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predica trigesimasettima 191


xij cap.: Numquid avis discolor haereditas mea mihi. O anima mia, ricomprata da me, debbi tu èssare ucello di vari colori! Come vari tanto te medesima, che dovaresti essare tutta pura! Doh, udiste mai dire d’una cornachia che si vestì una volta d’ogni penna? Oh, ella era tanto bella, era cangiacolore! Sai che ne intervenne? Che ogni ucello se le posero d’intorno, e ognuno si tolse la sua penna, e così rimase spennazzata. A proposito. O donna che porti tante cose non tue, se egli ritornasse la lana di che tu vesti a le pecore, e la seta tornasse a’ vermili che la fecero, e i capelli che tu porti, tornassero a coloro che so’ morti, di cui furono, e’ crini che tu adopari, tornassero a’ cavalli; se ogni cosa che tu hai tolta per tuo adornamento, tornasse al principio, oh, tu rimarresti spennachiata, tu non àresti tanti lilli e tanti imbratti quanti tu n’hai, e non faresti tanti pecati quanti tu fai!

El terzo segno di pecato si chiama suavità. Questo peccato si vede quasi in genere, che non è niuna che non cerchi d’avere i più gentigli panni che si possono trovare. Oh, e’ sarà che darà venticinque lire al marito di dota, e vorrà il rosado! Oh, quanto è da biasimare! Già io stimai in una casa, che valevano più tre vestimenti che ella aveva alla finestra, che non valevano tutte l’altre cose che v’erano per casa. Parti da lodare, eh? Non è niuna tanto da poco, che non voglia lo scarlatto e ’l pavonazzo e ’l rosado. Or ponete mente, che voi trovarete che i contadini vorranno anco gli scarlatti. Egli m’è stato detto. Donna, anco t’amonisco che tu non porti più seta, ma io ho inteso che egli la porta ora l’uomo. Oimmè, che voi non pensate a molte cose che voi dovareste! Che credete che facci ora il diavolo? Egli ha ato uno botto a’ vostri vestiri di quelli grandi. Vuoi ve-