Novelle (Bandello, 1853, I)/Parte I/Novella XXXVI
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a tavola si misero il padre col compagno e il marito e la moglie, la quale guardava in cagnesco il frate con sì brutti atti che proprio sembrava spiritata. Non avevano a pena cominciato a desinare che venne un servidore e disse: – Messere, egli è a basso un messo del magnifico messer Tomaso Trono che vi vuol dir una parola. – Si levò messer Pancrati ed uscì di sala. Non fu egli sì tosto uscito che la donna con una fierissima guardatura al frate rivolta disse: – Ahi traditore e non buon da altro che da cacare, come hai tu ardire venirmi innanzi? – Il frate si fece il segno de la croce e cominciò a dire il Verbum caro, e la donna pure il minacciava; ed ecco che il marito ritornò, al cui ritorno la moglie restò cheta. Nè guari stette che fu di nuovo, com’egli già aveva ordinato, chiamato fuori; ed uscito che fu, l’adirata donna con minacciose parole ed atti strani, come se avesse voluto cavar gli occhi al frate, disse: – A la croce di Dio, frate poltrone, se mai t’esce parola di bocca di ciò che tu sai, io ti farò il più dolente uomo del mondo. – Il frate umanamente le rispose dicendo: – Madonna, Iddio vi sani e liberi da le mani del demonio. – Ed ecco che il marito tornò, parendoli che avesse fatto conoscer al frate il mal de la moglie e a lei cavato di core l’amor del frate. E veramente egli si portò saggiamente, e non volle quando vide la lettera de la moglie bravar con lei nè ammazzarla, ma del modo che avete udito quella castigò. Finito il desinare, partendosi il frate, messer Pancrati lo pregò che ne le sue sante orazioni si ricordasse di lui, e per l’avvenire ebbe destramente gli occhi a l’operazioni de la moglie a ciò che non gliene facesse un’altra.
Non è ancora il mese che madonna Caterina da San Celso, moglie di messer Francesco Guiringuello, morendo fu seppellita, la cui morte diede assai da cicalare a tutto Milano, perchè per le molte vertuose doti che in lei erano oltre la bellezza del corpo, era degna, se pudica stata fosse, di più lunga vita; onde su la sua sepoltura le fu attaccato quell’ingegnoso e maledico epitaffio, il quale essendo portato a la nostra signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, vero specchio d’ogni vertù, fu cagione che de l’onestà de le donne quel tanto se ne ragionasse che alora si disse, ove voi ed io eravamo presenti. Ci furono di quelli che non troppo profondando i loro pensieri dicevano non dover esser le donne più astrette a le leggi de la vita pudica che siano gli uomini. Altri affermavano non poter aver la donna cosa più convenevole in lei nè di più eccellenza che l’onestà, recitando il bello e moral sonetto del Petrarca: «Cara la vita, e dopo lei mi pare», ecc. Quivi conchiusero altri che quanto più la donna è d’alto legnaggio che tanto più è tenuta a viver onestamente, perciò che la vita di quella è come uno specchio e norma data per essempio a l’altre di minor grado. E insomma si venne a questo, come ben ricordar vi devete, che ogni donna di qualunque stato si sia, come ha perso il nome de la pudicizia ed è tenuta impudica, ha perduto quanto di bene ella in questa vita possa avere. Il che affermando, la signora Ippolita disse che se la donna ha tutte le vertù del mondo e non sia pudica, che questa impudicizia reca seco sì pestifero veleno che tutte l’altre doti ammorba; come per il contrario una donna onesta, ancor che altro dono non abbia, sempre sarà lodata. Quindi si passò a parlare de la impudica vita d’alcune donne molto famose così antiche come moderne, le quali quantunque fossero di grandissimo legnaggio ed imperadrici del mondo, nondimeno perciò che vissero disonestamente sono in poco prezzo e non si nomano dagli scrittori se non con titolo d’infamia. Era in questi ragionamenti il gentilissimo messer Ippolito Pietrasanta gentiluomo di Milano, il quale narrò un impudicissimo amore di Faustina, figliuola d’Antonino Pio imperador romano e moglie del buon Marco filosofo e successore ne lo imperio del padre di lei. Voi mi diceste alora che io farei bene a scriver questa mia istoria. E così avendola scritta ve la mando, pregandovi, quando ci averete la comodità, che la vogliate far vedere a la signora Giovanna Trotta e Ghisa vostra sorella. State sana.
NOVELLE DEL BANDELLO
INDICE
Vita di Matteo Bandello, scritta dal conte Giammaria Mazzucchelli |
» | 5 |
PARTE PRIMA
Novella I. Buondelmonte de’ Buondelmonti si marita con una, e la lascia per prenderne un’altra, e fu ammazzato |
» | 16 |
— II. Ariobarzane seniscalco del re di Persia quello vuol vincer di cortesia; ove varii accidenti intervengono |
» | 21 |
— III. Beffa d’una donna ad un gentiluomo, e il cambio che egli le ne rende in doppio |
» | 47 |
— IV. La contessa di Cellant fa ammazzare il conte di Masino, e a lei è mozzo il capo |
» | 58 |
— V. Quanto scaltritamente Bindoccia beffa il suo marito che era fatto geloso |
» | 66 |
— VI. Il Porcellio romano si prende trastullo di beffare il frate confessandosi |
» | 85 |
— VII. Baldoino di Fiandra in mare prende Giudit di Francia, e la sposa per moglie |
» | 92 |
Novella VIII. Giulia da Gazuolo, essendo per forza violata, in Oglio si getta, ove muore |
Pag. | 101 |
— IX. Un geloso ode la confessione della moglie per mezzo d’un frate, e quella ammazza |
» | 108 |
— X. Maometto imperadore de' Turchi crudelmente ammazza una sua donna |
» | 119 |
— XI. Un senatore trovando la moglie in adulterio fa l’adultero fuggire, e salva il suo onore insieme con quello della moglie |
» | 127 |
— XII. Un Senese trova la moglie in adulterio, e la mena fuori e l’ammazza |
» | 130 |
— XIII. La signora Camilla Scarampa, udendo esser tagliata la testa al suo marito, subito muore |
» | 135 |
— XIV. Antonio Perillo dopo molti travagli sposa la sua amante, e la prima notte sono dal folgore morti |
» | 138 |
— XV. Due gentiluomini veneziani onoratamente dalle mogli sono ingannati |
» | 143 |
— XVI. Nuovo accidente avvenuto, a cagione che uno gode una donna, non vi pensando più |
» | 167 |
— XVII. Lucrezia vicentina, innamorata di Bernardino Losco, con lui si giace, e con due altri di Bernardino fratelli |
» | 176 |
— XVIII. Ottone III imperadore ama Gualdrada senza esser amato, ed onoratamente la marita |
» | 194 |
— XIX. Faustina e Cornelia romane diventano meritrici, e con astuzia hanno la grazia dei mariti |
» | 198 |
— XX. Galeazzo ruba una fanciulla a Padova, e poi per gelosia e lei e se stesso uccide |
» | 212 |
— XXI. Mirabile beffa fatta da una gentildonna a due baroni del regno d’Ongheria |
» | 217 |
— XXII. Narra il signor Scipione Attellano come il signor Timbreo di Cardona, essendo col re Piero d’Aragona in Messina, s’innamora di Fenicia Lionata, e i varii e fortunevoli accidenti che avvennero, prima che per moglie la prendesse |
» | 236 |
— XXIII. Astuzia d’una fanciulla innamorata, per salvare l’amante ed ingannar la nutrice |
» | 262 |
Novella XXIV. Una donna falsamente incolpata, è posta per esca ailioni e scampa, e l’accusatore da quelli è divorato |
pag. | 270 |
— XXV. Mirabile astuzia usata da un ladro rubando ed ingannando il re dell’Egitto |
» | 276 |
— XXVI. Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa d’Amalfi, e tutti due sono ammazzati |
» | 285 |
— XXVII. Don Diego dalla sua donna sprezzato, va a starsi in una grotta, e come n’uscì |
» | 296 |
— XXVIII. Varii accidenti e pericoli grandissimi avvenuti a Cornelio per amor d’una giovane |
» | 322 |
— XXIX. Quanto semplicemente un cittadin forlivese rispondesse ad un frate che predicava |
» | 337 |
— XXX. Diversi detti salsi della viziosa e lorda vita d’un archidiacono mantovano |
» | 340 |
— XXXI. Varie proposte e risposte di persone diverse prontamente dette |
» | 345 |
— XXXII. Frate Francesco spagnuolo, volendo cacciar con inganni i Giudei del regno di Napoli, è imprigionato |
» | 349 |
— XXXIII. Due amanti si trovano la notte insieme, e il giovine di gioia si muore, e la fanciulla di dolor s’accora |
» | 354 |
— XXXIV. Gandino bergamasco scrive i peccati della moglie, e gli dà al frate che ode la confessione di quella, e fa mille altre pazzie |
» | 360 |
— XXXV. Nuovo modo di castigar la moglie ritrovato da un gentiluomo veneziano |
» | 382 |
— XXXVI. Disonestissimo amore di Faustina imperadrice, e con che rimedii si levò colai amore |
» | 392 |