Novelle (Bandello, 1853, I)/Parte I/Novella XII
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non so chi tu ti sia, ma se tu non vuoi morire, piglia le tue vesti e subito salta giù da questa finestra. – Parve questo un pan unto al giovine, e preso il saio e la cappa saltò giù in un cortile d’un vicino, ed ebbe così la fortuna favorevole che da nessuno fu veduto. Serrò poi la finestra messer lo dottore e chiamò su i dui spioni, avendo fatto rientrar la donna nel letto. Come quelli furono in camera disse loro: – Ove è colui che voi detto mi avete giacersi con mia moglie? Poltronieri e gaglioffi che voi sète a voler infamar una donna da bene. Voi eravate certamente imbriachi, villani che sète. Andate, chè per questa volta io ve la perdono, ma per l’avvenire aprite ben gli occhi. – Coloro andarono giù che parevano spiritati, e non sapevano che dire. Il marito, fatta un’agra riprensione a la moglie che più non incappasse in questo errore, ritornò in senato. Ma la donna non si potendo smenticar il suo amante, trovò altro modo d’esser più segretamente seco. Ora non vi pare egli, signori miei, che questo consigliero meglio si consigliasse che non si consegliò messer Bernardino Busto od il melenso mantovano? Certamente, se egli sapeva ben consigliar altri, in questo pericolosissimo caso egli consigliò benissimo se stesso, salvando l’onor proprio e quello de la moglie.
Gli ultimi sonetti ed il bellissimo madrigale che voi ne la villa di Montechiaro in Bresciana mi deste, come io fui in Brescia mostrai al nostro gentilissimo messer Emilio Emilii. Io non voglio ora stare a dirvi ciò che egli ed io del vostro soave stile e de la vostra ingegnosa e bella invenzione dicessimo. Solo vi dirò che tra Montechiaro e Brescia io gli lessi e rilessi più volte per camino, e quanto più quelli io leggeva tanto più cresceva il disio di rileggerli, il che anco a messer Emilio avvenne. Ora per mandarvi una de le mie novelle, ve ne mando una che non è molto che in Mantova, a la presenza di madama illustrissima la signora Isabella da Este marchesana, narrò il molto piacevole messer Domenico Campana Strascino, ritornando da Milano a Roma ed avendo quel dì a Diporto desinato con messer Mario Equicola e meco. La novella è istoria, de la quale fa menzione Dante nel Purgatorio. Tuttavia io l’ho voluta metter con l’altre mie istorie, o siano novelle, e a voi donarla. State sano.
Siena, mia antica patria, fu sempre, come anco oggidì è, molto di belle e cortesi donne copiosa, ne la quale fu già una bellissima giovane detta Pia de’ Tolomei, famiglia molto nobile. Costei, essendo in età di maritarsi, fu data per moglie a messer Nello de la Pietra, che era gentiluomo il più ricco alora di Siena e il più potente che fosse in Maremma. Ella, che contra il suo volere sforzata dai parenti l’aveva preso, si trovava di malissima voglia, veggendosi bella e fresca di diciotto in dicenove anni ed il marito di più di cinquanta, che le faceva far più vigilie che non insegnava messer lo giudice di Chinzicca a la Bartolomea Gualanda sua moglie, e che non fanno molti spagnuoli quando vivono a le spese loro, che d’uno ravaniglio e di pane e d’acqua si pascono. E se pur talora Nello le dava da beccare, faceva il più de le volte tavola spendendo doppioni, di modo che la bella giovane viveva in pessima contentezza, e tanto più s’attristava quanto che messer Nello per il più la teneva in Maremma a le sue castella. Condussela tra l’altre una volta a Siena, dove a lui conveniva star alcun mese per una lite che aveva con la città a cagion di confini. Ella in quel tempo deliberò a’ casi suoi provedere e tanto darsi a torno, che avesse abondanza de la cosa di cui il marito le faceva tanta carestia e così estremo disagio. E avendo veduti molti giovini de la nostra città e ben considerati i costumi, le maniere, i modi e le bellezze di ciascuno, le piacque meravigliosamente un giovanetto de’ Ghisi chiamato Agostino, dal cui ceppo giovami credere che sia disceso il nuovo Mecenate e fautore di tutti i vertuosi de’ nostri tempi, cotanto buono e ricco e sì liberale, cortese ed amatore dei vertuosi, il signor Agostino Ghisi. A questo adunque mettendo gli occhi a dosso e, come vedere lo poteva, mostrandosegli tutta ridente, fece di modo che egli s’avvide che amorosamente da lei era guardato. Onde non schivando punto le fiamme amorose, a quelle aperse largamente il petto e mise ogni studio per far che anco ella s’accorgesse com’egli per lei ardeva. Il che fu assai facile a fare, perciò che ella, come il vedeva, metteva per il sottile mente a tutti gli atti di quello. Ardendo adunque tutti dui, messer Agostino le scrisse un’amorosa lettera e per via d’una buona donna le ne fece dare, e n’ebbe la desiata risposta. Era il comune desiderio di tutti dui di ritrovarsi insieme a ciò che amorosamente si potessero dar piacere, ma, per la molta famiglia che messer Nello teneva, era quasi impossibile che da ora nessuna il Ghisi potesse entrarle in casa che non fosse veduto. Da l’altra parte, ella non poteva uscir di casa nè andar in nessun luogo, che non fosse da uomini e donne accompagnata. Onde tutti dui erano di malissima voglia, nè sapevano a’ lor casi trovar compenso. Ora avvenne che messer Nello fece da le sue possessioni venir gran quantità di grani per la provigion de la casa, avendo deliberato di star la seguente vernata in Siena. La Pia, che l’aveva inteso, ne diede avviso al suo amante commettendogli quanto le pareva che devesse fare. Egli, lieto oltra modo di questo, si dispose a far tutto quello che la donna gli aveva scritto. Ora volle la sorte che quel dì che il grano arrivò, messer Nello faceva far certo collegio di dottori in casa del più attempato di loro per la lite sua, e volle egli sempre starvi presente, di modo che dopo desinare fin a notte scura sempre nel collegio dimorò. Fu portato il grano in quel che messer Nello usciva di casa, ed il suo fattore, fatti venir alcuni facchini, ordinò che il grano fosse portato sopra nel granaio. Il Ghisi, che vestito s’era da facchino, arrivò in quello, e sì bene s’era contrafatto che persona del mondo conosciuto non l’averebbe. Onde fu dal fattore chiamato a portar il grano di sopra. Egli, che altro non desiderava, preso il suo sacco in collo, montò le scale e votò il sacco nel granaio. E sapendo come stavano le camere de la casa, chè altre volte vedute le aveva, ne lo scendere, avendo avvertito ad esser solo, entrò in un camerino e fermò l’uscio di quello, secondo che la donna scritto gli aveva, la quale attenta stava se il suo amante ci veniva. Aveva quella cameretta un uscio che entrava dentro la camera, ove ella alora s’era ridotta, e fingendo di voler dormire si serrò di dentro tutta sola, e aprendo l’uscio trovò il suo caro amante, che di già quei panni facchineschi s’era spogliato e rimasto era in un farsetto di raso morello. Come ella il vide, così con le braccia al collo basciandolo mille volte se gli avvinchiò, e medesimamente egli abbracciò strettissimamente lei. Ma io non starò a raccontarvi per minuto le carezze che si fecero e quante fiate a la lotta giocarono. Pensi ciascuno di voi ciò che egli, se da dovero innamorato fosse, in simil caso farebbe. Avendo la Pia gustato quanto saporiti fossero gli abbracciamenti del suo caro amante e quanto insipidi e rari erano quelli del marito, sì fieramente di nuovo ardore s’accese, che le pareva quasi impossibile poter vivere senza aver di continuo appresso il suo amato Ghisi. Medesimamente il giovine l’aveva trovata tanto benigna e gentile ed amorevole, che gli pareva d’esser in paradiso. Ella, dopo che alquanto stette a trastullarsi con l’amante uscì del camerino ed aperse la camera, e stata un poco con le sue donne, sapendo il marito non dever esser a casa fin a sera, ritornò dentro il camerino mostrando aver faccende da fare. Quivi adunque lietamente dimorando insieme e divisando tra loro del modo che si potessero trovar de l’altre volte in simil piacere, a ciò che secondo che questa era stata la prima non fosse l’ultima, molte altre cose dissero tra loro e divisarono, e non gli parendo di trovar nessun buon mezzo che piacesse loro, disse il Ghisi: – Unica signora mia e vita de la mia vita, quando vi paresse di creder al mio conseglio e che lo stimiate buono, penso che saria cosa facile che de l’altre volte ci trovassimo a goder insieme. E per questo io sarei d’openione, vita mia cara, che voi vedessi d’eleggervi una de le vostre damigelle de la qual possiate fidarvi, e a lei apriste il petto vostro, a ciò che col mezzo suo io possa talora travestito venir in casa con quel modo che noi trovaremo esser il meglio. – La Pia, a cui non pareva aver donna in casa che fosse a questo proposito, mal volentieri pigliava questo partito. Nondimeno tanto era l’amore che ella al suo amante portava, che ancora che ci avesse veduto la manifesta morte era astretta di compiacergli; pensando poi che si potrebbe pur alcuna volta con lui ritrovarsi ed aver di quei buon dì che cominciato aveva a gustare, e forse ancor qualche buona notte, rispose a l’amante che metteria ben mente qual devesse per segretaria di questi amori prendere. In questi parlamenti mescolavano più volte soavissimi basci e pigliavano anco quelli amorosi diletti che tanto dagli amanti si ricercano. Così passarono quella giornata con estrema contentezza. Su la sera poi la Pia aperse l’uscio del camerino che rispondeva su la scala, e, non v’essendo a quell’ora persona, fece uscir l’amante, il quale nel suo abito da facchino col sacco in spalla e la sua fune a cintola, scese le scale ed anco che di sotto fosse da qualcuno di casa veduto, senza che alcuno il conoscesse, via se n’andò. Restò la donna mal contenta del partir de l’amante, ma tanto ben sodisfatta di lui, che le pareva in quelle poche ore che era stata con lui aver gustato e goduto assai più di piacere che non aveva fatto in tutto il tempo de la vita sua. Il Ghisi altresì non si poteva saziare di pensar quanta era stata la gioia che con la sua Pia aveva sentito, che veramente di nome e d’effetto era Pia. Ella poi, scielta tra l’altre sue donne una che le parve a proposito, a quella narrò tutto l’amor del Ghisi e suo, pregandola non solamente a tener celata questa cosa, ma a disporsi d’aiutarla, a ciò che talvolta il Ghisi si potesse trovar seco. Promise la damigella di far il tutto e d’esser segretissima, di modo che, adoperando tutte due l’ingegno loro, le venne alcuna volta fatto che ’l Ghisi, ora vestito da furfante ed ora da donna, si ritrovò con esso lei, e dieronsi molto buon tempo parecchie volte, del che l’una e l’altra parte viveva contentissima. Ma la fortuna, che di rado lascia che dui amanti lungamente in pace godino il lor amore, ed in poco di mèle sparge sovente assai assenzio, disturbò questi felici amori, perciò che essendosi assecurati troppo gli amanti, e usando meno che discretamente insieme, avvenne che un vecchio di casa, cresciuto ed allevato con messer Nello, s’avvide un dì che la damigella furtivamente aveva messo fuor del camerino il Ghisi vestito da poltronieri. Il perchè entrato in sospetto di ciò che v’era, si mise molte fiate in agguato, per ispiar meglio la verità, e insomma s’accorse un dì che ’l Ghisi vestito da donna era uscito fuor del camerino, e vide la damigella usar certi atti che più gli accrebbero di sospetto, conoscendo manifestamente a l’andare ed agli atti che era il travestito non femina, ma uomo. Ma non s’appose perciò che fosse il Ghisi od altri. Il perchè quel dì medesimo disse il tutto a messer Nello, il quale deliberando incrudelir contra le donne, e non osando far niente in Siena ove il parentado de la moglie era potente, messo ordine a le cose de la lite, si levò a l’improvviso con la famiglia di Siena, e giunto in Maremma ove era signore, poi che con forza di tormenti ebbe la verità da la bocca de la damigella, quella fece strangolare, ed a la moglie, che già presaga del suo male miseramente piangeva, disse: – Rea femina, non pianger di quello che volontariamente hai eletto; pianger devevi alora che ti venne voglia di mandarmi a Corneto. Raccomandati a Dio, se punto de l’anima ti cale, chè io vo’, come meriti, che tu muoia. – E lasciatola in mano dei suoi sergenti, ordinò che la soffocassero; la quale, dimandando mercè al marito e a Dio divotamente perdono dei suoi peccati, fu da quelli senza pietà alcuna subito strangolata. Questa è quella Pia che il vertuoso e dottissimo Dante ha posta in Purgatorio. Io ciò che narrato vi ho, trovai già brevemente annotato in un libro di mio bisavolo, ove erano molte altre cose descritte degli accidenti che in quelle contrade accadevano.
Sentito ho molte fiate disputare qual di queste due passioni più tosto uccida un uomo, o la gioia od il dolore, avendo ciascuna de le parti le sue ragioni per approvar quanto dicevono, con dire che gli spiriti vitali in una smisurata allegrezza essalano e in un gran dolore si ristringono e si affogano. E ben che tutto il dì questa materia sia messa in campo, a me pare che ancora la lite sia sotto il giudice e che resti indecisa; chè, se bene disse il nostro gentil messer Pietro Barignano in un suo madrigale,
non è perciò che se talora l’allegrezza ha levato ad uno la vita, che anco non si truovi chi di dolor sia morto. Il che si potrebbe per essempi pur assai provare. Ma per ora, che il dolore rompa lo stame de la vita umana, mi contenterò con un sol caso avvenuto, non è molto, a una signora de l’istesso vostro nome e sangue, dimostrare. E perchè non solamente in quello si vede esser certo che la doglia ammazza l’uomo, ma anco vi si comprende l’amore immenso che la moglie al marito portava, come l’ebbi udito lo scrissi. Io era questo carnevale passato ne la vostra patria d’Asti, ove stetti alcuni dì in casa del signor conte Giovan Bartolomeo Tizzone vostro cugino e per Massimigliano Cesare di quella città governatore. Quivi de la proposta lite contrastandosi, il signor Giovanni Rotario narrò il caso di cui parlo. Onde, come ho detto, avendolo scritto, non ho voluto che senza il vertuoso vostro nome si veggia; perciò che parlando de la signora Camilla Scarampa, mi è parso convenevole che a la