La messa di nozze/I. L'arrivo del Senegal
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | La messa di nozze | II. Il convegno | ► |
I.
L’arrivo del “Senegal„.
Alle tre, quando la campana annunziò la fine della lezione, il professore Domenico Perez non lasciò liberi, come avrebbe dovuto, i suoi discepoli. Spiegava da due ore un atto dell’«Edipo Re» e non voleva interromperlo. Dominando con la voce ferma e severa i moti d’impazienza della classe, andò avanti per un’altra diecina di minuti, sino alla fine; poi pronunziò la frase sacramentale:
— Basterà per oggi.
Appena uscito nel corridoio, in compagnia degli alunni più diligenti che gli rivolgevano ancora domande intorno alle cose udite, si vide accostare da Baldassarre, il bidello.
— Signor professore, c’è un signore che lo aspetta.
— Chi è?
— Non ha detto il nome.... Dice che è venuto da Firenze apposta per lei.
— Da Firenze?... Dov’è?
— L’ho fatto accomodare nella sala di convegno.... Vi è rimasto un pezzo a dormire, sul divano!... Prima di sonare la campana sono andato ad avvertirlo; allora è sceso giù nel cortile!... Ha un’aria.... una cert’aria....
Perez sorrise vedendo la smorfia con la quale Baldassarre intendeva esprimere l’aria dello sconosciuto, e s’affacciò dal ballatoio. Non distinguendo nessuno in mezzo alla folla degli scolari sciamanti giù per la corte, discese le scale; sull’ultimo ripiano, scorgendo il visitatore che pareva appostato per attenderlo al varco, — una figura alta e smilza, un paio di gambe lunghe chiuse in calzoni strettissimi, una faccia magra tagliata da due baffi chiari uncinati — esclamò:
— Bertini!... Ma come? Sei tu, Lodovico?
— Sono io.
— Senza avvertirmi?... Senza scrivermi una parola?... — soggiunse, buttandogli le braccia al collo e baciandolo con grande effusione sulle due guance. — Non importa; grazie egualmente!... Che piacere!... Sai che non ci vediamo da Valsorrisa?... Quant’è? Due anni!... Quando sei arrivato?
— Da un’ora.
— E sei venuto per me? Che bravo! Andiamo via! Sono libero. Sono tutto per te. Quanto ti tratterrai?
— Riparto stasera.
— Come? — protestò l’altro, fermandosi, tra stupito e crucciato, sul punto di varcare il portone del Liceo. — Ma niente affatto!... Dopo due anni che aspetto questa tua visita, vieni per mezza giornata? Che dico? Per qualche ora appena!
— Non posso fermarmi di più.
— Hai da fare? Che hai da fare? Non ammetto pretesti! Ti sequestro. Almeno sino a domani.
— Ti prego di non insistere. Non posso. Perez gli fermò addosso lo sguardo. Nel primo momento, nella sorpresa del riconoscimento, non aveva fatto attenzione all’aspetto dell’amico suo; ora, udendo quella risposta proferita brevemente, in tono che non ammetteva replica, e rammentando le parole di Baldassarre sullo strano atteggiamento del visitatore, scorgeva realmente qualche cosa d’insolito in lui. Magrissimo era sempre stato, ma d’una magrezza sana, ossea e nervosa; ora il suo viso lungo ed affilato pareva emaciato come dopo una malattia; le tempie, dove i capelli cominciavano a incanutire, eran solcate da vene inturgidite; gli occhi si volgevano intorno esitanti, inquieti, quasi sospettosi; anche il passo era malfermo.
— Sia come vuoi, — concesse Perez, tenendo temporaneamente per sè quelle osservazioni, ma proponendosi di cogliere o di far nascere più tardi l’occasione di manifestarle. — Vieni a casa mia?
— Per fare?
— Niente! Sono libero, ti ripeto; posso dedicarti tutto il pomeriggio. Dicevo così, nel caso che volessi riposarti. Sei all’albergo?
— No, ho lasciato la valigia alla stazione.
— Dovresti essere stanco; ho sentito che ti sei addormentato, aspettandomi.
— Ora sono riposato.
— Va bene; allora verrai da noi a pranzo stasera: è inteso. La mamma sarà felice di vederti. Per il momento vogliamo andare al caffè?
— Grazie; io non prendo nulla.
— Allora.... — fece Perez, un poco imbarazzato, cercando che cosa potesse piacere all’amico; — allora.... montiamo in carrozza e giriamo un poco in città o in campagna?
Solo quell’offerta riuscì gradita all’invitato.
— Andiamo al mare? — propose.
— Dove tu vuoi!... Vetturino!... — chiamò, fermando con un gesto del braccio una carrozza che passava loro dinanzi in quel momento. — Monta su, caro, ti prego.... Vetturino, alla Gettata!... — Poi, accomodatosi nel suo cantuccio, battendo con la mano sul ginocchio dell’amico, esclamò giocondamente: — E così?
— E così? — ripetè l’altro, come un’eco. Cavata di tasca la borsa del tabacco e cominciando ad arrotolare una sigaretta, soggiunse: — Che fai?... Sei contento?... Lavori?
— Lavoro, sì. E tu?
— A che lavori? — insistè l’interrogato, come se non avesse udito la domanda. — Vuoi? — concluse, offrendogli da fumare.
— Grazie! Ti dirò che sono in un periodo di grande fecondità.
Mentre la carrozza attraversava i quartieri popolari, arrestandosi tratto tratto per l’ingombro dei tram, delle automobili, dei legni, dei carri, dei veicoli d’ogni sorta, Perez cominciò a parlare delle sue occupazioni letterarie. Scrittore di commedie prima che insegnante di lettere greche, egli adempiva con tutta coscienza l’ufficio scolastico; ma più che la cattedra lo attirava il palcoscenico, dove aveva raccolto e raccoglieva ancora i premî più ambiti. Quanti ammiravano in lui l’artista geniale, l’arguto dipintore dei costumi contemporanei, non riuscivano a spiegarsi come egli potesse essere anche un dotto cultore delle classiche discipline; in realtà, il giovane aveva sofferto d’un intimo disagio vivendo con la mente, per ragioni di studio, in tempi tanto remoti e disformi da quello nel quale era nato, del quale osservava, intendeva ed amava i caratteri, nella vita reale; ma il disagio era finito, e le due occupazioni si erano conciliate, perchè l’amore della modernità gli aveva impedito di isterilirsi nel fanatismo del passato e gli aveva fatto ricercare ed intendere nelle antiche letterature solo ciò che vi resta di veramente vivo, di eternamente giovane e fresco. Proprio in quei giorni, dopo una vivace polemica sostenuta con un Tedesco erudito e pedante, egli aveva concepito l’idea d’un saggio intorno alle «Forme letterarie fossili», e nell’esporre all’amico gli argomenti coi quali si accingeva a sostenere la propria tesi, si animava ed accalorava: piccolo, vivacissimo, tutto fuoco, roteava gli occhi e mulinava con le braccia come sostenendo un assalto contro avversarî invisibili, bucava l’aria con l’indice disteso come per trapassare da parte a parte gli autori incriminati.
— Nel mondo della creazione artistica, come nella natura vivente, le specie appariscono, vivono più o meno a lungo e poi dànno luogo ad altre più o meno diverse. Il poema e la tragedia hanno fatto il loro tempo come gl’ittiosauri e i teromorfi; sono finiti con gli elmi e gli scudi, coi manti e le corone: roba da museo. Al giorno d’oggi che i re, quelli che restano, portano il cappello a cencio e le scarpe con le gomme, e i militari si vestono di grigio per non lasciarsi scorgere da lontano, e gli eroi si trovano, quando si trovano, nel corpo dei pompieri o tra i casellanti delle strade ferrate, non vi sono altre forme possibili che il romanzo o la novella e il dramma o la commedia. Il naturalista ricostruisce con senso religioso i formidabili giganti della fauna antica, ma non nutre la folle idea di richiamarli in vita. Io m’inginocchio dinanzi a Sofocle, ma rido di chi presume mettere al mondo nuovi «Edipi». Le commedie nostre saranno benissimo semplici coccodrilli, e se vuoi umilissime lucertole a petto dei colossi antidiluviani; ma la colpa non è nostra se quegli stampi sono andati distrutti.
— E le tue commedie nuove?
— Tre, mio caro; non meno di tre: omne trinum.... E tre casi di adulterio, uno dopo l’altro! I critici e i commissarî dei concorsi governativi mi lapideranno, ma il pubblico verrà a sentire. Non dico ad applaudire. Può darsi benissimo che mi fischi di santa ragione; ma la colpa sarà stata mia, non dell’argomento. Non ne conosco altri che appassionino tanto le platee, perchè nessun altro offre una così intima associazione del comico col drammatico, e se vuoi col tragico, ma nel senso moderno della parola. La nostra civiltà ha preteso disciplinare l’indisciplinabile, quel sentimento che il mito antico, più accorto, aveva simboleggiato in un fanciullo, bendato per giunta, cioè due volte cieco, doppiamente irresponsabile. Il matrimonio, l’unione eterna e indissolubile, è il più bel tentativo di correggere la realtà, di realizzare l’ideale; ma la natura, che noi disconosciamo, si prende giuoco di noi, scombussola i nostri piani, sconvolge la nostra vita. Dico la nostra, e non la loro, della gente coniugata: perchè, sentimentalmente, la situazione è la stessa, sia nelle giuste nozze, sia negli amori liberi. Quante volte hai giurato ad una donna, con tutta la sincerità del cuore, con tutto il convincimento della volontà, che l’ami unicamente, che l’amerai sempre? E quante volte, con quanto dolore, ti sei accorto dell’inganno?
Bertini, rivoltatosi bruscamente, buttò via la sigaretta non ancora finita di fumare; poi, raddrizzatosi sul sedile incrociò le braccia e chinò il capo. Perez, senza aspettare risposta alle domande espresse non tanto per curiosità di sapere quanto per bisogno di affermare, riprese:
— La poesia ha inventato l’anima sorella, l’anima gemella, che andiamo cercando, che presto o tardi incontriamo e che allora ci prende tutti per sè; ma la natura, quando crediamo di esserci assortiti con la creatura predestinata, ce ne sospinge dinanzi, un bel giorno, a nostra insaputa, un’altra che ci piace di più, che ci par fatta per noi meglio dell’altra, che distrugge il prestigio dell’altra, che vogliamo e dobbiamo ottenere, a qualunque costo, a costo di morirne, salvo a ricrederci ancora una volta, quando ci troviamo esposti ad una terza seduzione ancora più forte, o semplicemente diversa. Sai che lo ha detto anche Napoleone: il matrimonio non è istituzione fondata su leggi di natura, e Balzac lo ha scritto in fronte alla sua «Fisiologia». La natura non vuole amori unici ed eterni; esige anzi, per il conseguimento dei suoi fini, il più gran numero di amori. Noi siamo come i germi che essa sparpaglia a milioni di milioni per l’aria, sulla terra, nelle acque, per moltiplicare le probabilità che s’incontrino e si fecondino e si schiudano in nuove forme di vita. Uomini e donne, tutti quanti siamo, nonostante i nostri codici scritti e la nostra morale intima, che altro facciamo, io ti domando, se non cercarci per sedurci, se non sfoggiare ed accrescere le nostre doti per suscitare il più gran numero di desiderî dai quali deriveranno il più gran numero di accostamenti? Perchè mai tu scolpisci le tue statue, ed io scrivo le mie commedie, e il nostro Natali dipinge i suoi quadri, e Luigi Albani compone le sue musiche, se non per abbagliare queste signore con l’aureola della gloria? E queste signore perchè mai passano metà della loro vita dalla sarta e dinanzi allo specchio, se non per fulminarci col fulgore della loro bellezza? In tutti i loro rapporti, in quelli che sembrano più innocenti, uomini e donne non fanno altro che scherzare col fuoco: la fedeltà dei mariti, delle mogli e degli amanti è un miracolo altrettanto grande quanto la preservazione di una santabarbara fra il grandinare delle granate.
— L’albergo di Francia è in questa via?
L’oratore si sentì così bruscamente interrotto nel bel mezzo dell’argomentazione da quella domanda, che per un momento rimase senza parola.
— L’albergo di Francia?... Qui siamo sul corso Vittorio Emanuele; l’albergo di Francia è nella via Cavour.
— Passiamo di là, se non ti dispiace.
— Vetturino, per via Cavour.... Ma sai che sei un bel tipo? — esclamò poi, fra crucciato e sorridente. — Mi fai sgolare senza darmi retta, e non mi narri nulla di te, delle cose tue! Perchè hai trasferito lo studio a Firenze?
— Per finire il monumento a Mazzini: te lo scrissi.
— Un tempo non potevi lavorare fuori della pace di Promonte.... Come sta tua sorella? Il dottore tuo cognato? I tuoi nipotini?
— Stanno bene, grazie.
— Che desiderio di tornare lassù! Bisogna che scriva alla signora Laura. Il tuo monumento, dalle figure che ne ho viste sui fogli illustrati, è una bellezza. So che vi hai lavorato molto; forse troppo? Sei un poco affaticato?
— Un poco.
— Si vede. Te lo volevo dire. Non sei stato sofferente?
— Un poco.
— Perchè non ti riposi? Perchè non ti fermi con noi? Ti prometto di farti divagare. Hai qui tanti ammiratori! E non poche ammiratrici, sai? Ecco l’albergo di Francia. Ferma, vetturino....
— No! no! — protestò vivacemente Bertini, trattenendo col braccio il braccio dell’amico, ed ordinando poi al cocchiere, con voce breve: — Via!
E mentre la carrozza trascorreva dinanzi alla facciata dell’albergo, vi fermò lo sguardo, rivoltandosi a guardarvi anche dopo che l’edificio fu oltrepassato.
Perez era rimasto in silenzio, non comprendendo.
— Se ti decidessi a restare — riprese poi, tanto per dire — non ti consiglierei quest’albergo, nè gli altri del centro. Sono i più frequentati dalla gente danarosa, ma c’è troppo frastuono intorno. Dovresti andare all’«Hôtel Monsalvato», sul Colle d’Elsa, a quattrocento metri sul livello della baraonda cittadina; è un incanto.
— Forse andrò in Val d’Aosta, dai Mauri.
— Ah, i Mauri! Che brava gente! Vi andrò probabilmente anche io, quest’ottobre. Sai che Aurelia è sposa?
Allora il discorso si volse sul tema degli amici comuni. Quantunque neanche ora Bertini fosse molto loquace, Perez non volle sforzarlo con osservazioni che potevano riuscire indiscrete. Serbava inappagata la curiosità di sapere che cosa lo occupasse, perchè mai avesse voluto esaminare la facciata e passare a rassegna le finestre dell’albergo di Francia. E continuò a discorrere per due, evocando i ricordi d’altri tempi; quando, giunta la carrozza sulla Gettata, in faccia al mare, Lodovico lo interruppe ancora una volta:
— Vogliamo passare dal semaforo, se non ti dispiace?
— Non mi dispiace niente affatto. Ma prima di tutto, scusa, che vuoi farvi, al semaforo? Aspetti telegrammi col telegrafo senza fili?
Un ambiguo sorriso, un sorriso veramente strano, increspò le labbra di Lodovico.
— Forse!
— E poi, perchè non l’hai detto prima? Il semaforo non è al mare, è sulla collina di San Rocco.
— Andiamo sulla collina.
— A San Rocco!
La carrozza prese un’altra direzione, e la conversazione dei due amici, o piuttosto il monologo di Perez, anch’esso. Ora lo scrittore dimostrava allo statuario, con un senso di compiacimento, l’enorme sviluppo preso dalla città industre, i quartieri sorti come per incanto sul lido orientale, verso la cinta delle vecchie fortificazioni.
— Guarda quante ville e quanti fumaioli!... Vedi quelle caserme? Sono le case degli operai: il primo tentativo di risolvere seriamente questa parte del gran problema sociale.... Un borgo marinaro sulla riva, un rione industriale dalla parte opposta: in mezzo la città vecchia che si va rinnovando! Vedi quella selva di antenne? È il porto....
— Sapranno al semaforo — domandò a un tratto Bertini — a che ora arriverà il «Senegal»?
— Ma come? — esclamò Perez, con aria di stupore. — Volevi salire fin lassù solo per questo? Ma gli arrivi dei piroscafi sono annunziati alle Messaggerie! C’è di meglio: basta passare dalla Vedetta!... Vetturino, torna indietro. Alla Vedetta marittima.
Ancora una volta la carrozza cambiò rotta. Perez restò un pezzo in silenzio aspettando che il suo compagno dicesse qualche cosa; poi, vedendolo assorto, con lo sguardo vagante per il panorama della città, domandò a bruciapelo:
— Aspetti un amico, con questo «Senegal»?
Lo stesso sorriso, sottile e falso, spuntò sulle labbra dello scultore.
— Sì!
— Chi, se è lecito?
L’interrogato non rispose subito. Mosse il capo con un breve atto d’imbarazzo, lo volse a guardare dietro di sè, esitante e sospettoso; poi, afferrata la mano di Perez, proferì:
— Lo saprai fra poco.... Non mi chieder nulla, per ora....
Il bidello non s’era ingannato: c’era qualcosa di molto strano nell’aspetto di Bertini, un pensiero molesto che corrugava la sua fronte e fermava il suo sguardo, una inquietudine che rendeva nervosi i suoi minimi gesti. Perez rispettò la preghiera; non interrogò, non disse più nulla, mentre la carrozza rotolava sordamente sull’inghiaiato della riviera Margherita, domandando solo a sè stesso da che parte del mondo veniva quel piroscafo, quale persona restituiva in Italia che stesse tanto a cuore a Lodovico. Una donna, probabilmente? La vita intima dello scultore era stata sempre molto mossa: egli aveva nutrito passioni gagliarde e tempestose. Non era più giovane, certo; doveva ormai aver varcato la quarantina. L’aveva varcata senza meno: due anni addietro, a Valsorrisa, non ne aveva annunziato l’arrivo imminente? Ma per una natura appassionata come la sua, non era ancora l’età della rinunzia; era anzi la più pericolosa. Proprio a Valsorrisa, nelle poche settimane che vi avevano trascorse insieme, non si era infiammato per la bella signora Lariani? Poco dopo, nell’autunno, era andato improvvisamente a porre il suo studio a Firenze, per finire — aveva detto — il monumento a Mazzini: verità, o non piuttosto semplice pretesto? Cominciata infatti a Promonte e destinata a Palermo, perchè mai quell’opera doveva esser compiuta proprio in Toscana? Qualche grossa novità era sopravvenuta nella vita dell’artista: nonostante il suo silenzio, Perez ne aveva pur avuto qualche sentore, aveva udito parlare di una signora, una straniera, per la quale l’amico suo doveva aver fatto una nuova passione. Forse costei aveva dovuto lasciarlo, era andata lontano, ed ora tornava a lui? Ma nel suo aspetto, nelle sue parole, non c’era la gioia, se pur trepida e ansiosa, di chi aspetta una persona cara; c’era l’inquietudine, l’ambascia, una specie di paura....
— D’ordinario, i postali dall’Africa arrivano nel pomeriggio?
L’improvvisa domanda distolse Perez dalle sue riflessioni.
— Non lo so, — rispose, comprendendo confusamente che dall’Africa Lodovico non poteva aspettare un’amante. — Ma ti caverai la curiosità fra due minuti. Stiamo per arrivare.
La carrozza si era messa al passo, per la rampa di Bevagna. Lo scultore non levava gli occhi dall’immensa distesa delle acque, liquido smeraldo sotto le balze della costa, d’un azzurro carico come inchiostro più oltre, fino all’estremo orizzonte.
— Ecco la Vedetta.
Scesero entrambi dinanzi al gabbiotto di legno dipinto di verde, con pretese da chiosco orientale. Dall’uscio socchiuso si scorgeva un cannocchiale girevole sopra un treppiedi piantato nel centro del bussolotto. Una tabellina di lavagna, sull’entrata, portava scritto col gesso: «Il piroscafo Senegal arriverà oggi alle ore 17».
Bertini, consultato l’orologio, osservò, come parlando tra sè:
— Dovrebbe essere in vista.
L’uomo di guardia rispose:
— Sissignore. Già si scorge a occhio nudo. Guardi in direzione della punta di Platania.
Lo scultore si accostò alla ringhiera che correva lungo l’orlo della balza e vi si afferrò con tutt’e due le mani sprofondando lo sguardo nella direzione indicata. Perez guardò anch’egli verso quel punto, ma non distinse nulla. Ad occidente era tutto uno sfolgorio d’oro, nel cielo dove il sole rutilava, nel mare dove l’immensa scaglia del suo riflesso si stemperava tremolando.
— Lodovico! — gridò a un tratto Perez, riportando lo sguardo verso il compagno e vedendolo talmente piegato sulla ringhiera, che un altro poco e sarebbe precipitato nell’abisso. — Lodovico, bada!... Non facciamo scherzi!...
L’altro si ritrasse, guardando gli scogli della riva sottoposta, bruni e brulli a fiore delle acque smeraldine.
— Quanto sarà alto?... — disse. — Trenta metri?... Quaranta?... Temi che non sarebbe igienico tuffarsi in mare da qui?...
Senza rilevare la lugubre facezia, Perez rispose con un’altra domanda:
— Dove vuoi andare, ora?
— Vorrei andare al porto, ma non in carrozza. Congeda il vetturino.
— Come ti piace.... Ecco fatto, — soggiunse, dopo aver pagato la corsa. — Andiamo?
Mentre la carrozza se ne tornava in città dalla parte alta, essi discesero la china. Bertini si voltava tratto tratto, guardando il mare della Platania, dove una nubecola di fumo rivelava ormai la corsa del «Senegal». Perez restò ancora un poco senza dir nulla; a un tratto, prendendo il braccio dell’amico, con voce di dolce rimprovero, esclamò, piano:
— Allora, senti, io non crederò più che tu sia venuto per i miei begli occhi!... — E ancora più piano, con tono di affettuosa confidenza: — Chi aspetti?... Che hai?...
Bertini si fermò, si tolse il cappello passandosi la destra sulla fronte, se lo ripose in capo con un gesto brusco, poi disse:
— No, Domenico; non sono venuto per te.... Sono venuto da te perchè non posso sentirmi solo, in quest’ora d’angoscia; perchè ho bisogno di udire una voce fraterna, di appoggiarmi ad un braccio sicuro....
— Eccomi qua!... — esclamò Perez, chinandosi verso di lui, offrendogli il braccio, che egli prese un momento e poi lasciò. — Che posso fare per alleviare la tua pena? Non dirmene nulla, se ti costa....
— Mi costa tacere!... Ho bisogno di gridare!... Perdonami se non ti ho dato retta.... Ma ti ho udito bene, sai! Certe tue proposizioni mi hanno fatto fremere, tanto parevano dette per me: tutto quanto hai enunziato, a proposito dei tuoi lavori, intorno all’amore, al matrimonio, all’adulterio....
Pronunziò questi nomi con voce vibrante, stridente, quasi acre, come se gli scottassero le labbra; poi, dopo una pausa, più tranquillamente, ma anche più dolorosamente:
— No, che non c’è differenza, quando si ama, fra le unioni che il mondo giudica libere, e quelle che sanziona con le sue leggi! Quando pare che nessuna legge ci governi, il cuore impone le sue, e sono le più ferree.... Guarda, — soggiunse sopra un altro tono, esitando, fermandosi, rivoltandosi verso l’amico: — Guarda.... come farò a spiegarti la situazione in cui mi trovo?... C’è una donna che m’appartiene, perchè si è data a me, perchè mi sono dato a lei, perchè ci amiamo, perchè tale è la sua e la mia volontà: va bene?... Ora questa donna, mia da tre anni oramai, il cui possesso io mi sono assicurato con la fedeltà più cieca e l’adorazione più devota, che mi è rimasta anche lei fedele strenuamente, sinceramente; questa donna, oggi, stasera, fra qualche ora mi tradirà. Fra poco, prima di notte, quando sarà giunto il «Senegal», questa donna cadrà fra le braccia di un altro, all’albergo di Francia: capisci? Io sono qui per vedere arrivare questo «Senegal», per passare sotto le finestre di questo albergo dove l’infamia sarà consumata. Nè io, nè tu, nè alcuno può nulla per impedirlo: nulla, capisci? Io posso fare una cosa sola, quella che tu m’hai consigliata: restarmene qui, fino a domani. Questo sì, posso farlo. Posso scendere, anzi, all’albergo di Francia, precisamente; cercare anzi di avere una camera attigua alla loro, passare la notte lì, dietro l’uscio che ci dividerà. Eccolo, quel che posso fare, se tu persisti a trattenermi!
Perez non disse verbo, turbato dall’espressione quasi iraconda con la quale Lodovico aveva proferito le ultime parole. La conferma, improvvisamente ottenuta, delle sue supposizioni intorno alla natura tutta sentimentale delle inquietudini dell’amico non gli procurava il più piccolo compiacimento per la propria perspicacia, tanto il caso si rivelava grave. Molte domande gli salivano alle labbra: «Perchè ti tradisce?... Non t’ama più?... Vi siete lasciati?... Chi arriva col «Senegal»?...» ma l’altro non gli diede il tempo di formularle. Facendoglisi accosto con un nuovo moto di confidenza, riprendendo a parlare con voce ancora grossa, ma più pacata, riprese:
— Capisci ora perchè me ne vado? Capisci che stanotte non posso restar qui, che ho bisogno di sentirmi portar via, non importa dove, col treno più rapido che mi trascini il più lontano possibile? — E ad un moto di Perez, che si era rivoltato per interromperlo: — Che cosa vorresti dirmi? Che debbo rassegnarmi, se non c’è da far nulla? Eh, lo vedi: mi rassegno!... Hai temuto che volessi buttarmi in mare?... Non aver paura!... Non sarei venuto a cercarti, se avessi voluto spiccare il salto!... Non ho armi addosso: prova un po’; non sono venuto per ammazzare nessuno.... Niente ammazzamenti, se anche quella donna fosse mia moglie.... Noi non siamo di quelli che ammazzano, nè le mogli nè le amanti, è vero?... Perchè si ammazzano anche le amanti, è vero? non le sole mogli!... Ah, come hai ben detto che non c’è nessuna differenza, per il sentimento, fra l’unione libera e il matrimonio! Se questa donna fosse mia moglie, io non potrei infrangere il vincolo coniugale in un paese come il nostro che non ammette il divorzio; potrei infrangerlo altrove; ma divorziato o separato, forse che soffrirei più di quanto soffro adesso, per aver perduta la creatura che fu mia, che volevo mia?... Se fosse mia moglie, vedi, e sapessi che oggi, qui, in quest’albergo, ella avesse un convegno con un altro uomo.... se fosse mia moglie, ecco, non potendo assassinare nè lei nè lui, non dovendo ammazzarmi, non volendo chiamare un commissario e due guardie che frenerebbero le risa accertando la mia disgrazia, qual altra cosa potrei fare, se non quella che faccio: spiare l’arrivo dell’uomo che viene a portarmela via, aggirarmi per i luoghi del loro incontro, immaginare, antivedere, non veder altro con gli occhi della mente fuorchè i loro abbracciamenti, e quando l’infamia starà per compiersi fuggire, fuggire, fuggire?...
— No, scusa! — proruppe finalmente Perez, non appena la voce di Bertini perdette qualche cosa della sua veemenza; — scusa, non crederò mai che, marito o amante, un uomo nella tua condizione non possa far altro! Come hai scoperto che sta per tradirti?
— Non l’ho scoperto! Me l’ha detto lei stessa!
— E tu non hai parlato, non hai pregato, non hai ingiunto, non sei riuscito a trattenerla? E chi è costui che viene dagli antipodi a portartela via? Un tuo predecessore, naturalmente? Un primo amante a cui ora ritorna? No?... Ma non l’avrà mica sedotta per lettera o per mezzo degli annunzî economici di qualche giornale! La conosce? Come la conosce?
Lodovico si voltò a guardarlo, con espressione di stupore e d’impazienza, quasi non potendo spiegarsi come mai l’amico non comprendesse.
— È suo marito.
Perez ammutolì. Avrebbe voluto domandare: «Perchè non l’hai detto prima? Perchè non l’hai detto subito? Come potevo sospettarlo, se parlavi della possibilità che fosse tua moglie?...» Gli pareva che il narratore fosse stato reticente, che avesse posto una specie di studio nel mantenere, nel prolungare l’equivoco. Ma non si sentiva di rimproverarlo, vedendolo tanto eccitato, in preda ad un così angoscioso tormento.
— Ah, suo marito!... — ripetè soltanto, sommessamente, meccanicamente, dopo che entrambi ebbero mossi lunghi passi senza dire una sillaba. — E tu non lo conosci? — soggiunse dopo un altro silenzio.
— Non lo conosco, non credetti neppure che esistesse, quando la incontrai. Era un marito così lontano, invisibile, introvabile! Viveva nell’Africa australe, in uno Stato nuovo, mezzo barbaro, quasi selvaggio, lo Stato libero della Stanlesia, dove era andato ad ordinare l’esercito, lasciando quello inglese, a cui prima apparteneva. Mi parve sul principio che un marito di questa fatta fosse un personaggio da pochade, inventato per coonestare una situazione illegale, per attribuire un padre putativo a creature innocenti....
— Vi sono figli?
— Ve ne sono due, ma il più grandicello era ed è in collegio a Calcutta; io ne conobbi uno solo, il piccolino che ella aveva seco.
— A Valsorrisa? — domandò rapidamente Perez, ripensando alla Lariani, che Lodovico aveva corteggiata lassù.
— A Valsorrisa: te ne rammenti?
— E come! La signora Rosanna Lariani?
— Lei.... — confermò il dolente, così piano che Perez comprese piuttosto dal moto del capo che dal suono della parola.
— È dunque lei la straniera di cui mi avevano parlato!... Sarà certamente più conosciuta col nome del marito?...
— Harrington, sì.
— Ma, in verità, allora non mi parve....
— Tu andasti via troppo presto, — riprese il narratore, senza lasciargli esprimere il suo pensiero; — partisti pochi giorni dopo il suo arrivo, non sapesti quel che seppi di lei, da lei stessa. Nessuno la conosceva. Mi narrò la storia complicata del suo matrimonio con questo capitano inglese, diventato di botto colonnello nella Stanlesia, dove ella aveva seguito il padre, ingegnere italiano emigrato anche lui per cercare lavoro nelle miniere di laggiù, ai primi tempi della costituzione di quello Stato.... Nessuno la conosceva a Valsorrisa; nessuno poteva confermare o smentire quella narrazione, il romanzesco episodio del loro incontro sotto la tenda, mentre il padre di lei agonizzava, assassinato da un minatore cinese; il cavalleresco aiuto offertole dal colonnello in quella terribile circostanza, la salvezza che il matrimonio propostole ed accettato era stata per lei, orfana e sola in mezzo ad un mondo ignoto ed ostile. Dovevo credere che ella avesse lasciato questo marito laggiù a causa del clima? Che costui si contentasse di vederla durante i pochi mesi di permesso che quel Governo gli accordava ogni quattro anni?... Chi ha conosciute donne italiane che hanno sposato ufficiali inglesi al servizio della Stanlesia, e che se ne rimangono in Europa, andando e venendo dall’Inghilterra in Italia e dall’Italia in Inghilterra, vagabondando per le stazioni climatiche, senz’altra compagnia tranne quella di un bambino?... Ma sì, ma sì: vi fu un momento in cui credetti di aver da fare con un’avventuriera! Non mi costa dirti la nuda e cruda verità, dopo averla detta tale e quale a lei stessa!... Ella mi diede la prova del mio inganno, ed il rimorso degl’ingiuriosi sospetti cominciò a stringermi a lei. Prima era stato desiderio, appetito, ammirazione professionale per la sua bellezza statuaria. Poi fu stupore e fascino per la singolarità della sua persona morale. Hai mai sognato di trovare una donna a cui poter dire tutto, capace di comprendere tutto, di scusare le tue debolezze, di perdonare i tuoi difetti, di ammettere la fatalità delle tue colpe, di amarti nonostante le tue infamie? Una donna che si mostri a te come tu ti mostri a lei, senza veli, fino all’ultimo fondo del cervello e del cuore? Dev’esser proprio vero che la parola ci fu data per nascondere i nostri pensieri, tante sono le menzogne piccole e grandi che andiamo spacciando, anche quando crediamo di essere più sinceri, per apparire più belli, più leali, più generosi, più amabili. Sì, lo hai detto: noi lavoriamo continuamente all’opera di seduzione; ma non soltanto con gli sforzi dell’ingegno e gli artifizî della toletta; ma anche, e più, con la mascherata del sentimento. Ed hai mai pensato che forse solo gli amanti criminali, le coppie delle prostitute e degli assassini si conoscono quali sono realmente? Noi, nella nostra società timorata e pudibonda, c’incontriamo, ci uniamo, restiamo più o meno a lungo congiunti, e ci lasciamo conoscendoci meno di prima. Nessuno riesce a leggere nell’altro, perchè ciascuno si studia di nascondersi. Quando il grave abito della menzogna ci opprime, quando vorremmo buttarlo via, la paura di scoprirci dinanzi a chi resta protetto, di disarmarci dinanzi a chi resta agguerrito, ci fa sopportare la maschera della finzione, la cappa dell’ipocrisia. Ora, con questa donna, dopo quarant’anni di bugie dette alle altre ed a me stesso, io ho potuto essere finalmente sincero. Più che con lei, con me stesso. Ora, questa volta, la prima volta, ho visto un’anima nuda. E non credere che te ne voglia tessere l’elogio, da innamorato, da cieco. Ho visto le sue bruttezze, sai, e non sono poche. Ma forse ella non ne è responsabile; forse la vita dura, un’esperienza precoce, infinitamente rara alla sua età e nel suo sesso, l’ha fatta così. Non è una scuola di idealità lo spettacolo della lotta per l’esistenza, tra la schiuma della emigrazione europea in Africa, nelle miniere della Stanlesia, con la febbre dell’oro, la follia delle ricchezze, la cecità della fortuna, lo scatenamento di tutti gl’istinti peggiori. Forse ella sarebbe stata un’altra, se non avesse perduto bambina la mamma sua, se il padre non l’avesse condotta seco laggiù, se non fosse vissuta in mezzo ad una natura primitiva e ad una umanità imbestialita, se non avesse dovuto difendersi armata mano contro la concupiscenza di qualcuno, che non potendo comprarla con un pugno di diamanti, tentava di sottoporla per forza di muscoli.... E poi, quand’anche ella portasse dalla nascita i suoi difetti, potrei io esser severo con lei dopo averle rivelato la feccia del mio pensiero e del mio sentimento? Io e tu e tutti quanti siamo, non abbiamo i nostri torti ed i nostri vizî? Una bellezza rara e divina riscatta i suoi: la schiettezza, la sincerità, la semplicità con le quali si è svelata....
La passione vibrava, tremava, fremeva nella voce di Lodovico, lo traeva fuori del filo del ragionamento: nè Perez diceva nulla per rimetterlo in carreggiata, vinto dal calore di quella parola, preso dall’interesse di quella confessione.
— Ma che volevo dirti? — esclamò lo stesso confidente, arrestandosi, come non ritrovandosi più, come sovvenendosi di qualche cosa dimenticata. — Ah, questo: che anche quando l’evidenza mi costrinse ad ammettere l’esistenza del marito, io non lo conobbi, non vidi com’era fatto, lo seppi assente, lontano, in un’altra parte del mondo, dove ella non sarebbe mai più andata, di dove egli forse sarebbe tornato, ma non si sapeva quando, tardi certamente, non prima di tre anni, forse quando l’amor mio per lei sarebbe finito — poichè io le dichiaravo che sarebbe finito! ed ella lo sapeva! come sapeva e dichiarava che sarebbe finito il suo per me! Quando ti dico che abbiamo rinunziato alle finzioni, che abbiamo guardato in faccia la realtà, la più triste, la più dolorosa, la più malvagia! Ma vedi: la verità è salutare. Noi andiamo continuamente giurando che ogni nostro amore è eterno, perchè questo giuramento ci è richiesto, perchè noi stessi crediamo di far bella figura dichiarandoci capaci di amare eternamente. Ma ogni volta che giuri, nello stesso preciso momento che le parole solenni ti escono dalle labbra, sentendo dentro di te che giuri il falso, che prometti l’impossibile, un senso di fastidio, un impeto di ribellione non comincia a menomare l’amor tuo? Con lei, con questa donna, ammettendo entrambi l’amara verità, riconoscendo che l’amor nostro, che ogni amore è mortale, io mi sono sentito invece come dinanzi a una creatura cara i cui giorni sono contati, per la quale daremmo tutto il nostro sangue, alla quale ci afferriamo con l’ardore della disperazione. Ora, vedi, in questa trepidazione dell’anima, in questo terrore di poterla perdere, di doverla perdere, ecco, un bel giorno una lettera dall’Africa annunzia che suo marito s’imbarca, che fra un mese sarà di ritorno con l’altro figlio. Oggi, vedi, egli arriva; ed ella è venuta naturalmente ad incontrarlo, perchè questo è il suo piacere, di lui; perchè questo è il dovere di lei, e perchè io non ho il diritto di impedirlo. Io non posso impedir nulla, perchè una volta, quando si parlò, ipoteticamente, della possibilità che ella fosse libera, le dissi che non l’avrei sposata, ed ella mi fu grata della mia schiettezza. No, ella non può sottrarsi per me a quest’uomo che le ha dato il suo nome, i suoi figli, che le dà l’agiatezza della vita, la sicurezza del domani; ma quando riconosco questa necessità, quando penso che ella doveva pure un giorno o l’altro essermi portata via, allora immagino anche che cosa accadrà di lei, oggi stesso, dal momento che sarà ricongiunta a quell’uomo; e allora, no, non voglio che un altro me la prenda! Che m’importa se è suo marito? Perchè è suo marito non deve farmi nulla che me la porti via?
— Vi sono molti.... — fece per dire Perez; ma l’infervorato gli troncò la frase sulle labbra, riprendendo con nuovo impeto:
— Lo so, lo so, vi sono molti, vi sono tanti che non ne soffrirebbero, che si compiacerebbero anzi pensando: «In fin dei conti, questa donna io stesso l’ho portata via al suo possessore legittimo». Bravo! Lo so! Ma perchè potessi acquetarmi a questo pensiero, come ci acqueta ordinariamente, bisognava averla conosciuta nelle circostanze ordinarie, insieme con l’uomo a cui appartiene. Quando tu t’innamori della donna d’un altro, cominci col vedere costui al suo fianco, lo hai già visto prima d’innamorarti, lo hai udito chiamarla per nome, dirle parole dolci, trattarla come cosa propria: tu non puoi dunque dolerti di questa condizione preesistente, conosciuta ed inevitabile. Puoi soffrire, più tardi, quando quella creatura è tua, perchè non è tutta tua; ma ti rassegni, naturalmente; non ti costa troppo rinunziare al possesso esclusivo, ad un bene impossibile, che immagini soltanto, che non hai provato. E allora il pensiero egoista, il sentimento volgare, il compiacimento del ladro che ride del derubato, ti è di conforto; allora tu pensi che se un altro, esercitando il suo diritto di proprietà, t’impedisce d’avere tutta per te la creatura amata, tu lo punisci, ti vendichi, ingannandolo, portandogli via una parte del suo bene. Ma io, pensa, io non le ho visto mai nessuno d’intorno, non ho neppur creduto sulle prime che fosse d’un altro, e quando l’ho dovuto ammettere, ho saputo che costui era lontano, enormemente, in un paese quasi favoloso, ubi sunt leones. Io non posso persuadermi d’averla portata via a nessuno, se l’ho trovata sola, abbandonata a sè stessa, padrona delle sue mosse, se non ho dovuto nascondermi da nessuno, se ho dovuto trionfare della sua resistenza soltanto. Che ella appartenesse ad un altro, non è stato mai per me un fatto presente, visibile, tangibile: è stata una cosa perduta nel passato e nel futuro, nel tempo lontano del suo matrimonio, quando non la conoscevo ancora, in quello di là da venire della loro riunione. La sola cosa presente, visibile, tangibile, è stato il mio possesso. Io ho avuto questa donna per me, ti dico; tutta, per me solo, due anni; io sono andato a stabilirmi a Firenze per averla accanto, per lavorare a riprodurre la sua forma divina. Attraversavo una crisi terribile, col cuore vuoto ed il cervello esausto; non sapevo fare più nulla, mi sentivo vecchio ed inutile, avevo un cimitero dentro di me e la morte dinanzi. Non credevo mai più di finire il monumento a Mazzini; covavo da anni un germe d’idea per la statua dell’«Azione» senza potergli dare il grado di calore necessario perchè si schiudesse, senza trovare il modello che incarnasse il tipo immaginato. Ella è stata la mia ispirazione, mi ha ridato la fiducia, l’energia, tutta una nuova giovinezza. L’«Azione», è lei; la «Diana» dell’esposizione di Venezia è lei, la «Valchiria» di Monaco è lei, la «Forza» e la «Volontà» del monumento a Bismarck per il concorso internazionale di Amburgo sono lei; tutti questi corpi di donna robusti ed agili, tutte queste membra possenti e delicate, tutte le purezze di queste fronti, tutti gli slanci di questi atteggiamenti sono suoi, di lei. La natura e la vita l’hanno fatta così, nel corpo e nell’anima, forte e soave, superba e gentile; così come l’ho vista, io l’ho riprodotta ed eternata nel marmo e nel bronzo. Queste sono cose visibili e tangibili, che non ammettono dubbie interpretazioni. Questo è il fondamento dei miei diritti su lei e dei suoi su me stesso. Suo marito? Che importa se colui che sta per arrivare è suo marito? Marito, amante, è un altro a cui io non posso disputarla, a cui ella va ad offrirsi. Marito, amante: che cosa significano queste parole? Che valore hanno queste convenzioni? Il marito sono io, sono stato io, quando ho colmato la sua solitudine, quando ho condiviso la sua vita, quando ho palpitato e gioito e sofferto e creato per lei; l’amante, il rivale, il ladro, è lui che viene a rubarmela!...
— Ma lei? — domandò finalmente Perez, che non aveva più tentato di interromperlo, rispettoso della sua ambascia; — ma lei, con che cuore gli va incontro? Se t’ama ancora, se va a lui per semplice dovere, di che ti lagni?
— Ah, sì: di che mi lagno! Se mi ama ancora, dovrebbe bastarmi, non dovrei chieder altro! Perchè indagare quale specie di dovere, quale gradazione di sentimento, quale sfumatura di affetto la lega a lui? È una curiosità indiscreta, va bene? Ma se capisco, se vedo, se sento che egli non esercita un semplice diritto legale, riprendendola; che vanta diritti anche sul cuore di lei?... Quando tu ami le donne d’altri, lo sai che cosa ti induce a sopportare di non averle tutte per te? Oltre all’impossibilità d’evitare il possesso promiscuo, ti piega e ti placa la fiducia che esse ti ispirano, assicurandoti d’amare te soltanto, di provare antipatia, ripugnanza, disprezzo e ribrezzo per l’altro. Molte volte tu hai per l’appunto trionfato perchè hai trovato donne la cui anima è stata offesa, il cui corpo è stato profanato, la cui vita è stata spezzata da mariti brutali, indegni, malvagi. Che sentimento di gelosia puoi tu concepire per opera di costoro, ai quali le creature dolorose si sottopongono perchè non possono fare altrimenti, perchè una stolta legge sancisce l’iniqua necessità? Agguagliate a semplici cose, a proprietà materiali, private dell’esercizio della volontà e della libertà, esse sono sopraffatte nello stato d’inerzia, d’incoscienza, di sorda e cupa e disperata ribellione: tu non puoi provare gelosia, ma ira, sdegno e pietà. Lo so: qualche altra volta ti hanno mentito, giurandoti di amare te soltanto, di restar fredde e insensibili fra le braccia dell’altro; ma non ti sei accorto della menzogna, l’hai creduta perchè ti giovava crederla, e te ne sei compiaciuto e inorgoglito. Io sono dinanzi a una creatura a cui ho chiesto, da cui ho ottenuto sempre e soltanto la verità. Non solamente ella non mi ha detto che detesta suo marito, ma mi ha confessato di amarlo. Di amarlo, ti dico, e non sarai tu quello che ti stupirai perchè ci ama entrambi. Tu sai le complicazioni reali del cuore, così diverse dalla schematica semplicità che gli attribuisce la convenzione, la presunzione, l’ipocrisia. Lo ama, d’un amore senza dubbio diverso dal mio: ma che importa? Che consolazione me ne può venire? Io ho dovuto udire l’elogio di suo marito, per l’affetto profondo che le porta, per le prove che gliene ha date e gliene dà, per la condiscendenza con cui, nonostante il suo orgoglio britannico, ha lasciato che uno dei figli, il più piccolo, sia da lei educato in Italia, all’italiana; per la fedeltà che le serba, laggiù, nella Stanlesia, non ostante la facilità di avere quante donne gli piacerebbero.... Allora, sì, ho pensato che la menzogna ha del buono, che la verità è talvolta insopportabile. Ma ella non è donna da mentire nè da disdirsi. La sua volontà è forte, tenace, ostinata. Come dice ciò che pensa, così fa ciò che vuole. Le ho chiesto almeno una cosa, una sola: di non venire fin qui ad incontrarlo, di aspettarlo a casa, a Firenze. Non potendo impedire che egli ve la raggiungesse, mi sarei rassegnato per forza; all’idea che ella stessa si movesse per andare ad offrirglisi mi ribellavo. Ella ha detto di no, che non può, che ha promesso, che ha fatto così tutte le altre volte, prima di me; che io pretendo troppo, ciò che non può darmi, l’assurdo: ed eccomi qui per assistere al loro incontro, in queste condizioni, con queste certezze: capisci ora, capisci?...
Egli gridò le ultime parole; a un tratto, guardandosi intorno, come uscendo da un sogno, domandò ansiosamente:
— Dove siamo? Che ora è?
Anche Perez volse intorno lo sguardo. Entrambi avevano smarrito la nozione del luogo e del tempo; lo sfondo del paesaggio, giù per il vallone della Marcia, più oltre fino alla riviera delle Palme, era sfilato loro dinanzi senza che lo riconoscessero; ora si ritrovavano nel rione di Mezzo, dove la folla, il movimento della città ricominciavano a circondarli.
— Sono le quattro e un quarto, — disse Perez.
— Le quattro e un quarto!... Via, al porto!... Sarà troppo tardi!...
Perez lo seguì senza dir nulla. Fu sul punto di proporgli di cercare un’altra carrozza, ma poi pensò che avrebbero fatto più presto a piedi, prima di andare alla stazione più vicina. Lodovico, con l’ansia che lo sospingeva, col suo lungo passo, lo sopravvanzava; tratto tratto si rivoltava bensì, ma per domandargli, senza fermarsi: «Dove siamo?... Quanto manca ancora?... A destra o a sinistra?...» E Perez gli dava le indicazioni richieste, affrettandosi anch’egli, quantunque la ragione gli suggerisse di opporsi al disegno dell’appassionato, di trascinarlo altrove per impedirgli di assistere a quell’incontro. Ma la certezza che ogni tentativo sarebbe riuscito vano, che Lodovico sarebbe andato solo se egli avesse rifiutato di accompagnarlo, gli chiudeva la bocca. Un senso di curiosità, anche, il bisogno istintivo di sapere qualche altra cosa, di conoscere altre circostanze dell’avventura, di indagare le intenzioni dell’amico, lo tratteneva. Quali accordi avevano presi gli amanti? Quel marito che veniva dalla Stanlesia in Europa a così rari intervalli, quanto sarebbe rimasto presso la moglie? Presto o tardi non sarebbe ripartito?...
— Torna per sempre? — non potè trattenersi dal domandare, quando il dubbio gli si affacciò.
Parve che la domanda traesse troppo violentemente il cogitabondo dai suoi pensieri e gli riuscisse incomprensibile; perchè, volgendosi di scatto, rispose:
— Chi? — Poi, senza aspettare la spiegazione, riprendendo la via, soggiunse: — Non so. Andrà a Londra.
— Solo, o con lei?
— Non so. A destra?
— A destra. Allora, quando la rivedrai?
— Quando le piacerà. Mi ha imposto di non lasciarmi vedere finchè sarà con lui.
— Ha ragione!
— Di allontanarmi da Firenze, di andarmene a Promonte, dai miei, finchè non mi richiamerà lei stessa.
— È prudenza. E tu cominci a disubbidirle troppo presto, seguendola fin qui!
— No! — replicò con forza. — Questo l’ho ottenuto! Questo l’ho messo come patto!
— Perchè?
— Perchè così! Non si arriva mai?
— Ci siamo.
Oltrepassata la riviera, erano giunti dinanzi al porto, infatti; ma Perez sostò, esitante.
— Bisogna sapere a quale calata dirigerci.
Guardandosi intorno vide un gruppo di scaricatori di carbone, con le labbra rosseggianti e gli occhi lucenti sulle facce da negri.
— Dove si attracca il «Senegal»?
— Al ponte della Boa.
— Grazie!
Ripresero la via, e il ponte apparve, oltre la strada ferrata, sbarrato da una cancellata, ingombro in fondo dalla folla che aspettava l’arrivo del piroscafo. Perez vide che il cancello era chiuso, che un gruppo di tre o quattro persone parlamentavano col doganiere posto a guardia dell’entrata. Lodovico doveva aver veduto anch’egli, perchè affrettò ancora il passo, procedendo verso il cancello che si schiudeva in quel punto.
— Dove va? Non si può!... — disse la guardia, arrestandolo con un gesto della mano, dopo aver lasciato passare gli altri.
— Perchè? Quei signori sono pure entrati!...
— Ha il permesso? Occorre il permesso della Capitaneria.
— Dov’è questa Capitaneria?
Ma un fischio lungo e rauco lo fece rivolgere: la prora del piroscafo spuntava dietro la fila dei legni all’àncora, tutto il corpo della nave si veniva avanzando, a piccolo moto.
— Non siamo più a tempo.... Lasciateci passare.... Che vi fa?
— Non si può.
— Ma lasciateci passare, vi dico!...
Il tono della voce, l’espressione del viso impaurirono Perez. Fece per intervenire, ma già Lodovico, visto un graduato sopraggiungere, gli si accostava dicendo, con altro tono, di preghiera, quasi di supplicazione:
— Senta, brigadiere.... Non abbiamo avuto il tempo di fornirci di permesso.... Aspettiamo persone care.... Ci consenta di entrare....
Il graduato rivolse alla guardia un cenno d’assenso: i due amici penetrarono nel recinto. Per un lungo tratto esso era sgombro; la folla si stringeva in fondo, contro la seconda cancellata. Vi era gente d’ogni grado ed età, signori, popolani, contadini, marinai, donne, vecchi, bambini, facchini coi carretti pronti per lo sbarco dei bagagli, emigranti seduti sulle casse e sui sacchi delle povere masserizie, dame riparate dal sole sotto le cupolette dei variopinti ombrellini. Perez vide Lodovico fermarsi a un tratto, trasalendo.
— Che hai?
— Eccola. Taci.
Seguendo lo sguardo dell’amico egli scorse una signora vestita tutta di bianco, col cappello rosso e l’ombrellino dello stesso colore. Quasi avvertita da un senso magnetico, ella si volse verso i due sopravvenuti, ma non un muscolo del suo viso si contrasse, non il più piccolo moto la tradì. Perez riconobbe subito la figura ammirata a Valsorrisa, due anni addietro: meravigliosamente bella nel corpo e nel viso, alta e flessuosa come Diana, come la Valchiria, con un prezioso volume di bionde chiome lucenti sulla nuca e sulla fronte, dove, come in tutto il viso, il riflesso dell’ala del cappello e dell’ombrellino diffondeva un chiaror caldo di fiamma. Dopo avere rivolto ai due amici lo sguardo inespressivo e quasi cieco con cui si guardano gli sconosciuti, ella si voltò verso una donna che le stava da presso tenendo per mano un bambino: la governante ed il figlio. Chinatasi a dire qualche cosa al fanciullo, si raddrizzò, tornò a rivoltarsi verso il piroscafo. La massa enorme del «Senegal» si avanzava ancora più lentamente, di fianco; si udivano i fischi del comando, si vedeva a prora il gruppo dei marinai pronti alla manovra dell’àncora, dominati dall’ufficiale che faceva cenni verso la plancia. La barca del pilota, con la stessa bandiera azzurra e stellata che sventolava all’albero maestro della nave, la precedeva guidandola; a un nuovo fischio, a un ordine: «Mòlla!» l’àncora si staccò dal fianco possente, scivolò col fragore delle ferree catene, precipitò in mare sollevando una nappa di spuma. Tutt’intorno, dalle murate dei piroscafi attraccati, marinai e passeggeri seguivano curiosamente la manovra; la folla era densa a bordo d’un grosso transatlantico tedesco, il «Braunschweig», che aveva issato la bandiera di partenza, e le cui gru stridevano tirando a bordo balle e bauli, e per le cui scale era un continuo andirivieni. Più fitto ancora era il formicolio a bordo del «Senegal», e dalla riva alla nave, come dalla nave alla riva, gli avidi sguardi degli arrivanti e degli aspettanti si cercavano, si incrociavano, e già qualche fazzoletto sventolava, ai primi riconoscimenti. Con la macchina ormai ferma, per la sola forza acquisita, il «Senegal» si avanzò ancora un poco, girò su sè stesso mentre la barca del pilota portava a terra, alle prese d’ormeggio, le gomene che i marinai vi annodavano; poi gli argani stridettero tesandole, e la nave si dispose lungo la calata. La folla si rimescolò, ciascuno percorse la banchina in su e in giù, cercando di avvicinarsi il più possibile alle persone care, chiamandole per nome, e saluti e notizie brevi cominciarono a scambiarsi. Nei movimenti confusi di quella massa di persone lo sguardo di Lodovico seguiva intento ed ardente la cupoletta dell’ombrellino rosso, ed anche Perez non la perdeva d’occhio, cercando di scoprire in mezzo ai passeggeri affacciati dal ponte della prima classe chi fosse l’aspettato da quella donna. A un tratto l’ombrellino si abbassò e rialzò due o tre volte, come una bandiera, in segno di saluto, e dal piroscafo, dall’angolo della scala, un uomo rispose con un gesto del braccio, ed un giovinetto che gli stava a fianco agitò festosamente il fazzoletto. Perez sentì afferrarsi la mano come dentro una morsa e udì la voce rauca dell’amico esclamare:
— Eccolo.... È lui!
Liberato dalla stretta, egli considerò attentamente quell’uomo. Era alto e robusto, con un petto largo su cui la folta barba castana appena brizzolata si diffondeva a ventaglio; aveva un nobile portamento; tutta la persona rigidamente composta nel costume da viaggio, con la tunica a cintola, i calzoni corti, le gambe strette dalle lunghe uose, rivelava l’abito del comando, la professione marziale. Fermo contro la murata, non si sporgeva, portava soltanto la mano all’orecchio per cogliere le parole che la moglie ed il figlioletto gli rivolgevano dalla riva, e rispondeva con qualche monosillabo, od a brevi cenni del capo e della mano, mentre l’adolescente che era seco, un collegiale di forse dieci anni, gridava saluti e domande al fratellino ed alla madre. Costei, addossata ad una presa d’ormeggio, riparata contro il sole dall’ombrellino appoggiato alla spalla, non si rivoltava, pareva non sospettasse neppure la presenza dei due amici, dell’amante, e Perez era talmente compreso dall’ambascia di quest’ultimo, che temeva di doverla vedere da un momento all’altro prorompere. Con le mascelle contratte, coi pugni chiusi, Lodovico guardava così fiso il nuovo arrivato, che costui avrebbe finito con l’accorgersene; ed ecco: già pareva a Perez che se ne fosse accorto, che volgesse su loro uno sguardo inquieto e sospettoso.
— Moviamoci.... Vieni da questa parte.... — propose all’amico, trascinandolo qualche passo più lontano, guardando qua e là sul ponte del piroscafo, per darsi un contegno, per fingere di cercare qualcuno tra i passeggeri, impaziente di uscire da quella situazione pericolosa; ma a bordo, compiute le operazioni di ormeggio, abbassati i pontili, i viaggiatori che tentavano di scendere erano trattenuti dai marinai di guardia alle scale, per lasciar libero il passo ai facchini. I bagagli avevano la precedenza su gli uomini, e fremiti d’impazienza e sospiri d’ansia passavano tra i circostanti, mentre sfilavano i bauli di tutte le fogge e grandezze, le casse, le valigie, le scatole, i cesti, le cappelliere. Le creature umane anelanti di riabbracciarsi dopo separazioni lunghe e crudeli erano ancora costrette a guardarsi da lontano, a farsi cenno con la mano, a soffocare l’impeto degli affetti; nè tutte le anime erano in festa; si vedevano molti con gli occhi arrossati al pensiero di dover partecipare o ricevere le nuove delle sciagure sopravvenute, dei disinganni patiti nel tempo della solitudine. Un gruppo di donne, anziane, giovani e adolescenti, tutte egualmente vestite di lutto greve, piangevano silenziosamente, evitando di guardarsi, senza guardar neppure verso la nave: certo, essa non recava loro la persona diletta, perduta lontano, di là dai mari, ma fredde e inerti reliquie. A bordo i viaggiatori, affratellati dalla convivenza, si salutavano commossi sul punto di disperdersi per il vasto mondo senza probabilità di mai più rivedersi, e l’enorme casa galleggiante continuava a vuotarsi delle sue masserizie, pareva destinata a spopolarsi, come un luogo infausto, colpito dalla sciagura. Un baule stretto e lungo come un feretro era tratto fuori da due uomini che lo reggevano dai due capi, e Perez sentiva il contagio di quella tristezza diffusa tutt’intorno, del dramma che martoriava il cuore dell’amico suo, che doveva certamente turbare quello della donna; quando a un tratto i suoni fragorosi e giocondi d’una fanfara squillarono: la musica del «Braunschweig», nel punto che l’enorme nave stava per salpare, intonava una marcia militare, quasi a stordire le altre anime più afflitte degli espatrianti che trascinava verso l’ignoto, forse verso la morte, strappandoli ai congiunti lacrimosi sulla riva materna.
— Quando finiranno? — esclamò lo scrittore, irritato da quei suoni, smanioso ormai di andar via; ma Lodovico non rispose. Non rompeva il silenzio dal momento che aveva riconosciuto il marito, e i suoi sguardi non lasciavano la figura di quell’uomo, sempre immobile accanto al figlio, se non per rivolgersi verso il punto dove la fiamma dell’ombrellino rivelava la presenza della donna accanto all’altra creaturina. Ma egli non si esponeva più come prima, si ritraeva anzi, studiava di nascondersi dietro gli altri spettatori; e non già per la prudenza consigliata da Perez, bensì per un improvviso impaccio, per un senso di timidezza e quasi d’umiliazione sorto dapprima confusamente nell’anima sua, poi cresciuto e divenuto insopportabile. Tutti i diritti poc’anzi vantati nel narrare la sua storia, tutte le ragioni addotte per dimostrare all’amico ed a sè stesso che quella donna gli apparteneva, si rivelavano ora arbitrarî e sofistici, si disperdevano dinanzi ad una verità lampante e crudele: egli era un estraneo, un intruso, tra quei coniugi che si ritrovavano, tra quei figli e quei genitori che ricostituivano l’unità della famiglia. Tanto tempo e tanto spazio li avevano divisi, ed ecco: si tendevano le braccia; un istante ancora, ed avrebbero tornato a formare un vivente complesso dal quale egli era escluso. Che stava a far lì? Quella donna non era sua, se ora egli non poteva avanzarsi verso di lei e portarsela via; quell’uomo non era un ladro che gliela involava, se veniva a prendersela alla luce del sole, dinanzi alla folla; il ladro era lui stesso, che doveva trarsi in disparte e farsi piccolo per non lasciarsi scorgere. Egli era un intruso, una spia, un frodolento. Nella mortificazione e nell’avvilimento che occupavano il suo cuore, la stessa memoria del possesso esercitato fino al giorno innanzi si ritraeva in un passato lontano, si annebbiava e attenuava come quella d’una finzione. Il passato, remoto o prossimo, era passato; solo l’ora presente esisteva, e in quell’ora il suo possesso era distrutto.
— Andiamo via!... — suggerì Perez, smanioso. — Fermiamoci alla dogana, fammi il piacere!
— No! — gli rispose con voce dura, che non ammetteva insistenze.
Voleva restare, doveva vedere. Una forza superiore a quella della ragione, una specie di fascino lo inchiodava lì, dietro la siepe degli aspettanti, sollevato sulla punta dei piedi, coi muscoli del collo irrigiditi, tutti i nervi tesi. Più forte del dolore, più forte dell’umiliazione era l’avidità di vedere, la necessità di non perdere un solo particolare di quella scena. Un ferro aguzzo e tagliente gli ricercava le carni, recideva le vive fibre del legame che aveva fatto di lui e di quella donna un corpo solo, un essere solo; ma sul punto di sentirsi mutilato non voleva perdere la coscienza di sè, resisteva alle esortazioni dell’amico come avrebbe respinto un torpente sopra un letto operatorio, per assistere allo scempio.
E già, finito lo sbarco dei bagagli, le guardie lasciavano i loro posti, i primi viaggiatori si affollavano verso le scale non più vietate. Egli vide il marito avanzarsi, ma senza fretta, dando una mano al giovinetto, dividendosi con l’altra la barba sul petto. L’ombrellino rosso si mosse anch’esso, ed egli stesso fece un passo; ma allora, col coraggio della paura, Perez esclamò a voce bassa e concitata:
— Lodovico, ti prego!... Non commettere imprudenze!... Resta lì: siamo già troppo vicini. La governante e il bambino possono riconoscerti.
Obbedì, si fermò, vide a poco a poco diminuire la distanza che separava i due gruppi: la donna col figlio e la familiare avanzarsi in prima linea, sull’orlo della banchina, il padre e l’altro figlio scendere i gradini della scala di bordo e porre il piede a terra. Oltre il gruppo delle donne piangenti, dietro un carro carico di bauli, avvenne finalmente l’incontro. Egli trattenne il respiro, e lo stesso moto del suo cuore parve arrestarsi un istante; ma il sangue gli rifluì rapidamente per tutte le arterie e il petto gli si gonfiò al soffio dell’aria, in un improvviso senso di sollievo, quasi di gioia, di timida e incredula gioia, vedendo che quell’uomo non si stringeva con impeto alla donna sua ritrovata dopo tanto corso di tempo, non l’abbracciava con tutta la forza delle sue braccia nerborute, non restava a guardarla negli occhi per riconoscerne e possederne l’anima; ma le dava due baci sulle due guance, due baci calmi, appena fraterni, quasi distratti, e subito dopo si volgeva, prima ancora di abbracciare il figliuoletto, a cercare i bagagli. Per un momento, a quella vista che aveva temuta atroce e insostenibile, tutta l’oppressura, tutta la mortificazione dell’anima si disperse, tutta la coscienza della sua forza e del suo diritto tornò ad assicurarlo. Quella donna era sua per quel che gli costava di fremiti, di spasimi, di estasi, di pianti; gliel’aveva guadagnata, gliel’aveva meritata il fuoco divampato nel suo cuore, la fiamma dell’estro accesa nel suo pensiero e nella sua fantasia. Ella gli si era accordata perchè si era sentita necessaria a lui, perchè quegli ardori, quelle febbri si erano comunicati a lei, rivelandole tutto un mondo, tutta una vita dei quali non aveva sospettato l’esistenza accanto a quell’uomo freddo e misurato. Un moto d’orgoglio, un senso di trionfo lo animò; ma fu un lampo. Già ella si stringeva all’altro figlio, già i figli si stringevano ai genitori formando un cerchio dal quale la stessa domestica si teneva lontana. Era lì, sotto i suoi occhi, la famiglia riunita, il nucleo umano primordiale, il cardine d’ogni consorzio; e nessuno, e tanto meno lui, poteva penetrare in quella intimità fondata sulla perpetuazione della carne e del sangue.... Allora, mentre Perez non faceva e non diceva più nulla per porre termine a quello spettacolo, egli stesso, afferrato bruscamente un braccio dell’amico e stringendolo forte, esclamò con voce arrochita:
— Via!... Andiamo via!...
Si allontanarono, infatti, facendosi strada tra la folla, schivando i carri, passando accanto a quello dove il marito riconosceva la sua roba, mentre dava ai facchini l’indirizzo dell’albergo di Francia. Quando furono nello spazio libero affrettarono il passo; ma usciti fuori della cancellata e giunti presso la dogana, Lodovico si fermò voltandosi a guardare indietro.
— Che fai lì? — domandò Perez, irritato; — non ne hai abbastanza?
— No: taci; aspetta.
I coniugi, distaccatisi dalla folla, preceduti dal facchino coi bauli, seguiti dalla governante coi figli, si avanzavano: il marito non si appendeva al braccio della moglie, non le dava il braccio; le andava accanto, parlando senza gesti; ella era invece tutta animata, diceva qualcosa con espressione vivace. Vedendoli avvicinarsi, Perez sentì rinascere, con la paura, un senso di ribellione contro l’audace che sfidava il pericolo d’essere riconosciuto e quasi si compiaceva dell’ambascia propria e di quella che infliggeva; e quando la coppia fu giunta al loro fianco, tremò vedendo il marito fermare lo sguardo su Lodovico, quasi leggendogli in faccia il suo secreto, mentre la compagna passava senza neppure guardarli, come non accorgendosi di loro. Per buona sorte il figlio più piccolo, intento a narrare qualche cosa al fratello, non levò gli occhi, distrasse anche l’attenzione della governante rivolgendole una domanda; e solo dopo che la comitiva si fu allontanata avviandosi alla dogana, il trepidante trasse liberamente il respiro.
— Io domando se questa è una cosa ragionevole!... Che gusto tormentarsi così!... Vogliamo ora andar via una buona volta, in nome di Dio?
— No. Aspetta.
Volle ancora indugiarsi, ostinato, inflessibile, sordo; aspettò sinchè la famiglia non riuscì dalla dogana e non ebbe preso posto nell’omnibus dell’albergo, sinchè il pesante carrozzone non si scosse, non si mosse verso la città, non fu scomparso dietro una fila di carri di merci allungati sul binario. Allora soltanto Perez potè finalmente trascinarlo presso una carrozza e spingerlo a prendervi posto.
— Vieni a casa mia.
— Alla stazione! Alla stazione!...
— Ma sì.... Non ti trattengo!... Te ne andrai appena ti sarai rimesso.... Per ora vieni con me.... Sei troppo agitato.... Aspetta di calmarti.... Vieni un istante! — soggiunse, accostando le mani in atto di preghiera.
— Alla stazione! Alla stazione!...