<dc:title> Come andò a finire il Pulcino </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ida Baccini</dc:creator><dc:date>1902</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Come_and%C3%B2_a_finire_il_Pulcino/La_storia_di_Gigino&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20180304172521</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Come_and%C3%B2_a_finire_il_Pulcino/La_storia_di_Gigino&oldid=-20180304172521
Come andò a finire il Pulcino - La storia di Gigino Ida BacciniBaccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu
[p. 148modifica]Seppi clie si chiamava Gigino, e che aveva
ricevuto dai suoi genitori una buona educazione.
A farla corta, gli chiesi la sua storia, ed
ecco quello che mi raccontò.
IV.
La storia di Gigino.
Me ne ricordo ancora. Fu una bella domenica di Maggio, che il babbo mi détte la prima
lezione di volo.
Avevo appena levato il capino dall’ala e
già tendevo il becco alla mamma, affinchè
essa, per vecchia consuetudine, vi lasciasse
cadere qualche bacherozzolino o un minuzzolo di pane, quando il babbo, aprendosi un
varco fra le fitte rame del mandorlo ov’ eravamo domiciliati, mi disse con un po’ di severità nella voce:
— Animo, Gigi, bisogna finirla una buona
volta coi daddoli e le bambinate. È tempo d [p. 149modifica]i
— 149 —
lasciare in pace la mamma e d’imparare a
volare e a mangiare da sè....
— Il mangiare non mi resta difficile; — balbettai con le lacrime agli occhi — sono parecchi giorni che acchiappo moscerini e vermiciattoli; ieri mi ingegnai perfino di dare una
beccata a una vespa; ma se non son lesto a
far cilecca, mi buca un occhio!
— Queste notizie mi fanno molto piacere.
Io amo i passerottini coraggiosi, che hanno
voglia di lavorare e di farsi uno stato! Con
le vespe però non sarà male aver prudenza!
— È quel che gli vado predicando anch’io,
— disse svolazzando la mamma, fìngendo di
accudire a certe sue faccenduole, ma in sostanza tutta intenta a non perdere una sola
parola della nostra conversazione.
— Bene, bene!... Purché non si cada nel-
1’ eccesso opposto, cioè nella vigliaccheria. B
per non caderci, cominciamo subito stamani
la nostra prima lezioncina di volo. Guarda,
(ìigino, quel pèsco accanto al nostro albero.
— Scusa; — interruppe mia madre volgendosi al babbo — ma non ti pare che Gigino
11 — BàCCINI, Memorie d’un Pulcino, ecc.
— 150 — [p. 150modifica]sia ancora troppo piccolo per tentare il volo?
Cammina ancora con le gambine ripiegate, e
non vorrei....
— Volare è tutt’altra cosa che camminare;
— interruppe papà — e se noi maschi dovessimo dar retta a tutte le sm orti ette di voialtre
passerotte, guai! A te Gigino! Apri le ali,
pèsco vicino, su cui spiccavo come una piccola palla di velluto grigio.
— Pi, pi ! — feci alla mamma per assicurarla.
— Pi, pi, pi ! — rispose lei vivamente, e me
la vidi accanto.
spingi il petto per
aria, e tieni il capino ritto. Animo!
Una, due, tre! —
Io, che in fondo morivo di voglia
di tentare l’ignoto,
non mi feci ripeter
due volte l’ordine, e
dadi! in meno di
un secondo fui [p. 151modifica]sul
— 151 —
— Bravo! — disse il babbo. — Domani ci
spingeremo sul tetto di quel palazzo.... —
La mamma nascose per alcuni minuti il
nipo nel rovescio dell’ala sinistra, quasi che
hi molestasse il prurito di qualche insetto. Ma
io mi avvidi che piangeva. Anche papà se
n’ accòrse.
— Moglie mia, — le disse amorevolmente
- bisogna farsi un po’ di coraggio. Voi sapete
meglio di me che i figliuoli non li facciamo
per noi, e che essi pure sono destinati a vagar
pel mondo, a farsi uno stato, un nido, una
famiglia! Domani Gigino volerà su quel tetto,
<lai quale più tardi, è presumibile che si spingerà su tutti gli alberi delle Cascine e forse
più lontano! E non abbiamo forse fatto lo
stesso anche noi, amica mia? Coraggio, cara!
La natura vuol così, e noi dobbiamo piegar la
l està ai suoi voleri !
— Pio ! — rispose la mamma singhiozzando ;
i I che voleva dire : « Avete ragione ! »
— 152 — [p. 152modifica]Dopo pochi momenti, la mamma ed io eravamo di nuovo sul mandorlo. Papà era andato a presiedere un’ adunanza della Società
contro la Caccia, che contava a quel che avevo
sentito dire, molti e cospicui aderenti, merli,
tordi, allodole, frusoni, pettirossi, cardellini e passerotti.
La mamma profittò della circostanza per darmi molti
e savi consigli.
— Domani, dunque, — mi disse con
tòno che voleva parere solenne e non era che triste — andrai sul
tetto del Palazzo del Ee.... e forse non tornerai
più a casa!
— Oh, mamma!
— Non protestare, caro, non dirmi che è
impossibile, che non lo faresti mai; che ti
— [p. 153modifica]153 —
scoppierebbe il cuore lontano da me. Tu ora
parli in buona fede: ma io ho l’esperienza
dei fatti e dell’età, caro Gigino, e so bene
che i figliuoli, una volta preso il volo, non
tornano più !... Perchè tu non sai che cos’ è
il volo, Gigino ! Tu non sai che dolcezza squisita sia il fender l’aria purissima, il sentirsi
inondati di sole, il vagheggiar dall’alto tanto
sorriso di verde e di fiori! Tu non sai....
— Ma le fucilate, mamma!
— Bimbo mio, la vita è così ! Accanto alla
gioia il pericolo, accanto alla fiorente giovinezza la morte !
— Ma allora sarebbe meglio restar sul mandorlo, mamma!
— No! no! Iddio ci ha creati pel volo e
pel canto. Bisogna seguire il nostro destino.
Su, via, non mi togliere il poco coraggio che
mi rimane. Senti, piuttosto: noi, dopo domani,
non ci rivedremo forse più !...
— Ma perchè? Non potresti seguirmi tu e
il babbo? Avete delle ali robuste lui e te! —
La mamma abbassò i suoi begli occhiolini
neri, e disse soavemente:
— 154 —
— Caro [p. 154modifica]Gigino, io sono per diventare nuovamente madre: il nido è pronto, e, naturalmente, debbo le mie cure ai nuovi piccini.
Con qual cuore potrei abbandonarli ?
— È giusta, — risposi pensoso, ma in fondo abbastanza stizzito coi futuri fratellini, che
in certo qual modo si frapponevano fra me e
la mamma.
— Però senti, — diss’ ella baciandomi — me
lo vedi questo ciuffettino di penne rossicce,
qui sotto l’ala destra 1
— Lo vedo, ebbene ?
— Questo segnale ti servirà a riconoscer
la mamma nel giorno del dolore.
— Ma dove ti troverò?
— Se non avvengono guai, ho intenzione
di finir la mia vita qui, su gli alberi delle Cascine. È un luogo ombroso, dove noi uccelli
non corriamo pericolo e dove possiamo prender delle eccellenti lezioni di musica il giovedì
e la domenica....
— Grazie, mamma.
— E ora basti su questo argomento: voglio
che papà, tornando, ci trovi allegri. Su, aiu— 155 — [p. 155modifica]tami a mettere insieme un boccon da mangiare. Là ci sono alcune formieoi one e tre o
quattro semi. Ne faremo un eccellente fri-
candò....
Il babbo tornò verso il tocco, e desinammo
di buonissimo appetito. Io mi sforzavo d’essere allegro, di uscir fuori con qualche barzelletta, ma tanto il babbo che la mamma
erano preoccupati.
— E così, che cosa avete deliberato ! — domandò quest’ultima. — In qual modo vi opporrete alla caccia?
— Benedette uccelline ! Fate delle domande
proprio.... primitive. Noi non possiamo opporci
alla caccia, ma tentare ogni mezzo per sfuggire alle fucilate. Primo fra questi, è quello
di avvezzarci a volare sempre più in alto, in
modo da sfuggire allo sguardo umano. La nostra società intende perciò di aprire alcune
scuole di volo.
— Ma inalzandovi molto per aria vi sco [p. 156modifica]— 156 —
sterete troppo dall’abitato e 11011 potrete beccarvi i frutti.
— Ci adatteremo alle mosche, alle zanzare
e alle farfalle.... Ad ogni modo chi vivrà v^-
drà! —
Il desinare finì tristamente. La mamma si
mise in cerca di pagliuzze e di fili di lana per
render sempre più comodo il nuovo nido, il
babbo andò a sentir la musica sul Piazzale
del Ee, ed io rimasi solo coi miei timori e le
mie speranze.
Bisognava rinunziare a ogni cosa più caramente diletta, non c’era rimedio. Povero nido
natio, povera buona mamma !
Pensando al grande avvenimento che si
stava maturando pel giorno dopo, volli che
esso non mi cogliesse alla sprovvista; e chiamato a raccolta il mio coraggio, mi détti a
svolazzare qua e là, avendo cura che i miei
voli avessero una durata sempre maggiore.
Che dirvi, lettori ì Giunto a sera, io avrei
potuto gareggiare in velocità con un passerotto
di un anno.
— [p. 157modifica]157 —
Campassi la vita di Matusalemme (se, come spero, mi farete l’onore di leggermi da
cima a fondo, non vi mera vigilerete della mia
erudizione storica) io non dimenticherò mai il
25 maggio dell’anno vattelapesca.
Mi svegliai di buon mattino, in mezzo ai
gorgheggi dei miei genitori e di due lodole,
amiche di casa, che erano venute a darmi il
mirallegro e molti e savi consigli che riassumo
in poche parole: tenersi sempre in alto; non
prendere mai indigestioni di frutta, di sugo
di ciliege che muta un dignitoso passerottino
in un volgare ubriaco; rispettare gli uccelli
superiori in grado e in dottrina; non fidarsi
delle rondini e star sempre a rispettosa distanza dai gatti e lontani dai ragazzi che bruciano le lezioni per andare a dar la scalata
ai nidi.
— E che ne fanno, dei nidi? — domandai
stupefatto.
— [p. 158modifica]158 —
— Ohe ne fanno ? Rubano gli uccellini e li
portano a casa, dove li rinchiudono in una prigione strettissima a grosse inferriate, e dove
acqua e cibo son misurati.
— Orrore!... — esclamai indignato.
— Aspetta a fremere ! — incalzò la signora
Pinolini, la maggiore delle due lodole. — Se
ti dicessi che i ragazzi si divertono a spennar
vivi i poveri uccelletti, ad accecarli con un
ferro rovente e spesso a ucciderli !
— Ma sono birbonate codeste! — proruppi.
— O non ci sono leggi che puniscano simili
delitti !
— Le leggi ì — disse la signora Panichi, la
lodolina più giovane. — Le leggi, bambino mio,
sono fatte dagli uomini, e gli uomini adorano....
l’arrosto di uccelli.
— Capisco ! — risposi fulminato.
Nessuno osò di aggiunger parola.
Desinai in famiglia per l’ultima volta e,
poco dopo, scambiato un tenero ba [p. 159modifica]cio coi
— 159 —
miei genitori, stesi le ali, mi raccomandai a
Dio, e in meno che si dice fui sul tetto del
Palazzo del Ee.
Doveva esser quello, pel momento, il mio
domicilio, e io, per non cedere al dolore che
mi serrava la gola come in una morsa di ferro,
mi messi subito in cerca di un tegolo protettore. ISTe trovai presto uno comodo e verdeggiante di una curiosa erbolina, che mi rallegrò
gli occhi e il cuore.
Oh, che cosa è il verde per noialtri uccellini !
Il sole scendeva all’orizzonte, e un venticello soave, carico del profumo di mille fiori,
faceva tremolar dolcemente le foglioline ancor tenere degli alberi. Giù nei viali era un
vero via vai di persone e di carrozze eleganti,
dove stavano sdraiate, più che sedute, delle
belle signore in ricche acconciature chiare.
Ohe leggiadri visini inghirlandati di v [p. 160modifica]eli, di
— 160 —
trine e di ricci biondi e bruni! Molti cavalieri
trottavano vicino alle carrozze, dispensando
-, 4.»
scappellate a destra e a sinistra. A un tratto,
in fondo a un cerchio di leggìi, sorretti da altrettanti pali, si riunirono parecchi uomini vestiti in un modo differente dagli altri, e che
poi seppi esser bandisti. Posarono delle carte
sui leggìi, accostarono alla bocca dei curiosi
strumenti, e cominciarono a fischiare.... volevo
dire a suouare un’aria malinconica, che mi
avrebbe fatto piangere se non ne fossi rimasto
incantat [p. 161modifica]o.
— 161 —
In quella bella musica c’erano tutti i sentimenti che in quella sera facevano strazio del
mio povero cuoricino.... il dolore della separazione e l’addio alla mamma, la trepidazione al nuovo stato, l’amarezza della solitudine, le speranze di un migliore avvenire....
Come mi parevano bravi quegli uomini che
sapevano infonder nell’anima mia tanta dolcezza! E mi parve impossibile che componendo, eseguendo o ascoltando una musica
tanto soave, essi potessero avere il coraggio
di rinchiudere gli uccellini in gabbia, e quello,
ben più atroce, di ucciderli e di mangiarli
arrostiti !...
— Ah, sono pur birbanti! — esclamai concitato.
— Ohi? — sussurrò accanto a me una vo-
cetta simpatica. Mi voltai vivamente e mi vidi
davanti un passerotto d’una certa età, che mi
guardava fìsso fisso con i suoi occhini lucidi
e neri. Salutai inchinandomi. Ed egli gentilmente :
— Mi abbia per scusato se così bruscamente
ho interrotto il filo delle sue riflessioni. [p. 162modifica]Ma da
— 162 —
buon vicino (io abito il tegolo accanto al suo)
mi sapeva male di vederlo così esaltato. Con
chi l’ha? Se i miei deboli servigi hanno per
lei qualche valore....
— Grazie, grazie, vicino mio; — interruppi
tutto contento — sono ben lieto di far la sua
conoscenza; da oggi solamente mi sono separato dalla mia famiglia.
— Oh poveretto ! La compatisco, chè a co-
desto dolore mi ci ritrovai anch’io, due anni
sono. Ma spero che il tempo farà l’opera sua
e che ella giungerà a dimenticare....
— La mamma ? Mai !
— Ha ragione. Dio la mantenga con codesti buoni sentimenti. Gli affetti della famiglia
sono i più sacri. Io che ho moglie e figli....
— Ah, mi rallegro! —
Il passerotto si spollinò in atto di compiacenza e tornò a domandarmi:
— Dunque con chi l’aveva poco fa?
— Con gli uomini.
— O che le hanno fatto ? Ella è così giovane !
— A me personalmente, nulla. Ma ai nostri
compagni !
— 163 —
— [p. 163modifica] Condivido la sua nobile indignazione.
Ma clie vuol farci! Il mondo è sempre andato
così e bisogna rassegnatisi. A far gli uccellini-
rivoluzione, creda a me, ci si rimette tempo e
penne. Meglio è aspettare serenamente il proprio destino, qualunque esso sia. Stiamo paghi
ai dolci affetti della famiglia, difendiamoci in
quel modo e in quella misura che la natura
ci concede e non ci inaspriamo l’animo ad
odiare. Del resto, — aggiunse con malizia —
noi non siamo migliori degli uomini.
— Come ! — esclamai meravigliato.
— Le dirò: ha mai veduto, lei, suo padre
e sua madre nutrirsi di farfalle, di mosche, di
bacherozzoli ?
— Certamente ! È quello, si può dire, il loro
cibo quotidiano.
— Ebbene, caro signor....
— Gigino, ai suoi comandi.
— Ebbene, signor Gigino, non pensa, non
riflette lei che quei bacherozzoli, quelle mosche,
quelle farfalle hanno esse pure le loro mamme,
le loro famiglie, le loro uova ?
— Così piccole creatur [p. 164modifica]e?
— 164 —
— E che siamo noi, paragonati all’uomo ?
Accetti, signor Gigino, la legge universale, e
dia un indirizzo più lieto ai suoi pensieri. A
proposito: siccome domani è il giorno dell’Ascensione, le piacerebbe di scender fra poco
a terra con me, ad assistere ai lamenti e agli
sgomberi dei grilli?
— Sarebbe a dire? — domandai stupefatto.
— Sappia che a Firenze c’è un uso curioso.
La mattina dell’Ascensione vengono alle Cascine numerose comitive di ragazzi, di giovani
e di fanciulle per dar la caccia ai grilli....
— E che ne fanno ?
— Li rinchiudono in una gabbia.
— Eppoi ?
— Se li portano a casa per sentirli, cantare,
durante la notte. Badi, ho detto cantare per
modo di dire, perchè i grilli non cantano.
— Non mi negherà che anche questa sia
un’ infamia degli uomini ! Toglier quelle innocenti bestiole a’ loro prati, imprigionarle e dilettarsi de’ loro lamenti.
— Non le nego nulla. Ma io sono, e se ne
convincerà in seguito, un uccellino filosofo.
— 165 —
— Cioè ?
— Prendo [p. 165modifica]le cose come sono e non come
le vorrei !
— Ah!... —
Rimasi colpito da quella profonda osservazione.
— E che ha inteso dire con gli sgomberi e
i lamenti dei grilli ?
— Oh! È chiaro. Molte famiglie si mettono
in salvo. Altre, e son quelle dove abbondano
malati e bambini, rimangono a piangere. Vuole
scendere ? —
Non me lo feci ripeter due volte, e in men
che si dice fui sul Piazzale grande delle Cascine.
I
La musica seguitava, sempre dolce e vibrante; e il sole scendeva sempre più in fondo
all’orizzonte, in una gloria di raggi e di nuvoli ne rosee.
li! — Baccini, Memorie d’un Pulcino, ecc.
— 166 — [p. 166modifica]&
Il posare le mie zampettine un po’ stanche
sull’erba molle del gran prato delle Cascine,
mi procurò una soave sensazione di refrigerio e fu con molta compostezza che salutai
un grosso grillo,
nero come la pece,
che rimorchiava
due piccini, esortandoli a camminare.
— Buona sera,
Tripolini, — gli disse il mio nuovo amico Pio, fermandolo.
Tripolini fece un cenno ai figliuoli e rese
con molto garbo il saluto.
— Siamo di partenza, eh? — gli domandò Pio.
— Per forza — rispose il grillo. — Domattina all’alba le Cascine sono gremite di persone senza pietà nè misericordia: e se non ci
mettiamo in salvo ora....
— 167 —
— Permett [p. 167modifica]imi — mi disse Pio — di presentarti il signor Tripolini, insetto molto noto
per la sua bella voce. Egli ha dato degli splendidi concerti.
— Il signore ha la gola fatta come noi ! —
gli domandai molto stupito di quegli elogi,
che, a dir vero, mi parevano poco giustificati.
— Oh, no! — rispose il grillo con alterezza
— noi saltatori....
— Ha detto f
— Saltatori: nome della mia famiglia, una
famiglia antichissima, signore.
— Uè sono persuaso....
— Noi abbiamo parenti altolocati in Spagna e in Barberia.
— Lo credo !
— Tornando al discorso, le dicevo che noi
grilli produciamo il canto per mezzo dello
sfregamento delle nostre elitre. Una cosa ma-
ravigliosa. A nostro confronto gli usignoli si
possono rimpiattare....
— Ti mancheranno molte cose, amico grillo ;
— dissi fra me — ma la superbia non ti manca
di sicuro !
— 168 —
— Gli [p. 168modifica]usignoli lasciamoli stare, - disse
Pio con bonomia — e parliamo di te, invece,
caro esule. Dove conti di stabilirti?
— Ho adocchiato da qualche giorno un
grosso buco vicino al Tiro al bersaglio; ci
sono già alcuni amici che mi aspettano.
— E ti tratterrai?
— Una quindicina di giorni almeno: tanto
per dare il tempo a questi buffoni di non aver
più la testa ai grilli.
— Benissimo detto — rispose Pio sorridendo.
Oi salutammo e tirammo avanti.
— Sono degne di fede tutte le grandezzate
con cui ci ha sbalordito or ora? — domandai
a Pio. — Ed è proprio vero che egli abbia
dato dei concerti?
— Sì, ma dei concerti grilleschi, sull’ eterno
motivo del cri-cri, in mezzo a una folla composta di bachi, di formiche e di centogambe.
In quanto alla parentela, non ha detto bugie.
Figuratevi che in Barberia egli ha dei parenti, i quali portano sulla testa una specie
di velo. [p. 169modifica]Niente meno!
— Sono anche così grossi, che gli uomini
di quei paesi li arrostiscono, e li considerano
come un cibo eccellente.
— Oh ! Quando si tratta di uomini, nessuna
cosa ornai può maravigliarmi!...
— Tanto meglio : proverai meno disillusioni. Camminiamo.
— Ohimè, Pio ! Che cos’ è quello splendore
laggiù in fondo? B di dove vengono quei ver-
sacci ?
— Non aver paura. Siamo vicino a un bozzo
(P acqua stagnante, e questi gridi vengono dalle
rane che vi si trovano.
— Dalle rane ! Ohimè ! E che cosa sono le
rane ? come fanno a viver nell’ acqua ?
Press’a poco come facciamo noi a viver
nell’ aria....
— Hanno le ali?
— A che cosa servirebbero loro ? Sta’ attento e aguzza bene i tuoi occhietti: eccone
una che esce saltellando dall’acqua!
— Oh Dio, che brutta, che orribile bestia!
Voliamo via!
— [p. 170modifica]Sicuro, non è bellina come noi, ma non
c’è ragione di fuggirla. Non dà noia!
— Ohe occhi spaventosi!
— Io le conosco bene, queste bestie. Da
più di tre anni che sono al mondo ho avuto
campo di vedere molte cose. Non nascono mica
da un uovo come noi!
— Ah, ah, no ! E in qual modo ?
— Senti, veh : una volta io avevo l’abitudine di andare a beccare sull’orlo di un rigagnolo : e mi détte nell’ occhio un formicolìo
di bestioline nere, somiglianti a piccoli pesci,
che stavano ferme ferme, come se qualcuno
— [p. 171modifica]171 —
le avesse attaccate ai sassolini del rigagnolo;
tua un giorno che due ragazzi tuffarono le
mani nell’acqua, queste bestioline guizzarono
via leste leste, e sparirono nel fondo. « Sono
girini » disse uno dei ragazzi al suo compagno. « Cioè? » — « Eane bambine: vedi! non
hanno zampe e son provviste di una certa
codetta... ; ma a poco a poco mutano forma :
dapprima appare un paio di zampine; poi l’altre: in seguito la coda si accorcia, scompare....
e il girino è diventato una rana. »
— Gli uomini le avranno in orrore, queste
bestie ?
— Tutt’ altro, caro. Le mangiano fritte e
le fanno servire, passate per i staccio, a render
più saporite le zuppe di magro.... Ma l’ora si
fa tarda, Gigino. Domani lo scampanìo del-
l’Ascensione e la folla che viene alle Cascine
per snidare il grillo ci sveglieranno più presto
del solito. È meglio tornare al nostro tetto. —
Stentai a prender sonno, tanto il pensiero
della mamma mi stringeva il cuore. Ma finalmente, dopo molti svolazzi e scossoni, misi il
capino nell’ala e mi addormentai. [p. 172modifica]— 172 —
La mattina dopo.... oh, ma se invece che
a te, buon Oocò, raccontassi la mia storia a
dei bambini, vorrei domandar loro: — Amici,
a che ora vi levate la mattina? Se vi piacesse
il calduccino del letto e vi alzaste quando il
sole è già alto sull’ orizzonte, come vi compiangerei. Di qual bello spettacolo vi privereste! So che ci sono teatri con effetti di luce
elettrica, vedute di monti, di laghi e di strade
messe insieme a furia di cartone.e di tinte....
fi so anche che la gente corre a veder tutta
quella finzione e ne resta abbagliata e batte
lo mani per applaudirne l’autore!
Ma qual veduta, «piale spettacolo gareggia in bellezza con quello che ogni mattina
ci offre il buon Dio! La campagna verde, stillante di rugiada, i fiori odorosi che si schiudono a poco a poco sotto la carezza della
luce, il cielo che di turchino cupo si va man
mano tingendo di rosa, di giallo, d’oro e diventa tutto una fiamma all’apparire del sole; i
monti boscosi, i fiumi, i laghi trasparenti e,
— 173 — [p. 173modifica]quasi ciò non bastasse, gli innumerevoli fruscii
degl’insetti, il canto di tutti gli uccellini, tutto
questo non vale il cartonaggio dei teatri? e
non varrebbe la pena di applaudirne l’autore?
Ma gli uomini (e i bambini che cosa non
son mai se non uomini in piccolo?) sono una
razza buffa, piena di contradizioni una più
strana dell’altra.
»
Hanno appena uno sguardo d’indifferenza
per una collina tutta lauri e vigneti e vanno
in deliquio a veder dipinto un albero sopra
un pezzo di tela: il cielo si popola ogni sera
di stelle scintillanti, ognuna delle quali, a quel
che ho sentito dire, è una meraviglia; ebbene,
gli uomini non si voltano neanche in su, e
corrono invece a pigiarsi su una piazza se
un fochista incendia dei razzi, dei palloncini
colorati o delle girandole che splendono un
momento e si risolvono in fumo puzzolente.
Trattano dall’alto in basso un povero diavolo che abbia fatto fruttificare un terreno incolto, ricoprendolo di erbe e di mèssi, gli
danno del tu, Io fanno desinare in cucina,
mentre chiamano professore, maestro e ca¬