Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/583


 [11]
Qua ſu laſciaſti vna citta vicina
     A cui fa intorno vn chiaro fiume laco,
     Che poi ſi ſtende e in qſto Po declina
     E l’origine ſua vien di Benaco.
     Fu fatta la citta, quando a ruina
     Le mura andar de l’Agenoreo draco
     Quiui nacque io di ſtirpe assai gentile
     Ma in pouer tetto e in facultade humile.

 [12]
Se Fortuna di me non hebbe cura
     Si che mi deſſe al naſcer mio ricchezza,
     Al diffetto di lei ſuppli Natura
     Ch fopra ogni mio vgual mi die bellezza
     Donne e donzelle giá di mia ſigura
     Arder piú d’una vidi in giouanezza,
     Ch’io ci ſeppi accoppiar corteſi modi
     Be che ſtia mal ch l’huom ſé ſteffo lodi.

 [13]
Ne la noſtra cittade era vn’ huom faggio
     Di tutte l’arti oltre ogni creder dotto,
     Ch qn chiuſe gliocchi al phebeo raggio
     Contaua glianni ſuoi cento e vent’otto:
     Viſſe tutta ſua etá ſolo e ſeluaggio
     Se non l’eſtrema: che d’amor condotto
     Con premio ottenne vna matrona bella
     E n’ hebbe di naſcoſto vna cittella.

 [14]
E per vietar che ſimil la ſigliuola
     Alla matre no ſia, che per mercede
     Vende ſua caſtita, che valea ſola
     Piú che quato oro al mondo ſi poſſiede.
     Fuor del cOmercio popular la inuola
     Et oue piú ſolingo il luogo vede
     Queſto ampio e bel palagio e ricco tato
     Fece fare a demonii per incanto.

 [15]
A vecchie dóne e caſte ſé nutrire
     La ſiglia qui, ch’in gran beltá poi véne:
     Ne ch poteſſe altr’ huom veder: ne vdir
     Pur ragionarne: in quella etá foſtène,
     E pere’ haueſſe eſempio da ſeguire,
     Ogni pudica dona che mai tenne
     Cétra illicito amor chiuſe le ſbarre,
     Ci ſé d’ intaglio o di color ritrarre.

 [16]
Nò quelle ſol che di virtude amiche
     Hanno ſi il modo all’etá priſca adorno:
     Di quai la fama p l’hiſtorie antiche
     Nò e per veder mai l’ultimo giorno:
     Ma nel ſuturo anchora altre pudiche
     Che faran bella Italia d’ ogn’ intorno
     Ci ſé ritrarre in lor fatteze còte:
     Come otto che ne vedi a qſta ſonte.

 [17]
Poi che la ſiglia al vecchio par matura
     Si che ne poſſa l’huom cogliere i ſrutti,
     ſoſſe mia diſgratia: o mia auétura:
     Eletto ſui degno di lei ſra tutti,
     1 lati campi oltre alle belle mura
     No meno i peſcarecci che gli aſciutti
     Che ci ſon d’ ogn’ intorno a vèti miglia
     Mi cofegno per dote de la ſiglia.

 [18]
Ella era bella e coſtumata tanto
     Che piú deſiderar non ſi potea,
     Di bei trapunti e di riccami, quanto
     Mai ne ſapeſſe Pallade, ſapea
     Vedila andare: odine il ſuono e’l canto
     Celeſte e nò mortai coſa parea,
     E in modo all’arti liberali atteſe
     Che quato il padre o poco men n’intefe.