Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/602


 [163]
E queſto Brandimarte e qſto il regno
     Di che pigliar lo ſcettro hora doueui?
     Hor coſi teco a Dammogire io vegno
     Coſi nel real ſeggio mi riceui ?
     Ah Fortuna crudel quanto diſegno,
     Mi ròpi: oh che ſperanze hoggi mi leui:
     Deh che ceffo io, poi e’ ho perduto qſto
     Tato mio be, ch’io no pdo acho il reſto?

 [164]
Queſto & altro dicédo in lei ritorſe
     Il Furor con tanto impeto e la rabbia
     Ch’ a Stracciar il bel crin di nuouo corſe
     Come il bel crin tutta la colpa n’ habbia,
     Le mani inſieme ſi peoſſe e morie,
     Nel ſen ſi caccio l’ugne e ne le labbia,
     Ma torno a Orlado & a cópagni, in tanto
     Ch’ ella ſi ſtrugge e ſi conſuma in pianto.

 [165]
Orlando col Cognato che non poco
     Biſogno hauea di medico e di cura:
     Et altretanto perche in degno loco
     Haueſſe Brandimarte ſepultura:
     Verſò il monte ne va che fa col fuoco
     Chiara la notte, e il di di ſumo oſcura,
     Hano propitio il vèto: e a deſtra mano
     Non e quel lito lor molto lontano.

 [166]
Con ſreſco vento ch’in fauor veniua
     Sciolſer la ſune al declinar del giorno,
     Moſtrando lor la taciturna Diua
     La dritta via col luminoſo corno,
     E ſorier l’altro di fopra la riua
     Ch’ amena giace ad Agringéto intorno,
     Quiui Orlando ordino per l’altra ſera
     Ciò ch’a funeral pompa biſogno era.

 [167]
Poi che l’ordine ſuo vide eſequito
     Eſſendo homai del Sole il lume ſpento:
     Fra molta nobilita: ch’era allo’nuito
     De luoghi intorno corſa in Agringento,
     D’accefi torchi tutto ardendo’l lito
     E di grida ſonando e di lamento:
     Torno Orlado oue il corpo ſu laſciato
     Che viuo e morto hauea co fede amato.

 [168]
Quiui Bardin di ſoma d’ anni graue
     Staua piangedo alla bara ſunebre,
     ch pel gra piato e’ hauea fatto f naue
     Douria gliocchi hauer piati e le palpebre
     Chiamado il ciel crudel le ſtelle praue
     Ruggia come vn leo e’ habbia la febre,
     Le mani erano in tanto empie e ribelle
     A i crin canuti e alla rugofa pelle.

 [169]
Leuoſſi al ritornar del Paladino
     Maggior il grido: e raddoppioſſi il piato
     Orlando fatto al corpo piú vicino
     Senza parlar ſtette a mirarlo alquanto,
     Pallido, come colto al matutino
     E da ſera il liguſtro, o il molle acantho
     E dopo vn gran ſoſpir, tenendo riſſe
     Sempre le luci in lui, coſi gli diſſe.

 [170]
O ſorte, o caro, o mio fedel compagno
     Che qui fei morto, e ſo che viui in cielo,
     E d’una vita v’hai fatto guadagno
     Che nò ti può mai tor caldo ne gielo,
     Perdonami, ſé ben vedi ch’io piagno:
     Perche d’ eſſer rimaſo mi querelo:
     E ch’a tanta letitia io no ſon teco,
     Nò giá perche qua giú tu nò ſia meco.