Novelle (Bandello, 1853, I)/Vita di Matteo Bandello
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VITA
DI
MATTEO BANDELLO
SCRITTA DAL CONTE
GIAMMARIA MAZZUCCHELLI
Matteo Bandello, domenicano, celebre scrittore di novelle, fu di Castelnuovo, terra del Tortonese, e fiorì dal principio del secolo xvi sin verso il 1560. Suo zio fu quel F. Vincenzo Bandello, generale XXXVI della religione dei Padri Domenicani, eletto nel 1501 e morto nel 1506. Ci è noto che il nostro Matteo andò ancor giovane a Roma; onde ci sembra molto verisimile che vi si trasferisse, o per occasione dello zio o da questo chiamato: e che in tale congiuntura vestisse pur quivi l’abito de’ Padri Predicatori. Fu ascritto al convento di Santa Maria delle Grazie di Milano; ma pare che abbia viaggiato, ed avuta stanza nella maggior parte delle città d’Italia, e principalmente in quelle della Lombardia, ed anche fuori d’Italia. Sappiamo che assistè alla morte del suddetto suo zio, la quale seguì nel convento d’Altamonte, in Calabria, in detto anno 1506; e che ebbe l’incombenza, siccome il suo zio aveva comandato, di far trasportare e seppellire il suo corpo in Napoli, nella chiesa di S. Domenico; onde non è inverisimile che seguito avesse pur il zio ne’ lunghi viaggi che fece per l’Italia, in Francia, in Ispagna e in Germania per visitare i conventi di sua religione. Ma sembra che Matteo principalmente si trattenesse in Mantova e in quei contorni, ove contrasse e coltivò amicizia con Giulio Cesare Scaligero, ed ove fu maestro della celebre Lucrezia Gonzaga, la quale in una sua lettera confessa che egli le interpretò Euripide, e che in Castel Giuffrè, luogo del Mantovano, savi precetti le andò istillando nel cuore. Egli godè quivi lungo tempo deila grazia e dei favori di Pirro Gonzaga e di Camilla Bentivoglia, genitori di Lucrezia. Era uomo non solamente dotto ed amico dei letterati e degli uomini più illustri dei suoi tempi, ma anche abile e destro nelle cose politiche e secolari; e perciò di lui si servirono alcuni principi e gran signori nel maneggio d’alcuni affari. Con tale occasione andò ammassando quante dissertazioni e notizie istoriche e letterarie potè mai per gli studi suoi, di molte delle quali si servì per comporre le sue novelle, quando una grave disgrazia interruppe moltissimo i detti studi. Ardeva allora, cioè intorno al 1525, la guerra tra gli Spagnuoli e i Francesi, ed egli, insieme con suo padre, a questi ultimi aderiva. Fatti padroni di Milano gli Spagnuoli, abbruciarono la sua casa paterna, confiscarono i suoi beni, e posero a sacco la camera dove aveva i suoi manoscritti: e intanto egli, mutato abito e abbandonato Milano, fu costretto ad andar qua e là vagando, come profugo, di città in città per salvare la vita. Finalmente ritornato in Milano, e trovate le cose sue letterarie per sì fatto modo andate a male, attediato di tante disgrazie sue e della patria, giudicò forse allora di ritenere quell’abito che gli aveva servito di maschera nella fuga. Si pose in corte di Cesare Fregoso, già generale de’ Veneziani, e di Costanza Rangoni sua moglie, e con essi si ritirò in Francia, appresso i quali dimorò in Bassen, loro castello vicino ad Agen nell’Aquitania, per qualche tempo, retribuendo egli elogi e buoni augurii per le loro generosità. Quivi avendo ricuperata una parte dei suoi manoscritti, mercè d’un amico che dagli Spagnuoli glieli aveva ottenuti, e parte riavutala dagli amici a cui gli aveva prima indirizzati, si diede con tranquillità a porli insieme e a ripulirli. In questo tempo il detto Cesare Fregoso, mentre andava a Venezia ambasciatore del re Francesco I, fu ucciso per ordine del marchese del Vasto, governatore di Milano, a’ 2 di luglio del 1541; onde il Bandello si vide privo del principale suo appoggio. Non andò molto però che il re Enrico II, successore di Francesco I, volendo rimunerare la famiglia del Fregoso, nominò il nostro Matteo al vescovado di Agen, rimasto allora vacante per la morte di Giovanni di Lorena, seguita ai 10 di maggio del 1550, riserbata però la metà della rendita di quel vescovado ad Ettore Fregoso cherico, figliuolo di Cesare: il che accordato dal pontefice Giulio III, venne da questo perciò creato il nostro Bandello vescovo d’Agen il primo giorno di settembre del 1550. Ma lasciando egli il governo di esso vescovado a Giovanni Valerio vescovo di Grasse, attese ad istudiare e comporre. Non c’è noto quando morisse, ma se vogliamo prestar fede ai Sammartani, era ancora vivo neiranno 1561. A lui succedette Giano Fregoso, altro figliuolo di Cesare, cui troviamo poi morto nei 1586. Ha composte l’opere seguenti:
1. Titi Romani, Ægesippique Atheiiiensis amicorum historia in latinum versa per F. Matthaeum Bandellum Castronovensem Ord. Praedicator., nominatim dicata clarissimo adolescenti Philippo Saulo Genuensi Juris Caesarei atque Pontificii alumno, ex aedihus Gratiarum Idib. Sept. mdvui. Mcdiolani apud Gotiardum Pontium, 1509, in-8. Questa è la famosa novella di Tito e Gisippo del Boccaccio, inserita nel suo Decamerone alla Giornata X, num. VIII, tradotta in latino dal Bandello. Il Vossio ha sbagliato, dicendo che questa traduzione fu da Matteo fatta in volgare: e il Bayle talmente ha creduto in ciò al Vossio, cho ha voluto tacciare il Moreri per avere omessa nel Grand Dictionnaire questa particolarità. Forse il Vossio è stato tratto in errore da Antonio Sanese e dal Possevino,i quali per avventura seguiti pur dal Ghilini non seppero essere questa nel suo originale una novella del Boccaccio; e forse l’avere il Bandello chiamato in latino Ægesippum colui che il Boccaccio chiamò Gisippo, scemò ad essi il motivo per avvedersene. Niente minore è lo sbaglio del Fontanini, il quale ha scritto che il Bandello volgarizzò l’Ægesippo latino di sant’Ambrogio; nelle quali parole si possono ravvisare tre errori: l’uno nel dire che facesse un volgarizzamento, quando tradusse dal volgare in latino; l’altro nel credere che la sua traduzione fosse dell’opera di Egisippo scrittore greco; e il terzo che la traducesse dal latino di S. Ambrogio, quando non si sa che S. Ambrogio abbia mai tradotto in latino il greco Egesippo. Questi errori del Fontanini sono stati ciecamente trascritti nella Biblioteca dei volgarizzatori.
II. Canti XI (in ottava rima) composti dal Bandello, delle Lodi della signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo, e del Vero Amore, col Tempio di Pudicizia, e con altre cose perdenlro poeticamente descritte. Le Tre Parche da esso Bandello cantate (in tre capitoli) nella natività del signor Ciano, primogenito del signor Cesare Fregoso e della signora Costanza Rangona sua consorte, in-8°, senza nota di luogo, di stampatore e d’anno. Un’altra edizione se ne ha, nel fine della quale si legge: Si stampavano in Guienna nella città di Agen per Antonio Reboglio, del mese di marzo del 1545, in-8°. In fine si legge un suo Sonetto e un Epigramma di Girolamo Fracastoro: in Bandelli Parcas ad Janum Caesaris Fregasi filium, ed in principio si trova un Epigramma di Giulio Cesare Scaligero: in Bandelli amores pro D. Heroina Lucretia Gonzaga Pyrri filia. In fronte alle Tre Parche si legge una lettera del Bandello al conte Guido Rangone, in data di Verona 15 gennaio 1531. Rarissime sono amendue queste edizioni.
III. Le Novelle del Bandello, in Lucca, presso il Busdrago, 1554, tomi 3 in-4°; tomo IV, in Lione, per Alessandro Marsili, 1573, in-8°; e poi corrette da Ascanio Centorio degli Ortensi (che premise a ciascuna il suo senso morale), in Milano, per Giovanni Antonio degli Anioni, 1560, tomi 3 in-8°. Di nuovo corrette da Alfonso Ulloa, in Venezia, per Camillo Franceschini, 1566, in-4; ed ultimamente in Londra presso l’Harding, 1740, tomi 4 in-4°. Questa ristampa è stata fatta secondo l’edizione di Lucca, la quale è la più intera e la più stimata di tutte, ma conviene che vi sia unito anche il tomo IV stampato in Lione nel 1573, nel quale pure si trova al num. XXVII la novella di Simone Turchi, che ad istanza de’ parenti fu levata dall’edizione di Lucca, come vi si dice a cartella 151: e questo corpo così unito è assai raro, difficilissimo essendo principalmente il trovare il tomo IV stampato in Lione. Di queste novelle si ha una traduzione in prosa francese fatta da Pietro Boaistuau, che tradusse le sole prime sei, e da Francesco di Belleforest, che tradusse il rimanente, ma con poca esattezza; la qual traduzione fu stampata in Parigi e in Anversa nel 1567 e 1568, in tomi 7 in-8°, e poi in Lione, presso Girolamo Farina, 1578, tomi 4 in-16°, e in Parigi nel 1579, pure in tomi 7 in-16°; poi in Parigi, 1582, in-16°, e in Torino, per Cesare Farina, 1570 e 1582, in-16°, e in Lione nel 1591 e 1596, tomi 7 in-16°,e appresso in Roano, 1603, tomi 8 in-160.
Queste novelle sono brevi narrazioni di curiosi avvenimenti stese sul gusto di quelle del Boccaccio. Ogni volume ne contiene un buon numero, ed a ciascuna di esse precede una sua lettera dedicatoria, con cui le va indirizzando a’ suoi amici: in esse lettere, le quali si veggono omesse nelle ristampe fatte nel 1560 e 1566, narra per lo più quando e come sia egli venuto in cognizione di quel fatto che è per raccontare, e cui vuol far credere per pura verità. Lo stile è piuttosto colto e studiato, che che taluno n’abbia detto in contrario, non però in guisa che possa mettersi a confronto di quello del Boccaccio. A confronto bensì della libertà con cui il Boccaccio ne stese parecchie in genere di amori, si possono metterne non poche; e per questo conto il Bandello non si è meritata lode alcuna dagli uomini saggi, i quali all’incontro si sono maravigliati come un religioso, regolare e vescovo ancora, potesse scrivere e pubblicare racconti così profani ed impuri. Gli stessi padri Quetif ed Echard, di lui parlando, e queste novelle riferire dovendo, non hanno saputo dissimulare in certo modo il rossore loro col dire che puderet referre (haec opera) ut virum religiosum minime decentia, nisi manibus omnium versarentur. Due cose tuttavia, non per sufficiente sua difesa, ma per rendere minore la sua colpa, si vogliono qui da noi osservare: l’una è che le dette novelle, per quanto chiaramente si conosce dalle lettere dedicatorie che vi sono in fronte, furono da lui scritte assai prima di esser vescovo e di andare in Francia; l’altra è che, quantunque i primi tre volumi di dette novelle fossero stampati mentre era vescovo, non però nel frontespizio nè altrove fu posto il suo nome, e molto meno la sua dignità, ma solamente il suo cognome così: Le Novelle del Bandello, e in fronte alle lettere dedicatorie si legge unicamente: Il Bandello, ecc. Ciò ha dato motivo ad alcuno di dubitare se il nostro Matteo sia il vero autore di dette novelle. Alcuno ha sostenuto che se ne abbia a riconoscere per autore, non lui, ma un certo Giovanni Bandello lucchese. Il fondamento tuttavia, al parer nostro, non sussiste a fronte delle ragioni in contrario. Sei delle mentovate novelle si trovano nel volume terzo del Novelliero Italiano. In Venezia, presso Giovan Battista Pasquali, 157i, in-8.
IV. Molte altre opere ha composte, le quali non sappiamo essere alle stampe. Di alcune ci ha lasciata notizia Leandro Alberti. Questi dopo aver chiamato Matteo, virum in scribendo floridum, clarum, nitidum, emunctum, et accuratum, cuius insignes dotes si narrare voluero, me potius tempus deficeret, così soggiunge: Eius scripta totum illum effingunt, videlicet Ægeslppus suus latinus, quem aliquando vernaculum latine et erudite ìoqui fecerat; Orationes diversae et imprimis illa per eum habita corani Senatu Populoque Firmano, anno Domini mdxiii, pro gratiarum actionibus pro Synodo nostra, in qua origo, et res gestae Firmanae Civitatis tam opulente, tam ampie ac eleganter continentur, ut a Firmanis exemplum continuo in Archiviis Urbis pro aeterna memoria reponeretur; et Carmina vernacule composita, ut Franciscum Petrarcam protinus revixisse omnes testari ac affirmare possent. Missa facio caetera opera, ut quorumdam illustrium virorum ex Plutarcho vitas brevi Epithomate complexat, et Vitam patrui sui Vincentii Bandelli, ac nonnullorum virorum insignium, etc. Una di queste vite forse è quella di F. Giovanni Battista Cattaneo, morto di peste nel 1504, della quale ha fatta menzione il Pio. Delle sue rime poi sappiamo conservarsi una Raccolta nella libreria regia di Torino, nel cod. segnato (fra gli Italiani) di numero CXXXVI. K. I. 33, in cui è pure una sua canzone intitolata: Delle divine doti di madama Margherita di Franza, figliuola del cristianissimo re Francesco I. Alcune sue rime si trovano impresse fra quelle di diversi in lode di D. Lucrezia Gonzaga, ecc. In Bologna per Giovanni Rossi, 1565, in-4°. Va suo Sonetto tratto da un codice della libreria Biccardiana di Firenze, segnato 0. IV, è stato pubblicato dal chiarissimo sig. dott. Giovanni Lami, a cartella 57 del suo catalogo dei manoscritti di quella libreria. La mentovata sua orazione al senato e popolo di Fermo si conservava manoscritta nell’archivio di quella città al tempo del Ghilini, che ne fa menzione. Lo stesso Leandro Alberti parla altrove d’una sua orazione in lode di Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, ch’egli recitò davanti Federigo suo figliuolo e di tutta la città, nell’anniversario di esso. Di un Officium de B. Lazaro da lui composto si fa menzione negli alti del capitolo generale della sua religione tenuto in Vagliadolid nel 1525. Lo stesso Bandello parla d’un suo Gran Vocabolario lalino raccolto da tutti li migliori scrittori, il quale soggiacque alla strage di Milano, già di sopra riferita. E finalmente nei codici che erano di Cristina regina di Svezia, ed ora sono nella libreria Vaticana, uno se ne trova segnato di numero 1764, intitolato: L’Etica di Bandello a Margherita regina di Francia.
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