Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 43

Canto 43

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Canto 42 Canto 44

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CANTO XLIII



 [1]

O
Eſecrabile Auaritia, o ingorda

     Fame d’hauer, io non mi marauiglio
     Ch’ad alma vile e d’altre macchie lorda
     Si facilméte dar poſſi di piglio,
     Ma che meni legato in vna corda
     E che tu impiaghi del medeſmo artiglio
     Alcun che per altezza era d’ingegno
     Se te ſchiuar potea, d’ogni honor degno

 [2]
Alcun la terra, e’l mare, e’l ciel miſura
     E render fa tutte le cauſe a pieno
     D’ogni opra, d’ogni effetto di Natura:
     E poggia ſi ch’a Dio riguarda in ſeno,
     E no può hauer piū ferma e maggior cura
     Morſo dal tuo mortiſero veleno,
     Ch’unir theſoro, e qſto ſol gli preme
     E ponui ogni ſalute: ogni ſua ſpeme.

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 [3]
Rompe eſerciti alcuno, e ne le porte
     Si vede entrar di bellicoſe terre,
     Et eſſer primo a porre il petto ſorte
     Vltimo a trarre in periglioſe guerre,
     E non può riparar che ſino a morte
     Tu nel tuo cieco carcere noi ſerre,
     Altri d’ altre arti e d’ altri ſtudi induſtri
     Oſcuri fai: che farian chiari e illuſtri,

 [4]
Che d’alcune diro belle e gran donne?
     Ch’a bellezza, a virtú de ſidi amanti,
     A lunga ſeruitu, piú che colonne
     Io veggo dure immobili e cúſtanti ?
     Veggo venir poi l’Auaritia, e ponne
     Far ſi, che par che ſubito le incanti
     In va di, ſenza amor (chi ſia chel creda?
     A uvecchio, a u brutto, a u moſtro le da i pda

 [5]
Non e ſenza cagion s’ io me ne doglio
     Intendami chi può che m’intèd’ io:
     Ne perho di propoſito mi toglio
     Ne la materia del mio canto oblio,
     Ma nò piú a ql e’ ho detto adattar voglio
     Ch’a ql ch’io v’ho da dire, il parlar mio:
     Ho torniamo a contar del Paladino
     Ch’ad aſſaggiare il vaſo ſu vicino.

 [6]
Io vi dicea ch’alquanto penſar volle
     Prima ch’a i labri il vaſo s’appreffaffe:
     Péſo, e poi diſſe ben farebbe, ſolle
     Chi quel che non vorria trouar cercaſſe,
     Mia dona e dona, & ogni donna e molle
     Laſcian ſtar mia credenza come ſtaffe:
     Sin q m’ha il creder mio giouato e gioua
     Che poffio megliorar per farne proua?

 [7]
Potria poco giouare e nuocer molto
     Che’l tetar qualche volta Idio diſdegna
     Non ſo s’ in qſto io mi ſia faggio o ſtolto
     Ma non vo piú ſaper che mi conuegna,
     Hor queſto vin dinázi mi ſia tolto
     Sete nò n’ho ne vo che me ne vegna:
     Che tal certezza ha Dio piú prohibita
     Ch’ai primo padre l’arbor de la vita.

 [8]
Che come Ada poi che guſto del pomo
     Che Dio co propria bocca gl’interdiſſe:
     Da la Ietitia al pianto fece vn tomo
     Onde in miſeria poi Tempre s’ affliſſe,
     Coli ſé de la moglie ſua vuol l’huomo
     Tutto ſaper quanto ella fece e diſſe,
     Cade de l’allegrezze in pianti e in guai
     Onde no può piú rileuarſi mai.

 [9]
Coſi dicendo il buon Rinaldo, e in tanto
     Reſpingendo da ſé l’odiato vaſe:
     Vide abondare vn gran riuo di pianto
     Da gliocchi del Signor di quelle caſe,
     Che diſſe poi che racchetoſſi alquanto:
     Sia maledetto chi mi perſuaſe
     Ch’io faceſſe la proua ohimè di ſorte
     Che mi leuo la dolce mia conſorte.

 [10]
Perche no ti conobbi giá dieci anni?
     Si che io mi ſoſſi còſigliato teco?
     Prima che cominciaſſero gli affanni
     E’l lungo pianto onde io ſon quaſi cieco,
     Ma vo leuarti da la ſcena i panni
     Ch’I mio mal vegghi e te ne dogli meco
     E ti diro il principio e l’argumento
     Del mio non còparabile tormento.

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 [11]
Qua ſu laſciaſti vna citta vicina
     A cui fa intorno vn chiaro fiume laco,
     Che poi ſi ſtende e in qſto Po declina
     E l’origine ſua vien di Benaco.
     Fu fatta la citta, quando a ruina
     Le mura andar de l’Agenoreo draco
     Quiui nacque io di ſtirpe assai gentile
     Ma in pouer tetto e in facultade humile.

 [12]
Se Fortuna di me non hebbe cura
     Si che mi deſſe al naſcer mio ricchezza,
     Al diffetto di lei ſuppli Natura
     Ch fopra ogni mio vgual mi die bellezza
     Donne e donzelle giá di mia ſigura
     Arder piú d’una vidi in giouanezza,
     Ch’io ci ſeppi accoppiar corteſi modi
     Be che ſtia mal ch l’huom ſé ſteffo lodi.

 [13]
Ne la noſtra cittade era vn’ huom faggio
     Di tutte l’arti oltre ogni creder dotto,
     Ch qn chiuſe gliocchi al phebeo raggio
     Contaua glianni ſuoi cento e vent’otto:
     Viſſe tutta ſua etá ſolo e ſeluaggio
     Se non l’eſtrema: che d’amor condotto
     Con premio ottenne vna matrona bella
     E n’ hebbe di naſcoſto vna cittella.

 [14]
E per vietar che ſimil la ſigliuola
     Alla matre no ſia, che per mercede
     Vende ſua caſtita, che valea ſola
     Piú che quato oro al mondo ſi poſſiede.
     Fuor del cOmercio popular la inuola
     Et oue piú ſolingo il luogo vede
     Queſto ampio e bel palagio e ricco tato
     Fece fare a demonii per incanto.

 [15]
A vecchie dóne e caſte ſé nutrire
     La ſiglia qui, ch’in gran beltá poi véne:
     Ne ch poteſſe altr’ huom veder: ne vdir
     Pur ragionarne: in quella etá foſtène,
     E pere’ haueſſe eſempio da ſeguire,
     Ogni pudica dona che mai tenne
     Cétra illicito amor chiuſe le ſbarre,
     Ci ſé d’ intaglio o di color ritrarre.

 [16]
Nò quelle ſol che di virtude amiche
     Hanno ſi il modo all’etá priſca adorno:
     Di quai la fama p l’hiſtorie antiche
     Nò e per veder mai l’ultimo giorno:
     Ma nel ſuturo anchora altre pudiche
     Che faran bella Italia d’ ogn’ intorno
     Ci ſé ritrarre in lor fatteze còte:
     Come otto che ne vedi a qſta ſonte.

 [17]
Poi che la ſiglia al vecchio par matura
     Si che ne poſſa l’huom cogliere i ſrutti,
     ſoſſe mia diſgratia: o mia auétura:
     Eletto ſui degno di lei ſra tutti,
     1 lati campi oltre alle belle mura
     No meno i peſcarecci che gli aſciutti
     Che ci ſon d’ ogn’ intorno a vèti miglia
     Mi cofegno per dote de la ſiglia.

 [18]
Ella era bella e coſtumata tanto
     Che piú deſiderar non ſi potea,
     Di bei trapunti e di riccami, quanto
     Mai ne ſapeſſe Pallade, ſapea
     Vedila andare: odine il ſuono e’l canto
     Celeſte e nò mortai coſa parea,
     E in modo all’arti liberali atteſe
     Che quato il padre o poco men n’intefe.

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 [19]
Con grande Igegno e nò minor bellezza
     (Che fatta l’hauria amabil fin’ a i faſſi)
     Era giúto vn’ amore vna dolcezza
     Che par ch’a rimèbrarne il cor mi paſſi,
     Nò hauea piú piacer ne piú vaghezza
     Ch d’effer meco: ou’io mi ſteffi o andaſſi,
     Senza hauer lite mai ſtemo gran pezzo
     l’hauémo poi per colpa mia da ſezzo.

 [20]
Morto il ſuocero mio dopo cinque anni
     Ch’ io ſottopoſi il collo al giugal nodo,
     No ſtero molto a cominciar gli affanni
     Ch’io ſento achora, e ti diro in ch modo,
     Métre mi richiudea tutto co i vanni
     l’Amor di queſta mia che ſi ti lodo,
     Vna femina nobil del paeſe
     Quanto accèder ſi può: di me s’ acceſe.

 [21]
Ella ſapea d’ incanti e di malie
     Quel che ſaper ne poſſa alcuna Maga,
     Rendea la notte chiara, oſcuro il die,
     Fermaua il Sol, facea la terra vaga,
     Nò potea trar perho le voglie mie
     Che le ſanaſſin l’amorofa piaga
     Col rimedio che dar nò le potria
     Senza alta ingiuria de la dona mia.

 [22]
Non perche foſſe assai gentile e bella,
     Ne perche fapefs’ io che ſi me amaſſi:
     Ne per gran don, ne per pmeſſe, ch’ella
     Mi feſſe molte: e di còtinuo inſtaffi:
     Ottener potè mai, ch’una ſiammella
     Per darla a lei del primo amor leuaſſi
     Ch’a dietro ne trahea tutte mie voglie
     Il conofeermi ſida la mia moglie.

 [23]
La ſpeme, la credenza, la certezza
     Che de la fede di mia moglie hauea
     M’hauria fatto ſprezzar quanta bellezza
     Haueſſe mai la giouane Ledea,
     O quanto oſſerto mai ſenno e ricchezza
     Fu al gran paſtor de la montagna Idea,
     Ma le repulſe mie no valean tanto
     Che poteſſon leuarmela da canto.

 [24]
Vn di che mi trouo ſuor del palagio
     La Maga, che nomata era Meliſſa,
     E mi potè parlare a ſuo grande agio,
     Modo trouo da por mia pace in riſſa:
     E co lo ſpron di geloſia maluagio
     Cacciar del cor la ſé che v’ era ſiſſa,
     Comincia a comédar la intention mia
     Ch’io ſia fedele a chi fedel mi ſia.

 [25]
Ma che ti ſia fedel tu non puoi dire
     Prima che di ſua Fé proua non vedi:
     S’ella non falle e che potria fallire
     Che ſia fedel che ſia pudica credi,
     Ma ſé mai ſenza te non la laſci ire:
     Se mai vedere altr’huom non le còciedi:
     Onde hai qſta baldanza che tu dica
     E mi vogli affermar che ſia pudica?

 [26]
Scortati vn poco: feoſtati da caſa
     Fa che le cittadi ondano e i villagi
     Che tu ſia andato e ch’ella ſia rimaſa:
     A gli amanti da comodo e a i meſſaggi:
     S’a prieghi a doni nò ſia perſuaſa
     Di fare al letto maritale oltraggi,
     E che facédol creda che ſi cele,
     Allhora dir potrai che ſia fedele.

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 [27]
Con tal parole e ſimili: non ceſſa
     l’incantatrice ſin che mi diſpone
     Che de la dona mia la fede eſpreffa
     Veder voglia e prouare a paragone:
     Hora pogniamo (le ſoggiungo) ch’effa
     Sia qual nò poſſo hauerne opinione:
     Come potrò di lei poi farmi certo
     Che ſia di punition degna o di merto?

 [28]
Diſſe Meliſſa io ti darò vn vaſello
     Fatto da ber: di virtú rara e ſtrana,
     Qual giá per fare accorto il ſuo fratello
     Del fallo di Geneura ſé Morgana,
     Chi la moglie ha pudica bee con qllo
     Ma nò vi può giá ber chi l’ha puttana,
     Che’l vin quado Io crede í bocca porre
     Tutto ſi ſparge: e ſuor nel petto ſcorre.

 [29]
Prima che parti ne farai la proua
     E per lo creder mio tu berai netto,
     Che credo ch’anchor netta ſi ritroua
     La moglie tua, pur ne vedrai l’effetto,
     Ma s’al ritorno eſperienza nuoua
     Poi ne farai: nò t’ aſſicuro il petto,
     Che ſé tu nò lo imolli: e netto bei
     D’ogni marito il piú felice fei.

 [30]
l’oſſerta accetto: il vaſo ella mi dona:
     Ne ſo la proua, e mi ſuccede a punto,
     Che (com’era il diſio) pudica e buona
     La cara moglie mia trouo a quel punto:
     Dice Meliſſa vn poco l’abbandona,
     Per vn meſe o per duo ſtanne disgiunto:
     Poi torna, poi di nuouo il vaſo tolli
     Proua ſé beui: o pur fe’l petto immolli.

 [31]
A me duro parea pur di partire
     Non perche di ſua Fé ſi dubitaſſi,
     Come ch’io nò potea duo di patire
     Ne vn’hora pur, che ſenza me reſtaffi,
     Diſſe Meliſſa io ti faro venire
     A conoſcere il ver con altri paſſi
     Vo che muti il parlare e i veſtimenti
     E ſotto viſo altrui te l’apprefenti.

 [32]
Signor qui preſſo vna citta difende
     Il Po ſra minaccioſe e ſiere corna,
     La cui iuridition di qui ſi ſtende
     Fin doue il mar ſugge dal lito e torna,
     Cede d’antiquita, ma ben contede
     Con le vicine in eſſer ricca e adorna,
     Le reliquie Troiane la fondaro
     Che dal flagello d’Attila campare.

 [33]
Aſtringe e lenta a queſta terra il morſo
     Vn cauallier giouene ricco e bello:
     Ch dietro u giorno a u ſuo falcoe iſcorſo
     Eſſendo capitato entro il mio hoſtello
     Vide la donna, e ſi nel primo occorſo
     Gli piacq3, che nel cor porto il ſuggello,
     Ne ceffo molte pratice far poi
     Per inchinarla a i deſiderii ſuoi.

 [34]
Ella gli fece dar tante repulſe
     Che piú tètarla al ſine egli non volſe,
     Ma la beltá di lei ch’Amor vi ſculſe
     Di memoria perno non ſé gli tolſe:
     Tato Meliſſa allofingommi e mulſe
     Ch’ a tor la ſorma di colui mi volſe,
     E mi muto (ne ſo ben dirti come)
     Di faccia di parlar d’occhi e di chiome.

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 [35]
Giá con mia moglie hauedo ſimulato
     D’ eſſer partito e gitone in Leuante,
     Nel giouene amator coſi mutato
     L’andar la voce l’habito e’l ſembiaute,
     Me ne ritorno, & ho Melitta a lato
     Che ſera trasformata e parea vn fante:
     E le piú ricche geme hauea con lei
     Che mai madaffin gl’Indi o gli Erithrei

 [36]
Io che l’uſo ſapea del mio palagio
     Entro ſicuro, e vien Meliſſa meco,
     E madonna ritrouo a ſi grande agio
     Che non ha ne ſcudier ne dona ſeco,
     I miei prieghi le eſpògo, Idi il maluagio
     Stimulo inanzi del mal far le arreco
     I Rubini i Diamati e gli Smeraldi
     Che moſſo harebbon tutti i cor piú ſaldi

 [37]
E le dico che poco e queſto dono
     Verſo quel che ſperar da me douea,
     De la comoditá poi le ragiono
     Che nò v’ eſſendo il ſuo marito hauea,
     E le ricordo che gran tempo ſono
     Stato ſuo amante com’ella ſapea,
     E che l’amar mio lei con tanta fede
     Degno era hauer al ſin qualch mercede.

 [38]
Turboſſi nel principio ella nò poco,
     Diuène roſſa, & aſcoltar non volle:
     Ma il veder ſiameggiar poi come fuoco
     Le belle geme, il duro cor ſé molle,
     E co parlar riſpoſe breue e ſioco
     Quel che la vita a rimébrar mi tolle,
     Che mi cópiaceria quando credeſſe
     Ch’ altra perſona mai noi rifapeffe.

 [39]
Fu tal riſpoſta vn venenato telo
     Di che me ne ſenti l’alma traffiſſe,
     Per l’oſſa andomi e per le vene vn gielo,
     Ne le fauci reſto la voce ſiſſa,
     Leuando allhora del ſuo incanto il velo
     Ne la mia ſorma mi torno Meliſſa,
     Penſa di che color doueſſe farſi
     Ch’in tanto error da me vide trouarſi.

 [40]
Diuenimmo ambi di color di morte
     Mutti ambi, abi reſtia co gliocchi baffi,
     Potei la lingua a pena hauer ſi ſorte
     E tanta voce a pena ch’io gridaſſi,
     Me tradireſti dunq3 tu Coforte?
     Qn tu haueſſi chi’l mio honor copraſſi ?
     Altra riſpoſta darmi ella non puote
     Che di rigar di lachryme le gote.

 [41]
Bè la vergogna e assai, ma piú lo ſdegno
     Ch’ella ha da me veder farſi qlla onta,
     E multiplica ſi ſenza ritegno
     Ch’in ira al ſine e in crudele odio mota,
     Da me ſuggirſi toſto fa diſegno,
     E ne l’hora che’l Sol del carro ſmonta
     Al fiume corſe, e in vna ſua barchetta
     Si fa calar tutta la notte in fretta.

 [42]
E la matina s’ appreſenta auante
     Al cauallier che l’hauea vn tèpo amata,
     Sotto il cui viſo ſotto il cui ſembiante
     Fu cotra l’honor mio da me tentata,
     A lui che n’era ſtato & era amante
     Creder ſi può che ſu la giunta grata,
     Quindi ella mi ſé dir, ch’io no ſperaffi
     Che mai piú foſſe mia, ne piú m’amaffi.

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 [43]
Ah laſſo, da quel di con lui dimora
     In gran piacere, e di me prede giuoco,
     Et io del mal che procacciammi allhora
     Anchor languiſco, e no ritrouo loco:
     Creſce il mal ſempre, e giuſto e ch’io ne muora
     E reſta homai da 9fumarci poco,
     Bé credo che’l primo anno farei morto
     Se non mi daua aiuto vn ſol cóforto.

 [44]
Il còforto ch’io prendo e che di quanti
     Per dieci anni mai fur ſotto al mio tetto,
     (Ch’a tutti qſto vaſo ho meſſo inanti)
     No ne trouo vn ch no s’ imolli il petto,
     Hauer nel caſo mio còpagni tanti
     Mi da ſra tanto mal qualche diletto,
     Tu tra inſiniti ſol fei ſtato ſaggio
     Che far negaſti il periglioſo faggio.

 [45]
Il mio voler cercar oltre alla meta
     Che de la dona ſua cercar ſi deue
     Fa che mai piú trouare hora quieta
     No può la vita mia, ſia lunga o breue
     Di ciò Meliſſa ſu a principio lieta
     Ma ceffo toſto la ſua gioia lieue,
     Ch’eſſendo cauſa del mio mal ſtata ella
     Io l’odiai ſi, che non potea vedella.

 [46]
Ella d’effer’ odiata impatiente
     Da me che dicea amar piú che ſua vita,
     Oue donna reſtarne immantinète
     Creduto hauea che l’altra ne foſſe ita,
     Per non hauer ſua doglia ſi pſente
     Non tardo molto a far di qui partita:
     E in modo abbadono qſto paeſe
     Che dopo mai p me non ſé n’ inteſe.

 [47]
Coſi narraua il meſto caualliero
     E quando ſine alla ſua hiſtoria poſe
     Rinaldo alquanto ſte fopra pèſiero
     Da pietá vinto: e poi coſi riſpofe,
     Mal conſiglio ti die Melina in vero
     Che d’ attizar le veſpe ti propoſe,
     E tu fuſti a cercar poco auueduto
     Quel che tu haureſti non trouar voluto.

 [48]
Se d’auaritia la tua donna vinta
     A voler fede romperti ſu indutta
     Non t’ ammirar, ne prima ella ne quinta
     Fu de le donne pſe in ſi gran lutta,
     E méte via piú ſalda anchora e ſpinta
     Per minor prezzo a far coſa piú brutta,
     Quanti huomini odi tu che giá per oro
     Han traditi padroni e amici loro?

 [49]
Non doueui aſſalir con ſi ſiere armi
     Se bramaui veder farle difeſa:
     Non fai tu contra l’Oro che ne i marmi
     Ne’l duriſſimo acciar ſta alla conteſa?
     Che piú fallarti tu a tètarla parmi
     Di lei, che coſi toſto reſto preſa,
     Se te altretanto’ haueſſe ella tentato
     Non ſo ſé tu piú ſaldo ſoſſi ſtato.

 [50]
Qui Rinaldo ſé ſine, e da la menſa
     Leuoſſi a vn tèpo: e domando dormire,
     Che ripoſare vn poco, e poi ſi péſa
     Inanzi al di d’ unhora o due partire,
     Ha poco tempo, e’l poco e’ ha diſpèfa
     Co grS miſura, e in van noi laſcia gire,
     Il Signor di la détro, a ſuo piacere
     Diſſe che ſi potea porre a giacere.

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 [51]
Ch’ apparecchiata era la ſtanza e’l letto:
     Ma che ſé volea far per ſuo conſiglio
     Tutta notte dormir potria a diletto,
     E dormédo auanzarſi qualche miglio,
     Acconciar ti faro diſſe vn legnetto
     Co che volando: e fenz’ alcun periglio
     Tutta notte dormedo vo che vada:
     E vna giornata auanzi de la ſtrada.

 [52]
La proferta a Rinaldo accettar piacqj
     E molto ringratio l’hoſte corteſe:
     Poi ſenza indugio la doue ne l’acque
     Da nauiganti era aſpettato, ſcefe,
     Quiui a grande agio ripoſato giaccg
     Métre il corſo del fiume il legno preſe
     Che da fei remi ſpinto lieue e ſnello
     Pel fiume andò come p l’aria augello.

 [53]
Coſi toſto come hebbe il capo chino
     11 cauallier di Francia adormètoſſe,
     Importo hauèdo giá, come vicino
     Giungea a Ferrara, che ſuegliato foſſe:
     Reſto Melara nel lito mancino
     Nel lito deſtro Sermide reſtoffe,
     Figarolo e Stellata il legno paſſa
     Oue le corna il Po iracòdo abbaſſa.

 [54]
De le due corna il nocchier pſe il deſtro
     E laſcio andar verſo Vinegia il manco:
     Paſſo il Bondeno, e giá il color cileſtro
     Si vedea in oriéte venir manco:
     Che votando di fior tutto il caneſtro
     l’Aurora vi facea vermiglio e bianco,
     Quando lontan ſcopredo di Thealdo
     Ambe le rocche il capo alzo Rinaldo.

 [55]
O Citta bene auenturoſa (diſſe)
     Di cui giá il mio cugino Malagigi
     Cotemplando le ſtelle erranti & ſiſſe
     E cóſtringendo alcun ſpirto indouino
     Ne i ſecoli futuri miprediſſe
     (Giá ch’io facea co lui queſto camino)
     Ch’anchor la gloria tua ſalira tanto
     C’haurai di tutta Italia il pgio e’l vanto.

 [56]
Coſi dicèdo epur tutta via in fretta
     Su ql battei che parea hauer le penne
     Scorrèdo il Re de ſiumi, all’iſoletta
     Ch’ alla cittade e piú propinqua, véne,
     E be che foſſe allhora erma e negletta
     Pur s’ allegro di riuederla, e fenne
     Nò poca feſta: che ſapea quanto ella
     Volgèdo glianni faria ornata e bella.

 [57]
Altra ſiata che ſé queſta via
     Vdi da Malagigi: ilqual ſeco era,
     Che ſettecètovolte che ſi ſia
     Girata col Monton la quarta ſphera
     Queſta la piú ioconda iſola ſia
     Di quante cinga mar ſtagno o riuiera
     Si che veduta lei no fará ch’oda
     Dar piú alla patria di Nauficaa loda.

 [58]
Vdi che di bei tetti poſta inante
     Sarebbe a qlla ſi a Tiberio cara:
     Che cederian l’Heſperide alle piante
     C’hauria il bel loco, d’ogni ſorte rara:
     Che tante ſpetie d’animali, quante
     Vi ſien, ne í madra Circe hebbe ne i hara
     Che v’hauria co le gratie e con Cupido
     Venere ſtaza, e no piú í Cypro o I Gnido

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 [59]
E che farebbe tal p ſtudio e cura
     Di chi al ſapere & al potere vnita
     La voglia hauedo, d’ argini e di mura
     Hauria ſi anchor la ſua citta munita
     Che cótra tutto il mòdo ſtar ſicura
     Potria, ſenza chiamar di ſuori aita:
     E ch d’Hercol ſigliuol, d’ Hercol farebbe
     Padre, il Signor che qſto e ql far debbe,

 [60]
Coſi venia Rinaldo ricordando
     Quel ch giá il ſuo cugin detto gli hauea
     De le ſuture coſe diuinando:
     Che ſpeffo còſerir ſeco ſolea
     E tutta via l’humil citta mirando
     Come eſſer può ch’anchor (ſeco dicea)
     Debban coſi fiorir queſte paludi
     De tutti i liberali e degni ſtudi ?

 [61]
E crefeer’ habbia di ſi piccol borgo
     Ampia cittade? e’ di ſi gran bellezza?
     E ciò ch’intorno e tutto ſtagno e gorgo
     Sien lieti e pieni campi di ricchezza?
     Citta fin’hora a riuerire aſſorgo
     L’amor, la corteſia, la gètilezza,
     De tuoi Signori, e gli honorati pregi
     De i cauallier, de i cittadini egregi.

 [62]
l’ineſſabil bontá del Redentore
     De tuoi principi il ſenno e la Iuſtitia
     Sempre co pace ſempre con amore
     Ti tenga in abondantia & in lctitia,
     E ti difenda contra ogni furore
     De tuoi nimici, e ſcuopra lor malitia:
     Del tuo contento ogni vicino arrabbi
     Piú toſto ch tu inuidia ad alcuno habbi.

 [63]
Mentre Rinaldo coſi parla: fende
     CO tanta fretta il ſuttil legno l’onde
     Che con maggiore a logoro nò ſcende
     Falcon ch’ai grido del padron riſpode:
     Del deſtro corno il deſtro ramo prede
     Quídi il nocchiero, e mura, e tetti aſeòde
     San Georgio a dietro, a dietro s’ allotana
     La Torre e de la ſoſſa e di Gaibana.

 [64]
Rinaldo, come accade ch’un penſiero
     Vn’altro dietro, e qllo vn’ altro mena,
     Si véne a ricordar del caualliero
     Nel cui palagio ſu la ſera a cena,
     Che per qſta cittade (a dire il vero)
     Hauea giuſta cagion di ſtare in pena:
     E ricordoſſi del vaſo da bere
     Ch moſtra altrui l’error de la mogliere.

 [65]
E ricordoſſi inſieme de la proua
     Che d’hauer fatta il cauallier narrolli,
     Ch di quati hauea eſpti, huomo no troua
     Che bea nel vaſo e’l petto no s’immolli,
     Hor ſi pète, hor tra ſé dice, e mi gioua
     Ch’ a tanto paragon venir no volli,
     Riuſcèdo accertaua il creder mio
     Non riuſcèdo a che partito era io?

 [66]
Gli e qſto creder mio come io l’haueffi
     Ben certo, e poco accreſcer lo potrei,
     Si che s’ al paragon mi ſuccedeſſi
     Poco il meglio faria ch’io ne trarrei,
     Ma nò giá poco il mal, quado vedeſſi
     Quel di Clarice mia ch’io non vorrei,
     Metter faria mille contra vno a giuoco
     Che pder ſi può molto e acquiſtar poco.

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 [67]
Stando in qſto peſoſo il caualliero
     Di ChiaramOte, e non alzando il viſo,
     Con molta attetion ſu da vn nocchiero
     Che gli era incontra riguardato ſiſo:
     E perche di veder tutto il peſiero
     Che l’occupaua tanto, gli ſu auiſo
     COe huó che bè parlaua & hauea ardire
     A ſeco ragionar lo fece vſcire.

 [68]
La ſomma ſu del lor ragionamelo
     Che colui mal’accorto era bé ſtato
     Che ne la moglie ſua l’eſperimeto
     Maggior che può far dona hauea tétato,
     Che quella che da l’Oro e da l’argèto
     Difende il cor di pudicitia armato,
     Tra mille ſpade via piú facilmete
     Difenderallo: e in mezo al fuoco ardete,

 [69]
Il nocchier ſuggiungea bé gli diceſti
     Che non douea oſſerirle ſi gran doni,
     Che contraffare a queſti assai ti, e a qſti
     Colpi, non ſono tutti i petti buoni,
     Non ſo ſé d’ una giouane intedeſti
     (Ch’ eſſer pò che tra voi ſé ne ragioni)
     Che nel medeſmo error vide il coſorte
     Di ch’eſſo hauea lei codannata a morte.

 [70]
Douea in memoria hauere il Signor mio
     Che l’Oro e’l pmio ogni durezza Ichina,
     Ma quando biſogno l’hebbe in oblio,
     Et ei ſi procaccio la ſua ruina,
     Coſi ſapea lo eſempio egli com’io
     Che ſu in qſta citta di qui vicina
     Sua patria e mia, che’l lago e la palude
     Del rifrenato Menzo intorno chiude.

 [71]
D’ Adonio voglio dir, che’l ricco dono
     Fé alla moglie del Giudice d’un cane,
     Di qſto (diſſe il Paladino) il ſuono
     Non paſſa l’alpe, e qui tra voi rimane,
     Perche ne in Francia ne doue ito ſono
     Parlar n’ udi ne le contrade eſtrane:
     Si che di pur, ſé non t’ increſce il dire
     Che voletieri io mi t’acconcio a vdire.

 [72]
Il nocchier comincio, giá ſu di queſta
     Terra, vn’ Anſelmo di famiglia degna:
     Che la ſua giouetu con lunga veſta
     Speſe in ſaper ciò ch’Vlpiano inſegna,
     E di nobil progenie bella e honeſta
     Moglie cerco ch’al grado ſuo cOuegna,
     E d’una terra quindi non lontana
     N’hebbevna di bellezza foprahumana.

 [73]
E di bei modi e tanto gratioſi
     Che parea tutto amore e leggiadria:
     E di molto piú ſorſè ch’a i ripoſi
     Ch’ allo ſtato di lui non conuenia:
     Toſto che l’hebe, quanti mai geloſi
     Al mondo fur paſſo di geloſia,
     Non giá ch’altra cagion gli ne deſſe ella
     Ch d’ eſſer troppo accorta e troppo bella

 [74]
Ne la citta medeſma: vn caualliero
     Era d’antiqua e d’honorata gente:
     Che diſcédea da quel lignaggio altiero
     Ch’ uſei d’ una maſcella di ſerpète:
     Onde giá Manto e chi con eſſa fero
     La patria mia: diſceſer ſimilmente,
     Il cauallier ch’Adonio nominoffe
     Di queſta bella donna inamoroffe.

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 [75]
E per venire a ſin di qſto amore
     A ſpèder comincio ſenza ritegno,
     In veſtire, in cornuti, in farſi honore
     Quato può farſi vn cauallier piú degno,
     Il theſor di Tiberio Imperatore
     Non faria ſtato a tante ſpeſe al ſegno:
     Io credo be che non paſſar duo verni
     Ch’egli vſci ſuor di tutti i ben paterni.

 [76]
La caſa ch 1 era dianzi ſrequètata
     Matina e ſera tanto da gli amici
     Sola reſto: toſto che ſu priuata
     Di ſtarne di fagian di coturnici:
     Egli che capo ſu de la brigata
     Rimaſe dietro, e quaſi ſra medici:
     Penſo poi ch’in miſeria era venuto
     D’andare oue non foſſe conoſciuto.

 [77]
Con queſta intétione vna mattina
     Senza far motto altrui, la patria laſcia,
     E con ſoſpiri e lachryme ramina
     Lungo lo ſtagno che le mura faſeia?
     La dona che del cor gliera regina
     Giá nò oblia per la feconda ambafeia,
     Ecco vn’alta auentura che lo viene
     Di ſommo male a porre in ſommo bene.

 [78]
Vede vn villan che co vn gran baſtone
     Intorno alcuni ſterpi s’ affatica:
     Quiui Adonio ſi ferma: e la cagione
     Di tanto trauagliar vuol che gli dica,
     Diſſe il villan che détro a ql macchione
     Veduto hauea vna ſerpe molto antica,
     Di che piú lunga e groſſa a giorni ſuoi
     Non vide: ne credea mai veder poi.

 [79]
E che non ſi voleua indi partire
     Che non l’haueſſe ritrouata, e morta:
     Come Adonio lo ſente coſi dire
     Con poca patietia lo ſopporta,
     Sempre ſolea le ſerpi fauorire
     Che p inſegna il ſangue ſuo le porta,
     In memoria ch’ufei ſua prima gente
     De denti feminati di ferpéte.

 [80]
E diſſe e fece col villano in guiſa
     Che ſuo mal grado abbandono l’impfa:
     Si che da lui non ſu la ſerpe vcciſa
     Ne piú cercata ne altriméti oſieſa,
     Adonio ne va poi doue s’ auiſa
     Che ſua condition ſia meno inteſa:
     E dura con diſagio e con affanno
     Fuor de la patria appſſo al fettimo ano.

 [81]
Ne mai per lontananza ne ſtrettezza
     Del viuer, che i péſier nò laſcia ir vaghi:
     Ceſſa Amor, ch ſi gli ha la mano auezza
     Ch’ognhor no li arda il cor ognhor’ ipiaghi
     E ſorza al ſin, ch torni alla bellezza
     Che ſon di riuedtr ſi gliocchi vaghi,
     Barbuto, afflitto: e assai male in arneſe
     La donde era venuto il camin preſe.

 [82]
In queſto tépo alla mia patria accade,
     Mandare vno oratore al padre ſanto:
     Che reſti appreſſo alla ſua ſantitade
     Per alcun tépo, e non ſu detto quanto,
     Gettan la ſorte, e nel giudice cade,
     O giorno a lui cagion ſemp di pianto:
     Fé ſcuſe, pgo assai, diede: e promeſſe
     Per non partirſi: e al ſin sforzato cene.

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 [558]
ORLANDO FVRIOSO
     
 [83]
     Non gli parea crudele e duro manco
     A douer ſopportar tanto dolore
     Che ſé veduto aprir s’ haueſſe il ſianco
     E vedutoli trar con mano il core,
     Di geloſo timor pallido e bianco
     Per la ſua donna mentre ſtaria ſuore:
Lei, con quei modi che giouar ſi crede,
Supplice priega a non mancar di fede.

 [84]
Dicèdole ch’a donna, ne bellezza,
     Ne nobiltá, ne gran fortuna, baſta
     Si che di vero honor monti in altezza
     Se per nome e per opre non e caſta,
     E che qlla virtú via piú ſi prezza
     Che di fopra riman quando contraſta,
     E e’ hor gra capo hauria p qſta abfenza
     Di far di pudicitia eſperienza.

 [85]
CO tai le cerca & altre assai parole
     Perſuader ch’ella gli ſia fedele,
     De la dura partita ella ſi duole,
     Co che lachryme o Dio co ch querele:
     E giura che piú toſto oſcuro il Sole
     Vedraſſi, che gli ſia mai ſi crudele
     Che ròpa fede, e che vorria morire
     Piú toſto c’hauer mai queſto deſire.

 [86]
Anchor ch’a ſue pmeſſe, e a ſuoi ſcogiuri
     Deſſe credenza, e ſi achetaſſe alquáto
     No reſta che piú intender non procuri
     E che materia non procacci al pianto,
     Hauea vno amico ſuo, che de i futuri
     Caſi predir teneua il pregio e’l vanto:
     E d’ogni fortilegio e magica arte
     O il tutto o ne ſapea la maggior parte.

 [87]
Diegli pregado di vedere aſſunto
     Se la ſua moglie nominata Argia,
     Nel tempo che da lei ſtara diſgiunto
     Fedele e caſta, o pel contrario ſia,
     Colui da prieghi vinto: tolle il punto
     Il ciel ſigura come par che ſtia,
     Anſelmo il laſcia i opra, e l’altro giorno
     A lui per la riſpoſta fa ritorno.

 [88]
l’aſtrologo tenea le labra chiuſe
     Per non dire al Dottor coſa che doglia,
     E cerca di tacer con molte ſcuſe:
     Quado pur del ſuo mal vede e’ ha voglia
     Che gli romperá fede gli cocluſe
     Toſto ch’egli habbia il pie ſuor de la ſoglia,
     Non da bellezza ne da priegi indotta
     Ma da guadagno e da prezzo corrotta.

 [89]
Giute al timore, al dubbio: e’ hauea pma
     Queſte minaccie de i ſuperni moti:
     Come gli ſteſſe il cor tu ſteffo ſtima
     Se d’Amor gli accidenti ti ſon noti,
     E fopra ogni meſtitia che l’opprima
     E che l’afflitta mente aggiri e arruoti:
     E’l ſaper come vinta d’auaritia
     Per pzzo habbia a laſciar ſua pudicitia.

 [90]
Hor per far quanti potea far ripari
     Da no laſciarla in quel error cadere
     (Perch il biſogno a diſpogliar gli altari
     Tra l’huó talvolta ch ſel troua hauere,)
     Ciò che tenea di gioie e di danari
     (Che n’ hauea ſonia) poſe in ſuo potere:
     Rendite e ſrutti d’ogni poffeffione
     E ciò e’ ha al modo, in man tutto le pone.

[p. 559 modifica]


 [91]
Co facultade (diſſe) che ne tuoi
     No ſol biſogni te li goda e ſpenda,
     Ma che ne poſſi far ciò che ne vuoi
     Li coſumi, li getti, e doni, e venda
     Altro coto ſaper non ne vo poi
     Pur che qual ti laſcio hor, tu mi ti renda,
     Pur che come hor tu fei, mi ſie rimaſa
     Fa che io no troui ne poder ne caſa.

 [92]
La prega che no faccia: ſé non ſente
     Ch’egli ci ſia, ne la citta dimora:
     Ma ne la villa: oue piú agiatamente
     Viuer potrá d’ogni commercio ſuora:
     Queſto dicea perno che l’humil gente
     Che nel gregge o ne campi gli lauora
     NO gli era auiſo che le carte voglie
     Cótaminar poteſſero alla moglie.

 [93]
Tenendo tuttauia le belle braccia
     Al timido marito al collo Argia
     E di lachryme empiedogli la faccia
     Ch’un ſiumicel da gliocchi le n’uſcia,
     S’attriſta che colpeuole la faccia
     Come di ſé mancata giá gli ſia,
     Che queſta ſua foſpition pcede
     Perche no ha ne la ſua fede: fede.

 [94]
Troppo fará s’ io voglio ir rimembrando
     Ciò ch’al partir da tramendua ſia detto,
     Il mio honor (dice al ſin) ti raccomado:
     Piglia licentia, e parteſi in effetto,
     E ben ſi ſente veramente, quando
     Volge il cauallo, vſcire il cor del petto,
     Ella Io ſegue quanto ſeguir puote
     CO gliocchi che le rigano le gote.

 [95]
Adonio in tanto miſero e tapino
     E (come io dirti) pallido e barbuto
     Verſo la patria hauea preſo il camino
     Sperando di non erter conoſciuto,
     Su’l lago giunſe alla citta vicino
     La doue hauea dato alla biſcia aiuto,
     Ch’era attediata ètro la macchia ſorte
     Da ql villan che por la volea a morte.

 [96]
Quiui arriuando in ſu l’aprir del giorno
     Ch’ achor ſpledea nel cielo alcua ſtella:
     Si vede in peregrino habito adorno
     Venir pel lito incontra vna donzella,
     In ſignoril ſembiante, anchor ch’intorno
     Non l’appariffe ne feudier ne ancella:
     Cortei con grata viſta lo raccolſe
     E poi la lingua a tai parole ſciolſe .
 [97]
Se ben non mi conoſci o caualliero
     Son tua paréte, e grade obligo t’haggio:
     Parete ſon, perche da Cadmo fiero
     Scede d’ améduo noi l’alto lignaggio,
     Io ſon la fata Manto, che’l primiero
     Saſſo meſſi a ſondar qſto villaggio,
     E dal mio nome (come bè ſorſè hai
     Contare vdito) Mantua la nomai.

 [98]
De le Fate io ſon vna, & il fatale
     Stato p farti ancho ſaper ch’importe:
     Naſcemo a vn punto ch d’ognaltro male
     Siamo capaci ſuor che de la morte,
     Ma giunto e con qto eſſere immortale
     Condition non men del morir ſorte,
     Ch’ogni fettimo giorno ogniuna e certa
     Che la ſua ſorma in biſcia ſi conuerta.

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 [99]
Il vederſi coprir del brutto ſcoglio,
     E gir ſerpédo e coſa tanto ſchiua,
     Ch no e pare al mondo altro cordoglio:
     Tal che beſtémia ogniuna d’ eſſer viua,
     E l’obligo ch’io t’ho (pche ti voglio
     Inſiememéte dire onde deriua)
     Tu ſaprai che ql di per eſſer tali
     Siamo a periglio d’infiniti mali.

 [100]
No e ſi odiato altro animale in terra
     Come la ſerpe, e noi ch n’habbian faccia
     Patimo da ciaſcuno oltraggio e guerra:
     Che chi ne vede ne pcuote e caccia,
     Se non trouiamo oue tornar ſotterra
     Sétiamo quáto peſa altrui le braccia:
     Meglio faria poter morir, che rotte
     E Storpiate reſtar ſotto le botte

 [101]
L’obligo ch’io t’ho grande e ch’uá volta
     Che tu paſſaui per qſt’ ombre amene,
     Per te di mano ſui d’ un villan tolta
     Che gran trauagli m’hauea dati e pene,
     Se tu non eri io non andaua aſciolta
     Ch’ io non portaſſi rotto e capo e ſchene
     E che feiancata non reſtaffi e ſtorta
     Se bè non vi potea rimaner morta.

 [102]
Perche quei giorni che per terra il petto
     Trahemo, auuolte in ſerpétile ſchorza,
     Il ciel, ch’in altri tempi e a noi ſuggetto
     Niega vbbidirci, e priue ſian di ſorza:
     In altri tempi ad vn ſol noſtro detto
     Il Sol ſi ferma, e la ſua luce ammorza,
     l’immobil terra gira, e muta loco
     S’ infiáma il ghiaccio, e ſi cogela il fuoco

 [103]
Hora io ſon qui per rederti mercede
     Del beneſicio che mi feſti allhora.
     Neſſuna gratia indarno hor mi ſi chiede
     Ch’ io ſon del manto viperino ſuora,
     Tre volte piú che di tuo padre herede
     Non rimanerti, io ti ſo riccho hor’ hora,
     Ne vo che mai piú pouero diuenti
     Ma quáto ſpendi piú, che piú augumèti.

 [104]
E perche ſo che ne l’antiquo nodo
     In che giá Amor t’ auinſe ancho ti troui
     Yoglioti dimoſtrar V ordine e’l modo
     Ch’a diſbramar tuoi deſiderii gioui,
     Io voglio hor che lontano il marito odo
     Che ſenza indugio il mio coſiglio proui:
     Vadi a trouar la donna che dimora
     Fuori alla villa, e faro teco io anchora.

 [105]
E ſeguito narrandogli in che guiſa
     Alla ſua dona vuol che s’ appreſenti:
     Dico come veſtir, come preciſa-
     Mete habbia a dir, come la prieghi e tèti
     E che ſorma eſſa vuol pigliar deuiſa
     Che ſuor che’l giorno ch’erra tra ſerpèti
     In tutti glialtri ſi può far fecondo
     Ch piú le pare í quate ſorme ha il modo.

 [106]
Meſſe in habito lui di peregrino
     Ilqual per dio di porta in porta accatti,
     Mutoſſe ella in vn cane il piú piccino
     Di quanti mai n’ habbia Natura fatti,
     Di pel lungo piú bianco ch’Armellino
     Di grato aſpetto e di mirabili atti:
     Coſi trasfigurato entraro in via
     Verſo la caſa de la bella Argia.

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 [107]
E de i lauoratori alle capane
     Prima ch’altroue il giouene fermoſſe,
     E comincio a ſonar certe ſue canne
     Al cui mono danzando il can rizzoſſe,
     La voce e’l grido alla padrona vanne
     E fece ſi: che per veder ſi moſſe:
     Fece il Romeo chiamar ne la ſua corte
     Si come del Dottor trahea la ſorte.

 [108]
E quiui Adonio a comandare al cane
     Incomincio, & il cane a vbbidir lui:
     E far danze noſtral, farne d’eſtrane
     Con paſſi e cótinenze e modi ſui:
     E ſinalmète con maniere Immane
     Far ciò che comandar ſapea colui,
     Co tanta attention, che chi lo mira
     No batte gliocchi: e a pena il ſiato ſpira.

 [109]
Gran marauiglia, & indi gran delire
     Venne alla donna di ql can gentile,
     E ne fa per la Balia proferire
     Al cauto peregrin prezzo non vile,
     S’haueffi piú theſor che mai ſitire
     Poteſſe cupidigia feminile,
     (Colui riſpofe) non faria mercede
     Di còprar degna del mio cane vn piede,

 [110]
E per moſtrar che veri i detti ſoro
     Con la Balia in vn canto ſi ritraſſe,
     E diſſe al cane ch’una marcha doro
     A quella donna in corteſia donaſſe,
     Scoſſeſi il cane, e videſi il theſoro,
     Diſſe Adonio alla Balia che pigliaſſe:
     Soggiungevo, ti par che prezzo ſia
     Per cui ſi bello e vtil cane io dia?

 [111]
Coſa qual vogli ſia non gli domando
     Di ch’io ne torni mai con le man vote,
     E quado pie, e quádo annella, e quando
     Leggiadra veſte e di gra prezzo ſcuote:
     Pur di a Madòna che ſia al ſuo comando
     Per oro no, ch’oro pagar noi puote:
     Ma ſé vuol ch’una notte ſeco io giaccia
     Habbiafi il cane e’l ſuo voler ne faccia,

 [112]
Coſi dice, e vna gemma allhora nata
     Le da, ch’alla padrona l’appreſenti
     Pare alla Balia hauerne piú derata
     Che di pagar dieci ducati o venti,
     Torna alla donna, e le fa l’imbaſciata.
     E la conforta poi che ſi contenti
     D’ acquiſtare il bel cane, ch’acquiſtarlo
     Per pzzo può che non ſi perde a darlo.

 [113]
La bella Argia ſta ritroſetta in prima
     P.irte die la ſua Fé romper non vuole,
     Parte ch’eſſer poſſibile non ſtima
     Tutto ciò che ne ſuonan le parole,
     La Balia le ricorda, e rode: e lima
     Che tanto ben di rado auuenir ſuole,
     E ſé che l’agio vn’ altro di ſi tolſe
     Che’l can veder ſenza tanti occhi volſe,

 [114]
Queſt’ altro comparir ch’Adonio fece
     Fu la ruina e del Dottor la morte,
     Facea naſcer le doble a diece a diece
     Filze di perle e geme d’ogni ſorte,
     Siche il ſuperbo cor manſuéſece
     Che tanto meno a contraſtar ſu ſorte
     Quanto poi ſeppe ch coſtui ch’inante
     Gli fa partito, e’l cauallier ſuo amante.

[p. 562 modifica]


 [115]
De la puttana ſua Balia i còforti:
     I prieghi de l’amante e la preſentia,
     II veder che guadagno ſé l’apporti:
     Del miſero Dottor la lunga abſentia:
     Lo ſperar ch’alcun mai non lo rapporti:
     Fero a i caſti pender tal violentia
     Ch’ella accetto il bel cane, e p mercede
     In braccio e i pda al ſuo amator ſi diede.

 [116]
Adonio lungamente ſrutto colſe
     De la ſua bella Dona, a cui la Fata
     Grande amor poſe, e tanto le ne volſe
     Che ſempre ſtar co lei ſi ſu vbligata,
     Per tutti i ſegni il Sol prima ſi volſe
     Ch’ai giudice licentia foſſe data:
     Al ſin torno, ma pien di gran ſoſpetto
     Per ql che giá Paſtrologo hauea detto.

 [117]
Fa, giunto ne la patria, il primo volo
     A caſa de l’aſtrologo, e gli chiede
     Se la ſua dona fatto inganno e dolo
     O pur ſeruato gli habbia amore e fede,
     Il ſito ſiguro colui del polo
     Et a tutti i pianeti il luogo diede:
     Poi riſpoſe che quel e’ hauea temuto
     Come pdetto ſu: gliera auuenuto.

 [118]
Che da doni grandiſſimi corrotta
     Data ad altri s’ hauea la Dona in pda,
     Queſta al Dottor nel cor ſu ſi gra botta
     Che lacia e ſpiedo io vo che bè le ceda,
     Per eſſerne piú certo ne va allhotta
     (Bè che pur troppo allo idiuino creda)
     Ou’e la Balia: e la tira da parte
     E per ſaperne il certo vſa grande arte.

 [119]
Con larghi giri circodando pua
     Hor qua, hor la, di ritrouar la traccia,
     E da principio nulla ne ritroua
     CO ogni diligentia che ne faccia,
     Ch’ella che no hauea tal coſa nuoua
     Staua negando co immobil faccia,
     E come bene inſtrutta, piú d’un meſe
     Tra il dubbio e’l certo il ſuo patrO foſpeſe.

 [120]
Quato douea parergli il dubio buono
     Se penſaua il dolor e’ hauria del certo:
     Poi ch’in damo prouo co priego e dono
     Che da la Balia il ver gli foſſe aperto
     Ne tocco taſto oue ſentiſſe ſuono
     Altro che falſo, come huom bè eſperto
     Aſpetto che diſcordia vi veniſſe:
     Ch’ oue femine ſon: ſon liti e riſſe,

 [121]
E come egli aſpetto coſi gli auuenne:
     Ch’ al primo ſdegno che tra loro nacque
     Senza ſuo ricercar: la Balia venne
     Il tutto a ricotargli, e nulla tacque,
     Lungo adir ſora ciò che’l cor ſoſtenne
     Come la mente còſternata giacque
     Del giudice meſchin, che ſu ſi oppreſſo
     Che ſtette per vſcir ſuor di ſé ſteffo.

 [122]
E ſi diſpoſe al ſin da l’ira vinto
     Morir, ma prima vecider la ſua moglie:
     E che d’amendue i ſangui vn ferro tinto
     Leuaſſi lei di biaſmo e ſé di doglie:
     Ne la citta ſé ne ritorna: ſpinto
     Da coſi ſuribonde e cieche voglie:
     Indi alla villa vn ſuo ſidato manda
     E quanto eſequir debba gli comanda,

[p. 563 modifica]


 [123]
Comanda al ſeruo ch’alla moglie Argia
     Torni alla villa, e in nome ſuo le dica
     Ch’egli e da febbre oppreſſo coſi ria
     Che di trouarlo viuo haura fatica,
     Si che ſenza aſpettar piú cópagnia
     Venir debba co lui, s’ella gli e amica,
     Verrá, fa ben, che non fará parola
     E che tra via le ſeghi egli la gola.

 [124]
A chiamar la patrona andò il famiglio,
     Per far di lei quanto il Signor comeſſe:
     Dato prima al ſuo cane ella di piglio
     Monto a cauallo: & a camin ſi meſſe
     l’hauea il cane auiſata del periglio
     Ma che d’ andar per qſto ella no ſteffe
     C hauea ben diſegnato e proueduto
     Onde nel gran biſogno haurebbe aiuto.

 [125]
Leuato il ſeruo del camino s’era
     E per diuerſe e ſolitarie ſtrade
     A ſtudio capito ſu vna riuiera
     Che d’Apennino in qſto fiume cade,
     Ou’era boſco e ſelua oſcura e nera:
     Lungi da villa e lungi da cittade:
     Gli parue loco tacito, e diſpoſto
     Per l’effetto crudel che gli ſu importo.

 [126]
Traſſe la ſpada e alla padrona diſſe
     Quato còmeſſo il ſuo Signor gli hauea,
     Si che chiedeſſe prima che moriſſe
     Perdono a Dio d’ogni ſu a colpa rea,
     Non ti ſo dir coni’ ella ſi copriſſe,
     Quando il ſeruo ferirla ſi credea
     Piú no la vide, e molto d’ognintorno
     L’andò cercado, e al ſin reſto con ſcorno.

 [127]
Torna al patrO co gra vergogna & onta
     Tutto attonito in faccia e ſbigottito:
     E l’infolito caſo gli racconta
     Ch’egli non fa come ſi ſia ſeguito,
     Ch’ a ſuoi ſeruigi habbia la moglie prOta
     La Fata Manto, non ſapea il marito,
     Che la Balia onde il reſto hauea ſaputo
     Queſto (non ſo) pche gli hauea taciuto.

 [128]
Non fa che far: che ne l’oltraggio graue
     Vendicato ha, ne le ſue pene ha ſceme,
     Quel ch’era vna feſtuca hora evna traue
     Tanto gli peſa, tanto al cor gli preme,
     l’error ch ſapean pochi, hor ſi apto haue
     Che ſenza indugio ſi paleſi teme:
     Potea il primo celarli, ma il fecondo
     Publico in breue ſia per tutto il mondo.

 [129]
Conoſce ben che poi che’l cor fellone
     Hauea ſcoperto il miſero contra eſſa,
     Ch’ella per nò tornargli in ſuggettione
     D’alcun potente in man ſi fará meſſa,
     Ilqual ſela terra con irriſione
     li ignominia del marito eſpreffa:
     E ſorſè ancho verrá d’alcuno in mano
     Che ne ſia inſieme adultero e ruffiano.

 [130]
Si che per rimediarui, in fretta manda
     Intorno meſſi e lettere a cercarne,
     Ch’in ql loco ch’in queſto ne domanda
     Per Lombardia ſenza citta laſciarne:
     Poi va in pſona, e nò ſi laſcia banda
     Oue o no vada o madiui a ſpiarne:
     Ne mai può ritrouar capo ne via
     Di venire a notitia che ne ſia.

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 [131]
Al ſin chiama quel ſeruo a chi ſu ípoſta
     Lopra crudel che poi non hebbe effetto,
     E fa che lo conduce oue naſcoſta
     S’egli era Argia, ſi come gli hauea detto,
     Ch ſorſè i qualche macchia il di repoſta
     La notte ſi ripara ad alcun tetto,
     Lo guida il ſeruo oue trouar ſi crede
     La ſolta ſelua, e vn gran palagio vede.

 [132]
Fatto hauea farſi alla ſua Fata intanto
     La bella Argia con ſubito lauoro,
     D’ alabaſtri vn palagio per incanto
     Dentro e di ſuor tutto ſregiato d’ Oro:
     Ne lingua dir ne cor penſar può quanto
     Hauea beltá di ſuor, dentro theſoro
     Quello che hierfera ſi ti parue bello
     Del mio Signor, faria vn tugurio a qllo.

 [133]
E di panni d’ razza, e di cortine
     Teſſute riccamente: e a varie ſoggie,
     Ornate eran le ſtalle e le cantine
     Non ſale pur, no pur camere e loggie,
     Vaſi d’oro e d’argento ſenza ſine
     Gemme cauate, azurre e verdi e roggie:
     E ſormate in gra piatti e I coppe e I nappi
     E ſenza ſin d’oro e di ſeta drappi.

 [134]
Il giudice (ſi come io vi dicea)
     Venne a queſto palagio a dar di petto,
     Quando ne vna capanna ſi credea
     Di ritrouar, ma ſolo il boſcho ſchietto,
     Per l’alta marauiglia che n’ hauea
     Eſſer ſi credea vſcito d’ intelletto
     Non ſapea ſé foſſe ebbro o ſé fognaffi
     O pur fe’l ceruel ſcemo auolo andaſſi.

 [135]
Vede inanzi alla porta vno Ethiopo
     Con naſo e labri groſſi, e bé glie auuiſo:
     Che non vedeſſe mai prima ne dopo
     Vn coſi ſozzo e diſpiaceuol viſo,
     Poi di fatteze qual ſi pinge Eſopo,
     D’ attriſtar ſé vi foſſe il Paradiſo:
     Bifunto e ſporco: e d’habito mendico
     Ne a mezo áchor di ſua bruttezza io dico

 [136]
Anſelmo che non vede altro da cui
     Poſſa ſaper di chi la caſa ſia,
     A lui s’ accorta, e ne domanda a lui:
     Et ei riſponde queſta caſa e mia:
     11 giudice e ben certo che colui
     Lo beffi, e che gli dica la bugia:
     Ma co ſcongiuri il Negro ad affermare
     Che ſua e la caſa e ch’altri no v’ ha a fare

 [137]
E gli oſſeriſce ſé la vuol vedere
     Che dètro vada, e cerchi come voglia:
     E ſé v’ha coſa che gli ſia in piacere
     O per ſé o per gliamici ſé la toglia,
     Diede il cauallo al ſeruo ſuo a tenere
     Anſelmo, e meſſe il pie dètro alla ſoglia
     E per ſale e per camere condutto
     Da baffo e d’ alto andò mirado il tutto.

 [138]
La ſorma, il ſito: il ricco e bel lauoro
     Va contemplando: e l’ornamento regio,
     E ſpeffo dice non potria quant’ oro
     E ſotto il Sol pagare il loco egregio,
     A qſto gli riſponde il brutto Moro
     E dice, e qſto anchor troua il ſuo pgio
     Se non d’Oro od’ Argento: no di meno
     Pagar lo può quel che vi coſta meno.

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 [139]
E gli fa la medeſima richieſta
     C’hauea giá Adonio alla ſua moglie fatta
     De la brutta domada e dishoneſta
     Perſona lo ſtimo beſtiale e matta,
     Per tre repulſe e quattro egli non reſta:
     E tanti modi a pſuaderlo adatta:
     Sempre offerendo in merito il palagio
     Che ſé inchinarlo al fuovoler maluagio

 [140]
La moglie Argia che ſtaua appſſo aſcofa
     Poi che lo vide nel ſuo error caduto,
     Salto ſuora gridando ah degna coſa
     Che io veggo di Dottor faggio tenuto,
     Trouato in ſi mal’opra e vitioſa
     Penſa ſé roſſo far ſi deue e muto,
     O terra accio ti ſi gettarti dentro
     Perche allhor nò t’aprirti iſino al centro?

 [141]
La dona in ſuo diſcarco: & in vergogna
     D’Anfelmo, il capo gl’introno di gridi,
     Dicendo come te punir biſogna
     Di quel che far con ſi vii huom ti vidi,?
     Se per ſeguir quel che natura agogna
     Me, vita a peghi del mio amate, vccidi?
     Ch’ era bello e gentile: e vn dono tale
     Mi ſé ch’a quel nulla il palagio vale.

 [142]
S’ io ti parui eſſer degno d’ una morte
     Conoſci che ne fei degno di cento,
     E ben ch’in queſto loco io ſia ſi ſorte
     Ch’io poſſa di te fare il mio talento,
     Pure io non vo pigliar di peggior ſorte
     Altra vendetta del tuo fallimento,
     Di par P hauere e’l dar Marito poni
     Fa com’io a te, ch tu a me anchor pdoni.

 [143]
E ſia la pace e ſia P accordo fatto
     Ch’ogni paſſato error vada in oblio,
     Ne ch’in parole io poſſa mai: ne in atto
     Ricordarti il tuo error, ne a me tu il mio,
     Il marito ne parue hauer buon patto
     Ne dimoſtroſſi al perdonar reſtio,
     Coſi a pace e concordia ritornaro
     E ſempre poi ſu l’uno all’altro caro.

 [144]
Coſi diſſe il nocchiero, e morte a riſo
     Rinaldo al ſin de la ſua hiſtoria vn poco
     E diuentar gli fece a vn tratto il viſo
     Per l’onta del Dottor come di fuoco,
     Rinaldo Argia molto lodo, ch’auuifo
     Hebbe d’alzare a qllo augello vn gioco
     Ch’ alla medeſma rete ſé caſcallo
     In che cadde ella, ma con minor fallo,

 [145]
Poi che piú in alto il Sole il camin preſe
     Fé il Paladino apparecchiar la méſa,
     C’hauea la notte il Montura corteſe
     Prouiſta con larghiſſima diſpéfa,
     Fugge a finiſtra intanto il bel paeſe
     Et a man deſtra la palude inimenſa:
     Viene e fuggefi Argéta e’l ſuo Girone
     Col lito oue Santerno il capo pone.

 [146]
Allhora la Baſtia credo no v’era
     Hi die no troppo ſi vantar Spagnuoli
     D’hauerui ſu tenuta la bandiera:
     Ma piú da piager n’hano i Romagniuoli,
     E quindi a Filo alla dritta riuiera:
     Cacciano il legno, e fan parer che voli
     Lo volgon poi per vna ſoſſa morta
     Ch’a mezo di preflb a Rauena il porta.

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 [147]
Ben che Rinaldo co pochi danari
     Forſè ſouete, pur n’ hauea ſi alhora
     Che corteſia ne fece a marinari
     Prima che li laſciaffe alla buon’ hora,
     Quindi mutando beſtie e cauallari
     Arimino parlò la ſera anchora:
     Ne in Montefiore aſpetta il matutino
     E quaſi a par col Sol giunge in Vrbino,

 [148]
Quiui non era Federico allhora
     Ne l’Iſſabetta, ne’l buon Guido v’ era
     Ne Franceſco Maria, ne Leonora:
     Che co corteſe ſorza e non altiera
     Haueſſe aſtretto a far ſeco dimora
     Si famoſo guerrier piú d’una ſera,
     Come ſer giá molti ani, & hoggi fanno
     A done e a cauallier che di la vanno.

 [149]
Poi che qui alla briglia alcun noi prede
     Smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta,
     Pel mote che’l Metauro o ilGauno fende
     Paſſa Apènino, e piú nò l’ha a man ritta:
     Paſſa gli Obri e gli etruſci e a Roa ſcède
     Da Roma ad Oſtia, e quidi ſi tragitta
     Per mare alla cittade a cui còmife
     Il pietoſo ſigliuol l’oſſa d’Anchife.

 [150]
Muta iui legno, e verſo l’iſoletta
     Di Lipaduſa fa ratto leuarſi:
     Quella che ſu da i còbattèti eletta
     Et oue giá ſtati erano a trouarſi:
     Inſta Rinaldo e gli nocchieri affretta
     Ch’ a vela e a remi fan ciò che può farſi:
     Ma i veti auuerfi e per lui mal gagliardi
     Lo fecer (ma di poco) arriuar tardi.

 [151]
Giunſe ch’a puto il principe d’Anglante
     Fatta hauea l’utile opra e glorioſa,
     Hauea Gradaſſo vcciſo & Agramante,
     Ma co dura vittoria e ſanguinoſa:
     Morto n’era il ſigliuol di Monodante:
     E di graue percoſſa e periglioſa
     Staua Oliuier languédo in ſu l’arena
     E del pie guaſto hauea martire e pena.

 [152]
Tener nò potè il Conte aſciutto il viſo
     Quado abbraccio Rinaldo, e ch narrolli
     Che gli era ſtato Brandimarte vcciſo
     Che tanta fede e tanto amor portolli:
     Ne men Rinaldo quando ſi diuiſo
     Vide il capo all’amico hebbe occhi molli
     Poi quindi ad abbracciar ſi ſu codotto
     Oliuier che ſedea col piede rotto.

 [153]
La conſolation che ſeppe tutta
     Die lor, benché per ſé tor no la poſſa,
     Che giunto ſi vedea quiui alle ſrutta
     Anzi poi che la meſa era rimoſſa,
     Andaro i ſerui alla citta diſtrutta
     E di Gradaſſo e d’ Agramante l’oſſa
     Ne le ruine afeofer di Biſerta:
     E quiui diuulgar la coſa certa.

 [154]
De la vittoria e’ hauea hauuto Orlando
     S’ allegro Aſtolfo e Sanſonetto molto:
     No ſi perho come haurian fatto, quando
     No foſſe a Brandimarte il lume tolto:
     Sentir lui morto il gaudio va ſcemando
     Si che nò ponno aſſerenare il volto.
     Hor chi fará di lor ch’annuntio voglia
     A Fiordiligi dar di ſi gran doglia?

[p. 567 modifica]



 [155]
La notte che preceſſe a queſto giorno
     Fiordiligi ſogno che qlla veſta
     Che p mandarne Brandimarte adorno
     Hauea trapunta: e di ſua man conteſta,
     Vedea p mezo ſparfa e d’ogn’ intorno
     Di goccie roſſe a guiſa di tempeſta,
     Parea che di ſua man coſi l’haueffe
     Riccamata ella, e poi ſé ne doglieffe.

 [156]
E parea dir, pur hammi il Signor mio
     Comeſſo ch’io la faccia tutta nera
     Hor perche dunque riccamata holP io
     Contra ſua voglia in ſi ſtrana maniera ?
     Di queſto ſogno ſé giudicio rio
     Poi la nouella giunſe quella ſera:
     Ma tanto Aſtolfo aſcoſa le la tene
     Ch’a lei con Sanſonetto ſé ne venne.

 [157]
Toſto ch’entraro e ch’ella loro il viſo
     Vide di gaudio in tal vittoria priuo,
     Senz’ altro annuntio fa: fenz’ altro auuiſo
     Che Brandimarte ſuo non e piú viuo,
     Di ciò le reſta il cor coſi conquiſo
     E coſi gliocchi hanno la luce a ſchiuo
     E coſi ogn’ altro ſenſo ſé le ferra
     Che come morta andar ſi laſcia in terra.

 [158]
AI tornar de Io ſpirto, ella alle chiome
     Caccia le mani: & alle belle gote
     Indarno ripetédo il caro nome
     Fa danno & onta piú che far lor puote,
     Straccia i capelli e ſparge, e grida come
     Donna talhor che’l demon rio percuote
     O come s’ ode che giá a ſuon di corno
     Menade corſe & aggiroſſi intorno.

 [159]
Hor qſto hor quel pgandova, che porto
     Le ſia vn coltel ſiche nel cor ſi ſera,
     Hor correr vuol la doue il legno í porto
     De i duo ſignor defunti arriuato era:
     E de l’uno e de l’altro coſi morto
     Far crudo ſtratio e vedetta aera e ſiera
     Hor vuol pattare il mare, e cercar tanto
     Che poſſa al ſuo Signor morire a canto.

 [160]
Deh perche Brandimarte ti laſciai
     Senza me andare a tanta impreſa (diſſe)
     Vedèdoti partir non ſu piú mai
     Che Fiordiligi tua non ti ſeguiſſe,
     T’haurei giouato s’io veniua assai
     C’haurei tenute in te le luci ſiſſe,
     E ſé Gradaſſo haueſſi dietro hauuto
     Con vn ſol grido io t’haurei dato aiuto.

 [161]
O ſorſè eſſer potrei ſtata ſi preſta
     Ch’ètrado í mezo, il colpo t’haurei tolto
     Fatto ſcudo t’ haurei con la mia teſta,
     Che morèdo io non era il danno molto,
     Ogni modo io morrò, ne ſia di queſta
     Dolete morte alcun profitto colto,
     Che quando io ſoſſi morta in tua difeſa
     Non potrei meglio hauer la vita ſpefa.

 [162]
Se pur ad aiutarti i duri fati
     Haueſſi hauuti e tutto il cielo auuerſo,
     Gliultimi baci almeno io t’haurei dati
     Almen t’haurei di pianto il viſo aſperfo:
     E prima che con gli Angeli beati
     Foſſi lo ſpirto al ſuo fattor cOuerſo,
     Detto gli haurei, va i pace, e la m’aſpetta
     Ch’ ouunqj fei ſon per feguirti in fretta.

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 [163]
E queſto Brandimarte e qſto il regno
     Di che pigliar lo ſcettro hora doueui?
     Hor coſi teco a Dammogire io vegno
     Coſi nel real ſeggio mi riceui ?
     Ah Fortuna crudel quanto diſegno,
     Mi ròpi: oh che ſperanze hoggi mi leui:
     Deh che ceffo io, poi e’ ho perduto qſto
     Tato mio be, ch’io no pdo acho il reſto?

 [164]
Queſto & altro dicédo in lei ritorſe
     Il Furor con tanto impeto e la rabbia
     Ch’ a Stracciar il bel crin di nuouo corſe
     Come il bel crin tutta la colpa n’ habbia,
     Le mani inſieme ſi peoſſe e morie,
     Nel ſen ſi caccio l’ugne e ne le labbia,
     Ma torno a Orlado & a cópagni, in tanto
     Ch’ ella ſi ſtrugge e ſi conſuma in pianto.

 [165]
Orlando col Cognato che non poco
     Biſogno hauea di medico e di cura:
     Et altretanto perche in degno loco
     Haueſſe Brandimarte ſepultura:
     Verſò il monte ne va che fa col fuoco
     Chiara la notte, e il di di ſumo oſcura,
     Hano propitio il vèto: e a deſtra mano
     Non e quel lito lor molto lontano.

 [166]
Con ſreſco vento ch’in fauor veniua
     Sciolſer la ſune al declinar del giorno,
     Moſtrando lor la taciturna Diua
     La dritta via col luminoſo corno,
     E ſorier l’altro di fopra la riua
     Ch’ amena giace ad Agringéto intorno,
     Quiui Orlando ordino per l’altra ſera
     Ciò ch’a funeral pompa biſogno era.

 [167]
Poi che l’ordine ſuo vide eſequito
     Eſſendo homai del Sole il lume ſpento:
     Fra molta nobilita: ch’era allo’nuito
     De luoghi intorno corſa in Agringento,
     D’accefi torchi tutto ardendo’l lito
     E di grida ſonando e di lamento:
     Torno Orlado oue il corpo ſu laſciato
     Che viuo e morto hauea co fede amato.

 [168]
Quiui Bardin di ſoma d’ anni graue
     Staua piangedo alla bara ſunebre,
     ch pel gra piato e’ hauea fatto f naue
     Douria gliocchi hauer piati e le palpebre
     Chiamado il ciel crudel le ſtelle praue
     Ruggia come vn leo e’ habbia la febre,
     Le mani erano in tanto empie e ribelle
     A i crin canuti e alla rugofa pelle.

 [169]
Leuoſſi al ritornar del Paladino
     Maggior il grido: e raddoppioſſi il piato
     Orlando fatto al corpo piú vicino
     Senza parlar ſtette a mirarlo alquanto,
     Pallido, come colto al matutino
     E da ſera il liguſtro, o il molle acantho
     E dopo vn gran ſoſpir, tenendo riſſe
     Sempre le luci in lui, coſi gli diſſe.

 [170]
O ſorte, o caro, o mio fedel compagno
     Che qui fei morto, e ſo che viui in cielo,
     E d’una vita v’hai fatto guadagno
     Che nò ti può mai tor caldo ne gielo,
     Perdonami, ſé ben vedi ch’io piagno:
     Perche d’ eſſer rimaſo mi querelo:
     E ch’a tanta letitia io no ſon teco,
     Nò giá perche qua giú tu nò ſia meco.

[p. 569 modifica]


 [67]
Solo ſenza te ſon, ne coſa in terra
     Senza te poſſo hauer piú che mi piaccia,
     Se teco era in tempeſta: e teco in guerra
     Perche no ancho in otio & in bonaccia?
     Ben grade e’l mio fallir, poi che mi ferra
     Di queſto fango vſcir per la tua traccia,
     Se ne gli affanni teco ſui, per c’hora
     No ſono a parte del guadagno anchora?

 [172]
Tu guadagnato e perdita ho fatto io
     Sol tu all’acqſto, io nò ſon ſolo al dano,
     Partecipe fatto e del dolor mio
     L’Italia, il regno Franco, e l’Alemanno,
     O quato quanto il mio Signore e Zio,
     O quanto i Paladin da doler s’ hanno,
     Quato l’Imperio, e la Chriſtiana Chieſa,
     Che perduto han la ſua maggior difeſa,

 [173]
O quanto ſi torra per la tua morte
     Di terrore a nimici e di ſpauento,
     O quanto Pagania fará piú ſorte
     Quato animo n’haura quanto ardiméto,
     O come ſtar ne dee la tua coſorte
     Sin qui ne veggo il piato e’l grido ſento:
     So che m’accuſa: e ſorſè odio mi porta
     Che p me teco ogni ſua ſpeme e morta.

 [174]
Ma Fiodiligi, al men reſti vn cóforto
     A noi che ſian di Brandimarte priui,
     Ch’inuidiar lui con tanta gloria morto
     Denno tutti i guerrier c’hoggi ſon viui,
     Quei Decii, e ql nel Roma ſoro abſorto
     Quel ſi lodato Codro da gli Argiui
     No co piú altrui .pfitto e piú ſuo honore
     A morte ſi donar, del tuo Signore.

 [175]
Queſte parole & altre dicea Orlando
     In tanto, i bigi, i bianchi, i neri ſrati
     E tutti glialtri chierci ſeguitando
     Andauan co lungo ordine accoppiati,
     Per l’alma del defunto Dio pregando
     Che gli donaſſe requie tra beati,
     Lumi inazi e p mezo e d’ognintorno
     Mutata hauer parean la notte in giorno.

 [176]
Leuan la bara, & a portarla ſoro
     Meſſi a vicenda Conti e Cauallieri,
     Purpurea ſeta la copria, che d’oro
     E di gran perle hauea còpaſſi altieri:
     Di no men bello e ſignoril lauoro
     Hauean gémati e ſplendidi origlieri
     E giacea quiui il cauallier co veſta
     Di color pare, e d’ un lauor coteſta.

 [177]
Trecento a glialtri eran paſſuti inanti
     De piú poueri tolti de la terra,
     Parimète veſtiti tutti quanti
     Di panni negri, e lunghi fin’ a terra,
     Cento paggi ſeguian fopra altretanti
     Groſſi caualli, e tutti buoni a guerra,
     E i caualli co i paggi iuano il ſuolo
     Radendo col lor habito di duolo.

 [178]
Molte bandiere inanzi e molte dietro
     Che di diuerſe inſegne eran dipinte
     Spiegate accOpagnauano il feretro:
     Lequai giá tolſe a mille ſchiere vinte
     E guadagnate a Ceſare & a Pietro
     Hauean le ſorze e’ hor giaceano eſtinte:
     Scudi v’erano molti, che di degni
     Guerrieri, a chi fur tolti, haueao i ſegni

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 [179]
Venian cento e cent’ altri a diuerſi vſi
     De l’efequie ordinati, & hauean queſti
     Còe ancho il reſto acceſi torchi, e chiuſi
     Piú che veſtiti, eran di nere veſti,
     Poi ſeguia Orlado, e adhor adhor ſuſſuſi
     Di lachryme hauea gliocchi e rolli e meſti
     Ne piú lieto di lui Rinaldo vene:
     Il pie Oliuier che rotto hauea: ritène,

 [180]
Lungo fará s’io vi vo dire in verſi.
     Le cerimonie: e raccotarui tutti
     I diſpéfati manti oſcuri e perſi:
     Gli acceſi torchi che vi ſuron ſtrutti,
     Quindi alla chieſa cathedral cOuerſi
     Douúq3 adar no laſciaro occhi aſciutti:
     Si bel: ſi buon: ſi giouene, a pietade
     Moſſe ogni feſſo, ogni ordie, ogni etade.

 [181]
Fu poſto in chieſa, e poi che da le dóne
     Di lachryme e di pianti inutil opra
     E ch da i ſacerdoti hebbe eleiſonne
     E glialtri fanti detti hauuto fopra,
     In vna arca il ſerbar ſu due colonne:
     E qlla vuole Orlando che ſi cuopra
     Di ricco drappo d’or, ſin che repoſto
     In vn ſepulchro ſia di maggior coſto.

 [182]
Orlando di Sicilia non ſi parte
     Ch mada a trouar porphydi e alabaſtri:
     Fece fare il diſegno, e di quell’arte
     Inarrar co gran premio i miglior maſtri,
     Fé le laſtre (venedo in queſta parte)
     Poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilaſtri:
     Che qui (eſſendo Orlando giá partito)
     Si ſé portar da l’Africano lito.

 [183]
E vedendo le lachryme indeſeſſe
     Et oſtinati a vſcir ſempre i ſoſpiri,
     Ne per far ſempre dire vffici e meſſe
     Mai fatiffar potendo a ſuoi diſiri,
     Di no partirli quindi in cor ſi meſſe
     Fin che del corpo l’anima no ſpiri:
     E nel ſepolchro ſé fare vna cella
     E vi ſi chiuſe, e ſé ſua vita in quella.

 [184]
Oltre che meſſi e lettere le mande
     Vi va in pſona Orlando per leuarla:
     Se viene in Francia co pèſion be grande
     Còpagna vuol di Galerana farla,
     Quado tornare al padre ancho domande
     Sin’ alla lizza vuole accopagnarla,
     Edificar le vuole vn monaſtero
     Quando ſeruire a Dio faccia péſiero

 [185]
Staua ella nel ſepulchro e quiui attrita
     Da penitentia orando giorno e notte,
     Non duro lunga etá: che di ſua vita
     Da la Parca le fur le ſila rotte,
     Giá fatte hauea da l’iſola partita
     Oue i Cyclopi hauean l’antique grotte
     I tre guerrier di Francia: afflitti e meſti
     Che’l quarto lor copagno a dietro reſti.

 [186]
Non volean ſenza medico leuarſi
     Che d’ Oliuier s’ haueſſe a pigliar cura:
     Laqual pche a principio mal pigliarli
     Potè, fatt’ era faticoſa e dura,
     E qllo vdiano in modo lamentarſi
     Che del ſuo caſo hauean tutti paura,
     Tra lor di ciò parlado al nocchier naccg
     Vn pèſiero: e lo diſſe, e a tutti piacque.

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 [187]
Diſſe ch’era di la poco lontano
     In vn ſolingo ſcoglio vno Eremita:
     A cui ricorſo mai non s’ era in vano
     O foſſe per conſiglio o per aita,
     E facea alcuno effetto fopr’ humano:
     Dar lume a ciechi, e tornar morti a vita
     Fermare il vento ad vn ſegno di croce,
     E far tranquillo il mar qn e piú atroce.

 [188]
E che non denno dubitare andando
     A ritrouar quel huomo a Dio ſi caro,
     Che lor no renda Oliuier ſano, quando
     Fatto ha di ſua virtú ſegno piú chiaro,
     Queſto coſiglio ſi piacque ad Orlando
     Che verſo il ſanto loco ſi drizzaro:
     Ne mai piegando dal camin la prora
     Vider lo ſcoglio al ſorger de l’Aurora.

 [189]
Scorgèdo il legno huomini i acqua dotti
     Sicuramente s’accoſtaro a quello,
     Quiui aiutando ſerui e galeotti
     Declinano il Marcheſe nel battello,
     E per le ſpumoſe onde fur condotti
     Nel duro ſcoglio, & idi al ſanto hoſtello
     Al fato hoſtello: a ql Vecchio medeſmo
     Per le cui ma hebbeRuggier batteſmo

 [190]
Il ſeruo del Signor del Paradiſo
     Raccolſe Orlando & i cópagni ſuoi,
     E benedilli con giocondo viſo:
     E de lor caſi dimandolli poi.
     Ben che de lor venuta hauuto auuiſo
     Haueſſe prima da i celeſti Heroi
     Orlando gli riſpoſe eſſer venuto
     Per ritrouare al ſuo Oliuiero aiuto.

 [191]
Ch’era pugnando per la ſé di Chriſto
     A periglioſo termine ridutto,
     Leuogli il Santo ogni ſoſpetto triſto
     E gli promiſſe di ſanarlo in tutto,
     Ne d’unguento trouandoſi preuiſto
     Ne d’ altra humana medicina inſtrutto,
     Ando alla chieſa, & oro al Saluatore,
     Et indi vſci con gran baldanza ſuore.

 [192]
E in nome de le eterne tre perſone
     Padre e ſigliuolo e ſpirto ſanto, diede
     Ad Oliuier la ſua benedittione,
     O virtú che da Chriſto a chi gli crede,
     Caccio dal caualliero ogni paſſione
     E ritornolli a ſanitade il piede:
     Piú fermo e piú eſpedito ch mai foſſe
     E preſente Sobrino a ciò trouoſſe.

 [193]
Giunto Sobrin de le ſue piaghe a tanto
     Che ſtar peggio ogni giorno ſé ne ſente,
     Toſto che vede del monacho ſanto
     Il miracolo grande & euidente,
     Si diſpon di laſciar Machon da canto
     E Chriſto còfeſſar viuo e potente
     E domanda con cor di fede attrito
     D’iniciarfi al noſtro ſacro rito.

 [194]
Coſi l’huom giuſto lo batteza, & ancho
     Gli rende orando ogni vigor primiero,
     Orlando e glialtri cauallier non manco
     Di tal conuerſion letitia fero,
     Che di veder che liberato e ſranco
     Del periglioſo mal foſſe Oliuiero,
     Maggior gaudio d glialtri Ruggier’ hebbe
     E molto in fede e in deuotione accrebbe.

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 [195]
Era Ruggier, dal di che giunſe a nuoto
     Su qſto ſcoglio, poi ſtatoui ognihora,
     Fra quei guerrieri il Vecchiarel deuoto
     Sta dolcemente e li còforta & ora, .
     A voler ſchiui di pantano e loto
     Modi paſſar per queſta morta gora
     C ha nome vita, che ſi piace a ſciocchi
     Et alla via del ciel ſemp hauer gliocchi.

 [196]
Orlando vn ſuo mādo fu’l legno, e trarne
     Fece pane e buon vin, cacio, e perſutti,
     E l’huom di Dio ch’ogni ſapor di ſtarne
     Poſe in oblio poi ch’auuezzoſſi a ſrutti,
     Per charita mangiar fecero carne
     E ber del vino, e far quel che ſer tutti:
     Poi ch’alla menſa cofolati ſoro
     Di molte coſe ragionar tra loro.

 [197]
E come accade nel parlar ſouente
     Ch’una coſa vien l’altra dimoſtrando,
     Ruggier riconoſciuto ſinalmente
     Fu da Rinaldo, da Oliuier, da Orlando:
     Per quel Ruggiero in arme ſi eccellente
     Il cui valor s’accorda ognun lodando:
     Ne Rinaldo l’hauea raffigurato
     Per quel che può giā ne lo ſteccato.

 [198]
Ben l’hauea il Re Sobrin riconoſciuto
     Toſto che’l vide col Vecchio apparire,
     Ma volſe inanzi ſtar tacito e muto
     Che porſi in auentura di fallire,
     Poi ch’a notitia a glialtri ſu venuto
     Che qſto era Ruggier, di cui l’ardire
     La corteſia e’l valore alto e pfondo
     Si facea nominar per tutto il mòdo.

 [199]
E ſapendoſi giā ch’era chriſtiano
     Tutti con lieta e cO ſerena faccia
     Vengono a lui, chi gli tocca la mano
     E chi lo bacia e chi lo ſtrige e abbraccia
     Sopra glialtri il Signor di Mòtalbano
     D’accarezzarlo e fargli honor peaccia:
     Perch’eſſo piū de glialtri io’l ſerbo a dir
     Ne l’altro canto se’l vorrete vdire.