Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/594


 [99]
Il vederſi coprir del brutto ſcoglio,
     E gir ſerpédo e coſa tanto ſchiua,
     Ch no e pare al mondo altro cordoglio:
     Tal che beſtémia ogniuna d’ eſſer viua,
     E l’obligo ch’io t’ho (pche ti voglio
     Inſiememéte dire onde deriua)
     Tu ſaprai che ql di per eſſer tali
     Siamo a periglio d’infiniti mali.

 [100]
No e ſi odiato altro animale in terra
     Come la ſerpe, e noi ch n’habbian faccia
     Patimo da ciaſcuno oltraggio e guerra:
     Che chi ne vede ne pcuote e caccia,
     Se non trouiamo oue tornar ſotterra
     Sétiamo quáto peſa altrui le braccia:
     Meglio faria poter morir, che rotte
     E Storpiate reſtar ſotto le botte

 [101]
L’obligo ch’io t’ho grande e ch’uá volta
     Che tu paſſaui per qſt’ ombre amene,
     Per te di mano ſui d’ un villan tolta
     Che gran trauagli m’hauea dati e pene,
     Se tu non eri io non andaua aſciolta
     Ch’ io non portaſſi rotto e capo e ſchene
     E che feiancata non reſtaffi e ſtorta
     Se bè non vi potea rimaner morta.

 [102]
Perche quei giorni che per terra il petto
     Trahemo, auuolte in ſerpétile ſchorza,
     Il ciel, ch’in altri tempi e a noi ſuggetto
     Niega vbbidirci, e priue ſian di ſorza:
     In altri tempi ad vn ſol noſtro detto
     Il Sol ſi ferma, e la ſua luce ammorza,
     l’immobil terra gira, e muta loco
     S’ infiáma il ghiaccio, e ſi cogela il fuoco

 [103]
Hora io ſon qui per rederti mercede
     Del beneſicio che mi feſti allhora.
     Neſſuna gratia indarno hor mi ſi chiede
     Ch’ io ſon del manto viperino ſuora,
     Tre volte piú che di tuo padre herede
     Non rimanerti, io ti ſo riccho hor’ hora,
     Ne vo che mai piú pouero diuenti
     Ma quáto ſpendi piú, che piú augumèti.

 [104]
E perche ſo che ne l’antiquo nodo
     In che giá Amor t’ auinſe ancho ti troui
     Yoglioti dimoſtrar V ordine e’l modo
     Ch’a diſbramar tuoi deſiderii gioui,
     Io voglio hor che lontano il marito odo
     Che ſenza indugio il mio coſiglio proui:
     Vadi a trouar la donna che dimora
     Fuori alla villa, e faro teco io anchora.

 [105]
E ſeguito narrandogli in che guiſa
     Alla ſua dona vuol che s’ appreſenti:
     Dico come veſtir, come preciſa-
     Mete habbia a dir, come la prieghi e tèti
     E che ſorma eſſa vuol pigliar deuiſa
     Che ſuor che’l giorno ch’erra tra ſerpèti
     In tutti glialtri ſi può far fecondo
     Ch piú le pare í quate ſorme ha il modo.

 [106]
Meſſe in habito lui di peregrino
     Ilqual per dio di porta in porta accatti,
     Mutoſſe ella in vn cane il piú piccino
     Di quanti mai n’ habbia Natura fatti,
     Di pel lungo piú bianco ch’Armellino
     Di grato aſpetto e di mirabili atti:
     Coſi trasfigurato entraro in via
     Verſo la caſa de la bella Argia.