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C. XXXII — v. 64-84. In questi sette ternari lo nostro autore finge che al canto di sì fatto inno, qual fu ditto di sopra, s’addormentò et ebbe grandissima dolcessa e consolazione ne la sua visione; ma svelliato rimase privato di quella, e però dice: S’io; cioè se io Dante, potesse ritrar; cioè disegnare co le parole mie, come assonnaro; cioè come s’addormentonno, Li occhi spietati; cioè d’Argo che avea cento occhi, del quale fu ditto di sopra, li quali chiama spietati, perchè sostenea di guardare1 Io, che era mutata in vacca, udendo di Siringa; cioè udendo la novella che li dicea Mercurio de la mutazione di quella iovana chiamata Siringa in canna, de la quale fu ditta2 la sampogna la quale sonava Mercurio. E però è da sapere, secondo che pone Ovidio Metamorfosi nel primo, Naiade filliuola di Ladone fiume, che Siringa fu una de le Ninfe filliuole di Mercurio d’Arcadia, seguitatrice di Diana, la quale Pan iddio de’ pastori amò; e perseguitandola et ella fuggendo da lui, pervenneno ad uno luogo padulesco dove era uno fiume chiamato Ladone, cioè lo padre, lo quale ella non potea passare. Unde ella pregò Diana e le suo Naiade che la soccorresseno, e Diana et elleno allora la mutò3 in canna, la quale percotendo coll’altre canne per lo vento, incominciò a fare uno dolce sono; la qual cosa vedendo Pan, prese tre canne di quelle e fecene una sampogna e quella incominciò a sonare. La verità di questa fizione fu ch’ella fugitte in casa del padre, che signoreggiava quelli che abitavano al fiume Ladon, chiamato cusì dal nome suo; e Pan fece la sampogna, ammaestrato dal suono del vento che percotea ne le canne; e cusì poi li pastori, seguitando lo suo iddio, incomincionno a fare di queste sampogne e sonarle. E questa sampogna usò poi Mercurio, quando andò ad4 accidere Argo che avea cento occhi, li quali molto avea fatto vegghiare per guardare Io filliuola del fiume Inaco5, mutata in vacca da Iunone: imperò che venuto a lui incominciò a sonare questa sampogua sì dolcemente, ch’elli s’addormentò et allora l’uccise. Li occhi; ecco che usa replicazione, a cui; cioè di colui al quale, pur vegghiar gostò sì caro; d’Argo, s’intende: imperò che tanto vegghiò in guardare Io, che convenne che al suono s’addormentasse, e ch’elli ne morisse; e però dice che, pur vegghiar gostò sì caro: imperò che ne morì. Come pintor, che con esemplo pinga; ecco che induce la similitudine dicendo ch’elli farebbe come lo dipintore quando esemplo delle dipinture altrui pillia; e però dice: Disegnerei; cioè io Dante co le parole direi, come disegna lo dipintor co lo stilo ne le taulelle, com’io

  1. C. M. di raguardare
  2. C. M. fu fatta la
  3. C. M. mutonno in
  4. Accidere; uccidere, proprio del dialetto napolitano, che gli antichi scrittori imitarono. E.
  5. C. M. Iunaco