Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/591


 [75]
E per venire a ſin di qſto amore
     A ſpèder comincio ſenza ritegno,
     In veſtire, in cornuti, in farſi honore
     Quato può farſi vn cauallier piú degno,
     Il theſor di Tiberio Imperatore
     Non faria ſtato a tante ſpeſe al ſegno:
     Io credo be che non paſſar duo verni
     Ch’egli vſci ſuor di tutti i ben paterni.

 [76]
La caſa ch 1 era dianzi ſrequètata
     Matina e ſera tanto da gli amici
     Sola reſto: toſto che ſu priuata
     Di ſtarne di fagian di coturnici:
     Egli che capo ſu de la brigata
     Rimaſe dietro, e quaſi ſra medici:
     Penſo poi ch’in miſeria era venuto
     D’andare oue non foſſe conoſciuto.

 [77]
Con queſta intétione vna mattina
     Senza far motto altrui, la patria laſcia,
     E con ſoſpiri e lachryme ramina
     Lungo lo ſtagno che le mura faſeia?
     La dona che del cor gliera regina
     Giá nò oblia per la feconda ambafeia,
     Ecco vn’alta auentura che lo viene
     Di ſommo male a porre in ſommo bene.

 [78]
Vede vn villan che co vn gran baſtone
     Intorno alcuni ſterpi s’ affatica:
     Quiui Adonio ſi ferma: e la cagione
     Di tanto trauagliar vuol che gli dica,
     Diſſe il villan che détro a ql macchione
     Veduto hauea vna ſerpe molto antica,
     Di che piú lunga e groſſa a giorni ſuoi
     Non vide: ne credea mai veder poi.

 [79]
E che non ſi voleua indi partire
     Che non l’haueſſe ritrouata, e morta:
     Come Adonio lo ſente coſi dire
     Con poca patietia lo ſopporta,
     Sempre ſolea le ſerpi fauorire
     Che p inſegna il ſangue ſuo le porta,
     In memoria ch’ufei ſua prima gente
     De denti feminati di ferpéte.

 [80]
E diſſe e fece col villano in guiſa
     Che ſuo mal grado abbandono l’impfa:
     Si che da lui non ſu la ſerpe vcciſa
     Ne piú cercata ne altriméti oſieſa,
     Adonio ne va poi doue s’ auiſa
     Che ſua condition ſia meno inteſa:
     E dura con diſagio e con affanno
     Fuor de la patria appſſo al fettimo ano.

 [81]
Ne mai per lontananza ne ſtrettezza
     Del viuer, che i péſier nò laſcia ir vaghi:
     Ceſſa Amor, ch ſi gli ha la mano auezza
     Ch’ognhor no li arda il cor ognhor’ ipiaghi
     E ſorza al ſin, ch torni alla bellezza
     Che ſon di riuedtr ſi gliocchi vaghi,
     Barbuto, afflitto: e assai male in arneſe
     La donde era venuto il camin preſe.

 [82]
In queſto tépo alla mia patria accade,
     Mandare vno oratore al padre ſanto:
     Che reſti appreſſo alla ſua ſantitade
     Per alcun tépo, e non ſu detto quanto,
     Gettan la ſorte, e nel giudice cade,
     O giorno a lui cagion ſemp di pianto:
     Fé ſcuſe, pgo assai, diede: e promeſſe
     Per non partirſi: e al ſin sforzato cene.