Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/582


 [3]
Rompe eſerciti alcuno, e ne le porte
     Si vede entrar di bellicoſe terre,
     Et eſſer primo a porre il petto ſorte
     Vltimo a trarre in periglioſe guerre,
     E non può riparar che ſino a morte
     Tu nel tuo cieco carcere noi ſerre,
     Altri d’ altre arti e d’ altri ſtudi induſtri
     Oſcuri fai: che farian chiari e illuſtri,

 [4]
Che d’alcune diro belle e gran donne?
     Ch’a bellezza, a virtú de ſidi amanti,
     A lunga ſeruitu, piú che colonne
     Io veggo dure immobili e cúſtanti ?
     Veggo venir poi l’Auaritia, e ponne
     Far ſi, che par che ſubito le incanti
     In va di, ſenza amor (chi ſia chel creda?
     A uvecchio, a u brutto, a u moſtro le da i pda

 [5]
Non e ſenza cagion s’ io me ne doglio
     Intendami chi può che m’intèd’ io:
     Ne perho di propoſito mi toglio
     Ne la materia del mio canto oblio,
     Ma nò piú a ql e’ ho detto adattar voglio
     Ch’a ql ch’io v’ho da dire, il parlar mio:
     Ho torniamo a contar del Paladino
     Ch’ad aſſaggiare il vaſo ſu vicino.

 [6]
Io vi dicea ch’alquanto penſar volle
     Prima ch’a i labri il vaſo s’appreffaffe:
     Péſo, e poi diſſe ben farebbe, ſolle
     Chi quel che non vorria trouar cercaſſe,
     Mia dona e dona, & ogni donna e molle
     Laſcian ſtar mia credenza come ſtaffe:
     Sin q m’ha il creder mio giouato e gioua
     Che poffio megliorar per farne proua?

 [7]
Potria poco giouare e nuocer molto
     Che’l tetar qualche volta Idio diſdegna
     Non ſo s’ in qſto io mi ſia faggio o ſtolto
     Ma non vo piú ſaper che mi conuegna,
     Hor queſto vin dinázi mi ſia tolto
     Sete nò n’ho ne vo che me ne vegna:
     Che tal certezza ha Dio piú prohibita
     Ch’ai primo padre l’arbor de la vita.

 [8]
Che come Ada poi che guſto del pomo
     Che Dio co propria bocca gl’interdiſſe:
     Da la Ietitia al pianto fece vn tomo
     Onde in miſeria poi Tempre s’ affliſſe,
     Coli ſé de la moglie ſua vuol l’huomo
     Tutto ſaper quanto ella fece e diſſe,
     Cade de l’allegrezze in pianti e in guai
     Onde no può piú rileuarſi mai.

 [9]
Coſi dicendo il buon Rinaldo, e in tanto
     Reſpingendo da ſé l’odiato vaſe:
     Vide abondare vn gran riuo di pianto
     Da gliocchi del Signor di quelle caſe,
     Che diſſe poi che racchetoſſi alquanto:
     Sia maledetto chi mi perſuaſe
     Ch’io faceſſe la proua ohimè di ſorte
     Che mi leuo la dolce mia conſorte.

 [10]
Perche no ti conobbi giá dieci anni?
     Si che io mi ſoſſi còſigliato teco?
     Prima che cominciaſſero gli affanni
     E’l lungo pianto onde io ſon quaſi cieco,
     Ma vo leuarti da la ſcena i panni
     Ch’I mio mal vegghi e te ne dogli meco
     E ti diro il principio e l’argumento
     Del mio non còparabile tormento.