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56 | la messa di nozze |
di fascino lo inchiodava lì, dietro la siepe degli aspettanti, sollevato sulla punta dei piedi, coi muscoli del collo irrigiditi, tutti i nervi tesi. Più forte del dolore, più forte dell’umiliazione era l’avidità di vedere, la necessità di non perdere un solo particolare di quella scena. Un ferro aguzzo e tagliente gli ricercava le carni, recideva le vive fibre del legame che aveva fatto di lui e di quella donna un corpo solo, un essere solo; ma sul punto di sentirsi mutilato non voleva perdere la coscienza di sè, resisteva alle esortazioni dell’amico come avrebbe respinto un torpente sopra un letto operatorio, per assistere allo scempio.
E già, finito lo sbarco dei bagagli, le guardie lasciavano i loro posti, i primi viaggiatori si affollavano verso le scale non più vietate. Egli vide il marito avanzarsi, ma senza fretta, dando una mano al giovinetto, dividendosi con l’altra la barba sul petto. L’ombrellino rosso si mosse anch’esso, ed egli stesso fece un passo; ma allora, col coraggio della paura, Perez esclamò a voce bassa e concitata:
— Lodovico, ti prego!... Non commettere imprudenze!... Resta lì: siamo già troppo