Novelle (Bandello, 1853, I)/Parte I/Novella XI
Questo testo è incompleto. |
◄ | Parte I - Novella X | Parte I - Novella XII | ► |
Ragionandosi questi dì, ove noi eravamo, di messer Bernardino Busto dottore, che avendo trovata la notte la moglie nel letto con l’amante che subito se ne fuggì, che in quell’ora medesima, ancor che la neve fosse alta in terra, aveva mandata via la moglie scalza con una camiscia sola in dosso, furono diversi i giudicii di quelli che parlarono, secondo che sono varii gli affetti degli uomini. Voi, se ben vi ricorda, diceste che mai non avevate avuto moglie nè ancora animo di prenderla, trovandovi tre gentilissimi nipoti figliuoli di vostro fratello, i quali per figliuoli proprii tenete ed amate. Che nondimeno, se mai vi cadesse ne l’animo di maritarvi e che per disaventura conosceste d’andare a la volta di Corneto, che voi non svergognareste nè lei nè voi, ma che pigliareste la lepre col carro, come fanno i savii che non vogliono entrare in bocca del volgo. Ci furono di molti che lodarono questa openione, e quivi molte e varie cose si dissero. Fu anco detto d’un certo barone del regno di Francia, il quale, essendo stato qualche dì e mesi fuor del paese e tornando a casa, condusse seco un figliuolin bastardo che s’aveva acquistato d’una gentildonna, e ritrovando a l’improvviso la moglie nel letto di quattro o cinque giorni, che non aveva potuto il nato figliuolo far nascondere, disse baciando la sua donna: – Moglie mia, voi ne avete fatto ed io altresì. Del passato non se ne parli più. Chi ha fatto s’abbia fatto, e per l’avvenire attendiamo a far buona cera. – Si rise assai di questo barone e si disse che aveva mangiato troppo zafferano. Fu anco detto d’un gentiluomo di Mantova, il quale, trovato che la moglie sua aveva nel letto l’amante, fermò di sorte l’uscio che non si potesse aprire, sapendo la fenestra aver la ferrata, e se n’andò di lungo a san Sebastiano a parlar al signor Francesco Gonzaga marchese di Mantova, al quale domandò licenza d’ammazzar l’adultero che era con la moglie e lei insieme. Il marchese alora iratamente gli disse: – Becco cornuto, se tu hai ardire di torcer un pelo nè a tua moglie nè a colui che è seco, io ti farò impiccare. Ben ti giuro, se subito che gli trovasti insieme tu gli avessi uccisi, io te l’averei perdonato. Va e lascia partir colui liberamente. – E così chi diceva una cosa e chi ne diceva un’altra. A la fine l’eccellente dottore messer Francesco Midolla, senatore del parlamento di Milano e vostro cognato, uomo di singolar dottrina e di molta esperienza, disse: – Signori miei, se m’ascoltate io vi dirà quanto prudentemente un senatore di Parigi in simil caso si diportasse; – e quivi narrò un memorabil caso, il quale da me ridotto al numero de le mie novelle vi dono. State sano.
Non è molto, signori miei, che essendo io in Parigi, vi fu un consigliero o senatore del parlamento, che è il primo di molti che sono in Francia, il quale, essendo già in età, aveva per moglie una bella giovane, francese anch’ella, la quale egli sommamente amava. Ella che era fresca e di pel rosso, e che vedeva il marito debole e senza possa di poter spesso inacquar il suo giardino, e che quasi ogni mattina si levava innanzi dì, in quell’ora che ella averebbe voluto giocare a le braccia e cacciar il diavolo ne l’inferno, si trovava troppo di mala voglia veggendosi perder senza piacere la sua giovanezza. Onde volendo proveder a’ casi suoi con quel meglior modo e più secretezza che fosse possibile, pensò che di leggero averebbe la comodità, pur che ritrovasse persona che le aggradisse; perciò che andando a buon’ora monsignor suo marito in parlamento e tardi a casa ritornando, averebbe in quel tempo agio di sodisfare ai suoi bisogni. Fatta questa considerazione tra sè, si mise a star su la porta ed a la finestra per veder chi andava per la contrada e per far scielta d’uno che più le fosse paruto a suo proposito. E tutto il dì veggendone passar molti e quasi nessuno al suo appetito sodisfacendo, avvenne che un dì le passò dinanzi uno d’età di ventisei in venti otto anni, il quale facendole riverenza cortesemente con la berretta e andando di lungo per i fatti suoi, molto ne la prima apparenza le piacque. Era colui lombardo, al quale occorreva quattro o sei volte il dì, e più e meno secondo le faccende che aveva per le mani, far quella strada. Il che da la donna avvertito, e tre e quattro giorni osservato il passar di quello, e più ogni volta piacendole, cominciò, quando passar il vedeva, a fargli buon viso e mostrar d’aver sommamente caro l’onore ch’egli le faceva. Di che accortosi il giovine che avveduto era, pensò che forse fuor di proposito non sarebbe che egli a far con la donna servitù si fosse messo. E stando in questo pensiero e passandole una volta come soleva dinanzi, ella gli disse: – Monsignor, ove andate voi così in fretta? – e tutta in viso arrossì. Il lombardo fermatosi, e avendo assai buona lingua franzese, le rispose con riverenza e disse: – Madonna, io vado per certe mie faccende fin al ponte di Nostra Donna; ma se v’è cosa ove io possa farvi servigio e che degnate comandarmi, mi trovarete sempre presto ad ubidirvi, essendo di già qualche tempo che io desidero esser vostro servidore. – E veggendo lampeggiar gli occhi a la donna, cominciò a strigner la pratica e dirle che erano parecchi mesi che egli era fieramente di lei innamorato, ma che per esser straniero mai non era stato oso di manifestarle il suo fervente amore. Insomma, avendone la donna più voglia di lui, s’accordò seco che la seguente matina a buon’ora egli fosse ne la contrada, e come monsignor uscisse per andar in parlamento, che egli entrasse in casa e diritto se n’andasse a la tal camera, e mostrogliela. Il lombardo il tutto essequì e si trovò nel letto con lei, e seco altra giacitura facendo che il marito non aveva mai fatto, la contentò mirabilmente e corse in tre ore cinque poste senza mutar cavallo. Ora la bisogna andò così che, trovando il lombardo il terreno morbido e grasso e la donna un lavoratore che sempre era più fresco e gagliardo, s’accordarono insieme più che volentieri di tener lavorata la possessione, e così insieme si dimesticarono che anco talora da mezzodì egli andava a far una e due vangate, e durarono molti mesi. Ma essendo insieme una volta e ruzzando a la scalpestrata il lombardo con la donna, furono da uno di casa sentiti, il quale sospettando di ciò che era, si mise in aguato e vide uscir il giovine di camera. Il perchè, non lasciando la padrona di vista, s’accorse che ordinariamente la matina, come monsignor usciva di casa, che l’amico v’entrava. Onde avvertitone un altro che di cancegliero serviva il marito, una matina che il lombardo era in camera andò e il tutto al padrone scoperse, avendo lasciato il cancegliero a la guardia. Venuto monsignor a casa, fece fermar la porta e volle che li dui stessero di sotto armati con alabarde, a fine che se il giovine gli scappava da le mani che essi lo ammazzassero. Dapoi messa giù la toga, prese una spada e andò a la camera e bussò, chiamando la donna, la quale, trovandosi com’era, si tenne morta. Nondimeno aperse l’uscio, il quale subito il marito chiuse. Era il lombardo senz’arme e già s’aveva messo le calze ed il giubbone, quando monsignor gli disse: – Io non so chi tu ti sia, ma se tu non vuoi morire, piglia le tue vesti e subito salta giù da questa finestra. – Parve questo un pan unto al giovine, e preso il saio e la cappa saltò giù in un cortile d’un vicino, ed ebbe così la fortuna favorevole che da nessuno fu veduto. Serrò poi la finestra messer lo dottore e chiamò su i dui spioni, avendo fatto rientrar la donna nel letto. Come quelli furono in camera disse loro: – Ove è colui che voi detto mi avete giacersi con mia moglie? Poltronieri e gaglioffi che voi sète a voler infamar una donna da bene. Voi eravate certamente imbriachi, villani che sète. Andate, chè per questa volta io ve la perdono, ma per l’avvenire aprite ben gli occhi. – Coloro andarono giù che parevano spiritati, e non sapevano che dire. Il marito, fatta un’agra riprensione a la moglie che più non incappasse in questo errore, ritornò in senato. Ma la donna non si potendo smenticar il suo amante, trovò altro modo d’esser più segretamente seco. Ora non vi pare egli, signori miei, che questo consigliero meglio si consigliasse che non si consegliò messer Bernardino Busto od il melenso mantovano? Certamente, se egli sapeva ben consigliar altri, in questo pericolosissimo caso egli consigliò benissimo se stesso, salvando l’onor proprio e quello de la moglie.
Gli ultimi sonetti ed il bellissimo madrigale che voi ne la villa di Montechiaro in Bresciana mi deste, come io fui in Brescia mostrai al nostro gentilissimo messer Emilio Emilii. Io non voglio ora stare a dirvi ciò che egli ed io del vostro soave stile e de la vostra ingegnosa e bella invenzione dicessimo. Solo vi dirò che tra Montechiaro e Brescia io gli lessi e rilessi più volte per camino, e quanto più quelli io leggeva tanto più cresceva il disio di rileggerli, il che anco a messer Emilio avvenne. Ora per mandarvi una de le mie novelle, ve ne mando una che non è molto che in Mantova, a la presenza di madama illustrissima la signora Isabella da Este marchesana, narrò il molto piacevole messer Domenico Campana Strascino, ritornando da Milano a Roma ed avendo quel dì a Diporto desinato