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Rompe eſerciti alcuno, e ne le porte
Si vede entrar di bellicoſe terre,
Et eſſer primo a porre il petto ſorte
Vltimo a trarre in periglioſe guerre,
E non può riparar che ſino a morte
Tu nel tuo cieco carcere noi ſerre,
Altri d’ altre arti e d’ altri ſtudi induſtri
Oſcuri fai: che farian chiari e illuſtri,
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Che d’alcune diro belle e gran donne?
Ch’a bellezza, a virtú de ſidi amanti,
A lunga ſeruitu, piú che colonne
Io veggo dure immobili e cúſtanti ?
Veggo venir poi l’Auaritia, e ponne
Far ſi, che par che ſubito le incanti
In va di, ſenza amor (chi ſia chel creda?
A uvecchio, a u brutto, a u moſtro le da i pda
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Non e ſenza cagion s’ io me ne doglio
Intendami chi può che m’intèd’ io:
Ne perho di propoſito mi toglio
Ne la materia del mio canto oblio,
Ma nò piú a ql e’ ho detto adattar voglio
Ch’a ql ch’io v’ho da dire, il parlar mio:
Ho torniamo a contar del Paladino
Ch’ad aſſaggiare il vaſo ſu vicino.
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Io vi dicea ch’alquanto penſar volle
Prima ch’a i labri il vaſo s’appreffaffe:
Péſo, e poi diſſe ben farebbe, ſolle
Chi quel che non vorria trouar cercaſſe,
Mia dona e dona, & ogni donna e molle
Laſcian ſtar mia credenza come ſtaffe:
Sin q m’ha il creder mio giouato e gioua
Che poffio megliorar per farne proua?
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Potria poco giouare e nuocer molto
Che’l tetar qualche volta Idio diſdegna
Non ſo s’ in qſto io mi ſia faggio o ſtolto
Ma non vo piú ſaper che mi conuegna,
Hor queſto vin dinázi mi ſia tolto
Sete nò n’ho ne vo che me ne vegna:
Che tal certezza ha Dio piú prohibita
Ch’ai primo padre l’arbor de la vita.
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Che come Ada poi che guſto del pomo
Che Dio co propria bocca gl’interdiſſe:
Da la Ietitia al pianto fece vn tomo
Onde in miſeria poi Tempre s’ affliſſe,
Coli ſé de la moglie ſua vuol l’huomo
Tutto ſaper quanto ella fece e diſſe,
Cade de l’allegrezze in pianti e in guai
Onde no può piú rileuarſi mai.
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Coſi dicendo il buon Rinaldo, e in tanto
Reſpingendo da ſé l’odiato vaſe:
Vide abondare vn gran riuo di pianto
Da gliocchi del Signor di quelle caſe,
Che diſſe poi che racchetoſſi alquanto:
Sia maledetto chi mi perſuaſe
Ch’io faceſſe la proua ohimè di ſorte
Che mi leuo la dolce mia conſorte.
[10]
Perche no ti conobbi giá dieci anni?
Si che io mi ſoſſi còſigliato teco?
Prima che cominciaſſero gli affanni
E’l lungo pianto onde io ſon quaſi cieco,
Ma vo leuarti da la ſcena i panni
Ch’I mio mal vegghi e te ne dogli meco
E ti diro il principio e l’argumento
Del mio non còparabile tormento.