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signore. Però in pro del mondo che mal vive: infine al tempo che l’autore ebbe questa fantasia lo mondo era corrotto; ma via più è ora, e però per fare pro al mondo ch’era corrutto l’ammonisce Beatrice che noti quil che vede e ridicalo: imperò che alcuna volta si correggieno li omini, quando vedeno che li loro vizi sono noti: che altramente si stanno credendo che non si debbiano sapere. E questa è stata la cagione, per che l’autore àe nominato le persone in questa sua comedia, acciocchè dei buoni si pilli esemplo imitativo, e dei riei si pilli esemplo fugitivo. Al carro; cioè legato a la pianta, tieni or li occhi; cioè tuoi del corpo, secondo la lettera; ma de la mente, secondo l’allegoria, e quil che vedi; in quil carro, Ritornato di là; cioè nel mondo; questo dice secondo la lettera, fa che tu scrive: imperò che li lettori ne pillieranno esemplo. Così Beatrice; s’intende, disse a me Dante, et io; cioè Dante, che; cioè lo quale, tutto ai piedi Dei suoi comandamenti era devoto; cioè apparecchiato tutto ad obedire li suoi comandamenti, La mente e li occhi; cioè li occhi mentali, ov’ella volle, diedi; cioè dove volse Beatrice, applicai: sempre ci ammonisce la santa Scrittura che noi notiamo le cose esemplari e per noi e per altrui.

C. XXXII — v. 109-123. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, volto al carro, incominciò a vedere delle cose che avvenneno ne la primitiva Chiesa; e prima de la persecuzione che fu fatta dall’imperatore ai cristiani; appresso delli eretici che si levonno ne la ditta Chiesa. Dice così: Non scese mai con sì veloce moto Foco di spessa nube; ecco che arreca la similitudine del lampo, che discende velocemente da li nuvuli quando sono bene spessi, quando piove: imperò che allora solliono venire, Da quil confine; cioè da quella altessa dell’aire, che più è rimoto; cioè che è più su; e questo non può essere più su, che a principio de la tersa regione dell’aire: di questa materia è stato detto di sopra, però la passo, Com’io senti’; ecco che adatta la similitudine, dicendo come io Dante, senti’ calar l’uccel di Giove; questo uccello è l’aquila: imperò che li Poeti fingeno che l’aquila sia consecrata a Iove, perchè in specie d’aquila rapitte Ganimede; e per questa aquila intende ora l’autore la potenzia imperiale: imperò che l’aquila è la insegna de lo imperio: imperò che come l’aquila vola sopra tutti li uccelli e li animali bruti; così lo imperio dè essere sopra tutte le signorie del mondo. E per questo calare dell’aquila in sul carro e ferire lo carro intende la persecuzione che feceno l’imperadori a la santa Chiesa et ai cristiani, come appare ne le croniche infine al tempo di Costantino. Le persecuzioni fatte a la santa Chiesa dall’imperadori comincionno prima da Nerone, possa da Domiziano funno seguitate, e la tersa fu fatta da li officiali di Traiano, e la quarta nel tempo d’Adriano, e