Novelle (Bandello, 1853, I)/Parte I/Novella XXXV
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non ha invidia a persona che sia. E già più volte sopra questa materia hollo io udito contendere e mantener con frivole persuasioni le sue pazzie. Onde io ragionevolmente conchiuderò che in un maritato e in ogn’altra sorte d’uomini e donne non si truovi il più periglioso morbo di quello de la gelosia; di quella, dico, che passa tutti i termini del devere, perciò che esser geloso fino a certo termine è cosa lodata e necessaria. Ma come si passa da la vertù al vizio, non è gelosia, ma espressissima pazzia, come in questo ser Gandino s’è veduto. Adunque, come diceva il Montachino, questo mondo è una gabbia piena d’infinite e varie specie di pazzeroni, e che molti di coloro i quali si pensano esser i più saggi sono i più pazzi, come a le opere loro senza altri testimonii chiaramente si vede. Sì che, monsignor mio molto riverendo, non vi meravigliate se al nome di questo così notabile e solenne pazzo, e per aggiunta fieramente ingelosito, questa bella e nobilissima compagnia sì saporitamente rise, non ci essendo nessun di loro, credo io, che meglio di me non conosca tutte le sue taccherelle e tutti i suoi fecciosi modi, degni de le festevoli muse del Pistoia o de le piacevoli del Bernia che ora vive. Chè io per me sarei, se stile avessi, sforzato a farvi suso una Iliade e mandarla a Roma chè fosse consacrata a messer Pasquino o al gran barone ser Marforio. Ma questo è far satire e non novellare.
Ancor che ogni novella che si narri soglia a chi l’ascolta porger diletto, perciò che l’intender cose nuove sempre apporta agli ascoltanti piacere, nondimeno suol senza parangone non picciola contentezza porgere quando qualche cosa si narra che, oltra il diletto che se ne piglia, qualche profitto ancora se ne trae. Suole anco sommamente dilettare sentendo dire che, dove generalmente tutti gli uomini sogliono far le pazzie, e sè e tutta la famiglia favola al volgo rendere, che si truovi alcuno che, oltra ogni credenza scaltrito, non sia saggiamente operando nel comun diffetto incappato, anzi abbia di modo fatto che eterna lode ne meriti. Il che non è molto che a Vinegia avvenne, come questi dì il nostro piacevole messer Giulio Oldoino, essendo in Milano madama di Mantova Isabella da Este, narrò. Ed avendo io essa novella scritta se non così puntualmente come l’Oldoino la disse a la presenza di detta madama, almeno al meglio che ho saputo, avendomela voi richiesta di vederla perchè alora eravate inferma, quella vi dono e sotto il nome vostro voglio che sia letta, la quale ciascuno maritato deverebbe leggere per imparar a castigar con tal modo le mogli con il qual castigò la sua il gentiluomo veneziano. Feliciti nostro signor Iddio tutti i vostri disii.
Io non era già venuto, madama illustrissima, a farvi riverenza come ho fatto, perchè voi mi faceste salir in pergamo per novellare, come se io fossi bene un facondo e grazioso cicalatore. Nè so come voi già abbiate inteso che io sapessi l’istoria che m’avete chiesto che io dica, se non è stato questo mio compagno e padrone il signor Scipione Attellano a cui io questi dì la narrai, con promessa perciò che non la devesse dire; ma egli non s’è ricordato de la promessa. Dico adunque che, per quanto mi narrò non è molto Antonio Mezzabarba, dottore ed uomo di buone lettere, nel tempo de la quadragesima santa avvenne che ne la chiesa dì San Giugliano predicò maestro Sisto da Vinegia, uomo in sacra teologia e ne le divine scritture di profonda scienza, il quale ordinariamente abitava nel convento dei frati predicatori che si chiama San Giovanni e Paolo, e per l’ordinario predicava ogn’anno in una de le parrocchie di Vinegia, ora in questa ed ora in quella. Egli era molto appariscente, grande di persona e bello di viso e d’aspetto tutto ridente e giocondo e in modo gli era sì ben avvenuto de le sue prediche che generalmente per tutta Vinegia era chiamato il bel predicator de le donne. Predicando adunque egli a Vinegia in San Giugliano, predicava quella quadragesima stessa in San Salvadore, chiesa non troppo da San Giugliano distante, un altro assai famoso predicatore dei canonici regolari, a la cui predica andava madonna Cassandra, moglie di messer Pancrati Giustiniano, che era donna assai bella, grassetta e piacevole, ma di poca levatura. Era consueto maestro Sisto il giorno del sabbato predicar la sera suso il tardi, e sempre faceva una bellissima predica de le lodi de la madre d’ogni grazia, la nostra appo Iddio avvocata reina dei cieli gloriosa vergine Maria. Il perchè un’altra gentildonna che ordinariamente udiva maestro Sisto ed era conoscente di madonna Cassandra, le disse un dì: – Madonna, io vorrei che vi piacesse di venir sabbato sera a San Giugliano a la predica, chè vi prometto che udirete un bellissimo sermone e sentirete cose de la nostra Donna che mai più non sentiste. – Era questo nel principio de la quadragesima. Ora promise madonna Cassandra d’andarvi. E così il sabbato seguente v’andò, e postasi a seder per scontro al pergamo, attendeva che il frate venisse; il quale non dopo molto montato in pergamo cominciò la sua predica, e fece così bel sermone e così divoto come per innanzi mai fatto avesse. Sapete esser la costuma di questi predicatori quando sono là su, far più atti che non fa una bertuccia, ed ora voltarsi a destra ed ora a sinistra con i più sconci gesti del mondo, che paiono talora più tosto giocolatori che frati, con un batter di mani e di piedi che fa fuggir i cani fuor di chiesa. Ora parve a madonna Cassandra che in tutti i gesti e movimenti che ’l predicator faceva, si rivoltasse tuttavia a lei e che amorosamente la guardasse. Di che monna zucca al vento si teneva molto buona e pensava che in uno solo sguardo il santo frate di lei acceso si fosse, e faceva il bocchino e per mostrarsi più bella che non era, torceva il muso e faceva certo girar di testa che pareva che fosse stata morsicata in Puglia da una tarantola. Come il sermone fu finito, essendo sommamente la predica ed il frate ancora a la donna piacciuti, ella disse a quella gentildonna che invitata l’aveva: – Madonna, io vi ringrazio molto che voi siate stata mezzo di farmi sentir questo valente e sant’uomo, che mi pare, al vangelo di San Zaccaria, altra cosa che non è il predicatore di San Salvadore, del quale ne ho udito circa diece prediche, ma mi pare che non vaglia questo in conto alcuno. Onde mi son deliberata tutto il rimanente de la quadragesima venirlo ad udire. – La gentildonna le lodò assai questa sua openione. Andò madonna Cassandra a casa tutta accesa de l’amor di maestro Sisto, pensando che egli altresì tutto ardesse per lei; e frequentando l’udirlo e più di giorno in giorno parendole che egli amorosamente la rimirasse, di modo si accese che altro non desiderava se non ritrovarsi seco. Era la consuetudine di maestro Sisto che mentre che durava il tempo di predicare, da quel in fuora che diceva o udiva la messa e stava in pergamo, mai non usciva di camera nè dava udienza a persona che si fosse. Dopo pasqua poi era prontissimo tutto il dì a risponder a chi di qualche dubio o per altro richiedeva il suo conseglio. Il che avendo madonna Cassandra inteso, si struggeva che non potesse manifestargli l’amore che gli portava. Gli mandò più volte de le pietanze, confezioni, malvagìe, pesci ed altre simili cose, le quali il compagno di fra Sisto riceveva, da parte del suo maestro la mandava a ringraziare. Andando la cosa in lungo e non potendo più madonna Cassandra sofferire di non palesar il suo amore al frate, un giorno chiamò a sè una sua fante di cui molto si fidava, e le scoperse l’animo suo, pregandola che la tenesse segreta e si disponesse a dar una lettera al predicatore. La Biga, chè così aveva nome la fante, promise di far il tutto. La donna a cui la camiscia non toccava il culo scrisse una lettera ed apertamente la grammaticò al frate, mostrandogli che s’egli amava lei come per i suoi sguardi ed atti s’era avvista, che ella molto più amava lui e che altro non desiderava se non, finite le prediche, di trovarsi seco, con mille altri modi d’amore. Fatta la lettera prese un canestro e lo empì di confetti, e sotto vi nascose la lettera, comandando strettamente a la Biga che a modo alcuno non la desse se non in mano al predicatore. Ella disse di far il tutto. Andò la Biga a San Giugliano e, come volle la sorte, s’incontrò in messer Pancrati in chiesa a l’improviso, e tutta sì cangiò di colore e cominciò a tremare come una foglia al vento. Il che veggendo, messer Pancrati entrò subito in pensiero che qualche cosa ci fosse che non stesse bene. Onde accostatosi a la fante disse: – Biga, dimmi liberamente ciò che tu vai facendo, e dicendomi la verità non dubitare di cosa alcuna, chè per il contrario, se non mi dici il tutto guai a te. Da’ qua quel canestro; – e presolo in mano trovò la lettera de la moglie e la cominciò a leggere, e vide che la moglie senza che si partisse da Vinegia lo voleva mandar a Corneto. Come la Biga vide il padrone aver la lettera aperta, piangendo gli domandava mercè. Messer Pancrati veduto il tenor de la lettera disse: – Vedi, Biga, o tu mi dici come il fatto sta di questa lettera, o io a te ed a la tua donna farò uno scherzo che sempre di me vi ricordarete. – E considerando bene il tenor de la lettera che la moglie aveva al frate scritta, comprese il valente predicatore non ci aver colpa nè peccato, ma il tutto esser proceduto dal poco senno e troppa baldanza de la moglie. Onde pensò tra sè ciò che far deveva per levar la moglie da questa disonesta impresa e non far saper i fatti suoi al popolo. Ed occorsogli quanto era da fare, disse: – Biga, tu meriti ch’io t’abbia poco rispetto ed insegni con un pugnale che cosa è far la ruffiana. Ma io non voglio correr a furia, e son disposto non ti far mal alcuno, quando tu voglia metter ad essecuzione ciò che io ti ordinerò, il che assai facile ti sarà a fare, e facendolo la tua donna anco si salverà; altrimenti fa pensiero che io ti farò la più trista donna del mondo. – Tremando alora la fante disse: – Messere, voi volete saper ciò che io vo facendo, ed io lo vi dirò. Egli è il vero che madonna m’ha scoperto un suo amore e mostra che sia fieramente accesa di questo frate che qua entro predica, parendole, come ella mi ha detto, che mentre che predica sempre la miri e verso lei si giri. Io gli ho portati di molti presenti, ma mai non gli ho potuto favellare. Ora madonna mi aveva strettamente imposto che io ogni industria adoperassi per dargli in mano propria la lettera che voi avete letta. – Confermatosi messer Pancrati ne la prima openione, che la moglie per leggerezza e poco senno si fosse da sè innamorata senza che il frate nulla ne sapesse, si partì di chiesa con la Biga e andò in casa d’una buona donna sua amica, e contrafatta la sua mano scrisse una lettera a nome del frate a la moglie, ove molto la ringraziava, assicurandola che ella punto non s’era ingannata de l’amor di lui, e ch’altro non bramava tanto quanto che la quadragesima si finisse per poter trovarsi seco, pregandola con instanzia grande che menasse la cosa segretissimamente. Fatta la lettera disse a la Biga: – Porterai questa a mia moglie e le dirai che tu hai parlato al padre e che egli te l’ha data di sua mano. Ed ogni volta che ella a lui ti manderà, tu ne verrai qui, ma prima mi farai il tal segno. E guarda per quanto la vita ti è cara, che tu non ne parli con persona del mondo. – La fante, assicurata che nè a madonna nè a lei accaderebbe pericolo alcuno, promise far il tutto diligentemente. Arrivata a casa disse mille pappolate a la donna, di maniera che donna Bergola si teneva la più avventurata che fosse in Vinegia, veggendo che le sue bellezze, che ella stimava esser le più belle del mondo, piacevano a un santo uomo. Molte altre volte fu la fante mandata con pietanze e lettere al frate, e sempre in casa de la buona donna se n’andò; ove subito avuto il segno, messer Pancrati si ritrovava ed a le lettere rispondeva ciò che più gli pareva a proposito, e con la buona donna e la fante si godeva le pietanze e confetti e preziosi vini che al predicatore si mandavano. Sapeva messer Pancrati esser la costuma di maestro Sisto pigliar sempre licenza la terza festa di pasqua, e dopo che desinato aveva tornarsene a San Giovanni e Paolo. Il perchè il dì di pasqua, avendo sua moglie mandato un grasso cappone al frate per cena, messer Pancrati scrisse a la donna a nome del predicatore che giunto era il fine de le sue fatiche e che la terza festa prenderebbe, non occorrendo altro, licenza; e che se era possibile che la notte seguente si ritrovasse con lei, la pregava a fargli questo favore, perchè bisognava che egli dopoi si partisse per andar a capitolo. La fante portò la lettera a la donna, la quale il lunedì scrisse che non vedeva modo di trovarsi seco in casa se messer Pancrati non fosse ito fuor di Venezia; ma che ella, che non meno di lui bramava d’esser seco, si affaticarebbe di trovar qualche mezzo in qualche altro luogo, e se egli aveva luogo nessuno fidato, che ella vi si trovarebbe. Come il Giustiniano vide che ciò che s’ordiva da scherzo si potrebbe esser da dovero, pensò non esser più da tardare e rispose in nome del predicatore che egli non aveva luogo nessuno. Quel giorno poi la sera disse a sua moglie: – Egli mi è forza dimatina andar a Trivigi e non potrò esser di ritorno che per tutto mercoledì, secondo il mio avviso. Dimane so io bene che senza fallo starò fuori. – La donna ancor che si mostrasse mal contenta del partir del marito, pure ella n’ebbe consolazion grandissima, parendole che la fortuna le preparasse la via di trovarsi col suo amante. Il martedì matino a buona ora si levò messer Pancrati, e presi i suoi arnesi disse a la moglie che ancor era in letto: – Consorte mia, attendi bene a la casa fin che io ritorno. – E così di lungo se n’andò a casa de la buona donna, ove guari non dimorò che venne la Biga con una lettera ne la quale la donna scriveva al santo frate come il marito era andato quel dì a Trivigi e che la commodità d’esser insieme era caduta a tempo: onde lo pregava che la seguente notte tra le tre e le quattro ore volesse stravestito venirle a casa, chè la Biga starebbe ad aspettarlo e lo introdurrebbe. Veduta questa lettera messer Pancrati disse a la Biga: – Tu dirai da parte del frate a Cassandra che non ha avuto tempo di scrivere e che infinitamente la ringrazia, e che il tutto essequirà che gli ha scritto. – Poi informò essa Biga di quanto voleva che facesse, dicendole anco quanto egli aveva in animo di fare. La Biga tornata a casa disse che aveva trovato il frate che quasi era per salire in pergamo, avendo con piacer grandissimo letta la lettera, e che a l’ora statuita stravestito se ne verrebbe a trovarla, pregandola per più sua contentezza che la prima volta che seco trovar si deveva non fosse lume in camera. E questo aveva ordinato il marito per non esser conosciuto, volendo far quanto intenderete. La donna, avuta la certezza che la seguente notte deveva esser la sposa, per meglio piacer al suo amante entrò quella sera nel bagno e tutta con saponetto odorifero si fece ben lavare, e poi con mestura di preziosi odori molto diligentemente si profumò, e con desiderio infinito attendeva l’ora deputata, piacendo anco a lei che in camera non fosse lume. Da l’altra parte messer Pancrati che con un eccellente medico aveva parlato, si fece far cinque pillole di tal modo e maniera composte che, senza far nocumento alcuno a chi le pigliarebbe, solamente a l’ora determinata risolverebbe in modo il corpo che con grande abondanza colui che ricevute l’avesse renderia il tributo due e tre volte a la contessa di Laterino in meno d’un quarto d’ora. Queste pillole prese egli all’ora che il medico ordinato aveva, e tra le tre e le quattro ore di notte per via del canale a casa se n’andò, ove da la Biga fu introdutto, e giunto a la camera si spogliò e nel letto si pose. Come la Biga vide il padrone esser nel letto, andò ove era la madonna e le fece segno come l’amico già era giunto. Il perchè ella, comandato che ciascuno s’andasse a dormire, avendo una sua zia vecchia ed altre donne in casa, come vide ciascuno essersi ritirato, se n’andò in camera, e sentendo che quello che credeva esser il frate sornacchiava, disse piano a la fante: – O che dormiglione è questo! senti come sornacchia? – La Biga alora disse: – Madonna, non vi meravigliate, perchè il povero padre deve esser stracco avendo tutta la quadragesima digiunato; ma voi bene lo svegliarete. Corcatevi pure a lato a lui e fate il fatto vostro. Io me n’anderò in costà ne la guarda camera e starò vigilante. – Si partì la fante, e la madonna entrata nel letto s’accostò al frate, chè così credeva. Il marito che punto non dormiva e fingeva fortemente dormire, non si muoveva, e sentendosi già il corpo tutto muovere aspettava che la moglie lo destasse. Ella poi che molto dimenata si fu e che vide che punto l’amico non si svegliava, cominciò a tentarlo e dirgli pianamente: – Anima mia, svegliati e non dormir più. – Il marito alora come da grave sonno svegliato: – Oimè, – disse, – ch’io moro! oimè, che doglia è questa ch’io sento! – E dicendo queste parole stava boccone in letto dimenandosi e borbottando sotto voce come se egli si fosse sentito un grandissimo male. La donna che veramente credeva che quel che si doleva fosse il suo amante ed essergli avvenuto qualche strano accidente, se gli accostò per recarselo ne le braccia e fargli vezzi. Il che volendo ella fare, il marito che sentiva le pillole aver fatto buona operazione, tuttavia brontolando voltò le schene a la moglie, e tutta nel petto e nel viso la spruzzò d’altro che d’acqua alanfa. E volendo ella dire: – Oimè, che cosa è questa? – egli alquanto alzate le parti posteriori lasciò andar un’altra cannonata e tutta l’avventò nel volto a la donna, di modo che ritrovandosi alora con la bocca aperta ne colse più d’una gocciola. Fatto questo, messer Pancrati senza più indugiare a la donna si rivoltò e cominciolla stranamente con pugni a scarmignare e pestarle gli occhi ed il viso, e dicendole tuttavia con voce contrafatta: – Ahi rea femmina ribalda e scelerata che tu sei, tu m’hai avvelenato, tu m’hai morto! Ma io te ne pagherò, – e con le parole menava le mani graffiandola e pestandole l’ossa. La povera donna tutta pesta e d’altro che di zibetto impastata non osava gridare per non si far sentire a quelli di casa, ed avendone qualche gocciola ingozzata altro non faceva che sputare. Ora parendo a messer Pancrati aver fatto assai, dato un gran sorgozzone a la donna, saltò fuor del letto, e presi i suoi panni scese le scale, e truovò la porta de la fondamenta aperta, come a la Biga ordinato aveva, e a casa de la buona donna se n’andò, ove fattosi diligentemente lavare stette là tutta la notte e il dì seguente fino a sera. Come messer Pancrati fu partito, la Biga andò a la camera de la donna ed entrando disse come se lacrimasse: – Oimè, madonna, che puzza è questa ch’io sento? Io aveva sentito non so che romore, ed uscendo de la guarda camera incontrai il frate che mi disse: – A questo modo, Biga? tua madonna m’ha avvelenato. Vieni ad aprirmi ch’io son morto. – Egli putiva tutto da capo a piedi e mi minacciò se io non lo metteva fuora che m’uccideria, e aveva la spada nuda in mano. Io per tèma del coltello gli apersi. Ma che cosa è avvenuta? – La donna piangendo le rispose: – Va chetamente e reca del lume e guarda che tu non sia sentita. – Andò la Biga a pigliar il lume, e madonna Cassandra volendosi spastare più s’impastava e non poteva sofferir quella gran puzza. Venne la Biga col lume e ritrovò la sua donna tutta imbrattata, perchè il marito due e tre volte l’aveva involta in quella bruttura. Ora a la meglio che poterono, nettarono la camera, e la donna tutta si lavò, e profumò la camera per levarle quel mal odore, tuttavia maledicendo l’ora e ’l dì che mai veduto aveva quel frate; e se prima l’amava, ora senza parangone l’aveva preso in tanto odio che l’averebbe inghiottito in un boccone, e che diceva con la Biga che era un frate brodaiuolo e che per aver troppo mangiato e bevuto gli era venuta quella scorrenza di corpo. Messer Pancrati, tornato il mercoredì sera a casa e veduta la moglie che per nasconder i lividi del volto si era carca di biacca, le domandò con ammirazione che cosa quella fosse. Ella gli rispose che era ita il giorno innanzi a distender i panni di bucato su l’altana e che non so come era caduta dui scalini per disgrazia. – Ben ti sta, – disse il marito, – ma il male è poco, chè tu devevi fiaccarti il collo, bestia che tu sei! Pare che ti manchino le fantesche per far fare cotesti servigi? – Il dì seguente a buona ora andò messer Pancrati a trovar maestro Sisto e l’invitò seco a desinare e gli disse: – Padre, io son venuto sì perchè vegnate a farmi questo onore di venir a desinar meco, ed altresì per farvi partecipe de le mie tribulazioni. Io ho mia moglie che da qualche tempo in qua mi par spiritata ed impazzita. Egli è il vero che a la mia presenza ella non fa atto nessuno, ma come io non ci sono, ella spesso si mette a gridare ed imperversare che par che sia menata da cento mila diavoli, o veramente che entra da sè in còlera e dice villania a chiunque le sta dinanzi, con movimenti de la persona che proprio pare che ella voglia a chi ella parla cavar gli occhi. Perciò se vi dicesse nulla non vi sgomentate, ma pregate Dio per lei e per me che mi dia buona pazienza. – Il buon frate accettò l’invito d’andar a desinar con lui e seco si condolse degli accidenti che diceva avvenir a la moglie, e s’offerse in tutto quello che era buono per fargli alcun servigio. Aveva già ordinato messer Pancrati che si facesse ben da desinare. Ora venuto il tempo del mangiare, egli disse a la moglie come quella matina il predicatore di San Giugliano veniva a desinar con esso loro; che facesse che tutto fosse ad ordine. Si turbò forte madonna Cassandra e tutta piena d’un mal talento rispose: – Egli mancava ben che fare a voler menar questi fratacci brodaiuoli a mangiar il vostro, che mangiano come lupi. Io per me non ci vo’ esser a questo desinare. – Oh, – disse il marito, – tu sei strana e hai voglia di qualche cosa. Fa quanto io ti dico e vieni a desinar con noi, e non se ne parli più, e non mi star a brontolar in testa. – La donna che conosceva il marito esser talora fastidioso, non disse altro, ma attese a far preparar quanto era di bisogno. Venne il frate con un compagno, ed essendo ogni cosa in ordine, messer Pancrati fece chiamar la moglie, che venne come fa la biscia a l’incanto. Venuta che fu, disse messer Pancrati: – Padre, non vi meravigliate che mia moglie sia col viso sì pesto, che non credessi che io fossi tristo marito. Ella volle andar a stender i panni su l’altana come se non avesse donne a chi comandare, e cascando si fece male. – Si diede l’acqua a le mani, e a tavola si misero il padre col compagno e il marito e la moglie, la quale guardava in cagnesco il frate con sì brutti atti che proprio sembrava spiritata. Non avevano a pena cominciato a desinare che venne un servidore e disse: – Messere, egli è a basso un messo del magnifico messer Tomaso Trono che vi vuol dir una parola. – Si levò messer Pancrati ed uscì di sala. Non fu egli sì tosto uscito che la donna con una fierissima guardatura al frate rivolta disse: – Ahi traditore e non buon da altro che da cacare, come hai tu ardire venirmi innanzi? – Il frate si fece il segno de la croce e cominciò a dire il Verbum caro, e la donna pure il minacciava; ed ecco che il marito ritornò, al cui ritorno la moglie restò cheta. Nè guari stette che fu di nuovo, com’egli già aveva ordinato, chiamato fuori; ed uscito che fu, l’adirata donna con minacciose parole ed atti strani, come se avesse voluto cavar gli occhi al frate, disse: – A la croce di Dio, frate poltrone, se mai t’esce parola di bocca di ciò che tu sai, io ti farò il più dolente uomo del mondo. – Il frate umanamente le rispose dicendo: – Madonna, Iddio vi sani e liberi da le mani del demonio. – Ed ecco che il marito tornò, parendoli che avesse fatto conoscer al frate il mal de la moglie e a lei cavato di core l’amor del frate. E veramente egli si portò saggiamente, e non volle quando vide la lettera de la moglie bravar con lei nè ammazzarla, ma del modo che avete udito quella castigò. Finito il desinare, partendosi il frate, messer Pancrati lo pregò che ne le sue sante orazioni si ricordasse di lui, e per l’avvenire ebbe destramente gli occhi a l’operazioni de la moglie a ciò che non gliene facesse un’altra.
Non è ancora il mese che madonna Caterina da San Celso, moglie di messer Francesco Guiringuello, morendo fu seppellita, la cui morte diede assai da cicalare a tutto Milano, perchè per le molte vertuose doti che in lei erano oltre la bellezza del corpo, era degna, se pudica stata fosse, di più lunga vita;