, riformossi; cioè tornò in sua forma et in suo essere; e per salvare lo suo ditto dichiara come lo intende: imperò che li occhi suoi tornonno a ragguardare lo Sole e li candelabri accesi che procedevano la processione; lo quale splendore reputa picculo a rispetto di quello de la faccia di Beatrice, e però dice: (Io; cioè Dante, dico al poco; sensibile, cioè splendore che per li occhi è atto ad essere sentito, et appresso sensibile è ciò che per li sensi si comprende; et appella poco splendore quello del Sole e dei candelabri, per rispetto al molto Sensibile; cioè quello della faccia di Beatrice, unde; cioè dal quale sensibile; cioè dal quale splendore, a forza mi rimossi; cioè io Dante, che non me ne sapea partire) Viddi ’n sul braccio destro esser rivolto Lo glorioso esercito; cioè la processione, la quale finse di sopra essersi partita dal legno de la notizia del bene e del male, e venuta in verso l’occidente, a figurare lo descenso dei nostri primi parenti e de la loro posterità da l’obedienzia del comandamento di Dio; dice ora volta in sul braccio destro per ritornare in verso l’oriente a la ditta pianta, per figurare lo ritornamento che fece Cristo quando venne nel mondo che insegnò a ritornare a l’obedienzia con la sua obedienzia in fine a la morte de la croce; racconciliando9 l’umana natura a Dio Padre, fece volgere l’umana generazione dall’occidente, che significa lo perdimento de la grazia, all’oriente che significa lo racquistamento de la grazia, volgendoci a la destra, cioè a la via de [p. 781 modifica]le virtù infine che ritorniamo a l’obedienzia, sicchè meritiamo, secondo che ci à fatto umili10 Cristo co la sua passione, vita eterna. Le quali cose erano necessarie a considerare all’autore, e che le mostrasse ai lettori inanti che trattasse de la beatitudine dei beati, per mostrare come iustamente et ordinatamente procedeno tutte le cose provedute da Dio; et insegnalo anco a considerare a chi desidera di venire all’ultima beatitudine, e tornarsi; cioè lo ditto esercito a l’arbore de la notizia, che significa l’obedienzia a che Cristo ridusse l’omo, Col Sole; cioè co la grazia prima preveniente, e poi illuminante, e co le sette fiamme al volto; cioè e co li sette doni de lo Spirito Santo, ai quali si dè drissare l’umana volontà: imperò che così tornano quelli che seguitano la legge evangelica di Cristo. Come sotto li scudi; ecco che arreca una similitudine, dicendo che come si volge la schiera delli omini armati sotto li scudi, prima che si possa mutare tutta; così facea quello esercito; per salvarsi; cioè dai nimici che nolli possino ferire, Volgesi schiera; alcuna volta, s’intende, quando è bisogno, e sè gira col segno; cioè col gonfalone, Prima che possa tutta in sè mutarsi; cioè del luogo dove ella è; così, s’intende, Quella milizia del celeste regno, Che procedeva; cioè che andava inanti, che significa quelli del vecchio testamento che andonno inanti a Cristo, li quali convenne voltarsi a lui e credere in lui venturo sotto li scudi de la pazienzia, tutta trapassonne; cioè tutta si volse adrieto e passò noi, Pria che piegasse ’l carro ’l primo legno; cioè inanti che ’l carro piegasse lo timone, tutta quella gente era trapassata oltre. E sotto questa figura dà ad intendere che quelli, che andavano inanti, tutti erano passati di quella vita inanti che la sinagoga di Iudei si convertisse in Chiesa e tornasse a l’obedienzia. Indi; cioè poi che fu lo carro per volgersi, le donne; cioè le quattro virtù cardinali, e le tre teologiche, si tornar a le ruote; cioè le cardinali a la ruota sinistra, e le teologhe a la destra: imperò che sensa lo governo di queste male andrebbe lo carro; cioè la santa Chiesa: imperò che Cristo con queste virtù ritorse la sinagoga, convertitola in santa Chiesa, a l’obedienzia di Dio, E ’l Griffon mosse ’l beneditto carco; cioè lo carro, lo quale elli tirava, ; cioè per sì fatto modo, che però; cioè per lo tirare del carro, nulla penna crollonne; cioè niuna penna de le suoe ale, che significano la iustizia e misericordia di Dio, le quali sono invariabili et immutabili. E per questo dà ad intendere che, benchè Cristo mutasse la sinagoga in santa Chiesa; niente si crollò11, nè meritò la iustizia e misericordia sua: imperò che, tirando la santa Chiesa a l’ubidenzia, unde s’erano partiti li primi parenti, sì ordinatamente queste12 revocazione fece che niente mancò de la Divina Iustizia e Misericordia. [p. 782 modifica]

C. XXXII — v. 28-42. In questi cinque ternari dimostra lo nostro autore, secondo la sua fizione, come lo carro fu menato dal griffone a la pianta de la notizia del bene e del male; e come Beatrice discese del carro, dicendo cosi: La bella donna; cioè Matelda, che; cioè la quale, mi trasse; cioè tirò me Dante, al varco; cioè al valico del fiume Lete, E Stazio; lo quale era meco, del quale è stato ditto di sopra, et io; cioè Dante, seguitavam la rota; cioè destra, che significa lo nuovo testamento, Che; cioè la quale, fe l’orbita sua; cioè lo segno suo, come suole fare la rota del carro in terra, con minor arco: imperò che il carro si girò in su la destra ruota; minor arco prese a girare che non fe la sinistra. Et ogni cosa l’autore parla sotto figura: imperò che per questo dà ad intendere ch’elli era cristiano, e Stazio, e Matelda; e però finge che seguitasseno la destra ruota, e che il carro si girasse in su quella, e questo fu13 vero del nuovo testamento per rispetto del vecchio che è significato per la sinistra la quale fece grande giro; et a denotare che con maggiore distanzia di tempo funno revocati a la grazia et a l’obedienzia quelli del vecchio testamento, che quelli del nuovo li quali tosto lo possano avere per la grazia che Cristo acquistò a l’omo con la sua passione; e coloro la penòno ad avere14 infin che Cristo penò a venire. Sì passeggiando; cioè per sì fatto modo, come ditto è, andando a passo a passo, l’alta selva vota; alta dice, perchè è in su la cima del monte, selva dice per le piante et arbuscelli che vi sono, vota perchè l’omo per la sua colpa ne fu cacciato; e però dice: (Colpa di quella, cioè d’Eva, ch’al serpente crese; cioè credette quando li disse: Non è come tu dici, anco mangia di questo pomo, e saprai lo bene e lo male come Iddio, et ella lo credette e mangiòne e fene mangiare ad Adamo) Temprava; cioè temperava, i passi; cioè nostri, un’angelica nota; cioè uno canto, che faceano li angiuli. Fors’in tre voli tanto spazio prese Disfrenata saetta; cioè forsi la saetta sfrenata va tanto in tre saettate, quanto15 eramo rimossi; cioè noi dal luogo, unde eravamo partiti, Quando Beatrice scese; cioè del carro in sul quale ella16 era. Questo finge l’autore, a denotare che con tre leggi ritornò l’umana natura a l’obedienzia; prima co la legge de la natura che non fu bastevile, la quale durò infine a Moisè; poi co la legge de la Scrittura che anco non vastò, che durò infine a Cristo; e poi co la legge de la grazia che diede Cristo, che per la virtù sua fece vastevili le prime due e cavò del limbo li santi Padri che erano vissuti co le due prime leggi; ma aveano creduto in Cristo [p. 783 modifica]venturo, e per questo fanno salvati. Io; cioè Dante, senti’ mormorare; cioè con mormorio dire, a tutti; cioè quelli ch’erano a quella processione: Adamo; cioè, o Adamo, perchè fusti disobidiente, che per la tua disubidienzia abbiamo perduto tanto bene! Poi cerchiaro una pianta dispolliata; cioè andòno intorno tutti all’arbaro de la notizia del bene e del male, Di follie; cioè proprie, e d’altre fronde; cioè di fronde d’altro arbaro, in ciascun ramo; cioè non solamente lo troncone e la cima era spolliato de le suoe frondi e de l’altrui; ma eziandio tutti li suoi rami. E questo dice, secondo la lettera: imperò che alcuna volta sono sanicastri o altri arbori che, benchè non abbiano le suoe frondi perchè sono secchi, ànno le follie di qualche vite che v’è posta suso. E secondo l’allegoria dà ad intendere che quell’arbore, che significava l’obedienzia da la quale si partì l’omo, fu spogliata prima del suo frutto ch’era la beatitudine, e de le follie proprie; cioè dell’opere virtuose, che vegnano dell’umilità e da l’obedienzia, et ancora dell’opere virtuose che vegnano dell’altre virtù: imperò che per quella disobedienzia l’omo fu privato de la grazia di Dio, sicchè non potette mai fare opera per la quale si riconcilliasse con Dio, infine che non venne Cristo che co la sua obedienzia ci riconsilliò17 con Dio: et allora si rivestitte la pianta, come apparrà di sotto. La coma sua; cioè lo giro dei rami: coma è la capillatura18 del capo, e così lo giro dei rami è coma alli arbari, che tanto si dilata; cioè la quale tanto s’allarga: secondo la lettera mostra che fusse molto ampia quella pianta nel giro dei suoi rami, Più, quanto più è su; questo è contrario delli altri arbori che solliano stringere la coma quanto più vanno in su, e questo l’allarga quanto più va in su, fora dall’Indi Nei boschi lor per altezza mirata: nell’India sono altissimi arbori; ma questo era tanto alto, che l’Indi se n’arebbeno fatto meravillia. E per questo dà ad intendere che la scienzia è infinita; che quanto l’omo più va in su in essa tanto più si stende, e più trova ad ampliarsi e dilatarsi ne la sua ampletudine; ma ne la sua lunghezza s’inalsa in fine a Dio: più su non può montare, perch’elli è principio e fine; ma dilatare si può in infinito, cercando la creatura nel suo essere che è come uno mare che non à fondo. E come si dirà di sotto, questo arbore per lo interditto, che Iddio vi puose, figura l’obedienzia che è radicata in su l’umilità; e l’obedienzia cresce tanto in alto che adiunge infine a Dio, e dilatasi in infinite virtù quanto più va in su, tanto che la latitudine sua non si comprende; e però l’uno e l’altro intelletto si può adattare.

C. XXXII— v. 43-51. In questi tre ternari lo nostro autore finge come quelli ch’erano intorno all’arbore de la notizia del bene [p. 784 modifica]e del male rendevano laude al grifone, perchè non gustava di quello arbore, et elli rendeva la cagione, per che dicendo così: Beato se’, Grifon; questo grifon, come sposto è, figura Cristo, che; cioè lo quale, non discindi; cioè non tronchi, Col becco; cioè tuo, d’esto legno: imperò che non v’era de le frondi, nè del frutto, però dice del legno, dolce al gusto: imperò che dolce cosa è la scienzia a chi gusta lo suo sapore; e per questo diceano ch’era beato: imperò che stava in obedienzia: Cristo stette sempre in obedienza: imperò che mai non peccò e fu sensa ogni peccato e sensa fomite di peccato; e però adiunge: Poscia che mal si torce ’l ventre quindi; cioè poi che chi n’assaggia torce l’appetito suo al male; e bene dice: torce: imperò che al bene si dirissa et al mal si torce, quindi dice: imperò che per quella disobedienzia fu l’omo ferito nel libero arbitrio, sicchè con malagevilessa s’è potuto dirissare al bene et agevilmente è torto al male. Così d’intorno all’arbore robusto; cioè al ditto arbore de la notizia del bene e del male, Gridavan li altri; cioè quelli che erano iti inanti a la processione, e quelli ch’erano seguiti che aveano attorneato lo ditto arbore venendo ad esso con obedienzia; e questo significa coloro ch’ànno predicato e predicheranno di Cristo, che sempre loderanno la sua obedienzia et ànno lodato, e l’animal binato; cioè lo grifone; e dice animale: imperò che Cristo fu vero omo, e l’omo è animale; dunqua bene si può dire Cristo animale, binato; s’intende di du’ nature, cioè umana e divina: imperò che Cristo fu vero Iddio e vero omo; rispuose, s’intende: Sì si conserva; cioè per sì fatto modo si conserva, il seme d’ogni giusto: lo seme d’ogni iusto è l’umilità, e l’umilità si conserva co l’obedienzia, da l’umilità nasceno tutti li atti virtuosi: come la superbia è madre di tutti li vizi e peccati e radice; così l’umilità è radice e seme d’ogni atto virtuoso, e l’umilità non si può conservare se non co l’obedienzia, e Cristo fu obediente e conservò l’umilità sì, come dice l’Apostolo: Christus factus est pro nobis obediens usque ad mortem, mortem autem crucis. — E, volto al temo; cioè al timone del carro, ch’elli avea tirato; col suo collo; questo carro, come è stato ditto, figura la santa Chiesa ch’è la congregazione dei fideli cristiani, e lo timone di questo carro è la croce di Cristo la quale elli portò nel suo corpo sì, che ben figura l’autore ch’elli tirasse col suo collo lo timone, Trasselo al piè della vedova frasca: imperò che come lo dimonio separò l’omo da l’obedienzia di Dio, facendoli mangiare del pomo di quella pianta vietatoli; così Cristo tirò l’omo a l’obedienzia di Dio, ponendo l’umanità sua a morire per la verità, e così tirò lo timone che tira tutto lo carro, al piè della vedova frasca; cioè dell’albore ditto di sopra, dispolliato de le suoe follie e dell’altrui, E quel; cioè timone, di lei; cioè fatto [p. 785 modifica]del ditto arbore, lassò legato a lei; cioè al ditto arbore. Et in questa parte si dè intendere la storia che si legge ne le istorie scolastiche, cioè che, poi che Adam fu cacciato del paradiso et avea fatto molti filliuoli, infermò; et, essendo gravemente infermo sì ch’elli ne morì, mandò Set suo filliuolo al paradiso delitiarum che li arrecasse un poco dell’olio de la misericordia di Dio; e giunto, l’angiulo che guardava il paradiso vietatoli lo intrainento, lo dimandò quel ch’elli volea. Et esposta la sua imbasciata, li rispuose che non era anco tempo, e prese uno ramo dell’albore ditto dinanti, e diedelo a Set, e disse: Quando Adam, tuo padre, che dè morire di questa infermità, serà morto e sepulto, pianta questo ramo in sul capo suo; e quando questo ramo serà sì cresciuto che farà frutto, allora arà Adam de l’olio de la misericordia di Dio; e Set tornato, trovato morto Adam, così fece. Questo ramo piantato creve in arbore e mai non fe frutto, se non a la passione di Cristo: imperò che, come volse Iddio, d’uno ramo di questo arbore e d’altro legno fu fatta la croce di Cristo, et in su quello ramo pendette sì dolce frutto, come fu lo corpo del nostro Signore Iesu Cristo; et allora Adam e li altri santi Padri ebbeno l’olio de la misericordia: imperò che funno cavati del limbo, e menati da Cristo in vita eterna; e però bene dice l’autore che quil timone era di quello arbore: imperò che la croce di Cristo fu fatta di quello arbore. E veramente la croce è lo timone de la santa Chiesa, et in segno di ciò sempre la santa Chiesa19 si manda innanti sì fatto gonfalone; e veramente Cristo ricongiunse con la sua obedienzia e rilegò la santa Chiesa per mezzo de la sua croce e passione all’arbore de la notizia del bene e del male; cioè de la Grazia Divina. Unde a noi viene la notizia del bene che debbiamo seguire, e del male che debbiamo fuggire.

C. XXXIl — v. 52-63. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come quello arbore, dove Cristo legò lo timone del carro, remisse20 le suoe follie e rivestittesi che prima era spolliato, dicendo così: Come le nostre piante; qui induce una similitudine de le nostre piante a quella quando è la primavera, e però dice: Come le nostre piante; cioè quelle che sono apo noi nel mondo, quando casca Giù la gran luce; cioè quando tramonta lo Sole, meschiata con quella; cioè con quella costellazione, Che; cioè la quale, raggia; cioè risplende, dietro a la celeste lasca; cioè di rieto a quil segno che si chiama Pisces: lasca è una specie di pesci che si trova nel lago di Perogia; pria quando lo Sole è in Ariete tramonta lo segno che si chiama Pisces, e poi Aries quando si fa sera, e però non vuole dire altro, fatta questa descrizione del tempo, secondo Astrologia, se non [p. 786 modifica]quando è la primavera, la quale allora incomincia quando lo Sole entra in Ariete, Turgide fansi; cioè gonfiate le nostre piante: imperò mostrano di volere mettere fuora, e poi si rinnovella Di suo color ciascuna: imperò che ciascuna mette fuora fiori e frondi convenienti a la sua specie, pria che ’l Sole Giunga li suo corsier sott’altra stella; cioè si levi la mattina sotto altro segno che sotto Ariete, cioè inanti che esca d’Ariete et entri in Tauro la mattina: secondo la fizione d’Ovidio si dice lo Sole iungere li cavalli suoi a l’iugo del suo carro li quali sono quattro, come è stato sposto altra volta di sopra, unde dice Ovidio: Iungere equos Titan velocibus imperat horis21 — . Men che di rose, e più che di viole; cioè e più nero che s’ei fusse di viole; e per tanto vuole dimostrare che lo colore era sanguigno, innovò la pianta; ditta di sopra: imperò che tutta si rivestitte di frondi sanguigne, aprendosi, cioè aprendo sè medesima e mettendo fuora, Che; cioè la quale, prima; cioè inanti, avea le ramora sì sole: imperò che non avea nei suoi rami nè fiori, nè frondi; e poi che ’l timone vi fu legato, diventò fronduta di follie sanguigne. Per la qual cosa l’autore dà ad intendere che per la passione di Cristo ritornò l’umana specie a l’obedienzia; e nel suo sangue, che sparse in su la croce, le nostre opere virtuose ebbeno efficacia e funno accettate da Dio, le quali prima erano insufficenti: imperò che fummo22 rimissi ne la sua grazia. E finge che, quando tale legamento fece Cristo, elli uditte cantare uno inno lo quale elli non intese, e di qua nel mondo nostro non si canta sì, ch’elli non può dire, e però dice: Io; cioè Dante, nollo intesi; cioè quill’inno che la gente cantò, e qui; cioè in questo mondo, già non si canta; sì fatto, L’inno che; cioè lo quale inno, quella gente; ch’era quive, che rappresenta tutti li santi Padri del vecchio testamento e quelli del nuovo che funno nella primitiva Chiesa, allor cantaro; cioè quando Cristo legò lo carro all’arbore preditto, e rifronditte, che tutto figura la passione di Cristo: imperò che ne la sua passione funno fatte queste cose, Nè la nota; cioè lo segno del canto di quello inno, soffersi; cioè io Dante, tutta quanta; che io non m’adormentasse inanti per la dolcessa; cioè tanta fu la dolcessa che io ebbi, quando io pensai quil che23 doveano avere cantato li santi Padri che erano nel limbo e li altri che funno ammaestrati da Cristo ne la sua passione, per la quale si viddeno rimessi ne la grazia di Dio padre, e liberati da la morte spirituale, che io Dante m’addormentai inanti che ciò io avesse compiuto di pensare. [p. 787 modifica]

C. XXXII — v. 64-84. In questi sette ternari lo nostro autore finge che al canto di sì fatto inno, qual fu ditto di sopra, s’addormentò et ebbe grandissima dolcessa e consolazione ne la sua visione; ma svelliato rimase privato di quella, e però dice: S’io; cioè se io Dante, potesse ritrar; cioè disegnare co le parole mie, come assonnaro; cioè come s’addormentonno, Li occhi spietati; cioè d’Argo che avea cento occhi, del quale fu ditto di sopra, li quali chiama spietati, perchè sostenea di guardare24 Io, che era mutata in vacca, udendo di Siringa; cioè udendo la novella che li dicea Mercurio de la mutazione di quella iovana chiamata Siringa in canna, de la quale fu ditta25 la sampogna la quale sonava Mercurio. E però è da sapere, secondo che pone Ovidio Metamorfosi nel primo, Naiade filliuola di Ladone fiume, che Siringa fu una de le Ninfe filliuole di Mercurio d’Arcadia, seguitatrice di Diana, la quale Pan iddio de’ pastori amò; e perseguitandola et ella fuggendo da lui, pervenneno ad uno luogo padulesco dove era uno fiume chiamato Ladone, cioè lo padre, lo quale ella non potea passare. Unde ella pregò Diana e le suo Naiade che la soccorresseno, e Diana et elleno allora la mutò26 in canna, la quale percotendo coll’altre canne per lo vento, incominciò a fare uno dolce sono; la qual cosa vedendo Pan, prese tre canne di quelle e fecene una sampogna e quella incominciò a sonare. La verità di questa fizione fu ch’ella fugitte in casa del padre, che signoreggiava quelli che abitavano al fiume Ladon, chiamato cusì dal nome suo; e Pan fece la sampogna, ammaestrato dal suono del vento che percotea ne le canne; e cusì poi li pastori, seguitando lo suo iddio, incomincionno a fare di queste sampogne e sonarle. E questa sampogna usò poi Mercurio, quando andò ad27 accidere Argo che avea cento occhi, li quali molto avea fatto vegghiare per guardare Io filliuola del fiume Inaco28, mutata in vacca da Iunone: imperò che venuto a lui incominciò a sonare questa sampogua sì dolcemente, ch’elli s’addormentò et allora l’uccise. Li occhi; ecco che usa replicazione, a cui; cioè di colui al quale, pur vegghiar gostò sì caro; d’Argo, s’intende: imperò che tanto vegghiò in guardare Io, che convenne che al suono s’addormentasse, e ch’elli ne morisse; e però dice che, pur vegghiar gostò sì caro: imperò che ne morì. Come pintor, che con esemplo pinga; ecco che induce la similitudine dicendo ch’elli farebbe come lo dipintore quando esemplo delle dipinture altrui pillia; e però dice: Disegnerei; cioè io Dante co le parole direi, come disegna lo dipintor co lo stilo ne le taulelle, com’io [p. 788 modifica]m’addormentai; al canto ditto di sopra; ma io non posso questo propriamente dimostrare; e però dice: Ma sia qual vuol; cioè lo poeta, che l’assonnar ben finga; cioè lo quale sappia bene fingere l’addormentare. E perchè non si può ben fingere, Però trascorro; cioè io Dante lo fingerò com’io m’addormentai, e vegno pur a dire com’io mi svelliai, e quand’io mi svegliai; cioè io Dante, Io dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo Del sonno; ecco che dice lo modo come si svelliò; cioè che li apparve un grande splendore che li ruppe lo sonno, et un chiamar; insieme co lo splendore, dicendo Dante: Surge; cioè leva su, che fai; Dante, non si vuol perder tempo? Et ora induce per similitudine che tale si levò elli dal sonno, caenti si levonno li tre apostuli; cioè s. Piero, s. Ioanni e santo Iacopo de la tranfigurazione che viddeno di Iesu Cristo in sul monte Tabor, come scrive santo Marco, capitolo nono; e però dice: Qual a veder dei fioretti del melo; parla con quil colore che si chiama significazione, chiamando la trasfigurazione di Cristo fioretti: imperò che come lo fiore è meno che ’l frutto; così quella trasfigurazione, benchè fusse grande cosa, pur fu meno che vederlo in maiestate sua; e chiama melo l’Essenzia Divina, che è quello melo e quello arbore che produce tali fiori, Che; cioè lo quale melo, di suo pome; cioè del suo frutto, lo quale è beatitudine, li Angeli fa ghiotti: imperò che quanto più vedeno la Divina Essenzia, più desiderano di vederla: imperò che quella è la loro beatitudine, E perpetue nozze fa nel Cielo; cioè lo ditto melo, cioè la Divina Essenzia de la sua beatitudine che comunica ai beati, continuamente li pasce e notrica in cielo, e però fa perpetue nosse: imperò che tali nosse non aranno mai fine, e mai l’anima da quella cibazione non cesserà come si cessa l’omo nel mondo dal cibo quando è satollo: melo in lingua greca significa dolcessa, e vedere Iddio e gustare è la maggior dolcessa che sia, e però l’à chiamato melo. Piero, Giovanni e Iacopo condotti; cioè menati da Cristo li detti tre apostoli in sul monte Tabor, e mostrato loro la sua gloria venuto quive Moisè et Elia, disse san Pietro: Buono è che noi ci stiamo: qui facciamo tre tabernaculi; cioè a te uno, a Moisè uno, et ad Elia uno, E vinti; cioè da la voce del Padre che uditteno quando disse: Hic est filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui: ipsum audite; per la quale parola cadeno giù in terra insensati; ma poi Cristo dicendo loro: Levatevi su, li fe ritornare in sè; e però dice: ritornaro; cioè li ditti tre apostoli in sè, a la parola; cioè di Cristo che disse: Levate su; e levati non viddeno se non Cristo al modo che l’aveano veduto in prima, e Cristo comandò loro che la visione ch’aveano veduta non dicesseno, in fine a tanto ch’elli non avesse sostenuto passione, Dalla qual; cioè parola di Cristo, furon; cioè inanti e poi, maggior sonni rotti; cioè quando [p. 789 modifica]co la sua parola fece risuscitare il filliuolo de la vedova, quando disse: Adolescens, tibi dico, surge, e quando fece risuscitare Lazaro, dicendo: Lazare, veni foras, e così delli altri. E viddero scemata loro scola; cioè li ditti tre apostoli viddeno che non v’era Moisè, nè Elia; cioè a quella dottrina ne la quale lo Verbo incarnato insegnò e mostrò loro la sua gloria e la sua divinità, Così di Moisè come d’Elia; ch’erano spariti via, Et al Maestro suo; cioè Cristo, cangiata stola: imperò ch’era ito via lo splendere, et erasi appiattata la divinità sotto l’umanità. Tal tornai; dal mio sonno, cioè pieno di stupore e di meravillia, io; cioè Dante, quali tornonno li ditti tre apostoli dal loro sonno, pieni di stupore e di meravillia, e viddi; cioè io Dante, quella pia; cioè Matelda, che figura la dottrina catolica, Sovra me starsi: imperò che sempre sopra lui stava la dottrina de la santa Chiesa, che; cioè la quale, conducitrice Fu de’ miei passi; cioè mi condusse e dirissòmi, quanto prima29 arrivai al fiume Lete; e però dice: lungo ’l fiume pria; cioè quando io era di qua dal fiume Lete e la processione venia in giuso, finge l’autore che Matelda stesse sopra di lui: imperò ch’ella l’insegnava Beatrice; la qual cosa figura che la dottrina de la santa Teologia insegna e dimostra la santa Teologia e nasce de la santa Teologia, sì come Matelda contessa nacque de la contessa Beatrice, e per questo figurare prese l’autore questi nomi, intendendo per la madre la santa Teologia, e per la filliuola la santa dottrina e la santa predicazione. Seguita la seconda lezione del canto xxxii, e finisce la prima.

E tutto in dubbio dissi ec. Questa è la seconda lezione del canto xxxii, nel quale lo nostro autore finge che sotto certe figure vedesse nel paradiso delitiarum quelle cose che avvenneno ne la primitiva Chiesa, le quali finge che le vedesse qui: imperò ch’elli, apparecchiandosi a trattare de la beatitudine, venne ripensando tutte le cose che funno via e principio ad essa, per mostrare quelle ai lettori de la sua comedia; e finge che li fusseno mostrate da Beatrice: imperò che le trovò scritte da coloro che aveano studiato la santa Teologia. E dividesi questa lezione tutta in cinque parti: imperò che prima finge come elli dimandò Matelda di Beatrice, et ella liela mostrò; nella seconda finge come Beatrice stava a guardare il carro accompagnato30 da le virtù, e come ella lo fa accorto che ragguardi lo carro, e che noti quel che vede sì che lo scriva perchè ’l mondo si corregga, et incominciasi quive: Sola sedeasi ec.; ne la tersa finge come vidde una aquila scendere giù per l’arbaro, rompendo fiori e frondi e de la scorsa e percuotere lo cafro, sicchè ’l fece piegare, et anco appiattarsi una volpe in esso, e Beatrice cacciarla via, et incominciasi quive: Non scese mai ec.; ne la quarta parte finge che vedesse [p. 790 modifica]anco una aquila scendere nel carro e lassare lo carro tutto pieno di suo’ penne, e come un dragone scito de31 la terra forò lo ditto carro co la coda e portonne uno pesso et andòsi via, e l’altro che rimase tutto si ricoperse de le penne, et incominciasi quive: Poscia per indi ec.; ne la quinta parte finge come lo carro misse fuora teste, e come in sul carro vidde una meretrice et uno gigante, e come lo gigante battea la meretrice per sospetto che pigliava di lei, et incominciasi quive: Trasformato così ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la lettera co l’esposizione testuali, allegoriche e morali.

C. XXXII — v. 85-93. In questi tre ternari lo nostro autore finge come, svelIiato e veduto sopra sè Matelda, la dimandò di Beatrice et ella liela mostrò, e però dice così: E tutto; cioè io Dante, in dubbio dissi; cioè tutto dubbioso dissi: Ov’è Beatrice? Perch’io nolla vedea, avea dubbio ch’ella si fusse partita. Ond’ella; cioè Matelda rispuose, s’intende: Vedi lei; cioè Beatrice, sedere sotto la fronda Nuova; cioè sotto li rami dell’arbaro, che di nuovo s’era rivestito de le frondi e de’ fiori, in su la sua radice; cioè del detto arbore, sicchè Beatrice sedea in su la radice de l’arbore sotto le frondi e li fiori. Perchè l’autore finse che s’addormentò e che nel sonno vedesse uno grande splendore, sì che per quello e per l’esser chiamato e dittoli: Levati su, che fai tu? si svelliasse e vedesse stare sopra sè Matelda che fu quella che ’l chiamò, àe dimostrato come intrò nel pensamento de la materia de la tersa cantica; e perchè avea anco a dire alcuna cosa di questa, finse che Matelda, che significa la dottrina de la santa Scrittura, lo cavasse di tal pensieri, e questo fu svelliato32, quasi dicesse: Tu anco ài a dire altro in questa cantica, levati di cotesto pensieri; e perchè a trattare questo li era bisogno la santa Scrittura, però ne dimanda la dottrina che liela mosterrà33, et ella liela mostra sedere in su la radice dell’arbaro de la scienzia del bene e del male. La quale radice è l’umilità, e la pianta sua si è l’obedienzia: da l’umilità nasce l’obedienzia; la santa Scritura è fondata in su l’umilità di Cristo, e però siede e riposasi in essa, et à sopra sè li fiori e le frondi de l’obedienzia di Cristo che sono li esempli e l’opere virtuose che nascono dall’obedienzia le quali Cristo fece, dei quali è coperta e velata la santa Scrittura. E questo è quello che l’autore àe dimostrato ne le parole ditte di sopra, e mostrali anco Matelda la compagnia, e però dice: Vedi; tu, Dante, la compagnia che la circonda; cioè Beatrice, e questa compagnia, come apparirà di sotto, era sette donzelle; cioè le quattro virtù cardinali e le tre teologiche che intorno stanno a la santa Scrittura: imperò che tutta n’è piena, Li altri; cioè li vestiti [p. 791 modifica]di bianco, coronati di gilli ch’erano inanti a la processione, che figurano li salvati del vecchio testamento; e quei che seguivano poi, che figurano quelli del nuovo, dopo ’l Griffon: imperò che Cristo fu lo primo omo che sallisse in cielo, di po’ lui andonno li altri; e però dice: se vanno suso; cioè in cielo, Con più dolce canzon e più profonda; che non fu l’inno che tu udisti, dinanti al quale t’addormentasti. E per questo dà ad intendere l’autore come elli considerò e rividde nel suo studio la resurrezione di Cristo e l’ascensione e liberazione dei santi Padri e dei salvati per la passione di Cristo; la quale cosa è da considerare e dimostrare essere rapresentali34 nel paradiso terreste appiè de la pianta, dove fu la ruina dei primi nostri parenti. E se più fu lo suo parlar; cioè di Matelda, diffuso; cioè ampio, Non so; io Dante, se più s’allargò nel dire: però che già; ecco che assegna la cagione, nelli occhi; cioè miei, cioè ne la ragione, ne lo intelletto mio, m’era Quella; cioè Beatrice, che; cioè la quale, m’avea chiuso; cioè tolto e levato, intender ad altro; che a lei. Ogni altra intenzione avea posto giù Dante che fusse impertinente a la santa Scrittura, e35 nei suoi studi che l’omo che in questa vita s’àe recato a stato d’innocenzia si dè esercitare poi pure ne la dottrina de la santa Scrittura e nei suoi studi mentre che ci sta, sicchè continuamente qui si trovi con Dio per grazia, e poi di po’ la morte per gloria.

C. XXXII — v. 94-108. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, mostratoli Beatrice, andò a lei; e descrive com’ella stava e come lo fece attento a vedere quil che venia al carro; e come elli fu obediente, dicendo cosi: Sola sedeasi; cioè Beatrice, in su la terra vera; di sopra disse Matelda che Beatrice sedea in su la radice dell’albaro, e però dice ora in su la terra vera: imperò che la radice è radicata in terra; et una medesima cosa intende ora che intese di sopra; cioè che la santa Scrittura siede ne le menti umane umili: imperò ch’ella fu fondata nell’umilità di Cristo, e quive si riposò, e poi nei discepuli suoi che funno vera terra per umilità, Come guardia lassata lì; cioè quive da Cristo, del plaustro; cioè dè la santa Chiesa figurata per lo carro, la quale fu guardata al principio dai santi Teologi, Che; cioè lo quale carro, legar viddi; cioè io Dante a l’arbore de la obedienzia, a la biforme fera; cioè al griffone che figura Cristo. In cerchio; cioè in tondo et in giro, li facean; cioè a Beatrice, di sè claustro; cioè chiusura, Le sette Ninfe; cioè le sette virtù, quattro cardinali e tre teologiche: veramente le ditte virtù chiudono e difendeno la santa Scrittura da ogni offensione, con quei lumi in mano; cioè co li sette doni de lo Spirito Santo: imperò che [p. 792 modifica]ciascuna tiene lo suo: imperò che iustizia tiene lo lume del timore e caccia con quello la superbia; prudenzia tiene lo lume de la pietà e scaccia con quello la invidia; fortessa tiene lo lume de la fortessa, e scaccia con quello l’ira; temperanzia tiene lo lume del consillio, e scaccia con quello l’avarizia; fede tiene lo lume de la scienzia, e scaccia con quello l’accidia; speransa tiene lo lume de la sapiensa, e scaccia con quello la gola; carità tiene lo lume dello intelletto, e scaccia con quello la lussuria: tutti questi lumi àe nell’opere suoe chi opera secondo le ditte virtù. E nota che le virtù; quattro cardinali, e le tre teologiche, sono sì coniunte et ordinate insieme, che quive dove sono le teologiche sono le cardinali, e le cardinali possono essere sensa le teologiche; ma le teologiche non sono sensa le cardinali; e quive, dove n’è una perfettamente, convegnano essere tutte come vede chi sottilmente le considera. E benchè la36 iustizia con tutte; niente di meno più specialmente s’adattano insieme una che un’altra, come è stato mostrato di sopra nel canto xxix, considerandole propriamente; ma in generale, dove n’è una perfettamente, sono tutte, come ditto è. Che; cioè li quali lumi, son siguri d’Aquilone e d’Austro; cioè sono siguri e rendeno siguri coloro, che operano segondo le ditte virtù, da ogni avversità: Aquilone è vento che viene da settentrione, et Austro è vento che viene da mezzo di’, l’uno contrario all’altro. Aquilone induce serenità, et Austro induce turbolenzia; e però per questi du’ venti intese l’autore la prosperità e l’avversità, de le quali37 sono siguri quelli che sono virtuosi et illuminati dei sette doni de lo Spirito Santo: imperò che la prosperità nolli può corrompere, nè l’avversità rompere, e così sono li veri Teologi. Et adiunge quil che li disse Beatrice, quando fu inansi a lei; cioè: Qui; cioè in questo luogo del paradiso terresto, per lo quale intende lo stato de la innocenzia nel quale vivea allora l’autore, serai tu; cioè Dante, poco tempo silvano; cioè abitatore di questa selva; ecco che li predice che poco tempo debbia vivere, E serai meco senza fine cive; cioè cittadino insieme con meco38, dice Beatrice; ecco che li predice la sua salvazione; e ben dice meco: imperò che la spirituale Teologia sempre è in cielo: imperò che li Teologi spirituali sempre abitano co la mente in cielo; ma li carnali stanno in terra coll’ossa suoe, che sono li libri in che è scritta, Di quella Roma; cioè di quella vera città, capo di tutte come Roma fu capo del mondo; questa è la celeste Ierusalemme; cioè vita eterna, onde Cristo è romano; cioè cittadino in quanto omo, et in quanto Iddio re e [p. 793 modifica]signore. Però in pro del mondo che mal vive: infine al tempo che l’autore ebbe questa fantasia lo mondo era corrotto; ma via più è ora, e però per fare pro al mondo ch’era corrutto l’ammonisce Beatrice che noti quil che vede e ridicalo: imperò che alcuna volta si correggieno li omini, quando vedeno che li loro vizi sono noti: che altramente si stanno credendo che non si debbiano sapere. E questa è stata la cagione, per che l’autore àe nominato le persone in questa sua comedia, acciocchè dei buoni si pilli esemplo imitativo, e dei riei si pilli esemplo fugitivo. Al carro; cioè legato a la pianta, tieni or li occhi; cioè tuoi del corpo, secondo la lettera; ma de la mente, secondo l’allegoria, e quil che vedi; in quil carro, Ritornato di là; cioè nel mondo; questo dice secondo la lettera, fa che tu scrive: imperò che li lettori ne pillieranno esemplo. Così Beatrice; s’intende, disse a me Dante, et io; cioè Dante, che; cioè lo quale, tutto ai piedi Dei suoi comandamenti era devoto; cioè apparecchiato tutto ad obedire li suoi comandamenti, La mente e li occhi; cioè li occhi mentali, ov’ella volle, diedi; cioè dove volse Beatrice, applicai: sempre ci ammonisce la santa Scrittura che noi notiamo le cose esemplari e per noi e per altrui.

C. XXXII — v. 109-123. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, volto al carro, incominciò a vedere delle cose che avvenneno ne la primitiva Chiesa; e prima de la persecuzione che fu fatta dall’imperatore ai cristiani; appresso delli eretici che si levonno ne la ditta Chiesa. Dice così: Non scese mai con sì veloce moto Foco di spessa nube; ecco che arreca la similitudine del lampo, che discende velocemente da li nuvuli quando sono bene spessi, quando piove: imperò che allora solliono venire, Da quil confine; cioè da quella altessa dell’aire, che più è rimoto; cioè che è più su; e questo non può essere più su, che a principio de la tersa regione dell’aire: di questa materia è stato detto di sopra, però la passo, Com’io senti’; ecco che adatta la similitudine, dicendo come io Dante, senti’ calar l’uccel di Giove; questo uccello è l’aquila: imperò che li Poeti fingeno che l’aquila sia consecrata a Iove, perchè in specie d’aquila rapitte Ganimede; e per questa aquila intende ora l’autore la potenzia imperiale: imperò che l’aquila è la insegna de lo imperio: imperò che come l’aquila vola sopra tutti li uccelli e li animali bruti; così lo imperio dè essere sopra tutte le signorie del mondo. E per questo calare dell’aquila in sul carro e ferire lo carro intende la persecuzione che feceno l’imperadori a la santa Chiesa et ai cristiani, come appare ne le croniche infine al tempo di Costantino. Le persecuzioni fatte a la santa Chiesa dall’imperadori comincionno prima da Nerone, possa da Domiziano funno seguitate, e la tersa fu fatta da li officiali di Traiano, e la quarta nel tempo d’Adriano, e [p. 794 modifica]la quinta al tempo di Marco Antonio e Lucio Aurelio, e la sesta al tempo d’Antonio terso; e niente di meno tutta via funno perseguitati li cristiani infine al tempo di Filippo imperadore, che fu lo primo imperadore cristiano, e la settima persecuzione fu al tempo di Decio imperadore, e l’ottava persecuzione al tempo di Valeriano, e la nona al tempo d’Aureliano, e la decima grande persecuzione fu fatta al tempo di Diocleziano e Massimiliano imperadori, e l’undecima al tempo di Iuliano imperadore lo quale apostatò all’iduli. Per l’arbor giù; cioè per l’arbore de l’obedienzia, e parea che venisse da cielo; e questo finge l’autore: imperò che niuna cosa si fa dai principi del mondo che non sia permessa da Dio; e perch’ellino se ne credeano piacere a Dio e per rispetto dei loro iddii lo faceano, finge che scendesse per l’arbore che significa li santi ch’erano obedienti a Dio, e però dice: rompendo de la scorza; cioè del ditto arbore; per la quale cosa intende che si ruppe la costanzia e fortessa dei santi uomini, Non che dei fiori; cioè de li esempli virtuosi, ovvero l’orazioni, e de le follie nove; cioè dell’opere virtuose che aveano incominciato a fare li santi omini, le quali s’impedivano per le dette persecuzioni, E ferì ’l carro; questo ferire s’intende quando incomincionno ad uccidere li cristiani, li pastori e li altri santi omini, di tutta sua forza; questo è l’ultimo de la potenzia signorile; condennare l’omo a la morte. Ond’ei piegò; cioè lo ditto carro: imperò che li cristiani s’incomincionno ad appiattare, come nave in fortuna; ecco che arreca la similitudine che lo carro per cosso dall’aquila piegò come fa la nave percossa dall’onda, e però dice: Vinta dall’onda; cioè del mare, or da poggia: poggia è una fune che tiene l’uno capo de l’antenna che tiene la vela pendente; e per questa poggia dà ad intendere lo lato destro de la nave, or da orza: orsa è una fune che tiene legato l’altro capo dell’antenna; e per questa orsa dà ad intendere lo lato sinistro de la nave, sicchè vuole dire ora dall’uno lato ora dall’altro, e così la Chiesa d’iddio ora era percossa a dextris, ora a sinistris nel suo principio da l’imperadori che adoravano l’iduli. Poscia viddi; cioè io Dante; ecco l’altro grande periculo che venne ne la Chiesa d’Iddio nel principio; cioè che si levonno sette d’eretici, che volsono con loro malizie et inganni guastare la santa Chiesa; ma li Teologi resistetteno e convinselli e disfecenli; e questa eresia chiama volpe: imperò che con malizia et inganno procedea come fa la volpe; e però dice: avventarsi ne la cuna; cioè gittarsi in39 el letto del carro giuso; e questo dice, per dare ad intendere che in mezzo de la Chiesa si levonno queste sette dell’eresia; la prima setta d’eretici si levò al tempo [p. 795 modifica]di Comodo e di Lucio fratello di Marco, e funno chiamati atafrigi, e funno loro autori Montano, Prica e Massimilla; la seconda eresia incominciò d’Antonio terzo, e fu autore di quella Sabellio; e la tersa incominciò al tempo di Tacito, e fùne autore Marticheo; e la quarta incominciò al tempo di Costantino primo, e funno autori di quella Arrio e Donato; et al tempo di Iuliano imperadore rinvigorì la ditta eresia e molti tempi durò anco poi, et altre sette come appare ne la prima cantica nel canto ix, Del triunfal veiculo; cioè del triunfal carro; e dice triunfale per du’ rispetti; lo primo, perchè la Chiesa fu quella in che triunfò et ebbe vittoria lo nostro Signore Iesu Cristo de la sinagoga dei Iudei; lo secondo, perchè di po’ tante persecuzioni fatte da l’imperadori anco rimase vittoriosa la Chiesa d’Iddio, una volpe; questa significa l’eresia, Che: cioè la quale, d’ogni pasto buon parea digiuna: quelli eretici, che funno allora, voiti funno d’ogni verità. Ma riprendendo lei; cioè la ditta volpe, cioè l’eresia, di laide colpe; cioè di sozzi e brutti errori, La donna mia; cioè Beatrice, cioè li maestri in Teologia, raunati al sinodo contra quelli eretici, la volse: cioè la ditta volpe, cioè li ditti eretici, in tanta futa; cioè fugga, cioè li scacciò sì fortemente coi suoi argomenti de la fede, che li condusse al fuoco e feceli ardere; e però dice: Quanto soffersen l’ossa senza polpe; cioè di fuggire l’ossa sensa la carne sofferseno tanto, quanto si penonno ad incenerare: imperò che molti de li eretici funno arsi, e li altri per paura si fuggitteno et appiattonsi. E queste cose finge l’autore che vedesse nel paradiso delitiarum: imperò che, poi che ebbe trattato de la sua materia; cioè de la purgazione dell’anime inanti che volesse intrare a trattare de la gloria, venne ripensando le cose che funno principio de la gloria dell’umane anime; e, come fanno li Poeti, s’allarga a dire per mostrare il processo de la santa madre Chiesa.

C. XXXII — v. 124-141. In questi sei ternari lo nostro autore finge come poi vidde la dotazione de la Chiesa fatta da Costantino imperadore, e lo cisma che seminò Maomet co l’aiuto di Sergio monaco eretico, ovvero legato de la Chiesa; e queste cose finge sotto figura, dicendo: Poscia per indi; cioè per quil luogo, und’era pria venuta: cioè l’aquila ditta di sopra, L’aquila viddi; cioè io Dante viddi quella medesima aquila, scender giù nell’arca Del carro: li carri triunfali e quelli che si soleano menare ne li eserciti, che figuravano fermessa, si faceano con una arca tra amburo le ruote; e però finge che ’l carro de la Chiesa avesse arca, e questa arca significa la cambera de la Chiesa, e lassar lei di sè pennuta: imperò che Costantino, convertito a la fede da papa Silvestro, dotò la Chiesa e diedeli molte dignità al tempo del ditto papa, mondato da la lebbra e batteggiato da lui; e perche ’l papa solo avesse la signoria di Roma si [p. 796 modifica]dice che se ne andasse a Costantinopuli in Grecia. E qual’esce di cuor che si rammarca; cioè che si lamenta, Tal voce uscì del Cielo; ecco che finge l’autore che santo Piero si lamentasse e fusse malcontento che la Chiesa fusse dotata, e cotal; cioè voce, disse; questo che seguita; cioè: O navicella mia: la navicella di san Piero figura la Chiesa di Roma, che l’autore à posto in figura di carro, com mal se’ carca: cioè come se’ male caricata: imperò che la ricchezza à fatto li chierici riei, li quali ne la povertà soleano esser buoni! E però l’autore ne la prima cantica disse: Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, Non la tua conversion; ma quella dote Che da te prese il primo ricco patre!— Poi parve a me; cioè Dante; ecco che ora finge che vedesse lo scisma che fece Maomet per consillio di Sergio monaco eretico, del quale fu detto ne la prima cantica nel canto xxviii, che la terra s’aprisse Tra ambo le ruote; cioè del ditto carro, cioè tra ’l testamento vecchio e nuovo, cioè in quil principio quando li Saracini erano venuti da la circuncisione al battismo. Ben dice che li parve che s’aprisse la terra: imperò che Maomet fu omo molto terreno e fu nigromantico et ebbe quella infirmità che si chiama40 epilentia, e facea a credere ai Saracini che allora l’angiulo li parlasse, e faceasi venire le colombe alli orecchi e dicea che li parlava lo Spirito Santo, e fu tenuto grande profeta da’ Saracini: imperò che per l’arte del dimonio molte cose predicea. E prima fu signore di ladroni che assalivano le strade e rubbavano li marcatanti41, poi fu fatto re, e poi fu adorato come messia mandato da Dio, e parte fece tenere ai Saracini del vecchio testamento e parte del nuovo, e levòli de la vera fede cristiana. Et assimillialo al drago che avvelena e corrumpe42 l’aire; così questi avvelenò e corruppe la legge che aveano già presa li Saracini de la fede cristiana, e però dice: un drago viddi; cioè io Dante, uscirne; cioè di quella apertura de la terra, Che; cioè lo quale, fisse; cioè ficcoe, su per lo carro; cioè per la integrità de la Chiesa, a la quale erano venuti li Saracini, la coda; cioè la fraude e lo inganno, dicendo loro molte cose eretiche co le quali ingannò li Saracini. E come vespa; ecco che fa la similitudine de la vespa che punge e poi ritira a sè lo pungillione; così Maomet punse co la fraude de l’eresia li Saracini e tiròli43 a sè, cavandoli de la congregazione de la Chiesa, che; cioè la quale, ritraggie l’ago; cioè ritira a sè lo suo pungillione; così lo ditto drago, A sè traendo la coda maligna; cioè lo malvagio inganno tirandolo a la sua utilità, Trasse del fondo; cioè del ditto carro alcuna parte, cioè li Saracini, e gissen vago vago; cioè e partittesi dall’unità de la santa Chiesa, facendo sè grande: cioè re e messo di Dio, per sì fatto modo che piacque a quelli [p. 797 modifica]Saracini ch’elli ingannò. Quel che rimase; cioè del ditto carro, oltra quello che n’avea portato lo drago; cioè la parte ch’era rimasa de la santa Chiesa, Si ricoperse de la piuma offerta; cioè li prelati de la santa Chiesa e li altri fideli, che stetteno fermi e non inteseno a lo scisma di Maomet come inteseno altri scismatici, s’adornonno de la dote che diede Costantino a la Chiesa, difendendo la Chiesa col braccio secolare, come Vivace terra; s’adorna, s’intende, di gramigna; ecco che fa la similitudine de la terra fertile che subito si cuopre di gramigna, e così li prelati si coperseno dei beni temporali, Forse con intenzion sana e benigna; questo si rende a l’offerta, che è ditto di sopra, secondo alquanti, et intendono questo; cioè che la piuma offerta a la santa Chiesa forsi fu fatta con sana intenzione e benigna da Costantino; ma perchè c’è questo Forse, che importa dubbio, e nessuno dubbio c’è che la intenzione di Costantino non fusse sana e buona, e però è mellio che si renda al verbo ricoperse. E serà questa sentenzia; che l’accettazione dei beni temporali fatta dai prelati de la Chiesa forsi fu fatta con intenzione sana e buona, e perchè n’è dubbio, però dice: Forse, e questa mi parve la vera sentenzia. e fùne ricoperta; cioè de la piuma offerta, E l’una e l’altra rota; cioè la Chiesa d’Antiochia che fu fatta tra coloro che tenevano lo vecchio testamento prima, e de la Chiesa nuova de’ gentili, venuta di nuovo a la legge evangelica; cioè dei gentili e pagani che adoravano li iduli, e ’l temo; cioè la Chiesa di Roma, che è quella che tira tutte l’altre e governa come timone lo carro, in tanto; cioè in sì poco spazio, Che più tien un sospir la bocca aperta; cioè molto tosto tutti li benefizi de la Chiesa funno fatti ricchi; e questo finge ch’elli vedesse in quello luogo: imperò che tutto questo considerò e vidde, inanti che intrasse a trattare de la gloria de’ beati.

C. XXXII — v. 142-160. In questi sei ternari et uno versetto lo nostro autore finge come poi vidde la santa Chiesa; cioè la corte di Roma trasformata, e di spirituale diventata carnale, e di santa peccatrice e come fece fornicazione col re di Francia ponendo queste cose sotto figura, dicendo così: Trasformato; cioè tramutato, così il difizio santo; cioè per sì fatto modo la Chiesa d’Iddio, che 44 fu di povera fatta ricca, e risalliata de lo scisma fatto da Maomet per lo providimento de’ prelati, usando lo braccio secolare, Misse fuor teste per le parti sue; cioè in sul timone et in ciascuno canto del carro, sicchè funno sette teste come dice lo testo, Tre; cioè teste, sovra ’l temo; cioè del carro, et una; cioè testa, in ciascun canto; cioè del ditto carro, e quattro sono li canti, dunqua quattro funno le teste, e tre quelle [p. 798 modifica]del timone; eccone sette. Le prime; cioè tre teste del timone, eran cornute come bue; cioè aveano du’ corna come à lo bu’, Ma le quattro; cioè teste dei canti del carro, un sol corno avean per fronte; sicchè eran cornute45 con un solo corno, Simile mostro visto ancor non fue; cioè a questo carro così ornato di piuma e con cotanto teste; cioè tre bicornute e quattro unicornute.46 Ecco che sotto questa figura dimostra l’autore com’elli vidde e considerò la mutazione de la santa Chiesa di spirituale in carnale, fatta mostruosamente: ben serebbe mostro vedere uno carro pennuto tutto con sette teste per lo modo che ditto è; che figurino le penne ditto fu di sopra, ora debbiamo vedere che figurino le sette teste e le diece corna e la loro trasformazione. Ma inansi debbiamo considerare che l’autore finse nel xxix canto de la prima cantica che la Chiesa, la quale elli nomina femina, avesse sette teste e diece corna, e quello ch’elli intese per quelle: imperò che poi vedremo mellio come sono trasformate. E prima debbiamo sapere che le sette teste, con che nacque la ditta femina, figurano, seguendo la figura che à posto avale per mostrare mellio la loro trasformazione, li setti sacramenti de la Chiesa, li quali la santa Chiesa ordinò e trovò dal suo principio infine a che fu dotata da Costantino. E però finge l’autore che di po’ la dote vedesse trasformante47 queste sette teste che sono, come ditto è, sette sacramenti de la Chiesa respondenti ai sette doni de lo Spirito Santo, dei quali sono segno, come mostrato fu di sopra nel canto xxix. Dei quali tre ne stanno sopra ’l timone del carro che figura lo chericato; cioè crisma, battesimo e penitenzia: imperò che solamente lo chericato l’àe a ministrare così ai cherici, come ai laici; et ànno a significare la crisma lo timore, che è dono de lo Spirito Santo che viene da la carità in verso Iddio48, e montasi da essa per li diece comandamenti di grado in grado infin che si viene al timone, per lo quale massimamente s’adempieno questi du’ comandamenti: Unum cole Deum. Ne iures vana per ipsum; cioè: Ama [p. 799 modifica]uno Dio, e non iurare iniquo per lo nome suo. E queste sono le du’ corna che mette questa testa unde nasce l’umilità, che è contra lo peccato de la superbia; e lo presente figura la pietà che è dono de lo Spirito Santo, che viene da la carità in ver lo prossimo, montando di grado in grado per li diece comandamenti infin che si viene a la pietà, unde nasce amore che è contra la invidia; e la penitenzia, lo consillio che è dono de lo Spirito Santo, che viene da la speransa, montando di grado in grado per li diece comandamenti infin che si viene al consillio, unde nasce moderazione che è contra l’avarizia. E questo figurano le tre testi49 bicornute sopra ’l timone; l’altre quattro teste sono, ordine, eucaristia, estrema unzione, e matrimonio, che sono poste in su’ canti; cioè ordine in sul canto sinistro d’inanti, eucaristia in sul canto destro, estrema unzione in sul canto sinistro di rietro, matrimonio in sul canto destro di rieto; e sono poste d’inanti ordine et eucaristia perchè sono di maggiori dignitadi che quelle di rieto, e sono in su’ canti perchè sono dati e ministrati da’ cherici solamente ai laici. Et è ordine in sul canto sinistro: imperò che infine dall’antica legge di Moisè ebbe principio, unde: Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech; et è segno di fortezza che nasce da speransa, montando di grado in grado per li diece comandamenti infin che si viene a la fortessa, unde viene religione50 che è contra l’ira; e questo è lo suo corno. Eucaristia è in sul canto destro: imperò che ebbe principio pure ne la nuova legge evangelica; et è segno di scenzia, unde nasce fede, unde viene operazione virtuosa, per la quale s’adempie lo comandamento: Santifica le feste, che è contra l’accidia; e questo è lo suo corno. Estrema unzione è in sul canto sinistro di rieto, perchè dall’ordine sacerdotale si dà nell’estremità; et è segno di sapienzia, unde nasce la carità del prossimo, unde viene astinenzia per la quale s’adempie lo comandamento: Non sii lussurioso, che è contra la gola; e questo è lo suo corno. Matrimonio è in sul canto destro di rieto, perche è pure tra’ laici e fu confermato ne la nova legge evangelica, ne le nosse di santo Ioanni; et è segno d’intelletto, unde nasce la carità in verso Iddio e ’l prossimo, unde viene castità per la quale s’adempie lo comandamento: Guarda la mollie del prossimo tuo, ch’e contra la lussuria; e questo è lo suo corno. E così appare che le sette teste sono li sette sacramenti, e le dieci corna sono li diece comandamenti de la legge; e vedesi la cagione, per che àe così ordinato queste sette teste, e perchè àe posto in tutto diece corna; cioè sei a le tre teste di sul timone, e quattro a le quattro [p. 800 modifica]51teste dei quattro canti. E che questa fusse la intenzione dell’autore si può provare per lo sopradetto canto xix de la prima cantica, quando disse: Di voi Pastor s’accorse il Vangelista, Quando colei, che siede sopra l’acque Puttaneggiar coi regi a lui fu vista: Quella, che con le sette teste nacque, E dalle dieci corna ebbe argomento, Fin che virtute al suo marito piacque. Dove fu mostrato che per le sette teste s’intendeno li sette sacramenti de la Chiesa, e per le dieci corna li dieci comandamenti de la legge, le quali io abbo posto divisamente nel carro prima per teste e corna, secondo che l’autore à distinto et ordinato; e poi iungerò la trasformazione secondo quello ordine.

Et acciò che mellio si vegga designerò qui lo carro e le teste co le suoe corne, prima come si costituitte la Chiesa, appresso la trasformazione nei peccati e vizi vi scriverò di sopra. E come li animali preditti; cioè lo bu’ e l’unicorno, si difendeno co le corna e feriscono; così la santa Chiesa con ciascheduno sacramento dei santi si difese o con due comandamenti, o con uno secondo che descritto è ne la legge. E prova e fortificamento dei ditti 7 sacramenti sono li ditti 10 comandamenti de la legge; li quali 7 sacramenti sono segni dei 7 doni de lo Spirito Santo, unde nasceno 7 virtù contra li 7 peccati mortali. Li quali vegnano contra li santi 10 comandamenti de la legge, qual contra uno e qual contra du’, come di sopra è stato dimostrato nel canto presente, e poi ne la figura; e però quive lo ritrovi chi ne dubita52. Sigura, come rocca in alto monte; [p. 801 modifica]ora sotto similitudine dimostra l’adulterazione de la corte col re di Francia; e come si tirò la corte in Provensa, assimilliando la corte a la meretrice, e lo re di Francia al gigante, dicendo: M’apparve; cioè a me Dante apparve: imperò che ne la fantasia mia lo venni ripensando e ritrovando per le scritture, una puttana: bene assimilila lo papa a la meretrice: imperò che come la meretrice non ama se non lo denaio; così elli non ama le virtù; ma li denari, e non dava li benefici per meriti; ma per denari: e com’ella cerca delettazioni e lascività; così cercava allora quel papa. Di papa Bonifazio intese qui l’autore, del quale fu ditto di sopra canto xx sciolta; cioè libera, che nessuno avea che la castigasse, nè che la riprendesse; e così era allora, et anco è ora, che col dispensare e con questo papa potest omnia: ogni cosa licita e non licita fa lo papa di Roma, e niuno li contradice, Seder; cioè riposarsi, sovr’esso: cioè sopra esso carro, cioè signoreggiare la Chiesa, Sigura; perchè non temea ostacolo, nè riprensione, come rocca in alto monte: rocca si chiama la fortessa bene fornita; e lo papa di Roma era forte e bene fornito di tesoro: e quando la fortessa è in alto è più malagevile a prenderla che s’ella fusse in piano, e così lo ditto papa di Roma era tanto posto in alto per dignità e per reputazione e per sua setta, ch’elli avea fatta, che a la sua altessa nessuno poteva montare per vincerla, nè per combatterla, co le cillia intorno pronte; cioè vagheggiatrice e pilliatrice col suo sguardo di cui ella ragguardava, et elli lei ragguardasse: questo è ne la meretrice, e veramente era nel papa di Roma: imperò ch’elli con le piacevili parole pilliava ogni uno e con le grandi promissioni. Papa Bonifazio fue eloquente e facundo molto, e molto astuto. E, come; la guardasse, s’intende, perchè nolli fusse tolta; cioè acciò che nolli fusse tolta la ditta meretrice, Viddi; cioè io Dante, da costa; cioè da lato, a lei dritto; cioè a la ditta meretrice, un gigante: gigante s’interpetra generato di terra: ogni omo è generato di terra; ma meritevilmente si dice generato di terra chi più s’involge nei beni terreni, et appella lo vulgo giganti li omini grandi, cioè di grande statura; e per tanto per lo gigante s’intende lo re di Francia, perch’era di grande potenzia et avea grande amicizia col papa, e mostrava d’avere come fa la meretrice al suo drudo per cavare da lui, et elli a lei per cavare da lei, E baciavansi insieme alcuna volta: lo bacio è segno d’amore, e per tanto si dice de53 l’autore [p. 802 modifica]che si baciavano alcuna volta; cioè che si mostravano grandi segni d’amore alcuna volta co le lettere, col parlamento insieme e col visitamento; e perchè lo papa di Roma dè consentire solamente a le cose licite et oneste a prego d’ogni uno che l’addimanda54, allora si dice fornicare coi re quando a prego dei re consente e concede le iniuste cose. Ma, perchè l’occhio cupido; cioè avaro, e vagante; cioè non costante a la virtù, A me; cioè Dante; e per sè intende ogni cristiano, ovvero tutti l’Italiani, rivolse; cioè imperò che ’l ditto papa incominciò a non volere consentire a le preghiere del re di Francia, et intendere a compiacere a quelli d’Italia o alli altri che meritasseno, quel feroce drudo; cioè lo re di Francia, amico crudele de la corte, La flagellò; cioè la meretrice, cioè lo ditto papa, dal capo infin le piante; cioè tutta55 la fragellò tanto, che la recò a morte et affrissela, sì come fu ditto di sopra nel canto xx, de la ditta afflizione di papa Bonifazio. Poi di dispetto pieno; cioè lo ditto gigante, e d’ira crudo; cioè dispettoso e crudele, Disciolse ’l mostro; cioè lo carro ch’era fatto mostro, secondo la lettera, dall’arbaro de la obedienzia; secondo l’allegoria, da la sua libertà; e questo carro figura la corte di Roma in questa parte, e trassel per la selva; secondo la lettera del paradiso delitiarum; ma secondo l’allegoria per lo mondo pieno di vizi e peccati, Tanto; cioè per sì grande spazio de la ditta selva, che sol; cioè che solamente, di lei; cioè de la distanzia de la ditta selva, mi fece scudo; cioè mi fece resistenzia ch’io no la potetti più vedere; e però dice: A la puttana; cioè all’altro papa, lo quale elli tirò in Provensa a Vignone, et a la nuova belva; cioè et a la corte così trasformata e tramutata di carro in mostro, e di virtuosa in viziosa, e di spirituale in carnale; cioè la corte di Roma; e solo del terreno suo li avea fatto scudo, che nessuno potea vedere o andare al papa et a la corte di Roma se non chi lo re di Francia volea, mentre che la corte fu di là in Provensa, e non facea la corte più che volesse lo re di Francia. Queste figurazioni àe l’autore finto da sè seguitando l’Apocalissi di santo Iovanni, trasmutando et arrecando a suo proposito come mellio li è paruto, e però è faticoso ad intenderlo. E qui finisce il canto xxxii, et incominciasi lo canto xxxiii et ultimo di questa seconda cantica.

Note

  1. C. M. arboro della scienzia del bene e del male,
  2. C. M. del male, e come la pianta si rivestitte di foglie, e come s’addormentò et ebbe visione. Nella seconda
  3. C. M. frondi,
  4. C. M. attenzione
  5. C. M. giovenile,
  6. C. M. elli venisse
  7. C. M. cioè quale è
  8. C. M. o giallo o
  9. C. M. riconciliando
  10. C. M. à fatti abili
  11. C. M. sì grollo e mutò la iustizia
  12. C. M. questa
  13. C. M. vero: imperò che la sinagoga si convertitte in santa Chiesa; e che facesse minor arco significa la brevità del nuovo
  14. C. M. coloro penonno ad averlo
  15. Eramo; erate sono voci primitive ed intere dall’eramus, eratis de’ Latini. E.
  16. C. M. in su che era.
  17. C. M. riconciliò
  18. C. M. capilliatura
  19. Ammenda del Magl. da — si manda — a — Chiesa per
  20. C. M. rimisse
  21. C. M. horis — , così s’intende: Colore Men che di rose; cioè meno vermillio che s’elli fusse di rose, e più che di viole;
  22. C. M. funno
  23. C. M. quello che
  24. C. M. di raguardare
  25. C. M. fu fatta la
  26. C. M. mutonno in
  27. Accidere; uccidere, proprio del dialetto napolitano, che gli antichi scrittori imitarono. E.
  28. C. M. Iunaco
  29. C. M. quando prima
  30. C. M. accompagnata
  31. C. M. uscito della
  32. C. M. fu isvelliarlo,
  33. C. M. mostrerà,
  34. C. M. dimostrare rappresentali
  35. C. M. e per questo dimostra che l’omo
  36. C. M. la iustizia sia con tutte;
  37. C. M. dalle quali
  38. Con meco; maniera comunissima al popolo fiorentino, e a torto condannata da chi non à veruna dimestichezza della lingua viva. E.
  39. In el; nel, imitazione dai Trovatori che lo tolsero dall’in illo dei Latini. E.
  40. C. M. epilensia
  41. C. M. mercadanti,
  42. C. M. corrompe
  43. C. M. tirolli
  44. C. M. era santa e buona mentre che fu povera, ora per la ricchezza di spirituale diventata carnale, e di santa corrotta, Misse
  45. C. M. cornute come l’unicorno, Simile
  46. C. M. Et è qui da notare che lo carro in questa parte si puone pur per la corte di Roma, e quando si nomina qui la santa Chiesa anco s’intende della corte che è capo della santa Chiesa. Ma altro s’intende lo carro e la santa Chiesa per tutta la congregazione dei cristiani. Ecco
  47. C. M. trasformate
  48. C. M. unde nasce l’umilità per la quale s’adempie lo comandamento primo; cioè: Adora uno Dio; e lo secondo, cioè: Il non giurare in vano per lo nome suo che è contra la superbia: e lo battesmo, la pietà che è dono dello Spirito Santo, unde viene carità in ver lo prossimo, unde nasce amore per lo quale s’adempieno due comandamenti; cioè: Onora lo padre e la madre, e non rendere falso testimonio, che è contra la invidia. E la penitenzia, lo consillio che è dono dello Spirito Santo unde viene speransa, unde nasce moderazione per la quale s’adempieno due comandamenti, cioè: Non sii furo, e guarda lo cose del prossimo tuo, che è contra l’avarizia. E questo figurano [pag. 799].
  49. C. M. teste
  50. C. M. di fortessa unde nasce speransa per la quale s’adempie lo comandamento: Non sii ucciditore, che è contra l’ira; e questo
  51. Nel Magliab. manca la figura del carro che qui facciamo con i caratteri tipografici, credendo inutile darne un esatto fac-simile. E.
  52. C. M. E chi vuole vedere lo trasformamento, metta lo peccato contrario al sacramento nelle teste, la disobedienzia dei comandamenti ne le corna, et arà la trasformazione. Verbi grazia dove è crisma pogna superbia, e nelle corna disobedienzia dei comandamenti correspondenti, et ara la trasformazione facendo così in tutto; la qual cosa non abbo scritto per brevità, et anco perchè mi pare una abominazione scrivere questo della corte di Roma, capo della santa Chiesa. Ma abbolo figurato brevemente, come appare, di sopra nella figura segnata con la scrittura.
  53. C. M. dall’autore
  54. C. M. che le dimanda,
  55. C. M. tutto lo fragellò
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