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E queſto Brandimarte e qſto il regno
Di che pigliar lo ſcettro hora doueui?
Hor coſi teco a Dammogire io vegno
Coſi nel real ſeggio mi riceui ?
Ah Fortuna crudel quanto diſegno,
Mi ròpi: oh che ſperanze hoggi mi leui:
Deh che ceffo io, poi e’ ho perduto qſto
Tato mio be, ch’io no pdo acho il reſto?
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Queſto & altro dicédo in lei ritorſe
Il Furor con tanto impeto e la rabbia
Ch’ a Stracciar il bel crin di nuouo corſe
Come il bel crin tutta la colpa n’ habbia,
Le mani inſieme ſi peoſſe e morie,
Nel ſen ſi caccio l’ugne e ne le labbia,
Ma torno a Orlado & a cópagni, in tanto
Ch’ ella ſi ſtrugge e ſi conſuma in pianto.
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Orlando col Cognato che non poco
Biſogno hauea di medico e di cura:
Et altretanto perche in degno loco
Haueſſe Brandimarte ſepultura:
Verſò il monte ne va che fa col fuoco
Chiara la notte, e il di di ſumo oſcura,
Hano propitio il vèto: e a deſtra mano
Non e quel lito lor molto lontano.
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Con ſreſco vento ch’in fauor veniua
Sciolſer la ſune al declinar del giorno,
Moſtrando lor la taciturna Diua
La dritta via col luminoſo corno,
E ſorier l’altro di fopra la riua
Ch’ amena giace ad Agringéto intorno,
Quiui Orlando ordino per l’altra ſera
Ciò ch’a funeral pompa biſogno era.
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Poi che l’ordine ſuo vide eſequito
Eſſendo homai del Sole il lume ſpento:
Fra molta nobilita: ch’era allo’nuito
De luoghi intorno corſa in Agringento,
D’accefi torchi tutto ardendo’l lito
E di grida ſonando e di lamento:
Torno Orlado oue il corpo ſu laſciato
Che viuo e morto hauea co fede amato.
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Quiui Bardin di ſoma d’ anni graue
Staua piangedo alla bara ſunebre,
ch pel gra piato e’ hauea fatto f naue
Douria gliocchi hauer piati e le palpebre
Chiamado il ciel crudel le ſtelle praue
Ruggia come vn leo e’ habbia la febre,
Le mani erano in tanto empie e ribelle
A i crin canuti e alla rugofa pelle.
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Leuoſſi al ritornar del Paladino
Maggior il grido: e raddoppioſſi il piato
Orlando fatto al corpo piú vicino
Senza parlar ſtette a mirarlo alquanto,
Pallido, come colto al matutino
E da ſera il liguſtro, o il molle acantho
E dopo vn gran ſoſpir, tenendo riſſe
Sempre le luci in lui, coſi gli diſſe.
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O ſorte, o caro, o mio fedel compagno
Che qui fei morto, e ſo che viui in cielo,
E d’una vita v’hai fatto guadagno
Che nò ti può mai tor caldo ne gielo,
Perdonami, ſé ben vedi ch’io piagno:
Perche d’ eſſer rimaſo mi querelo:
E ch’a tanta letitia io no ſon teco,
Nò giá perche qua giú tu nò ſia meco.