Novelle (Bandello, 1853, I)/Parte I/Novella VI
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Abbiamo noi lombardi un proverbio che molto spesso si costuma dire, cioè che il lupo muta pelo e non cangia vizio. E perchè i proverbi son parole approvate, conviene che il più de le volte siano vere: onde quando si vede uno invecchiato in una costuma o buona o rea che si sia, si può fermamente credere che egli il più de le volte in quella morrà. Può l’uomo da bene peccare, e di fatto talora pecca, ma per non essere al male avvezzo, con l’aiuto de la misericordia di Dio s’avvede del suo errore, e pentito ritorna a la via dritta. Gli uomini sconci e scelerati che nel mal operare hanno fatto il callo, si vedeno a le volte far buone e vertuose opere, ma poco durano in quelle, anzi ritornano a la loro pessima vita. E la ragione di questo è che, come l’uomo con i frequenti atti ha fatto l’abito e consuetudine in una cosa, quell’abito o consuetudine difficilmente si può rimuovere. E ragionandosi, non è molto, in casa del nobilissimo signor Galeazzo Sforza signor di Pesaro, che era in Milano, a la presenza de la molto vertuosa signora Ginevra Bentivoglia sua consorte, di questa materia, perciò che si diceva d’un vecchio che più di venti anni aveva sempre tenuto una concubina e morendo non l’aveva voluta lasciare, il magnifico messer Paolo Taeggio dottor di leggi narrò un mirabil accidente in Milano avvenuto, che fece meravigliar senza fine tutti quelli che l’udirono. E certamente il caso è degno di ammirazione e di pietà, e se non fosse meschiato di cose sacre sarebbe da riderne pur assai. Onde per dar numero a le mie novelle mi parve di scriverlo e al nome vostro dedicarlo, sapendo che non poco ve ne ammirarete, essendo voi molto ne le cose sacre cerimonioso, come io più volte ho esperimentato. Vi piacerà che il nostro piacevole Gian Tomaso Tucca anco egli legga questa novella, ricordandogli quella del rammarro, che da voi fu scritta quando con le genti d’arme eravate al Finale del Ferrarese. State sano.
Messer Dioniso Corio, gentiluomo di questa città molto onorato e di antica famiglia, soleva molto volentieri, quando era in compagnia, con qualche novella gli ascoltanti rallegrare. Egli era bellissimo parlatore e sempre aveva qualche bella cosa a le mani. Onde, quando il signor cavalier Vesconte Alfonso fece le nozze de la signora Antonia Gonzaga sua moglie, io che era ancor degli invitati mi ricordo che narrò tra l’altre volte una novella qui a Milano avvenuta, la quale, per esser a proposito de la materia di cui ora si ragionava, mi piace di dirvi. Vi dico adunque che Francesco Sforza, che con l’armi s’acquistò il ducato di Milano, fu uomo ne le cose militari senza dubio da esser agguagliato a qualunque eccellente ed antico romano. Egli ancor che non fosse letterato, come quello che era stato sotto il vittorioso capitano Sforza Attendulo suo padre da teneri anni nodrito, nondimeno amò sempre gli uomini dotti in qualunque scienza si fosse, e diede loro gran salarii. Fra molti adunque che egli qui in Milano e altrove mantenne, v’era il Porcellio, poeta romano, il quale, ben che fosse nato e allevato a Napoli, nondimeno voleva esser detto romano. Egli era assai buon poeta secondo quei tempi che le buone lettere, ch’erano state tante centinaia d’anni sepolte, cominciavano a levar il capo e a ripolirsi. E chi bramasse veder qualche sua composizione, vada nel palazzo che fu del famoso conte Gasparo Vimercato e vedrà ne le sale e camere a diversi propositi sotto varie pitture, epigramme assai de le sue, che dimostrano la vivacità del suo ingegno. In lui però l’eccellenza de le lettere ed il pregio de le muse di gran lunga avanzavano molti enormi vizii che aveva. Ma fra gli altri diffetti che in lui abbondavano, questo fra gli altri era uno dei solenni, che sempre la carne del capretto gli piaceva molto più che altro cibo che se gli potesse dare, di maniera che questo era il sommo suo diletto d’andar in zoccoli per l’asciutto. Tuttavia, per diminuir l’openione che in corte generalmente di lui si teneva, più che per voglia ch’egli n’avesse, e anco stimolato dal duca Francesco, che bramava pure ch’egli s’avvezzasse a mangiar altre carni che di capretto, prese per moglie una vedova di venti otto anni che ’l duca gli fe’ dare, che aveva una buona eredità. La moglie, ch’era donna molto costumata, s’accorse in breve che il marito mal volentieri andava in nave per il piovoso; pur, essendo buona femina e sperando che col tempo il marito devesse mutar vezzo, se ne passava a la meglio che poteva, pregando tutto il dì Iddio che degnasse illuminar la mente del marito e levarlo da così abominevol peccato. Ed ecco che il Porcellio infermò gravissimamente, di modo che i medici avevano poca speranza de la vita del povero vecchio, avendo perduto il sonno ed il mangiare. Egli era più vicino ai settanta anni che altrimenti e si trovava molto debole. Veggendo questo, la moglie si sforzò con mille buone ragioni d’indurlo che si confessasse. Egli l’ascoltava, ma diceva poi che non voleva farlo. Onde ella conoscendo che indarno s’affaticava, mandò al duca Francesco umilmente pregandolo che per amor di Dio degnasse mandar una persona d’autorità, che al Porcellio persuadesse, essendo così gravemente infermo come era, che volesse aver qualche cura de l’anima, a ciò che egli come un cane non morisse senza i santi sagramenti de la Chiesa. Il duca, udita la santissima supplicazione de la buona femina e pietosa moglie, mandò al convento de le Grazie dei Frati osservanti di san Domenico, che alora di nuovo era edificato, e si fece chiamar il padre fra Giacomo da Sesto, uomo vecchio e di santissima vita, e quello informò di quanto voleva che facesse. Il santo Uomo, udita la volontà del duca, se n’andò di lungo a la casa del Porcellio. Quivi arrivato e detto a la donna come per commessione del prencipe era venuto per visitare e confessar il Porcellio, fu da lei con grandissima riverenza ricevuto. La quale, poi che l’ebbe fatto sedere, cominciò a pienamente informarlo de la malvagità de la vita del marito, pregandolo con le lagrime sugli occhi che si volesse affaticar per far che il marito s’emendasse. Il santo frate, stringendosi ne le spalle, si ritrovò assai di mala voglia, e disse che per non mancar del debito suo farebbe ogni cosa che a lui fosse possibile. Bramoso adunque di guadagnare un’anima che, secondo che la moglie diceva, era ne le mani del diavolo, entrò ne la camera del Porcellio e disse: – La pace d’Iddio sia a questa casa e a tutti quelli che vi stanno. – Così dicendo s’accostò al letto e dolcemente salutò il Porcellio, il quale fe’ vista di veder assai volentieri il frate. Quivi entrati in varii ragionamenti, il santo frate gli fece intender come l’eccellentissimo signor duca lo mandava e la cagione perchè. Dopoi gli disse molte buone parole essortandolo destramente a confessarsi, perchè ogni ora che a lui fosse comoda egli era presto a udirlo. Il Porcellio, dopo che ebbe ringraziato de l’umanità il duca e il frate de la fatica, disse che alora si confessarebbe. Usciti adunque tutti de la camera, cominciò il santo frate con sommissima diligenza a far l’ufficio suo. E, venendo ai peccati de la carne, modestamente il domandò se mai aveva peccato contra natura. A questa interrogazione il Porcellio, in sè raccolto, cominciò con ammirazione fisamente a riguardar il frate, e quasi come se mezzo scandalizzato fosse: – Messere, – disse, – voi mi domandate pur la strana cosa. Che parlate voi? Io non peccai contra natura a la vita mia già mai. – Il santo sacerdote, vergognandosi d’avergli tal richiesta fatto, passò a l’altre cose, e usata ogni diligenza che seppe perchè l’infermo perfettamente si confessasse, poi che vide che il Porcellio non aveva altro che dire, gli diede quella penitenza che gli parve e l’assolse, imaginandosi che la buona moglie fosse in grande errore. Assolto che l’ebbe e fattogli una santa essortazione, volendo partire, gli disse: – Messer Porcellio, io verrò domane a visitarvi, e se altro vi ricordarete io vi udirò e ordinerassi poi che venga il sacerdote vostro parrocchiano a darvi il santo sacramento de l’Eucarestia, a ciò che prendendo il salutifero viatico state in ordine per far quanto piacerà al nostro redentore messer Giesu Cristo, in mano del quale sta la vita e la morte nostra. – Fate voi, – rispose il Porcellio, – chè io tanto farò quanto mi comandarete. – Il buon padre col segno de la santa croce lo benedì e partissi di camera. Come la moglie il vide uscito di camera, così fattosegli incontro lo interrogò se il marito era deliberato di più non peccare contra natura. A cui il santo frate umanamente rispose: – Madonna, voi devete pensare che quando noi udiamo la confessione di chi si sia, o sano od infermo, che noi facciamo tutto il debito nostro, e non appartiene a nessuno a voler intendere ciò che il confitente dica. A noi poi, che siamo dai nostri superiori deputati a udire le confessioni, non sta bene far motto in qualunque modo si voglia di cosa alcuna che detta ci sia, anzi, se noi rivelassimo la confessione, saremmo degni d’esser morti. Ma tanto vi vo’ e posso ben ora dire, che voi sète in grandissimo errore de la openione sì strana che di vostro marito avete. Egli, sia lodato Iddio, non ha punto quel sozzo vizio che voi mi diceste, anzi n’è molto lontano. – La buona femina alora, che sapeva come il fatto stava, piangendo teneramente disse: – Padre mio caro, io non son punto errata nè m’inganno, ma il misero di mio marito è quello che inganna se stesso, e si vergogna dire questo enorme peccato. Credetelo a me che io lo so, che egli vi è più avviluppato dentro che non è il pulcino ne la stoppa. Tornate, padre, di grazia, a riparlargli e non guardate a lui, chè io v’assicuro che egli vi ha detto la bugia. – Bene, madonna, – disse il buon frate, – io ci ritornerò domatina per farlo communicare, e se così sarà, farò quanto a me conviene. – E così, presa da la donna licenza, se ne ritornò a le Grazie. La seguente matina il frate andò a l’infermo e dopo le salutazioni gli disse: – Figliuol mio, io sono ritornato a ciò che questa matina tu riceva il nostro salvatore, come deve far ogni fedel cristiano. Ed a riceverlo, quanto la fragilità umana comporta, bisogna preparare la mente nostra, che sia degno albergo di tanto oste. Perciò conviene essersi intieramente di tutti i peccati confessato e non celar cosa nessuna al sacerdote. Ieri tu mi dicesti che niente altro avevi a dirmi, ed io son avvertito da buona via che tu per vergogna hai tacciuto un peccato che è in te. Ma egli non si vuole far così. Chè se tu avessi messo Cristo in croce e che tu ne sia mal contento di core e te ne confessi, egli sta confitto là su la croce con le braccia aperte, e sempre è presto, purchè tu voglia, a perdonarti. Sì che, figliuol mio, dimmi liberamente ogni tuo peccato, e secondo che non hai avuto vergogna a commetterlo, non ti vergognar a dirlo. E forse che sei dinanzi al giudice del maleficio, che tu debbia dubitar de la vita? Non temere, e di’ il tutto come sta. – Padre, – rispose il Porcellio, – io ieri intieramente mi confessai e a tutte le interrogazioni che mi faceste risposi la pura verità. Tuttavia, se avete dubio alcuno, dite ed io tosto ve ne chiarirò. – Alora il frate pieno di zelo de la salute del peccatore gli disse: – Figliuolo, a me è stato affermato che tu sei molto colpevole, e dico pur assai, del peccato contra natura. Il perchè, se così è, tu me lo devi dire ed aver dolore di così enorme vizio, e fermamente deliberarti mai più di non commetterlo. Se tu te ne confessi, io te ne assolverò; altrimenti tu ne anderai in bocca di Lucifero tra quelle insopportabili pene d’inferno. – Il Porcellio, a queste parole mezzo corrucciato, quasi in còlera rispose: – Messere, voi mi parete un altro, perciò che cotesto che mi dite non è vero. E chi mi fa di peccato contra natura colpevole non sa ciò che si dica, e mente. Voi devete creder a me in questo caso e non ad altri. Nessuno sa meglio i casi miei di me. – Il santo padre sentendo questo, e sapendo che al confitente bisogna credere così quello che dice contra se stesso come in favore, in questo modo gli rispose: – Figliuolo, ho fatto il debito mio, secondo che la bontà divina m’ha spirato. Egli sarà ben fatto che si mandi al parrocchiano che porti il sacramento de l’altare, al quale io venendo in qua ho parlato, ed egli aspetta. – Si mandò al parrocchiano, e la moglie, veggendo che il frate era dimorato buona pezza con l’infermo, pensò, sentendo anco che il parrocchiano veniva, che il marito si fosse d’ogni cosa confessato. In questo mezzo che il parrocchiano s’aspettava, il santo frate stette ragionando di buone cose col Porcellio, il quale a certo proposito gli disse: – Io non so chi sia nè saper lo voglio chi m’abbia appo voi infamato del peccato contra natura, che in me non fu mai; Dio glielo perdoni. – E qui cominciò con giuramenti affermar al frate che gli era stata detta la bugia, ed al testimonio suo chiamava tutti i santi del cielo con le più terribili parole del mondo. Il buon padre che propinquo a la morte il vedeva, non si averia potuto imaginare che egli altro che il vero dicesse già mai. Il perchè venuto il parrocchiano, il povero Porcellio prese il Sacramento de l’altare, e in apparenza mostrava una gran contrizione. Di che la moglie sua mostrava grandissima contentezza, pensando d’aver guadagnata l’anima del marito. Partendosi poi il frate, la donna l’accompagnò verso la porta, ringraziandolo sommamente del santo ufficio che aveva fatto col marito, e lo supplicava che pregasse Iddio che il Porcellio si mantenesse in questa openione e che più non ritornassi al vomito. Il frate le fece una onesta riprensione e le disse: – Madonna, voi sète ostinata innanzi che no, e peccate avendo cattiva openione di vostro marito in quel che egli non è colpevole, ed infamandolo come fate di così vituperoso vizio. Egli non sta bene nè si vuol far così. – La donna, udendo questo, fece fermar il frate che voleva uscir di casa e sì gli disse: – Padre, io non vorrei già che voi vi partiste scandalizzato di me non facendo cosa che debbiate scandalizzarvi, ed anco non vorrei che mio marito morisse come una bestia. Chè se egli è vivuto, come ha fatto fin qui, peggio che non fanno gli animali irrazionali, io vorrei pure se possibil fosse che morisse come deve fare ciascun buon cristiano. Ciò che io di lui v’ho detto, non pensate già che detto l’abbia per gelosia o per qualche lieve sospetto che di lui mi sia venuto, chè io non mi moverei così leggermente. Ma io con questi dui occhi il tutto ho visto. Nè io, misera me, in questo son sola, ma in casa tutti ve ne renderanno testimonio. E forse che seco non ne ho fatto cento volte romor grandissimo, assicurandovi che egli a la presenza mia non l’averia saputo negare. Il perchè, padre mio, non guardate al negare ch’egli faccia, ma per Dio ritornate in camera e vedete cavarlo di mano del diavolo. – Restò a questo il santo uomo smarrito, e ritornò al Porcellio e gli disse: – Oimè, figliuolo, io non so quello che di te mi dica. Tu mi neghi d’aver peccato contra natura, del quale sei più carico che se tu avessi a dosso la fabrica del maggior tempio di Milano, e nondimeno sono io assicurato che tu sei più vago mille volte dei fanciulli che non è la capra del sale. – Alora il Porcellio con alta voce più che puotè e crollando il capo disse: – Oh, oh, padre reverendo, voi non mi sapeste interrogare. Il trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar e il ber a l’uomo, e voi mi domandavate se io peccava contra natura. Andate, andate, messere, chè voi non sapete che cosa sia un buon boccone. – Il santo frate, tutto a questa diabolica voce stordito, si strinse ne le spalle, e rimirato alquanto il Porcellio per miracolo, come averebbe fatto mirando un spaventoso mostro, sospirando disse: – Oimè, signor Iddio, io ho fatto porre Cristo in una ardente fornace; – e partissi, e incontrando la donna disse: – Madonna, io ho fatto quanto ho potuto. – In questo il Porcellio chiamò ad alta voce la moglie; ella subito corse in camera del marito. Il ribaldone e scelerato uomo le disse: – Moglie, fammi recare una secchia d’acqua e non tardare. – Dimandato ciò che ne volesse fare: – Io vo’ – disse egli – ammorzare il fuoco intorno a Cristo, che quel bestione del frate mi dice che io ho posto in una fornace; – e narrò a la moglie il tutto, la quale ebbe di doglia a morire. Il Porcellio prese meglioramento e sanò del male, e a cosa si divolgò in corte e per Milano, di maniera che da tutti essendo mostrato a dito, fu astretto non uscir più di casa, e creder si può che come era vivuto da bestia si morisse da bestione. E insomma si può dire che il lupo muta il pelo ma non cangia vizio.
Egli è bene ormai tempo che io devessi ricever da voi una sola risposta a le mie tre lettere che v’ho scritte, dopo che voi sète partita di Lombardia e andata nel regno di Napoli. E vi prometto per quella riverenza che sempre v’ho portato, che io tra me stesso deliberato aveva di por fine al mio scrivere e non vi mandar più lettere mie; non già che io sia fatto gran maestro e salito in superbia, o che io più non vi stimi come