Ma1 prima che io passi più avanti, voglio checonsideriamo come Aristotile, dopo aver proposto e detto che le figure non sono cause del semplice andare, o non andare, in su o in giù, ma solamente dell’andar tardo o veloce, propone una dubitazione: «Onde è che le falde larghe di ferro, ed anco di piombo, nuotano sopra l’aqqua; il che non fanno; benché minori e men gravi; se saranno rotonde o lunghe, come, per esempio, un ago, le quali vanno al fondo»: dove poi, nell’assegnar la causa di questo effetto, pare ad alcuni de’ suoi io interpreti e, per quanto l’stimo, a gli avversarli, che Aristotile introduca la figura, impotente, per la sua larghezza, a fendere la renitenza della molta aqqua che ella incontra; dal qual luogo, per mio avviso, vogliono dedurre che Aristotile attribuisca alla figura la causa del supernatare una lamina di piombo che per la natural gravità, fatto in altra figura, anderebbe al fondo. Ma se questo è, ha Aristotile detto, nel principio del capitolo, apertamente che le figure non son [cau]se dell’andar semplicemente, o non andare, al fondo, etc; bisogna [che] gli avversarii, o confessino che Aristotile si contradica, dicendo [che] le figure non son cause del supernatare ed a canto a canto afferm[ando] che la figura sia causa del supernatare la falda di piombo; c[onfes]sino che egli non attribuisca la causa del supernatare alla fig[ura] della falda; vero che il senso della prima e principal propo[sizio]ne non sia quello che par che le parole suonino.
- ↑ Immediatamente prima di questo frammento si legge, sotto le cancellature, quanto segue: «loro s’ingegnano di sostenere e puntualissimamente propone per vera conclusione quella che propongo e mantengo io. Ecco le sue precise parole: Le figure non son causa del muoversi assolutamente, o non muoversi, in su o in giù, ma si bene del muoversi più velocemente o più tardamente: e per quali cagioni ciò accaggia, non è difficile il vederlo. Io non saprei in qual maniera si potesse più chiaramente dire quello che io affermo, ed escludere quelle che vogliono sostenere gli avversarii; nè posso a bastanza meravigliarmi come non si siano peritati di produr luogo tale come favorevole alla loro opinione. Gran segno di immensa fama [prima Galileo aveva scritto fama immensa], l’indursi a cibarsi di veleno; e non minore indizio di bramosità di contradire, il ricorrer per aiuto all’attestazione di chi depone a tuo disfavore aperto. Orsù, venghino pure in campo i cavilli. e le trasposizioni, e gli stravolgimenti delle parole, con le solite distinzioni buone a chiuder la bocca a quei miserelli li quali, per mantenersi in credito d’intender quelle risposte che, per non contener niente, sono inintelligibili ad ogn’uno, gli prestano l’assenso, contentandosi più presto di perder [prima Galileo aveva scritto di perder più presto] la lite, che l’opinione appresso l’universale di persona di presta intelligenza».