Diversi frammenti

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DIVERSI FRAGMENTI

ATTENENTI AL TRATTATO

DELLE COSE CHE STANTO SU L'ACQUA.

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Essendo la questione, se la figura operi o no circa ’l descendere o non descendere i corpi della medesima gravità in specie nell’aqqua, e potendo di tale varietà esserne cagione diversi accidenti, oltre alla figura, bisogna, chi bene vuol determinare circa il nostro particolare, rimuovere, nel far l’esperienza, tutte le altre cause che possono produr questo medesimo effetto, lasciando ne i corpi la sola diversità di figura.

Per ritrovare, distinguere e separare le cause che impediscono o no il descendere, le quali siano altre che la figura, il mezo ottimo sopra tutti è l’esaminare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

L’aqqua che bagna la tavoletta d’ebano, non è vero che accresca il suo peso, sì che per tale accrescimento quella vadia poi al fondo; perchè, se ciò fusse, molto più doverebbe andare se vi si aggiugnesse una falda di cera grossa quanto è un giulio, e pur si vede in contrario. Che poi l’aqqua nell’aqqua non accresca peso, è manifesto ad ogn’uno, etc.

Se il Colombo dicesse che la materia eletta da me fusse, per la piccolezza, non atta a far le sue esperienze, se gli domandi quello che ei vorrebbe che lei facesse, ed offerirsi che ella farà il tutto, e pigliarsi obligo di farlo. Potrò offerirgli io di fare con la medesima materia ogni sorte di figura che gli piacerà, la quale descenda o no,
5. rimuovere non nel — 10. è il l’
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secondo che lui comanderà1. E poi potrò proporre a lui un legno ordinario, e mostrargli che mai non lo farà andare in fondo, diagli che figura gli piace e bagnilo a sua voglia: anzi pigliar cera pura, che in una sottil falda non anderà, ed offerirgli che, se mai la farà andare sotto qual si voglia figura, voglio aver perso; ciò è ridurre un pezzo di cera gialla in una falda che non vadia al fondo se non con l’aggiugnervi un grano di piombo, e dargli licenza che ne faccia qual si voglia figura senza quel grano, e mostrargli che mai non descenderà2.

Mostrare con i coni che l’aria contigua alla superficie superiore io del solido lo sostiene: perchè, messo con la punta in giù, supernata, restando alla base molt’aria contigua; ma se si metterà con la punta all’in su, descende.

Se la tavoletta non va al fondo mediante la figura, sì che essa figura, e non altro, sia causa del non andare al fondo, chi vorrà farla andare al fondo, bisognerà che gli muti la figura: ma senza mutar figura ella va al fondo: adunque altro che la figura è causa dell’andare, o non andare, al fondo.

Se si arrendessi e dicesse di essere stato chiappato, se gli può dire che ceda alla prima scommessa, [ed] offerirgliene un’altra, facendo 20 altre figure più grandi, convincendolo con altre ragioni.

fare il basso da principio, dicendo che non ci era al mondo altra materia che l’ebano che mi potesse far guerra, e che lui era andato a chiappar su quella, da pratico ed intendentissimo.

le calzette siano di 3 colori, rosso, verde e azzurro, per aver fatto il collo a un colombo a righette.

far che D. G. sappia il vanto del C.3
5-6. un poco d[i] pezzo
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Aristotile4, al segno +, par che parli del muoversi più o men veloce, perchè dice che quei corpi che scendono nell’aqqua, meglio sciendono nell’aria, quanto che l’aria è più facile ad esser divisa; ma per sciender meglio nell’aria che nell’aqqua, non si può intendere altro che scender più velocemente. Si confonde, dunque, Aristotile.

Se il galleggiare deriva dalla resistenza dell’aqqua all’esser divisa, meglio galleggierà una striscia stretta di una falda che tutta la falda; perchè la divisione si fa intorno intorno al perimetro, e le figure lunghe e strette hanno maggior perimetro che le rotonde o quadrate, essendo in superficie eguali.

Se ci fusse principio intrinseco e naturale del moto all’insù, quel mobile che di tal moto si movesse, si moverebbe più velocemente ne i mezzi che meno impediscono la velocità, ciò è nell’aria che nell’aqqua. E che l’aria meno impedisca la velocità, si prova ne i moti trasversali, dove i mobili non hanno né inclinazione né renitenza.

Se la figura ha azione nell’andare o non andare al fondo, è necessario che si dia qualche corpo solido il quale, sendo figurato
6. galleggiare derivasse deriva
[p. 22 modifica]secondo una tal figura, resti a galla, che poi, ridotto in altra figura (mantenendosi sempre l’identità di tutte le altre circostanze), vadia al fondo; perchè, se tutti i corpi che figurati di una figura stanno a galla, stessino anco (caeteris paribus) ridotti in tutte le altre figure, già sarebbe manifesto che. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tutte le figure e di qualsivoglia grandezza, ma non di qual si voglia materia5, bagnate vanno al fondo, e non bagnate non vanno: adunque non la figura o la grandezza, ma l’asciutto ed il bagnato la qualità della materia6 son cagione dell’andare, o non andare, al fondo. Lo provo. Causa è quella, la quale posta, segue l’effetto, e rimossa, si rimuove l’effetto: ma posta o rimossa la figura, e posta o levata la grandezza, l’effetto non si muta, ma resta sempre l’istesso; ed, all’incontro, posto il bagnato, ne seguita la scesa, e levato il bagnato, si rimuove la scesa: adunque il molle e l’asciutto sono causa del descendere e del restare a galla, e non la diversità delle figure o delle grandezze.

Come diranno che una palla sia sostenuta dalla figura, se già il cerchio massimo è sotto e solamente resta scoperta piccolissima superficie?

Dui corpi che si toccano, stanno attaccati, e con difficultà si separano: ma se tra di loro medierà qualche corpo fluido e della medesima natura del resto dell’ambiente, facilmente, anzi senza alcuna resistenza, si allontanano più, succedendo l’ambiente.

Dirà l’avversario: Ecco una palla, ed una tavola, d’ebano; e questa resta a galla, e quella descende; adunque la figura ne è causa. Rispondo che no; ma la gravità. Provo. Causa è quella, che posta, etc.: ma sciemata la gravità, senza mutar le figure, ambedue, poste piano, resteranno, e bagnate andranno al fondo: adunque, non la figura, ma la troppa gravità, è causa dell’andare restare.
3. se de tutti — 9. cagine — 27. ma posta e levata sciemata
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Considerisi a qnal miseria si riducono costoro, che vogliono dire che una tavola piana non va al fondo, anzi sostiene un peso assai greve, che poi, bagnata solamente con una gocciola di aqqua, cede e si sommerge. Non era, dunque, virtù della figura, ma benefizio del- l’aria contigua, quel sostenere: la quale aria rimossa, benché la figura non si alteri, fa che la tavola descende.

un solido egualmente grave come l’aqqua, di figura cilindrica, posto nell’aqqua, resta con la superficie superiore allivello dell’aqqua; e spinto un poco a basso, ritorna in su, attratto dall’aria superiore, anzi reggerà assai gran peso: e con tutto ciò, levatogli il detto peso e bagnato solamente, va in fondo.

Veggasi quanto è più vero che l’aria accresce leggerezza, e non l’aqqua gravità, poi che un poco di aria revoca dal fondo etc.

E bene che il principe abbia filosofi discordi e di sette diverse, perchè così meglio si ritrova il vero; sì come per i medesimi è bene che i lor ministri siano discordi, ed i lor vassalli in parte ed in nimicizie, perchè così hanno la roba la vita e lo stato in maggior sicurtà.

Voi dite, o Peripatetici, che l’aqqua salsa è più crassa della dolce, perchè un uovo va al fondo e penetra la dolce, ma non la salsa; ed io, all’incontro, dico che la dolce è più crassa che la salsa, perchè un uovo, messo in fondo della salsa, torna a galla e la penetra, il che non fa nella dolce. Qui non è fuga da scampare: perchè io vi domando la causa, perchè l’uovo ascende nell’aqqua salsa, e non nella dolce; voi non direte altro se non perchè l’uovo è più leggiero che l’aqqua salsa; ed io, all’incontro, con la medesima ragione concluderò che ei vadia al fondo nella dolce, perchè è più grave di lei.

la causa per la quale un corpo solido non viene a galla nell’aqqua, è la medesima che quella per la quale ei va al fondo: ma la figura 30 non è mai causa del non venire a galla: adunque non sarà mai causa dell’andare al fondo.
12. arria
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Essendo che la natura non si muta punto nelle sue operazioni mediante le consulte degli uomini, a che proposito contrastar così aspra- mente fra di noi per vincere una nostra particolare opinione, ogni volta che noi non ottenghiamo più, o aviamo parte maggiore, nelle deliberazioni della natura, che quello che si avessero le dispute o controversie del Magistrato de’ 9 nelle resoluzioni del re della Cina? Le deliberazioni della natura sono ottime, une, e forse necessarie, onde circa di esse non hanno luogo i nostri o gli altrui pareri e consigli; né meno in esse hanno luogo le ragioni probabili: sì che ogni discorso che noi facciamo circa di esse o è ottimo e verissimo, o pessimo e falsissimo; se è pessimo e falso, bisogna ridersene e sprezzarlo, e non muoversi ad odio contro a chi lo produce; se è buono e vero, l’odio contro al suo prolatore saria impietà, perfidia, sacrilegio. E cosa da re il dire che la verità sta tanto ascosta, che è difficile il distinguerla dalle bugie: sta bene ascosa sin che non si producono altro che pareri falsi, tra i quali spazia la probabilità; ma non sì tosto viene in campo la verità, che, illuminando a guisa del sole, scaccia le tenebre delle falsità etc.

Dir che non sono bagattelle, più che la geografia, astronomia, etc.

Oltre a tutte le ragioni addotte per dichiarare come le figure non sono in modo alcuno cause del muoversi non muoversi, io credo di poterne addurre ancora altra demostrativa, dependente da principio verissimo, e posto e conceduto da Aristotile e da tutti; il quale è: Che le figure siano cause del tardo e del veloce, e più e meno secondo che le saranno più meno larghe7. Posto questo principio, intendasi una palla, per essempio, di piombo, la quale, sì per la sua gravità, sì ancora per la figura, andrà velocemente al fondo nell’aqqua; ma ridotta in figura piatta, se pure anderà in fondo, anderà più tardamente, e più e più tardamente quanto la sua figura si dilaterà più, sin che finalmente, per opinione degli avversarli, si arriverà a tanta larghezza, che più non descenderà, ma resterà in quiete.
1-2. mediante i le — 5-6. controversi — 22. altra ragione demostrativa — 29. tardamente e sempre più tardamente più e più — 30-31. si ridurrà arriverà
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Ora intendasi, il detto piombo esser ridotto alla minima larghezza potente a sostenerlo, sì che non descenda: adunque in ogni minor larghezza di questa descenderebbe, ed in ogni maggiore quieterebbe. Or sia la minima larghezza, che vieta il descendere, quella, v. g., di un palmo quadro. . . . . . . . . . . . . . . . . .

Di più, essendosi già dimostrato che nell’aqqua non è renitenza veruna all’esser divisa e penetrata; ed essendo, di più, manifesto come, oltre al maggiore o minore eccesso di gravità, la figura altresì, più o meno spaziosa ed ampia, è causa della maggiore o minor tardità; io potremo con altro metodo ancora venire a dimostrare come la larghezza della figura non può in conto alcuno esser cagione di quiete in quei corpi solidi, li quali per l’altra causa, ciò è per la loro gravità, in figure più raccolte vanno al fondo.

lib. V, cap. 258.

afferma di sapere che il piombo in aria è più grave del ferro: ma se anco nell’aqqua, dice che Io crede; e lo prova, perchè i pescatori metton piombo e non ferro alle reti, e gli scandagli si fanno di piombo e non di ferro. E non comprende che se un corpo è più grave di un altro in aria, molto più sarà in aqqua; sì che due corpi, uno di ferro e l’altro di piombo, che in aria pesassero egualmente, in aqqua il piombo peserà molto più che il medesimo ferro. Più a basso, dice che non si potendo conoscer con la bilancia alcune differenze minime, come se il pallone gonfiato pesi più che sgonfiato, dice che, per venir in cognizione di simili differenzie minime, bisogna venire a esperienze più esatte che quelle della bilancia, e ne insegna 3: la prima è la velocità del moto; la 2a, il descrivere una linea più propinqua alla perpendicolare che va al centro del mondo; la 3sup>a è il dar maggior percossa. Vedendosi, dunque, tutto ’l giorno manifestissimamente che i palloni gonfi cascano con maggior impeto che sgonfi, e molto più a so perpendicolo, che sono segni ottimi di gravità, ed, in oltre, che più
1. alla minor minima — 6. dimostrato come che — 6-7. renitenza alcun[a] veruna — 19. molto più
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dirittamente si tirano per l’aria, seguita etc. Cerca poi di render ragioni perchè l’uova, i mattoni e ’l pane pesino più cotti che crudi.

Non est latitudo figurae causa cur non descendant solida, sed altitudo. Si enim cubus, v. g., plumbeus conficiatur minimus omnium descendentium, quaecunque latissima tabula descendet, dum non minorem habuerit profunditatem lateris unius dicti cubi.

Non ci vuol forza nissuna a fender l’aqqua: di che ci danno certo argomento le minutissime particole di terra che la intorbidano, le quali in 4 o 6 giorni calono a fondo. La resistenza, dunque, si trova alla velocità del moto, e non al moto. io Se la figura fusse causa del non descendere, non doverla descender mai, sin che tal causa fusse presente: ma la medesima tavoletta descende: adunque non era la figura causa del non descendere.

Se Aristotile avesse voluto dire che la figura non sia causa simpliciter, ma per accidens, del muoversi o non muoversi, non occorreva che egli dubitativamente proponesse, per qual cagione le falde di ferro o piombo, larghe e sottili, non descendino; ma bastava, con parlare continuato, dire che la figura era causa per accidens del non descendere in quei corpi che per se et simpliciter descendunt.

L’esperienza ci mostra come tutti i solidi che noi dimandiamo continui, parte si possono discontinuare o col pestargli in polvere o col limargli o col fuoco, come le pietre etc, con acque, come l’oro e l’argento con acqua da partire, etc.: adunque, l’acqua ancora si deverebbe poter discontinuare: il che non si può fare, ma ben più presto s’indurisce in ghiaccio, etc.

L’acqua penetra per infinite sustanze di meati angustissimi: adunque è discontinua.

Il continuo si muove tutto, o gran parte, al moto d’una parte; e del discontinuo se ne può muovere minima parte: ciò avviene all’acqua: ergo [etc.]
2. l’uuova — 4-5. conficiatur maximum minimus omnium non descendentium — 5. tabula non descendet — 14. Aaristotile — 15. dell’muoversi — 19. per se descendunt et
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Quello che non ha resistenza niuna all’esser diviso, è già diviso: tale è qualsivoglia parte dell’acqua: ergo [etc.].

E credibile che più saldamente stiano congiunte insieme le parti del continuo che del contiguo, ed, in consequenza, che ’l continuo in discontinuarsi si relassi, ed il contiguo nel continuarsi si attacchi: a questo 2° accidente son sottoposte le parti dell’acqua, ed all’altro no: ergo etc.

Quello che è di parti continue, difficilmente si adatta a ricever tutti i termini, ed, all’incontro, facilmente il contiguo: l’acqua è tale: ergo [etc.].

II Colombo, intento solamente al contradire, non potendo opporr’altro alle cose da me dimostrate e necessariamente concluse, si riduce a dir che io burlo, né le credo.

Se il Galileo creda o non creda quello che ha scritto, non so io; ma so ben che lo scritto è vero, e che se egli avesse voluto scrivere il vero, non l’arebbe scritto in altro modo. Né credo che s’e’ volesse non creder quello che ha scritto, e’ potesse far di meno. E, più, credo che, volendo burlare, non potrebbe dir se non il contrario; e pur che non burliate voi, nel mostrar di non crederle.

Causa è quella, la quale posta, seguita l’effetto; e rimossa, si rimuove l’effetto. Ora, una palla di piombo va al fondo; fatta in forma di catino, non va: domando la causa del non andare. Non si può dire che sia la forma o figura, perchè mettendola sott’aqqua, non si rimuove la figura, e pur va al fondo; ma ne è l’aria, perchè rimossa l’aria, va al fondo. Dicasi dunque: Nella scodella o catino la causa del non descendere è quella, la quale rimossa, ne seguita la scesa: ma rimossa l’aria, senza mutar la forma, seguita la scesa; ma non ne seguiterebbe già se, mutata la forma, non si rimovesse l’aria: adunque l’aria, e non la figura, è causa del non andare al fondo.

Non è la figura che faccia scendere o no, poi che la medesima figura ora scende ed ora no.

Non è il medesimo solido quello che voi mettete nell’aqqua; ma è composto con una parte di aria, la quale si deve rimuovere.
21. catino sta a galla non va — 31-32. ma et composto
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Voi non lo locate nell’aqqua, ma parte in aqqua e parte in aria.

Per accertarsi di quanto operi la figura, bisogna rimuover tutte le altre cause che possono far tal diversità; e questo si farà col pigliare una materia per sua natura, in quanto appartiene al peso, indifierente all’andare, ed al non andare, al fondo, ciò è più simile in gravità all’aqqua che sia possibile: e vedrassi che questa in tutte le figure si mostrerà nel medesimo modo indifferente all’andare, ed al non andare, al fondo.

La lama sottiHssima di piombo, quando supernata, non è nell’aqqua, ma parte nell’aqqua e parte nell’aria; e la scrittura dice che la io figura non opera, circa l’andare o non andare al fondo, nell’ aqqua, e non nell’aqqua con l’aria appresso.

Di più, la scrittura parla circa il descendere o non descendere; se, dunque, la tavoletta descende, basta.

Si possono far palle di ogni materia che vadino e non vadino al fondo, col farle piccole.

Una palla di piombo di 3 oncie, messa nell’aqqua, va in fondo senz’altro; schiacciata in una sottil falda, galleggia: adunque la figura è causa etc. Questo è l’Achille degli avversarli. Rispondo che la falda ancor lei va al fondo, come la palla, quando ella sarà il solo piombo, 20 come è quel della palla. Rispondono, il congiugnersi con l’aria esser virtù della falda, e però dependente dalla figura: ed io replico, la falda non esser altro che 3 oncie di piombo figurato in una lamina piana, la quale, mentre averà congiunta certa quantità d’aria, gal- leggerà, ma toltagli l’aria, andrà in fondo; e, più, dico che, se della medesima falda si farà una palla con la quale possa congiugnersi e rimuoversi una tal quantità d’aria, galleggerà quando l’avrà congiunta, e si sommergerà quando sarà senza; ed averemo 3 oncie di piombo figurato in forma di palla, che starà a galla ed andrà in fondo nel medesimo modo e per le medesime cause appunto che so la falda.
Type
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Quando la falda va in fondo, che alterazion ricev’ella, diversa dalle circostanze che l’aveva quando galleggiava? non altro se non la separazion dell’aria: che, quanto alla figura, resta l’istessa. Così la palla concava nient’altro riceve nel profondarsi, che la remozion dell’aria: adunque l’istesso accade alla palla, che alla falda.

Se quando ci vengono assegnate 3 oncie di piombo per uno, e voi figurate il vostro in una falda che galleggia e va poi anco al fondo, io del mio farò una palla che galleggi e anco poi vada al fondo per le medesime cause per l’appunto che la vostra falda, non potete dir che la figura operi cosa alcuna circa tal fatto.



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Molte sono le cagioni, Serenissimo Signore, per le quali io mi son posto a scrivere diffusamente sopra la controversia che li giorni passati ha dato assai che ragionare a molti. La prima, e più efficace di tutte le altre, è stato il cenno dell’Altezza Vostra, ed il laudare che la penna sia unico rimedio per purgare e secernere lo schietto e continuato discorso dalle confuse ed interrotte altercazioni: nelle quali coloro massime che difendono la parte falsa, ora strepitosamente negano quello che dianzi affermarono, ora, stretti dalla forza delle ragioni, s’ingegnano, con divisioni e distinzioni improprie, con cavilli e strane interpretazioni di parole, di assottigliarsi e scontorcersi tanto che sguittischino e scappino altrui dalle mani, non si peritando punto di produr mille chimere e fantastichi ghiribizzi, poco intesi da loro e niente da chi gli ascolta; onde le menti, confusa ed oscuramente traportate d’uno in altro fantasma, quasi sognando trapassano d’un palazzo in un navilio, quindi in un antro o in una selva, e finalmente, al primo aprir degli occhi svanendo i sogni e per lo più la lor memoria insieme, si trovano avere oziosamente dormito, e senza nissun guadagno trapassate le ore.

La seconda cagione è che io desidero che l’Altezza Vostra resti pienamente e sinceramente ragguagliata di quanto è seguito in questo proposito: perchè, portando così la natura delle contese, quelli che
1. Serenissimo Princi[pe] Signore — 2. scrivere ed assai diffusamente — 3. molti tra Lapiù di tutte le altre efficace — 7. difendono il falso la — 10. e stravolgersi scontorcersi — 11. che ti sguittischino e scappino dalle mani sguittischino — 13. menti confusamente confusa — 13-14. oscuramente quasi che in sogno traportate — 18. guadagno aver trapassate — 21. contese che quelli
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per loro inavvertenza si inducono a voler sostener il falso, più altamente strepitano, e più ne i luoghi pubblici si fanno sentire, che quelli per i quali parla la verità, la quale, se bene con più tempo, con quiete tranquillamente si svela e si denuda; onde io posso stimare che, sì come per le piazze, ne i tempii ed altri luoghi publici, molto più frequenti sono state le voci di quelli che dissentono da quanto io asserisco che de gli altri che sentono meco, così ancora si siano in corte i medesimi ingegnati di farsi adito alla credenza col prevenirmi con loro sofismi e cavilli, li quali spero che siano per dispergersi ed andare in fumo, se però avevano appresso di alcuno trovato orecchio ed assenso, come prima sia stata letta consideratamente questa mia scrittura.

Ho, nel 3° luogo, stimato ben fatto il non lasciare questa difficultà irresoluta: nella quale, sì come la parte falsa ebbe da principio quasi appresso di ogni persona faccia e sembianza di vero, così potria ancora con la medesima apparenza seguitar d’ingannar molti; onde in occasione di qualche momento supponendo chi che sia falsi assiomi per veri principii, incorresse in errori non leggieri.

Finalmente, sendo io stato dall’A. V. eletto per Matematico e Filosofo della persona sua, non devo tollerare che l’altrui malignità, invidia, o ignoranza che si sia, o pur tutte tre insieme, stoltamente insultino contro alla sua prudenza, abusando l’incomparabile sua benignità; anzi reprimerò io sempre, e con pochissima fatica, ogni loro arditezza, e ciò con lo scudo invincibile della verità, dimostrando che quanto io ho sin qui asserito è stato sempre ed è assolutissimamente vero, e che in quello che io mi allontano dalle comunemente ricevute opinioni peripatetiche, ciò non mi accade per non aver studiato Aristotile o per non aver così bene come loro intese le ragioni sue9, ma perchè ho più ferme demostrazioni ed evidenti esperienze che le loro non sono; e nella presente differenza, oltre al mostrare il modo che io tengo in studiare Aristotile10, farò palese se io ho così bene intesa
1. si sono indotti induconosostener la parte falsa il — 4. e denuda si — 11-12. letta e considerata consideratamente — 14. principio faccia e sembianza di vero quasi — 16. apparenza ingannar seguitar — 19. per suo Matematico — 23. e ciò con — 25. sempre assolutissimamente ed è — 28-29. ma solo perchè
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la sua mente, col leggerlo 2 o 3 volte solamente, come alcuno di loro, al quale per avventura è stato poco il leggerlo cinquanta fiate; e poi mostrerò se forse ho meglio che Aristotile11 investigate le cause e le ragioni di ciò che è materia e soggetto della presente contesa12.

Convennemi13, pochi giorni sono, replicar la medesima conclusione: e l’occasione fu che, ragionandosi in un cerchio di gentil’uomini delle quattro prime qualità; uno professore di filosofia disse cosa che è
1. come alcuni di loro a i quali alcuno — 9. disse quello cosa
[p. 33 modifica] assai trita per le scuole peripatetiche, ciò è che era operazione del freddo il condensare; ed addusse per esperienza di ciò il giaccio, affermando quello non essere altro che aqqua condensata. Ma io per modo di dubitazione gli dissi, che più presto era da dirsi, il giaccio esser aqqua rarefatta; perchè, se è vero che la condensazione apporti maggior gravità e la rarefazione leggerezza, già che veggiamo il giaccio esser men grave dell’aqqua, doviamo credere che egli sia altresì manco denso: e gli soggiunsi che dubitavo che egli non avesse equivocato da denso a duro, e che avesse voluto dire, il giaccio esser più duro che l’aqqua, e non più denso, sì come l’acciaio è più duro, ma non più denso, dell’oro14. Negò di subito il filosofo che il giaccio fusse men grave dell’aqqua, ed affermò il contrario; ed io soggiunsi, ciò esser manifestissimo, perchè il giaccio supernata all’aqqua. Ma io sentii subito in risposta dirmi, che non la minor gravità del giaccio era causa del suo galleggiare sopra l’aqqua, essendo veramente più grave di essa, ma sì bene la sua figura larga e sparsa, la quale, non potendo fender la resistenza dell’aqqua, lo tratteneva di sopra. Ma io doppiamente gli risposi: e prima dissi, che non solo le falde larghe e sottili, ma15 qualunque pezzo di giaccio e di qualunque figura restava a galla nell’aqqua; e poi gli soggiunsi che, se fosse stato vero che il giaccio fusse veramente più grave dell’aqqua, ma che presone una larga e sottil falda ella non si demergesse, sostenuta dalla sua figura inetta al penetrar la continuazione dell’aqqua, ei poteva provare a spigner con forza la detta falda nel fondo, lasciandola poi in libertà; che senz’altro averla veduto risurgerla e tornare a galla, penetrando e dividendo all’in su quella resistenza dell’aqqua, la quale, aiutata anco dalla sua gravità, non poteva dividere descendendo. Qui, non si potendo replicare altro16, volse oppugnar la mia dimostrazione con un’altra esperienza; e disse che pur aveva mille volte osservato che, percotendosi la superficie dell’aqqua con una spada di piatto, si sente grandissima resistenza nel penetrarla, dove
16. grave dell’aqqua di essa — 20. poi che gli — 24-25. fondo dell’aqqua lasciandola — 31. si sentiva sentepenetrarla ma dove
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all'incontro il colpo per taglio senza intoppo alcuno la divide e penetra. Io gli scopersi la seconda sua equivocazione17 con dirgli che egli trapassava in un’altra questione, e che altro era il cercare se le diverse figure faccino varietà circa il muoversi o non muoversi assolutamente ed altro il cercare se apportino differenza nel muoversi più o meno velocemente: soggiungendogli che bene è vero che le figure larghe lentamente si muovono, e le sottili, della medesima materia, velocemente, onde la spada nel muoversi di piatto velocemente trova resistenza maggiore nell’incontrar l’aqqua, che movendosi con pari velocità per taglio; ma non può già la figura piatta proibire l’andare al fondo a quei corpi solidi li quali, figurati in altra forma, vi vanno: ed in somma gli conclusi il ragionamento con questa proposizione: Che un corpo solido il quale, ridotto in figura sferica o qualunque altra, cala al fondo nell’aqqua, calerà ancora sotto qualunque altra figura; sì che, in somma, la diversità di figura, ne i corpi solidi della materia medesima, non altera circa il descendere o non descendere, ascendere o non ascendere, nell’istesso mezo.

Partissi il detto filosofo; ed avendo ripensato sopra tal proposizione, e con altri studiosi di filosofia conferitala, venne, passati 3 giorni, a ritrovarmi, dicendomi che, avendo discorso con alcuni amici suoi circa questo particolare, aveva incontrato tale, a cui bastava l’animo di contender meco sopra tal questione, e con ragioni e con esperienze farmi toccar con mano la falsità della mia proposizione. Io, come desideroso d’imparar da ogn’uno, risposi che averei per favore l’abboccarmi con questo amico suo per discorrer circa questa materia. Accettato da l’una e dall’altra banda il partito, convenimmo del luogo e del tempo: il che non fu però da la parte osservato; anzi non pur non comparse il destinato giorno, ma né per molti appresso. Ma ciò poco saria importato: se non che questo secondo filosofo, in cambio di abboccarsi meco e farmi veder sue ragioni ed esperienze, si messe in molti luoghi publici della città a mostrare a gran moltitudine di persone alcune sue palle e tavolette, prima di{{Vp|

3. questine — 3-4. se la figura le — 6. bene era è — 7. si movevano muovonoe che le — 8-9. velocemente trovava trova — 10-11. piatta impedire proibire — 15. la figura diversità — 16. meteria — 27. altra pa[rte] banda — 32. città e a gran moltitudine di persone a mostrare [p. 35 modifica] busso e poi di ebano, ed a cantare il suo trionfo, con dire che mi aveva convinto; e pure non mi aveva né anco parlato. Io, fatto avvisato di queste sue manifatture, seppi ogni suo fondamento avanti che ci ritrovassimo insieme: ma, avendo già la disputa filosofica degenerato in gara contenziosa, e non essendosi potuto per tal rispetto trattar la disputa come conveniva, giudicai, per fuggir le contese odiose, esser meglio il proporre in scrittura un solo argomento universale, come base e fondamento di quanto io asserisco; il quale quando venisse atterrato da quelli che dissentono da me, io mi chiamero convinto. E perchè l’esperienza prodotta da gli avversarii contro di me è una sottile tavoletta di ebano, la quale, posata sopra l’aqqua sì che la superficie superiore non si bagni, non descende, ed una palla del medesimo legno, grande come una nocciuola, la quale va al fondo; io, considerato come la causa di questa diversità non procede dalla figura, ma dal non bagnar tutta la tavoletta, ho proposto e mandato a gli avversarii questo argomento: Ogni sorte di figura, e di qual si voglia grandezza, bagnata, va al fondo nell’aqqua; ma se una particella della medesima figura non si bagnerà, resta l’istessa figura senza descendere; adunque, non la figura e non la grandezza 20 è causa del descendere o non descendere, ma il bagnarla interamente o non interamente. Questo mio argomento è venuto in mano de gli avversarii; ed uno di loro, come ben sa l’A. V., si obbligò in parola di scriverci contro e palesare la sua fallacia, stimandolo egli per tale; il che non ha poi fatto, anzi intendo che egli non ne vuol fare altro. Gli altri parimente tacciono, stimando forse che una contesa indecisa sia a bastanza favorabile per loro: onde io, che altramente l’intendo, ho resoluto trattar ampiamente questa materia, con speranza di rimuovere i non appassionati dalla opinion falsa, se pur ce n’è alcuno, ed insieme scoprir qualche nuova speculazione, attenente a questo proposo sito ed alla total cognizione della verità della mia proposizione. E, per procedere con la maggior facilità e chiarezza che io sappia, parmi esser necessario dichiarar qual sia la vera e total causa dell’andare o non andare alcuni corpi solidi al fondo, e tanto più quanto io non trovo che Aristotile l’abbia a sufficienza trattato.

Dico, dunque, la causa per la quale alcuni corpi solidi descendono
4. filosifica — 11. sottile assi[cella] tavoletta — 15. bagnar la superfi[cie] tutta — 17-18. ma non se — 24. ha egli poi
[p. 36 modifica]neill’aqqua essere l’eccesso della gravità di essi corpi sopra la gravità dell’aqqua; ed, all’incontro, l’eccesso della gravità dell’aqqua sopra la gravità di altri solidi esser cagione che quelli non descendino, anzi dal fondo si elevino e sormontino alla superficie. Ciò fu sottilmente dimostrato da Archimede, ne i libri Delle cose che stanno sopra l’aqqua; ma io, per facile intelligenza di ogn’uno, tenterò di spiegarlo più chiaramente. E prima bisogna che noi definiamo quello che s’intende per più grave, men grave ed egualmente grave.

Chiamonsi egualmente gravi quei corpi o quelle materie, delle quali moli eguali pesano egualmente; onde la cera, per essempio, si diria esser in gravità simile all’aqqua se, prese due moli eguali, una di aqqua e l’altra di cera, quelle pesassero egualmente. Più grave si dirà una materia di un’altra, se una mole di quella peserà più che un’altra egual mole di questa; e parimente, quella materia sarà men grave di un’altra, della quale mole eguale peserà meno. Non sarà dunque ben detto, tanto esser grave il legno quanto il piombo, ben che si possino pigliar 2 moli dell’uno e dell’altro di peso eguale, perchè quella del legno sarà molto maggior mole che quella di piombo; ma ben con verità dirassi, il piombo esser più grave del legno, perchè un pezzo di piombo peserà più che altrettanta mole di legno. Poste queste definizioni, dimostreremo, per la sua intrinseca e natmal cagione, come i solidi men gravi dell’aqqua non possono in conto alcuno demergersi ed andare al fondo nell’aqqua, ma che per necessità una parte resterà fuori dell’aqqua; dimostreremo nel secondo luogo, i solidi più gravi dell’aqqua andar di necessità al fondo; e finalmente si proverà, che quelli che fussero egualmente gravi come l’aqqua, staranno in ogni luogo di essa aqqua, purché siano tutti sotto. E per passare alla demostrazione, piglio uno de i seguenti 2 assiomi, e suppongo: Che un peso maggiore non può esser sollevato ed alzato da un minore, essendo pari tutte le altre circostanze; o vero. Che l’ordine naturale richiede che i corpi più gravi stiano sotto i men gravi, sotto i quali anderanno, non sendo impediti.

Passo18 ora a dimostrar la prima parte, e dico:

Sia il corpo solido A, men grave dell’aqqua, ciò è men grave
34. Sia il il corpociò è me grave
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di altrettanta aqqua quanta è la mole sua; il quale sia posto nell’aqqua bfgc: dico, essere impossibile che il solido A stia tutto sotto aqqua, ma che per necessità una sua parte avanzerà fuori. Imperò che, se è possibile, stia tutto sotto. Ora, notisi che nel descender A sott’aqqua, è forza che l’aqqua gli dia luogo e gli ceda, non potendo star 2 corpi nell’istesso luogo; e l’aqqua che cede al solido A, non avendo altro luogo dove ritirarsi, si inalza, sì che se avanti l’immersione del solido A la superficie dell’aqqua era secondo il livello bc, dopo la immersione sarà alzata sino in de. E perchè A scaccia, per farsi luogo, tanta aqqua quanta è la sua propria mole, sarà l’aqqua dbec eguale in mole al solido A: ma in peso sarà più grave, essendo, per la supposizione, il solido A men grave dell’aqqua: adunque il solido A, descendendo, averà alzato un peso maggior del suo proprio; il che, per l’assunto, è impossibile. Non si demergerà, dunque, tutta la mole A sotto l’aqqua, ma una parte resterà scoperta.

Possiamo anco ridur la dimostrazione all’altro principio, considerando che, se A stessi tutto sotto aqqua, un corpo men grave resterebbe sotto un più grave; che è impossibile. L’aqqua, dunque, contigua alla superficie de, premendo col suo peso, scaccierà e solleverà la minor gravità di A, sottentrandogli; ne si formerà l’equilibrio, sin che resti della mole A solamente tanta porzione demersa, che tanta aqqua, quanta è in mole la detta porzione demersa, pesi quanto tutto il solido A. Come, per esempio, nell’altra figura, che tutto il solido A0 pesi quanto una mole di aqqua eguale alla parte sola A: dico che, quando la parte A sola sarà sott’aqqua, si fermerà, né più se ne tufferà. Imperò che, essendo l’aqqua che si solleva sempre eguale in mole alla parte del solido demersa, sarà l’aqqua tra le superficie de, bc eguale alla parte del solido A; ed in peso pareggierà la gravità di tutto il solido A0: tanta, dunque, sarà la gravità di tutto
13-14. eguale alla in — 24. fermerà
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il solido A0; tendente al basso, quanta

Ma per confermare maggiormente quanto io dico ed affermo, eleggasi un legno del quale una palla venga dal fondo dell’aqqua alla superficie più lentamente che non va al fondo una palla di ebano dell’istessa grandezza, per lo che non si possa dubitare che la palla di ebano più prontamente divida l’aqqua descendendo, che quella dell’altro legno ascendendo; e sia, per essempio, quest’altro legno il noce. Facciasi di poi un’assicella di noce simile a quella di ebano degli avversarli, la quale resta a galla; e se è vero che questa di ebano resti a galla mediante la figura impotente, per la sua larghezza, a fender la crassizie dell’aqqua, senza dubbio quella di noce, messa nel fondo, vi resterà, come manco atta, per il medesimo impedimento di figura, a dividere l’istessa resistenza dell’aqqua. Ma se noi troveremo e per esperienza vedremo, che non solamente la tavoletta, ma qualunque altra figura, di noce verrà a galla, sì come indubitatamente vedremo e troveremo19, di grazia cessino gli avversarli di attribuire il supernatare dell’ebano alla figura dell’assicella, poi che la resistenza dell’aqqua è l’istessa tanto all’in su quanto all’in giù, e la forza del noce al venire a galla è minore assai che la forza dell’ebano all’andare al fondo20. Anzi, di più, dico che, se noi considereremo
7.legno il quale nell’aqqua venga dal fondo alla del — 10. descendendo che l’altro legno ascendendo che — 16. per la il — 17. figura inetta a — 23. minore assaissimo assai — 23-24. ebano o del piombo all’
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l’oro in comparazione dell’aqqua, troveremo che egli la supera quasi venti volte in gravità; onde la forza e l’impeto col quale una palla di oro va al fondo è grandissimo: all’incontro, non mancano materie, come la cera schietta ed alcuni legni, le quali non cedono né anco uno per cento in gravità all’aqqua; onde il loro ascendere in quella è tardissimo, e due mila volte più debile che l’impeto dello scender dell’oro: tutta via una sottil falda di oro galleggia, senza descendere al fondo, ed, all’incontro, non si può fare una falda di cera o del detto legno, la quale, posta nel fondo dell’aqqua, vi resti senza ascen10 dere. Or, se la figura può vietare la divisione ed impedire la scesa al grandissimo impeto dell’oro, come non sarà ella bastante a vietar la medesima divisione all’altra materia nell’ascendere, dove ella non ha appena forza per una delle due mila parti dell’impeto dell’oro?

Ma per quelli che sono un poco duri a intender ciò che importi l’unione ed il contatto esquisito di 2 superficie, parendogli ridicolo che l’aria, quasi con virtù magnetica, col semplice contatto sostenga la sottil falda di piombo, io voglio con un’altra esperienza tentar di rimuovergli simil difficoltà. Piglisi un paio di bilancie, con i loro scudi piani, in amendue de i quali si ponghino pesi eguali, sì che faccino il perfetto equilibrio: è manifesto che, mettendosi una delle lance nell’aqqua, lasciando l’altra nell’aria, questa dell’aria graverà più e solleverà l’altra, che, per esser nell’aqqua, verrà alleggerita,
1. aqqua vedi[remo] troveremo — 6. tardissimo e debolissimo e — 9. quale resti nel f[ondo] posta — 13. forza che per — 18. intender quello ciò — 19. parendogli o per ciò ridicolo — 21. io glielo voglio far toccar con mano con — 23. ponghino 2 pesi — 24. equilibrio ed èche chi mettesse mettendosi — 25. aria che questa — 25-26. aria graverebbe graverà più e solleverebbe solleverà — 26. che esse[ndo] peraqqua verrebbe verrà

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mediante la gravità di essa aqqua in relazione all’aria. Ma io non voglio che ei tuffi la detta lance sotto l’aqqua, ma che solamente faccia che la sua inferior superficie tocchi la superficie dell’aqqua; cominci poi ad aggiugner peso all’altra lance, che pende in aria: e vedrà che, abbassandosi questa, l’altra si solleverà, ma seguita da l’aqqua sua contigua, la quale, avanti che si separi dal piano della lance, si alzerà quanto è una costa di coltello, e resisterà al peso di molti e molti grani e carati che si aggiugneranno all’altra lance; sin che finalmente il peso dell’aqqua sollevata e la compressione dell’aria ambiente sciorranno la continuazione delle due superficie, nel quale scioioglimento l’altra lance aggravata darà un gran tracollo. Simile appunto appunto è il contatto dell’aria con la superficie superiore della laminetta o tavoletta di ebano, ed in simile maniera l’aria segue, oltre i confini dell’universal superficie dell’aqqua, la superficie di essa tavoletta, la quale sotto i detti confini si avvalla: e sì come chi volesse affermare che i pesi della lance posta in aria non contrappesassero altro che il primo peso che fu posto nell’altra lance, e che non l’aqqua aderente, ma la figura, la ritenesse da l’esser sollevata da la giunta de i nuovi pesi dell’altra lance, e volesse pur sostenere che altro peso non si contrappesasse che il primo ingravito non dall’aqqua ma dalla figura21, direbbe una sciocchezza; così appunto il dubitare se l’aria, che dentro all’arginetto dell’aqqua sta congiunta con la tavoletta, accresca leggerezza all’ebano, e se quello che in questo atto si adopera sia il semplice ebano, pur si pesi, per così dire, l’ebano con di molta aria, è proprio una leggerezza. Pongasi, dunque, il puro ebano in aqqua, conforme al nostro detto22 e non un composto d’ebano e di aria, e vedrassi la verità della mia conclusione: che pur dovriano saper gli avversarli che tanto per appunto resiste e, per così dire, pesa l’aria all’in giù nell’aqqua quanto l’aqqua all’in su nell’aria, e l’istessa fatica ci vuole a mandare sott’aqqua un pallone pien d’aria, che ad alzarlo in aria pieno di aqqua23. Io prego in cortesia alcuno degli avversarli a dirmi, qual giudizio averiano fatto di me, se, quando fusse nata tra noi contesa se più facilmente si solleva in aria una palla
5. solleverà da l’aqqua ma
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di piombo che la medesima materia ridotta in una sottilissima e larghissima falda, io avessi tolto a sostenere che più facilmente si sollevasse la palla che la falda; e che poi, per giustificazione della mia parte, io mettessi l’una e l’altra figura nell’aqqua, sospendendo la palla con un filo ad uno de i bracci della bilancia che fosse in aria24 aggiugnendo poi tanto peso nell’altra lance che tirasse fuori dell’aqqua la detta palla e la sollevasse in aria, bisognandovi per ciò, v. g., trenta oncie di peso; e che similmente, legata la sottilissima falda con 3 fili, sì che stesse parallela all’orizonte, io la mettessi nell’aqqua, e che, aggiugnendo peso all’altra lancie, vi bisognassero 40 oncie per sollevarla, mediante la gran quantità di aqqua che seguiterebbe il contatto della sua ampiezza: vorrei, dico, sapere se, esclamando io di aver con tale esperienza provato che veramente la falda pesasse più della palla25, ei mi stimerebbero altro che un solenne pazzo, e massime quando io pur volessi con pertinacia sostenere che il tirarsi dietro molt’aqqua, come effetto della larghezza della figura, non si avesse da rimuovere dalla mia esperienza26 e che se la palla non se ne tira lei se non pochissima27, suo danno, e che, di più, con sì leggiadra invenzione io andassi per le piazze cantando il mio trionfo. Io credo che, per lor modestia e per la minima mia vergogna, tiratomi da canto per il lembo del mantello, mi direbbono all’orecchio: «Taci, scioccuzzo; che noi parliamo del sollevare in aria, e non mezzo nell’aria e mezo in aqqua; e parliamo del sollevare una palla di piombo ed una falda pur di altrettanto piombo, e non una tal falda con dieci volte tanto di aqqua»: e quando finalmente pure io persistessi nella medesima pertinacia, si riderebbero loro ancora, insieme con gli altri, del caso mio.

1. che il medesimo piombo ridotto la — 2-3. sollevasse una la — 8. legata poi la — 14. mi repute[rebbero] stimerebbero — 15. e tanto più massimevelessi — 16. come pure effetto della figu[ra] larghezza — 17. non se la ne — 20. vergogna tirandomi tiratomi — 24. di piombo altrettantocon quattro dieci volte dieci
[p. 42 modifica]Ma28 prima che io passi più avanti, voglio checonsideriamo come Aristotile, dopo aver proposto e detto che le figure non sono cause del semplice andare, o non andare, in su o in giù, ma solamente dell’andar tardo o veloce, propone una dubitazione: «Onde è che le falde larghe di ferro, ed anco di piombo, nuotano sopra l’aqqua; il che non fanno; benché minori e men gravi; se saranno rotonde o lunghe, come, per esempio, un ago, le quali vanno al fondo»: dove poi, nell’assegnar la causa di questo effetto, pare ad alcuni de’ suoi io interpreti e, per quanto l’stimo, a gli avversarli, che Aristotile introduca la figura, impotente, per la sua larghezza, a fendere la renitenza della molta aqqua che ella incontra; dal qual luogo, per mio avviso, vogliono dedurre che Aristotile attribuisca alla figura la causa del supernatare una lamina di piombo che per la natural gravità, fatto in altra figura, anderebbe al fondo. Ma se questo è, ha Aristotile detto, nel principio del capitolo, apertamente che le figure non son [cau]se dell’andar semplicemente, o non andare, al fondo, etc; bisogna [che] gli avversarii, o confessino che Aristotile si contradica, dicendo [che] le figure non son cause del supernatare ed a canto a canto afferm[ando] che la figura sia causa del supernatare la falda di piombo; c[onfes]sino che egli non attribuisca la causa del supernatare alla fig[ura] della falda; vero che il senso della prima e principal propo[sizio]ne non sia quello che par che le parole suonino. [p. 43 modifica]

Che Aristotile si con[tra]dica, affermando e negando la medesima cosa nell’istesso luogo e [capitolo], so che gli avversarii non son per concederlo mai; se concedessero che ad altro che alla figura attribuisse Aristotile la causa del supernatare [che] fa la lamina già il testo e l’autorità da loro prodotta gli sar[eb]be, per loro confessione, direttamente contro: resta dunque per l[oro] refugio che la prima proposta di Aristotile sia capace d’interp[re]tazione e senso tale, che non escluda la figura dalle cause [del] supernatare alcuno de i corpi che per lem|em|or natura anderebbono e v[anno] al fondo. E qui29 credo che mi diranno c[he] il vero e germano sentimento delle parole di Aristotile è che [la] figura non sia semplicemente ed assolutamente causa del muoversi, [o] non muoversi, in su o in giù, ma che ben sia causa secundum quid ciò è in un certo modo o secondo qualche rispetto, sì che in eff[etto] la particola simpliciter si abbia a congiugnere con la causa, e [non] col muoversi o non muoversi; di maniera che l’intenzione d[i] Aristotile sia stata tale: La vera e semplice causa dell’andare, o n[on] andare, in giù o in su, ne è la gravità o leggerezza, e non la figu[ra]; ma la figura è ben cagione coadiuvante ed in un certo modo co[ope]rante in tali effetti, etc. Or qui mi nascono diversi dubbii e d[ifii]coltà, per le quali mi pare che le parole non siano in conto alcuno ca[paci] di simile costruzione e sentimento. E le difficoltà son queste30Inserire figura (CropTool non funziona) con tanto progiudizio della sua dottrina e reputazione, cose tanto aliene dalla sua intenzione e dal vero insieme.

Finalmente, io starò con gran desiderio attendendo di sentire come gli avversarii siano per poter sostenere la interpretazione, ch’e’ danno alle parole di Aristotile, per vera e reale, e più la dottrina salda e
prodotta sarebbe per loro confessione direttamente contro di loro gli — 17. ma che la — 18. coadiuante. — 29-30. la loro interpretazione ch’e’ danno delle alle parole
[p. 44 modifica] sicura, satisfacendo insieme a un poco di scrupolo che io pongo loro avanti. Voi dite che la figura è causa in qualche modo, dell’andare o non andare al fondo etc.; ed a favor vostro producete l’autorità di Aristotile, come concorde al vostro detto. Ora, io piglio il testo sopra il quale voi vi fondate, e vi dico che Aristotile in questo luogo (posta per vera la vostra interpretazione), dice che la figura è non meno causa del muoversi o non muoversi31 all’in su, che del muoversi o non muoversi all’in giù: ma perchè, nell’esemplificarmelo poi con qualche esperienza, né Aristotile né voi mi avete fatto vedere altra prova che di una falda di piombo e di una tavoletta di ebano, materie che per lor natura vanno al fondo, ma in virtù della figura restano a galla, io vi supplico, già che Aristotile non vive più, che voi altresì mi facciate vedere un corpo, il quale dal fondo dell'acqua per sua natura ascenda ad alto, ma che, in virtù di quella figura che voi gli saprete dare, resti nel fondo; perchè io non dubito che voi saprete benissimo accomodare la medesima materia in figure così diverse, che una speditamente verrà dal fondo ad alto, e l'altra, per la sua larghezza o per altra variazione di figura non potente a fender la crassizie dell’aqqua o quel che si sia che l’impedirà, se ne resterà in fondo; e ciò vi deverà succedere tanto più facilmente che l’altra esperienza, quanto pare che tanto più difficilmente possino essere impediti i movimenti, quanto maggiore è l’impeto e l’inclinazione32 loro naturale; ma quale inclinazione è maggiore di quella del piombo e del gravissimo oro all’andare in giù? e pure, con l’aiuto della figura, si fanno galleggiare. Ed, all’incontro, voi pur sapete quanto picciol dominio abbia la leggerezza in alcune materie le quali lentamente sormontano nell’aqqua, come saria la cera il busso ed altri legni poco inferiori di gravità all’aqqua; poi che non pure in questi ma nell’aria stessa par che, conforme alla peripatetica dottrina, la gravità prevaglia alla leggerezza. Il proibir, dunque, a sì fatte materie, con l’ampiezza della figura, la facoltà di dividere la crassizie dell’aqqua, con la fiacchissima propensione che hanno al venire ad alto, deverà
5. dico (posta per vera la vostra interpretazione) che — 9. mi hanno avete — 18. a fendere fender — 19. impedirà e per ciò se — 21. che più facilmente tanto — 22. quanto più sono naturale maggiore — 29. la legg[erezza] gravità — 31. figura il poter la — 32. hanno di al venire all’in su ad
[p. 45 modifica] bene esser impresa più che facilissima a quelli li quali, col morso della medesima figura, raffrenano il corso precipitoso dell’oro verso 1 centro del mondo. Ma se, per mia ventura, ei non trovassero il modo di effettuar questa seconda esperienza, e che per tanto si chiarissero della sua impossibilità33 di grazia non si affatichino più in voler sostener per buona l’interpretazione data da loro alle parole di Aristotile, perchè condanneranno attorto un innocente, e gli faranno al suo dispetto dire il falso, mentre egli dice una assolutissima verità: perchè falso e superfluo34 è il dire: «Le figure non sono cause semplicemente, ma son cause in certo modo, dell’andare o non andare al fondo o a galla, ma sì bene dell’andare più o meno veloce o tardo»; falso è, perchè non si vede che la figura impedisca il venire a galla, come pare che ritenga l’andare al fondo; superfluo, e male attaccato col detto di sopra, sarebbe il dir che le figure sien causa del tardo o del veloce. Ma dandogli il vero senso, oltre allo sfuggir il bisogno di una distinzione, inutile in questo luogo35 di simpliciter e secundum quid, della quale Aristotile non averebbe, in questa occasione, tralasciato il secondo membro, se l’intenzion sua fusse stata di prevalersene, si averà una sentenza verissima, ben continuata ed in tutte le sue parti coerente; e sarà questa: «Le figure non son causa dell’andare assolutamente, o non andare, al fondo o a galla, ma sì bene della maggiore o minor velocità». E fermata questa chiara facile e vera esposizione, molto approposito cade il passar dubitativamente al cercar la causa, perchè le falde larghe di ferro e di piombo galleggino: e l’occasione del dubitare depende dall’essersi escluse le figure, le quali, nel primo aspetto, hanno sembianza di cause in tale accidente; le quali figure se non fossero state escluse di sopra, ma intromesse, non solo saria stato a sproposito il dubitare di quello che nelle parole immediatamente precedenti si era posto per resoluto, ma quasi superfluo il proporlo semplicemente per conclusione consequente dalle cose dette di sopra. Concludasi, dunque, che la mente di Aristotile in questo luogo è precisamente concorde alla mia proposizione
1. quali fren[ano] col — 10. del andare — 11. andare velo[ce] più
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e diametralmente contraria all’[intenzione] degli avversarii36Inserire figura (CropTool non funziona) cose tanto aliene dalla sua ’ntenzione e dal vero insieme.

Finalmente, se l’intenzion d’Aristotile in questo luogo fusse stata di dire che le figure, se ben non assolutamente, siano al manco in qualche modo causa del muoversi o non muoversi, io metto in considerazione che egli nomina non meno il movimento all’in su, che l’altro all’in giù: e perchè, nell’esemplificarlo poi con qualch’esperienza, non si produce altro che una falda di piombo o una tavoletta d’ebano, materie che per lor natura vanno in fondo, ma in virtù (coni’ essi dicono) della figura restan a galla, saria bene che gli avversarii producessero alcun’altra esperienza di quelle materie che per lor natura vengono a galla, ma ritenute dalla figura restano in fondo.

Ma perch’io so questo esser impossibile a farsi, concludiamo che Aristotile in questo luogo non ha voluto attribuire azzion alcuna alla figura, nel semplicemente muoversi o non muoversi.

Che poi egli abbia schiettamente filosofato e saldamente discorso nell’investigar le soluzioni de i dubbii che ei propone, non torrei io già a sostenere; anzi, per l’opposito, dubito molto che ei non si sia inviluppato e smarrito in varii laberinti di falsità, per non aver preso il filo che per diritta e facile strada lo poteva condurre alla vera causa della sua questione, lo anderò additando, nello esaminare il resto del suo capitolo, quello che mi par falso, con desiderio e speranza che qualcuno, più di me intendente, emendando i miei errori, mi mostri la verità; alla confession della quale io infinitamente son più accinto, che alla contradizione.

Proposta che ha Aristotile la questione «onde avvenga che le falde larghe di ferro di piombo supernatano» (e questo è vero),
21. le ragioni de soluzioni — 22. dubito io molto — 23. inviluppato e che ei non abbia introdotti molti falsi e — 25. Io proporrò anderò — 27. emendando il mio errore i
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soggiugne poi (quasi fortificando l’occasione del dubitare): «essendo che altre cose minori e manco gravi, se saranno rotonde o lunghe, come sarebbe un ago, vanno al fondo». Or qui dubito io, anzi pur son sicuro, che un ago, posato leggiermente, resta a galla.

Io non credo già che alcuno, per difendere Aristotile, dicesse che egli intende di un ago messo non per lo lungo, ma eretto e per punta: pure, perchè non ci mancano di quelli che non si sbigottiscono di produr maggiori esorbitanze di questa per difendere quello in che Aristotile medesimo si disdirebbe quando sentisse le ragioni o vedesse l’esperienza in contrario, io replicherò anco a questa risposta, e dirò che l’ago si deve mettere secondo la dimensione che vien nominata da Aristotile, che è la lunghezza e non l’altezza. Perchè, se altra dimensione che la nominata prender si potesse e dovesse37, io direi che anco le falde di ferro anderanno al fondo, se altri le metterà in aqqua per taglio e non per lo piano: ma perchè Aristotile dice «le figure larghe non vanno al fondo», si deve intender «posate per lo largo»: e però quando dice «le figure lunghe, com’un ago, benché leggiere, non restano a galla», si deve intender «posate per lo lungo».

Di più, Aristotile credeva che un ago, posato su l’aqqua, restasse a galla; o credeva ch’e’ non restasse. S’e’ credeva che non restasse, ha ben potuto dire che l’ago posto per lungo va al fondo, come veramente ha detto: ma se e’ credeva e sapeva che i ferretti lunghi e sottili supernatassero, per qual cagione, insieme col problema dubitativo del galleggiare le figure larghe, ben che di materia grave, non ha egli anco introdotta la dubitazione, onde avvenga che anco le figure lunghe e sottili, ben che di ferro o di piombo, supernatano? e massime che la cagione del dubitare par maggior nelle figure lunghe e strette che nelle largh’e sottili.

Diciamo, dunque, pur liberamente, che Aristotile credette che le figure larghe solamente stesser a galla; ma le lunghe e sottili, come un ago, no: il che tuttavia è falso, sì come38 falso è ancora che corpi
2. minori roto[nde] e — 10. io risponderò anco al replicherò — 16. larghe vanno
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rotondi e manco gravi non restino a galla; perchè, come di sopra si dimostrò, piccoli globetti di ferro, ed anco di piombo, nell’istesso modo galleggiano.

Propone poi un’altra questione, al creder mio similmente falsa: ed è, che alcune cose per la lor picciolezza nuotano nell’aria, come la minutissima polvere di terra e le sottilissime foglie d’oro. Ma a me pare che l’esperienza ci mostri, ciò non accadere non solamente nell’aria, ma nè tampoco nell’aqqua; nella quale descendono sino a quelle particole di terra che la intorbidano, la cui piccolezza è tale che non si veggono, se non quando sono molte centinaia insieme. La io polvere, dunque, non pur di oro, ma ancora di terra, non si sostiene altramente in aria, ma descende al basso, e solamente vi va vagando quando venti gagliardi la sollevano o altra agitazione di aria la commuove: il che anco avviene nell’agitazion dell’aqqua, per la quale si commuove la sua deposizione del fondo, e s’intorbida. Ma Aristotile non può intendere di questo impedimento della commozione, del quale egli non fa mai menzione; anzi non nomina altro che la leggerezza di tali minimi, e la resistenza della crassizie dell’aqqua e dell’aria: dal che si vede che egli tratta dell’aria quieta, e non agitata e commossa; ma, in tal caso, né oro né terra, per minutissimi che siano, si sostengono, anzi speditamente descendono.

Passa poi al confutar Democrito, il quale, per sua testimonianza, voleva che quelli atomi ignei, li quali continuamente ascendono per
4-5. falsa che ed — 7. ci mostra mostri — 9. terra così che — 21. sostengono ma anzi

[p. 49 modifica] l’aqqua, spignessero in su e sostenessero quei corpi gravi che fussero molto larghi, e che gli stretti cadessero giù, perchè poca quantità de i detti atomi ascendenti gli contrasta e repugna.

Confuta, dico, Aristotile questa posizione, dicendo che ciò doverla molto più accadere nell’aria; sì come il medesimo Democrito insta contro di sè, ma, dopo aver mossa l’instanza, la scioglie lievemente, con dire che quei corpuscoli, che ascendono in aria, fanno impeto non unitamente. Qui io non dirò che la causa addotta da Democrito sia vera: ma dirò bene che malamente vien refutata da Aristotile, mentre egli dice che, se fusse vero che gli atomi calidi, che ascendono, sostenessero i corpi gravi, ma assai larghi, ciò doveriano far molto più nell’aria che nell'aqqua; perchè forse le cui superficie siano fra di loro simili, ma differenti in grandezza; perchè, diminuite o cresciute quanto si voglia le dette superficie, sempre con minor proporzione sciemano o crescono i lor perimetri, ciò è le resistenzie che loro trovono in fender l’aqqua: adunque più facilmente galleggeranno di mano in mano le falde e tavolette, secondo che le saranno di minore ampiezza. E questo tutto seguirebbe in dottrina di Aristotile, contro alla sua medesima dottrina.

Qua io m’aspetto un rabbuffo terribile da qualcuno de gli avversarli; e già parmi di sentire intonar negli orecchi che altro è il trattar le cose fisicamente ed altro matematicamente, e che i geo- metri doveriano restar tra le lor girandole, e non affratellarsi con le materie filosofiche, le cui verità sono diverse dalle verità matematiche; quasi che il vero possa esser più di uno; quasi che la geometria a i nostri tempi progiudichi all’aqquisto della vera filosofia, quasi che sia impossibile esser geometra e filosofo, sì che per necessaria conseguenz[a] si inferisca che chi sa geometria non possa saper fisica, né possa discorrere e trattar delle materie fisiche fisicamente. Conseguenze non meno sciocche di quella di un tal medico fisico, che,
11. larghi che ciò — 30-31. che non sia
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spinto da un poco di livore, diceva che il medico Aqquapendente, essendo grande anatomista e chirurgo, doveva contentarsi di star tra i suoi ferri ed unguenti, senza volersi ingerire nelle cure fìsiche, come se la cognizione di chirurgia destruggesse e fosse contraria alla fisica. Io gli risposi che, av[en]do più volte ricevuta la sanità dal sommo valore del Sig. Aqquapendente, potevo deporre e far sempre fede che Sua Eccellenza mai non mi dette bevanda alcuna composta di diapalme, di caustici, di fila, di pezze, di tente, di rasoi, nè mai, in vece di tastarmi il polso, mi fece un cauterio o mi cacciò un dente di bocca, ma, come eccellentissimo fisico, mi purgò con manna, cassia, rabarbaro, ed usò gli altri rimedii opportuni alle mie indisposizioni. Vegghino gli avversarli se io tratto le materie con i medesimi termini che Aristotile, e se egli medesimo, dove è necessario, introduce demostrazioni geometriche; e, di grazia, cessino di esser così aspri nimici della geometria, non senza mia grandissima meraviglia, il quale credevo che non si potesse esser nimico di persona non conosciuta.

A quello che finalmente pone Aristotile nel fine del suo testo, ciò è che si deve comparare la gravità del mobile con la resistenza del mezo alla divisione, perchè se la virtù della gravità eccederà la resistenza del mezo, il mobile descenderà, se no, supernaterà; non occorre che mi affatichi di rispondere altro che quello che già si è detto, ciò è che non la resistenza alla divisione, che non si ritrova nell’aria o nell’aqqua, ma sì bene la gravità del mezo, si deve chiamare in paragone con la gravità del mobile: la quale se sarà maggiore nel mezo, il mobile non vi descenderà, nè meno vi si tufferà tutto, ma una parte solamente; perche nel luogo che egli occuperebbe nell’aqqua, non vi deve stare corpo che pesi manco di altrettanta aqqua; ma se il mobile sarà più grave dell’aqqua, descenderà al fondo, ad occupare un luogo39 dove e più naturale che vi dimori lui, che un corpo men grave. E questa è la vera, sola, propria ed assoluta causa del supernatare o andare al fondo: e la vostra tavoletta, signori avversarii, supernata quando è accoppiata con tanto di aria, che insieme con quella forma un composto men grave di
11. ed alt[ri] usòoportuni — 16. di uno che non si conosca persona — 22. non vi si — 26. una pate
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tanta aqqua quanta anderia a riempiere quel luogo che il detto composto occupa in aqqua; ma quando voi metterete nell’aqqua il semplice ebano, conforme alle nostre convenzioni, egli anderà al fondo, se voi lo facessi più sottile di una carta.

Io, Serenissimo Signore, mi sono affaticato, come ha veduto l’Altezza Vostra, per sostener viva la mia vera proposizione ed, insieme con lei, molte altre che la conseguono, salvandole dalla voracità della bugia da me atterrata ed uccisa. Non so se gli avversarli mi averanno buon grado di così fatta opera, o pure se, trovandosi con giuramento severo obbligati a sostener quasi che religiosamente ogni decreto di Aristotile, temendo forse che egli, sdegnato, non eccitassi alla lor destruzione un grosso stuolo di suoi più invitti eroi, si risolveranno40 a soffogarmi ed esterminarmi, come profanatore delle sue sante leggi: imitando in ciò gli abitatori dell’Isola del Pianto irati contro di Orlando, al quale, in guiderdone dell’aver egli liberate da l’orribile olocausto e dalla voracità del brutto mostro41 tante innocenti verginelle, si movevano contro, rimorsi da strana religione e spaventati42 da vano43 timore dell’ira di Proteo, per sommergerlo nel vasto oceano; e ben l’avriano fatto se egli, impenetrabile, ben che nudo44, alle lor saette, non avesse fatto di loro quello che suol fare l’orso de i piccioli cagniuoli, che con vani e strepitosi latrati importunamente l’assordano. Ma io, che non sono Orlando, nè ho altro d’impenetrabile che lo scudo della verità, disarmato e nudo nel resto45 ricorro alla protezione dell’A. V., al cui semplice sguardo cadranno in terra le armi di qualunque, fuori di ragione, contro alla ragione imperiosamente vorrà muovere assalti.



15. guiderdone di avergli liberati dall’orribile tributo dell’ — 17. si apparecchiavano spinti movevano — 18. Proteo si movevano contro per — 20. avesse di loro fatto
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posuit Deus omnia in numero, pondere et mensura.

un legno che venisse a galla così velocemente come va l’ebano in fondo, ridotto in una tavoletta, doverebbe restare in fondo, non potendo fender l’aqqua.

illa certa causa non est, qua sublata non tollitur effectus. Bonamicus, 495 B.

considera le cause della quiete, del moto, della velocità e dell’augumento della velocità.

mirabil cosa è il poter sollevare un peso con 4 oncie di aqqua, che altrimenti con centomila libbre non si alzerebbe.

il render ragione del supernatare per esser il solido a predominio aereo etc, è provare ignotum per ignotius, perchè tal predominio s’intende per il supernatare.

si doverebbe ringraziar chi ci leva di errori, e non per l’opposito, come quell[i] che sono svegliati da sogni dilettevoli.




Se in un cilindro o prisma cavo sarà locato un cilindro o prisma solido, circondato da aqqua, dico che, nell’estrar fuori il prisma, alzandolo a perpendicolo e con la base parallela al livello dell’aqqua, la superficie dell’aqqua si abbasserà, e l’abbassamento di essa aqqua all’alzamento del solido averà la medesima proporzione che la superficie del solido alla superficie dell’aqqua. Sia nel cilindro o prisma cavo efdb il cilindro prisma solido abcd, e nel resto del vaso efca sia aqqua, sino al livello eab; ed alzandosi il solido ad, sia trasferito in gm, e la superficie dell’aqqua ea descenda in no. Dico che la scesa dell’aqqua ao alla salita del solido ag ha l’istessa proporzione, che la superficie del solido gli alla superficie dell’aqqua no. Il che è manifesto: perchè la mole del solido estratto gabh è eguale alla mole
16. in un vaso cilindrolocato un solido cilindro — 26. superficie gh del
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l’qqua, che si è abbassata, enoa: son dunque i due prismi gabh, enoa eguali: ma de i prismi eguali le basi rispondono contrariamente all’altezze: adunque, come l’altezza oa all’altezza ag così è la superficie gh alla superficie no.

Sit aqua gravior quam dg ut df ad fb: fiet quies ab aqua af, Demonstrabitur si ostendas, descensum ab ad ascensum de esse ut pondus dg ad pondus af: at descensus ab ad ascensum bc est ut bc ad ba, sen bg ad af: ostendas ergo, ut bg ad af, ita esse pondus dg ad pondus af. Sed pondus dg ad pondus af habet rationem compositam ex mole dg ad molem af et ex gravitate dg in specie ad gravitatem af: ostendendum ergo, molem bg ad af rationem compositam habere ex mole dg ad af et ex gravitate in specie dg ad af: hoc autem erit si gravitas in specie dg, sen bg, ad gravitatem af fuerit ut moles bg ad molem gd; quod verum est.

Sia il solido af men grave dell’aqqua, e sia l’aqqua ce: dico che,

liberato, si alzerà. Imperò che, se af fusse egualmente grave come l’aqqua, sarebbe come il peso della mole ce al peso af così la mole ce alla mole af: ma, sendo l’aqqua più grave, maggior proporzione averà la gravità ce alla gravità af che la mole ce alla mole af ciò è che la superficie ca alla superficie ab, ciò è che la salita del solido alla scesa dell’aqqua: adunque l’aqqua ce si abbasserà, ed il solido af si alzerà46.
9. esse ut pondus — 11. et et gravitate — 21. averà la mole la — 23. la scesa salita — 24. si abbassereed la mole il
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I pesi assoluti de i solidi hanno la proporzion composta della proporzione delle loro gravità in specie e della proporzione delle lor moli.

Siano due solidi a e h: dico; il peso assoluto di a al peso assoluto di b aver la proporzion composta della gravità in specie di a alla gravità in specie di b, e della proporzione della mole a alla mole b. Abbia la gravità in specie di a alla gravità in specie di b la medesima proporzione che la linea d alla e, e la e alla f sia e come la mole a alla mole b: dico, il peso assoluto di a al peso assoluto di b esser come d ad f. Pongasi c eguale ad a in mole, e della medesima gravità in specie di b: perchè, dunque, a e c sono in mole eguali, sarà il peso assoluto di a al peso assoluto di c come la gravità in specie di a alla gravità in specie di c, ciò è come d ad e: e perchè c e b sono de[lla] medesima gravità in specie, sarà come il peso assoluto c al peso assoluto b così la mole c alla mole b, ciò è così la mole a alla b, ciò è la linea e alla f. Come dunque il peso assoluto di a al peso assoluto di c, così la linea d alla e, e come il peso assoluto c al peso assoluto b, così la linea e alla f: adunque, per la proporzione eguale, il peso assoluto di a al peso assoluto di b è come la linea d alla f.

I solidi de i quali le moli rispondono contrariamente alle loro 2 gravità in specie, sono in gravità assoluta eguali.

Se un prisma solido sarà men grave dell’aqqua, posto in un vaso di sponde parallele fra di loro ed erette all’orizonte, ed infusa poi l’aqqua, resterà il solido senza esser sollevato sin che tutta la sua altezza all’altezza della parte demersa abbia l’istessa proporzione che la gravità in specie dell’aqqua alla gravità di esso solido; ma infondendo più aqqua, il solido si solleverà.

Sia il vaso mlgn, di qualunque grandezza e di sponde erette all’orizonte, ed in esso sia collocato il prisma solido dfge, men grave in specie dell’aqqua; e sia la gravità in specie dell’aqqua alla gravità
3. il poso - 11. di b come perchè 15-16. così a a[lla] la mole — 24-25. la sua altezza alla parte all’ — 29. il sol[ido] prisma

[p. 55 modifica] del prisma come l’altezza df all’altezza bf: dico che, infondendosi aqqua sino all’altezza fb, il solido dg non si eleverà, ma sarà ridotto all’equilibrio, sì che ogni poco più di aqqua che si aggiunga, si solleverà. Sia dunque infusa l’aqqua sino al livello abc; e perchè la gravità in specie del solido dg alla gravità dell’aqqua in specie è come l’altezza bf all’altezza fd, ciò è come la mole bg alla mole gd, e la proporzione della mole bg alla mole gd con la proporzione della mole gd alla mole af compongono la proporzione della mole bg alla mole af, adunque la mole bg alla mole af ha la proporzion composta della proporzione della gravità in specie del solido gd alla gravità in specie dell’aqqua e della proporzione della mole gd alla mole af. Ma le medesime proporzioni, della gravità in specie di gd alla gravità in specie dell’aqqua e della mole dg alla mole af, compongono ancora la proporzione del peso assoluto del solido dg al peso assoluto della mole dell’aqqua af: adunque, come la mole bg alla mole af, così è il peso assoluto del solido dg al peso assoluto della mole d’aqqua af. Ma come la mole bg alla mole af, così la superficie del prisma de alla superficie dell’aqqua 'ab, e così la scesa dell’aqqua ab alla salita del solido dg: adunque la scesa dell’aqqua alla salita del prisma ha la medeskima proporzione, che il peso assoluto del prisma al peso assoluto dell’aqqua af: e però si farà l’equilibrio. Ed è manifesto che, crescendo l’aqqua af, il prisma dg sarà sollevato, crescendosi il momento e la gravità dell’aqqua af, che contrasta con la gravità del solido gd: ed allora solamente si farà l’equilibrio, quando del solido dg ne sarà demersa la parte bg, eguale a tanta mole di aqqua, quanta peserebbe assolutamente come tutto il solido dg.

Che l’aqqua che si solleva, mentre che il solido si demerge, sia minore in mole che la parte del solido demersa, e, più, secondo qual proporzione ella sia minore, si dimostrerà facilmente così.

La mole dell’aqqua alzata alla mole del prisma demersa ha la medesima proporzione, che la sola superficie dell’aqqua ambiente il prisma alla medesima superficie ambiente insieme con la superficie del prisma.
6-7. mole gd ma e — 7. mole gd e con - 13. Ma la le — 23. sollevato sì che resti la parte bg demersa crescendosi
[p. 56 modifica] Sia il primo livello dell’aqqua secondo la superficie abcd; e demergendosi in essa il prisma solido ef sia elevata la superficie dell’aqqua dal primo livello bd sino alla superficie gh, quando di esso prisma si troverà demersa la parte ml; della quale la parte sola al cade sotto ’l primo livello dell’aqqua bd, e l’altra parte mo resta sommersa ed ingombrata dall’aqqua bh, che si è elevata sopra il primo livello. Ed è manifesto, la mole dell’aqqua bh essere eguale alla mole del solido al, demersa sotto ’l primo livello abcd; perchè, detraendo via il solido ef l’aqqua hb scorrerà a riempiere il luogo occupato dal solido al, dove sarà per appunto contenuta, come era avanti l’immersion del prisma. È dunque manifesto, la mole dell’aqqua bh esser minore della mole del solido ml, che si trova demersa. E perchè la mole dell’aqqua bh è eguale alla mole del prisma of, posta comune la mole om, sarà la mole md eguale alla mole ml; e però la mole dell’aqqua gd alla mole del prisma ml averà la medesima proporzione che alla mole md:ma la mole gd alla mole dm è come la superficie gh alle due superficie gh ed ne: adunque la mole dell’aqqua alzata alla mole del solido demersa è come la superficie sola dell’aqqua ambiente alla medesima superficie con la superficie del solido. Il che bisonava dimostrare.
1. superficie linea abcd — 4. prisma sarà siparte gf mlsola fb al — 5. parte ag mo — 8-9. solido bf al — 10-11. hb sarà scorrerà



    supernatare nella tavoletta di ebano [prima aveva scritto nell'ebano], poi che la medesima figura va anco al fondo; né meno è la figura con l’intervento della resistenza dell’aqqua all’esser divisa, poi che simili figure col medesimo intervento dividono l'aqqua ascendendo: adunque bisogna concludere che altro aggiunto, non posto da Aristotile né da gli av versarli, bisogni congiugnere con la figura, per fare che la tavoletta di ebano galleggi.»

  1. Da «se gli domandi» a «farlo» è stato aggiunto posteriormente, con segno di richiamo. Nonostante quest’aggiunta, l’Autore non ha cancellato il tratto da «Potrò offerirgli» a «comanderà».
  2. Da «E poi» a «descenderà» è stato aggiunto posteriormente.
  3. Intendi Di Grada e Colomboi Di Grazia e Colombo.
  4. A questo frammento precedono, sulla medesima carta, i seguenti, che furono cancellati dall’Autore: «se Aristotile avesse voluto dire che le figure, se ben non assolatamente, al meno per accidente, fussero cagione dell’andare, o non andare, in su o in giù, già che fa menzione tanto dell'andare in su quanto dell’andare in giù, bisognerebbe che egli o gli avversarii, sì come mi trovano un corpo che per natura va al fondo, ma per la figura sta a galla, me ne trovassero anco uno che per natura venisse a galla, ma che per la figura stesse in fondo. Io, che interpreto Aristotile bene, dicendo che la figura non opera se non circa il veloce ed il tardo, vi trovo che essa opera egualmente nelle cose che vanno al fondo ed in quelle che vengono a galla. Aspetterò dunque che gli avversarti mi faccino vedere un corpo che per natura venga a galla, figurato in maniera che resti anco in fondo.» «quando Aristotile nomina l’ago, non si può dire che ei volessi metterlo per punta in aqqua, ma a diacere, perchè si ha da porlo secondo la dimensione nominata; perchè altramente, anco le falde larghe di piombo anderanno al fondo.» «gran cosa è che la figura non impedisca se non il moto in giù; poi che non si trova corpo alcuno che naturalmente venga a galla, ma impedito dalla figura resti in fondo.» «non è maggiore la resistenza dell’aqqua, che quella [il ms.:quell’] dell’aria, all’esser diviso, perchè non è corpo alcuno che non divida l’una e l’altra. Nè vale il dire che quei corpi che descendono per aria, la dividono più speditamente che l’aqqua; perchè, all’ incontro, quelli che ascendono per l’aqqua, dividono l’aqqua meglio che l’aria. Sono, dunque, amendui egualmente divisibili. Bene è vero che l’aqqua forse contrasta più alla velocità della divisione.»
  5. «ma non di qual si voglia materia» fu aggiunto posteriormente.
  6. «o la qualità della materia» è aggiunta posteriore.
  7. Prima aveva scritto, come si legge sotto le cancellature: «e che le figure, secondo che le saranno più larghe, di maggior tardità siano cagioni».
  8. La citazione si riferisce all’opera Francisci Bonamici, De motu libri X etc., Florentiae, apud Bartholomaeum Sermartellium, MDXCI, pag. 485B.
  9. Le parole «studiato Aristotile o per non aver» sono aggiunte in margine; e in luogo di «sue» aveva prima scritto «di Aristotile».
  10. Da «oltre» ad «Aristotile» è aggiunto in margine.
  11. Da «col leggerlo» a «se forse ho» è aggiunto marginalmente. Prima aveva scritto, come si distingue sotto le cancellature: «farò palese se io ho meglio che loro intesa la sua mente, e poi meglio che Aristotile».
  12. Qui si legge sotto le cancellature quanto segue: «Io ho pensato, in questa mia scrittura esser bene di non nominare alcuno de i miei avversarii; non perchè io non gli stimi ed apprezzi, sendo vero tutto l’opposito, ma perchè mi è pervenuto all'orecchie, che essi, qualunque se ne si» la causa [le parole «qualunque.... causa» sono aggiunte in margine], non hanno caro che le cose loro si pubblichino e faccino palesi al mondo; onde io, non potendo celai le cose, celerò loro, che tanto importa. Oltre che, se accaderà che io ben risolva ogni loro argomento e che io irrefragabilmente concluda, come io spero [«come io spero» è aggiunta interlineare], a favor della mia proposizione, credo che non gli dispiacerà ch’io gli abbia [ch’io gli abbia invece di l’avergli io, cancellato] taciuti; ma se avverrà in contrario, saranno per sé medesimi a tempo sempre» nominarsi, ributtando e redarguendo i miei paralogismi; di che gli averò io [segue cancellato sempre] obbligo particolarissimo, bramando non di trionfare de i miei avversarii, ma solamente che la verità trionfi sopra la bugia.»
  13. Prima di questo brano, e in continuità a quello riferito nulla nota precedente, leggesi cancellato il tratto che segue, il quale cong iungerebbe benissimo il primo e il secondo frammento del testo: «Io so che l’A. V. benissimo si ricordo, come quattro anni fa mi occorse alla presenza sua contradire al parer di alcuni ingegneri, por altro eccellenti nella professicn loro, li quali, nel divisare il modo di contessere una larghissima spianata di legnami, la quale, aiutata dalla propria leggerezza del legno e da gran moltitudine di vasi, pur di legno ma concavi e pieni di aria, sopra i quali, già sottopostigli in inìqua, la detta spianata riposasse, facevano gran capitale dell’aiuto, il quale si promettevano dell’ampiezza della superficie, la quale, distesa sopra larghissimo campo di aqqua, speravano che fosse per dovere e poter sostenere, senza sommergersi, il doppio o ’l triplo più [il doppio o ’l triplo più invece di assai più, cancellato] di peso, che il computo minuto e particolare, raccolto separatamente da i detti vasi tavole e travi, non dimostrava loro. Sopra della qual credenza io dissi, che non bisognava far capitale che quella madrina, ancor che spaziosissima, fosse per sostenere niente di più di quello che sosterrebbero le sue parti disgiunte e separate, t> in altra machina, di qual si volesse altra forma, riunite; concludendo io generalmente, che la figura non poteva essere di aiuto o disaiuto a i corpi solidi nell’andare o non andare al fondo nell’aqqua». Il luogo che l’Autore avrà sostituito a questo cancellato si leggeva forse su di un fogliettino ch’era incollato sul margine della carta, ma del quale non è rimasto che un brandello, contenente parole e frammenti di parole, senza che possa ricavarsene senso veruno.
  14. Da «e gli soggiunsi» fino a «oro» è aggiunto in margine.
  15. Le parole «non solo.... ma» sono aggiunte marginalmente.
  16. Qui segue, e fu poi cancellato: «e convenendo pure alla gravità disputatoria lo star saldo ed immobile in quello che una volta si è pronunziato».
  17. Le parole «Io.... equivocazione» sono cancellate, ma nulla è ad esse sostituito.
  18. «Passo» è cancellato, senza che nulla vi sia sostituito.
  19. «sì come.... e troveremo» - è aggiunto in margine.
  20. Qui segue sotto le cancellature: «Anzi non pur vedremo questo, ma, di più, se noi piglieremo il gravissimo metallo, circa venti volte più grave dell’aqqua [segue cancellato il quale], una palla del quale velocissimamente e con grandissima forza va al fondo, ed, all’incontro, prenderemo cera pura o altra materia meri grave dell’aqqua manco di uno per cento, si che con grandissima tardità e con minima forza una palla di tal materia venga dal fondo a galla, potremo fare una sottil falda di oro, la quale, posata sopra l’aqqua, reati senza descendere, ma non si farà già mia quanto si voglia sottil falda di cera o dell’ altra materia, la quale resti mai al fondo. Non è, dunque, la figura causa del supernatare nell’ebano o nell’oro. Non è, dunque, la figura assoluta cagione del
  21. Da «e volesse» a «figura» è aggiunto in margine.
  22. «conforme al nostro detto» è aggiunto in margine.
  23. Da «chè pur dovriano» ad «aqqua» è aggiunto in margine.
  24. «che fosse in aria» è aggiunta marginale.
  25. Da «esclamando» a «palla» è aggiunto in margine.
  26. Da «non si avesse» a «esperienza» è aggiunto in margine.
  27. «se non pochissima» è aggiunta marginale
  28. Immediatamente prima di questo frammento si legge, sotto le cancellature, quanto segue: «loro s’ingegnano di sostenere e puntualissimamente propone per vera conclusione quella che propongo e mantengo io. Ecco le sue precise parole: Le figure non son causa del muoversi assolutamente, o non muoversi, in su o in giù, ma si bene del muoversi più velocemente o più tardamente: e per quali cagioni ciò accaggia, non è difficile il vederlo. Io non saprei in qual maniera si potesse più chiaramente dire quello che io affermo, ed escludere quelle che vogliono sostenere gli avversarii; nè posso a bastanza meravigliarmi come non si siano peritati di produr luogo tale come favorevole alla loro opinione. Gran segno di immensa fama [prima Galileo aveva scritto fama immensa], l’indursi a cibarsi di veleno; e non minore indizio di bramosità di contradire, il ricorrer per aiuto all’attestazione di chi depone a tuo disfavore aperto. Orsù, venghino pure in campo i cavilli. e le trasposizioni, e gli stravolgimenti delle parole, con le solite distinzioni buone a chiuder la bocca a quei miserelli li quali, per mantenersi in credito d’intender quelle risposte che, per non contener niente, sono inintelligibili ad ogn’uno, gli prestano l’assenso, contentandosi più presto di perder [prima Galileo aveva scritto di perder più presto] la lite, che l’opinione appresso l’universale di persona di presta intelligenza».
  29. Dopo «qui» si legge, cancellato, quanto oppresso: ricorrendo all'àncora sacra del simpliciter et secundum quid, di tanta virtù elle può liberare i na[vi]ganti da ogni tempestosa procella».
  30. In luogo di «E le difficoltà son queste» prima Galileo aveva scritto quanto appresso, che ricoperse con un cartellino: «le quali difficoltà io propo[ngo] con speranza che mi devino esser resolute da gli avversarii».
  31. «o non muoversi» * è aggiunto in margine.
  32. «e l’inclinazione» è aggiunto marginalmente.
  33. Le parole «e che.... impossibilità» sono aggiunte in margine.
  34. «e superfluo» è aggiunto in margine. Sopra «e superfluo» è scritto altresi «ed interrotto», che fu poi cancellato.
  35. «in questo luogo» è aggiunto in margine.
  36. Il tratto da «nelle parole immediatamente» (pag. 45, lin. 29) a «degli avversarii» è coperto da un cartellino. Cfr. l’Avvertimento.
  37. «e dovesse» è aggiunto in margine
  38. Il tratto da «ma perchè» (lin. 15) a «sì come» è aggiunto sur un cartellino incolato sul margine. Sotto il cartellino si legge quanto appresso, che rappresenta una stesura precedente del tratto stesso: «ma perchè Aristotile dice «le figure larghe non vanno [il ms.: larghe vanno] al fondo», si deve intender «posate per lo largo»: e però quando dice che le figure lunghe, come un ago, benché leggiere, non restano a galla [non restano a galla sostituito a vanno al fondo, cancellato], si deve intender «posate per lo lungo». Di più (già che è forza consumar parole in persuadere a i ciechi che ’l sole è chiaro), o Aristotile credeva che un ago, posa[to] su l’aqqua, restasse [restasse sostituito a restava] a galla; o credeva [o credeva sostituito a o non lo sape[va], cancellato] che ei non restasse. Se ei credeva che non restasse, ha ben potuto dire che l’ago posto per lungo va al fondo, come veramente ha detto; ma se ei credeva e sapeva che i ferretti lunghi e sottili supernatssero, per qual cagione [segue cancellato non], insieme col problema dubitativo del galleggiar le figure [lar]ghe, ben che di materie gravi, non ha egli anco introdotta la dubitazione, onde avvenga che anco le figure lunghe e sottili, ben che di ferro odi piombo, supernatano? e massime che la cagione del dubitare par [segue cancellato più] maggiore nelle figure lunghe e strette che nelle larghe e sottili. Questi sono de i favori che alcuni partigianelli di Aristotile frequentissimaniente gli fanno, che, per purgarlo da un difettuzzo nel quale tal volta, ingannato da una verisimile apparenza, sarà incorso, gli addossano o gravissimi difetti o puerili inezie. Diciamo, dunque, pur liberamente, che Aristotile credette che le figure larghe solamente stessero a galla; ma le lunghe e sottili, no: il che poi è falso, sì come
  39. «ad occupare un luogo» è aggiunto in margine.
  40. Prima aveva scritto, come si distingue attraverso le correzioni: «.... con giuramento strano obbligati ad Aristotile, a sostener quasi che religiosamente ogni suo decreto, temendo forse che egli, sdegnato, non gli ecciti contro un grosso stuolo di suoi seguaci per destruggergli e desolargli, si risolveranno»
  41. «e dalla voracità del brutto mostro» è aggiunto in margine.
  42. «da strana religione e spaventati» è aggiunto in margine.
  43. «vano» è di lettura incerta, essendo la carta corrosa.
  44. «ben che nudo» è aggiunta interlineare.
  45. «disarmato e nudo nel resto» è aggiunto in margine.
  46. Sulla medesima carta che contiene questa e le due precedenti dimostrazioni, si leggono altresì i seguenti frammenti:
    «Sia il livello fcl, ed abbia il peso dell’aqqua al peso del solido la proporzione»
    «la parte cs, che si demerge, è sempre eguale alla parte dell’acqua, che si alza, cn: ma la parte demersa bs è maggiore della aqqua alzata cn: la sciesa, dunque, co alla salita cb ha la medesima proporzione che fc a cl, ciò è che la mole dell’aqqua scacciata cn alla mole del solido bs.» «i pesi de i solidi hanno la proporzion composta delle gravità in specie e delle moli.»