La Marfisa bizzarra/Appendice/Annotazioni

Annotazioni

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Appendice - Ai suoi lettori
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II

ANNOTAZIONI

AVVERTIMENTO

Dovrebbe essere ^jperfluo l’avvertire i lettori che chi si è posto a scrivere la Marfisa bizzarra, poema faceto, non abbia presa materia (com’egli tratto tratto asserisce scherzevolmente) da Turpino; e che Carlo Magno, Parigi, i paladini e i personaggi descritti dal Boiardo, dall’Ariosto e da alcuni altri scrittori degli antichi poemi, non sieno stati presi dallo scrittore della MatUsa che per coprire d’una veste allegorica un piccolo aboazo del prospetto de’ costumi, della morale de’ giorni suoi e de’ caratteri in generale de’ suoi compatrioti, riformati da’ scrittori pemiziosi e dalla scienza del nostro secolo detto «illuminato». Tuttavia do questo avvertimento preliminare alle annotazioni fatte sulla Marfisa, onde le fantasie interpretatrici non escano dal quadro storico de’ costumi e de’ caratteri in generale ch’esistevano nella patria dello scrittore della Marfisa, poema faceto, nel tempo che fu comfKDSto.


ANNOTAZIONI AL CANTO PRIMO

Stanza 1.

Se non credessi offender gli scrittori
che han rotto con lo scrivere ogni sbarra,
e son fatti del mondo inondatorí,
io canterei di Marfisa bizzarra...

Ardeva, nel tempo in cui l’autore si pose a scrivere il poema della Marfisa, una controversia lepidamente satirica tra gli accademici denominati «granelleschi» esistenti in Venezia, gran difensori [p. 330 modifica]della lingua litterale italiana e della colta poesia di vario genere, e gli scrittori che le sfiguravano e guastavano colle opere loro, d’un libero e goffo mescuglio di esteri linguaggi, di maniere e frasi grossolane, di ampollositá snaturate, di corrotti vernacoli.

Uno scopo, tra i molti altri dell’autore della Marfisa, accademico granellesco sotto il nome del «Solitario», fu di prendere di mira i cattivi scrittori che in quella stagione in Venezia sviavano le menti dalla coltura, e particolarmente il Goldoni ed il Chiari, scrittori di commedie, di romanzi, di prose e di poetiche composizioni in ogni genere e metro infelicissime. Si troveranno nel poema della Marfisa buon numero di squarci di censura e dileggio diretti a’ cattivi scrittori del tempo in cui fu composto, né si nega che, nel mezzo agi’ infiniti caratteri presi in generale, che campeggiano nel poema, sotto i due nomi de’ paladini Marco e Matteo dal Pian di San Michele sono figurati particolarmente il Chiari e il Goldoni, i due maggiori e piú arrabbiati nimici degli accademici granelleschi accennati.

Stanza 2.

... e farò come il Cordellina e Svario,
e’ hanno l’interruttore dietrovia
al loro arringo che grida il contrario...

Nel fòro veneto, alle dispute delle cause degli avvocati, v’è un avvocato che interrompe a diritto ed a torto con voce tuonante quell’avvocato ch’è l’ultimo ad arringare nella causa, e vien data poca retta da quello che arringa all’interruttore.

Cordellina e Svario furono due de’ piú celebri avvocati del fòro veneto.

Stanza 5.

Di Marfisa bizzarra cantar voglio.
Cantolla un altro, e non ebbe concetto...
onde rimase con Paris e Vienna
ad aspettar qualche moderna penna.

Un certo Dragontino da Fano scrisse un poema nel Cinquecento, intitolato La Marfisa bizzarra, seguendo le fantasie romanzesche del Boiardo e dell’Ariosto meschinamente. [p. 331 modifica]

Quel cattivo poema ebbe il destino ch’ebbero i triviali poemi ^ di Paris e Vienna, del Buovo d" Antona e di parecchi altri cosí fatti, comperati soltanto dal basso popolo.

Stanza 6.

Voi, che non isdegnate i versi miei
e de’ nostri buon padri avete stima...

Intendasi gli accademici g^anelleschi e tutti coloro che apprezzavano la puritá e l’indole della nostra lingua litterale, della colta poesia italiana in tutti i generi, ed erano fedeli agli antichi celeberrimi nostri conformatori e fondatori di quelle.

Stanza 14.

I romanzieri dall’eroiche imprese,
dalle battaglie e da’ sublimi amori
piú non si nominavan nel paese,
perché i moderni eran usciti fuori...

E sino a tutta la stanza 16 è satira dileggiatrice sul profluvio de’ romanzf pubblicati dall’abate Chiari, ed è pittura satirica sopra alcune commedie del Goldoni.

Stanza 17.

Altri scrittor piú dotti e disonesti
per i lor fini, a tal cominciamento,
stampavan libri sottili e infernali
dipingendo i mal beni ed i ben mali.

Cioè i sofisti perniziosi del secolo, i quali col pretesto d’illuminare il genere umano rovesciarono infiniti cervelli per universale sciagura e trambusto.

Stanza 48.'

Talor soletto andava passeggiando
lá dove son le dinunzie scerete...

.Si chiamavano in Venezia «denunzie secreta» alcune teste spaventose di marmo, fitte nelle muraglie de’ magistrati, le quali teste o mascheroni avevano una gran bocca aperta, in cui i delatori. [p. 332 modifica]che volevano star celati, scagliavano le querele scritte in una cartuccia contro coloro che volevano accusare ed esporre a’ processi d’inquisizione.

Stanza 53.

. . . fatto vecchio servente a Galerana...

Galerana, secondo gli antichi romanzi, fu imperatrice e moglie di Carlo Mag^o. Il titolo di «servente» è abbastanza in costume a’ giorni nostri per intendere qual sia l’uffizio di quello.

Stanza 55.

Marco e Matteo del Pian di San Michele...

Si è detto che sotto le persone de’ due paladini antichi Marco e Matteo dal Pian di San Michele sono figurati i dae poeti Chiari e Goldoni.

Stanza 61.

Ma Dodon dalla mazza, paladino...

Non si cela che sotto il nome del paladino Dodon dalla mazza è figfurato l’autore del poema della Marfisa; il quale, unito agli accademici granelleschi di lui soci, fu il martirio maggiore de’ due suaccennati poeti.

ANNOTAZIONI AL CANTO SECONDO

Stanza 61.

Io mi son dilettato alquanto invero
il critico arruffato immaginando...

Fino compresa la quarta ottava è un immaginato dialogo tra l’autore della Marfisa e l’abate Chiari, uomo di carattere altero e presuntuoso.

Stanza 21.

Or vorrebb’esser stata ballerina,
or cantatrice divenir vorria...

Titoli di alcuni tra i moltissimi romanzi pubblicati dal poeta Marco, cioè dall’abate Chiari, scrittore dei detti romanzi, de’ quali [p. 333 modifica]Marfisa era studente e associata alle stampe, ammiratrice e inclinata a seguire le massime e i dettami di quelli.

Stanza 63.

Filinor non si scuote e non si move:
— Il mio costume — rispose — l’appresi
da’ cavalier delle commedie nuove...

In questi versi sono sferzate alcune delle commedie del paladino Matteo, cioè del Goldoni, nelle quali in confronto delle persone del basso popolo, da lui dipinte virtuose, metteva conti, marchesi ed altri titolati cavalieri in aspetto di bari, d’impostori e d’un pessimo carattere di mal esempio.

ANNOTAZIONI AL CANTO TERZO

Stanza 31.

Io trovo ne’ romanzi di que’ tempi
certe avventure magre da jjidocchi
e fatti da sbavigli e casi scempi
di que’ poeti, e lunghi un tirar d’occhi,
che informavan quegli antichi esempi
di battaglie, di giostre...

Il tratto satirico è diretto a’ novelli romanzi, ma particolarmente a quelli dell’abate Chiari.

Stanza 34.

Perocché prima di cantar la messa
avea dato il manipolo a baciare...

A Venezia quasi tutti i preti ordinati da evangelo e da messa da’ prelati siedono nella chiesa con degli assistenti a fianco e con un gran bacile dinanzi. Essi danno a baciare a infiniti invitati, pregati e spinti dagli uffici, quel sacro arredo che si chiama «manipolo »; e i baciatori concorrenti tutti scagliano nel bacile divotamente una moneta, chi grossa e chi minuta per offerta al prete novello. Tale offerta giunge talora ad essere la somma di cinque o sei cento ducati, secondo gli amici, i conoscenti e i protettori del prete. Questo pio costume fu introdotto in Venezia per soccorso dei [p. 334 modifica]preti, i quali per la maggior parte sono ordinati sacerdoti senza patrimonio, per la loro povertá e per il solo merito d’aver servita la Chiesa sino da cherichetti.

L’offerta, per quanto si dice, deve servire a que’ preti per provvedersi di libri ecclesiastici, da studiare per erudirsi nel loro sacro ministero; ma parecchi de’ preti veneziani consacrati fanno l’uso di quell’offerta, che fece don Guottibuossi, cappellano in casa di Ruggiero e servente di Bradamante.

Stanza 69.

Voi siete pien di antichi pregiudizi,
né alle commedie nuove andate mai,
né i romanzi novei, pien d’artifizi
dotti, leggete, che insegnano assai.
Certe antiche virtudi ora son vizi...

Sferza a’ costumi introdotti dalla falsa scienza del secolo, e precisamente a’ sentimenti e alle massime sparse con aria filosofica nelle commedie e ne’ romanzi del Chiari. Si noti che l’astuto don Guottibuossi cappellano adulava ironicamente Marfísa, gran estimatrice delle dette opere, per prenderla nella rete e per farla sposa di Terig^.

ANNOTAZIONI AL CANTO QUARTO

Stanza 37.

Marco e Matteo dal Pian di San Michele,
ch’eran torrenti della poesia,
a don Gualtieri accendevan candele
perché Terigi a un d’essi l’ordin dia...

Cioè l’ordine di apparecchiare la raccolta di poesie per le nozze: ufficio che fruttava zecchini. Nella mala influenza poetica del Chiari e del Goldoni, figurati nei due paladini Marco e Matteo, e che in quel tempo passavano in Venezia per due poeti alla moda eccellenti, venivano appoggiate quasi tutte le raccolte di poesie, in costume nell’occasione de’ matrimoni o di monacazioni o di esaltazioni a gradi sublimi di personaggi illustri.

Bastava però che i celebrati fossero ricchi e splendidi, perocché si vide una raccolta poetica, celebratrice di uno sposalizio [p. 335 modifica]ebraico, formata da Marco poeta, sacerdote cattolico. Tali raccolte in quella stagione servivano di campo a’ morsi trivialmente satirici de’ cattivi scrittori verso gli accademici granelleschi, e servivano a’ granelleschi, difensori del retto pensare e del purgato scrivere, per mordere e porre in dileggio i cattivi scrittori.

Stanza 43.

Rugger per il costume del paese
qualche libretto anch’ei doveva fare.
Dodone il santo, figliuol del danese,
gli aveva detto: — Non farneticare,
che un libriccin vo’ farti alle mie spese
da far Marco e Matteo divincolare...

L’autore della Marfisa, accademico granellesco, figurato in Dodone dalla mazza, si divertiva, all’occasione delle raccolte di poesie per le dette circostanze, a far stampare delle facete composizioni in versi, ch’erano giuste censure e dileggi arditissimi contro gli scritti del Chiari e del Goldoni e de’ scrittorelli lor partigiani e imitatori, come si può rilevare nel di lui poemetto intitolato I sudori d’Imeneo e in una moltitudine di foetiche bizzarrie, fatte da lui stampare ne’ giorni di quelle ridicole controversie.

Stanza 45.

E dalle Madri tradite dir posso..

La Madre tradita è il titolo che portava una commedia del Chiari.

Stanza 46.

dell'Impressario turco dalla Smirne...

Tale è il titolo d’una commedia del Goldoni.

Stanza 47.

poi vanno a partorir Filosofesse...

Romanzo del Chiari, intitolato La filosofessa italiana. Sino l’ottava 52 è critica sugli scritti pubblicati dall’abate Chiari. [p. 336 modifica]

Stanza 72.

Un di di carnoval era, e la pressa
de’ cavalieri e paladini è grande,
per gir nella Ruet dopo la messa,
ch’è una via in piazza, chiusa dalle bande
da’ sedili di paglia...

L’autore della Marfisa cambia nel nome di «Ruet» ciò che a Venezia si chiama «Liston», ch’era una viottola nella piazza di San Marco, formata da sedili posti in due lunghe file, in cui avvenivano le cose descritte nelle ottave 72-76. Da parecchi anni tal adunanza non è piú in costume.

ANNOTAZIONI AL CANTO QUINTO

Stanza 2.

Non sempre e in ogni loco curiosa
soffro la gente molto volentieri,
e, verbigrazia, a un’opera fecciosa
che corra e spenda e gridi e si disperi.
Questa curiositade è perniziosa,
io dico, e di cervei troppo leggeri..

Allude al fanatismo risvegliato in Venezia dalle opere sceniche dell’abate Chiari e del Goldoni. Quel fanatismo aveva divisa la intera popolazione in due partiti infuocati. Le chiavi de’ palchetti de’ teatri si vendevano un occhio. I contrasti d’opinione de’ due partiti assordavano e cagionavano delle dissensioni fino nelle famiglie tra padri e figli, fratelli e sorelle.

Stanza 44.

e ciocche di cristallo risplendente,
non dico del Briati, che non c’era...

Giuseppe Briati muranese fu benemerito inventore privilegiato in Venezia della pasta del terso cristallo, e particolarmente di ciocche magnifiche da illuminare le sale de’ gran signori, i teatri e le vie in occasione di solennitá. [p. 337 modifica]

Stanza 46.

che pareva quel giorno il bucentoro...

Il bucentoro era un naviglio ricchissimo, tutto intagli e dorature, d’un costo sommo, in cui il doge di Venezia nel giorno dell’Ascensione veniva condotto al porto di mare detto del Lido, con un séguito di galere e gran numero di barche; laddove giunto, per segno di antico dominio del mare Adriatico, sposava, con un anello gettato nell’onde, codesto mare.

Stanza 114.

Marco dal pian di San Michel, poeta...

Cioè l’abate Chiari, di cui l’autore della Marfisa dá un’idea del carattere in quell’ottava e nella seguente.

Stanza 113.

Anche Matteo, poeta suo nimico...

Il Goldoni ed il Chiari erano in quel tempo rivali e nimicissimi.

Si censuravano ferocemente nelle opere loro. In quell’ottava l’autore della Marfisa fa una pittura del carattere del Goldoni, gran coltivatore d’un grosso partito agli scritti suoi con una umiliazione e un’adulazione niente poetica.

Stanza 117.

Dodone dalla mazza, detto e il santo»,
era venuto, e guardava ogni cosa
stando a un tavolier solo da un canto,
facendo vista di fiutar la rosa.

L’autore della Marfisa, figurato nel paladino Dodone, si spassava continuamente a far l’osservatore e l’anatomista sui caratteri, sul pensare e sul raziocinare dell’umanitá, come si può rilevare dal suo poema e da tutti gli scritti suoi.

Il giuoco dell’«undici», descritto nell’ottava soprapposta, è giuoco cappuccinesco e da solitario, che cerca un passatempK) in una combinazione semplice di numeri da sé solo in disparte, per non impegnarsi in partite di giuochi di carte d’applicazione, da lui abborrite, e per star separato da una societá romorosa. [p. 338 modifica]

ANNOTAZIONI AL CANTO SESTO

Stanza 32.

Pareva scritta dal fine al principio,
siccome l’orazion di sant’Alipio.

L’«orazione di sant’Alipio» è una di quelle poesie di versi trivialissimi, che i pitocchi e i ciechi cantavano per le strade e sotto alle finestre delle case, accompagnando il canto loro con un chitarrone, per trarre qualche elemosina.

Stanza 33.

E cominciava: «O vergin, vergin bella,
estro e natura canora e sonora».
Marco poeta a rider si smascella,
e critica ogni detto che vien fuora...

Si è detta la rivalitá che correva allora tra il Chiari e il Goldoni.

I due primi versi dell’ottava 33 contengono in caricatura lo stile del Goldoni, qualora voleva impacciarsi a comporre de’ versi sostenuti.

Stanza 35.

Dodone alcuni versi avea finiti
pel maritaggio, e pronti per le stampe,
che correggean que’ vati fuorusciti.
I parigin non voglion che gli stampe,
e vanno minacciando i revisori
che, caschi il ciel, non gli lascino ir fuori...

Alludesi a’ due partiti infiammati divisi de’ partigiani del Chiari e del Goldoni. I garbugli, i sottomani, gli occulti uffici, che facevano quei due partiti onde non fossero licenziate per le stampe le composizioni dell’autore della 3farftsa, facetamente derisorie le poesie del Chiari e del Goldoni, erano instancabili e furenti. [p. 339 modifica]

ANNOTAZIONI AL CANTO SETTIMO

Stanza 3.

contro anche san Francesco, e va nel verde.

Nelle concorrenze agli uffici in Venezia s’usano tre bussoli da raccogliere i voti secreti. L’uno di questi bussoli è bianco, l’altro rosso, l’altro verde. I voti che si trovano nel bussolo verde escludono il concorrente dall’officio al quale aspira.

Stanza 30.

Una bocca facea, che somigliava
le denonzie scerete e peggio ancora...

Addietro s’è detto che le denunzie secrete, fitte nel muro esternamente a’ magistrati di Venezia, erano teste di mascheroni mostruosi con una bocca larga oltre misura.

Stanza 32.

svimèr, landò, carrozze, venti legni...

«Svimèr», «landò», «cucchier», «cudesime» ed altri nomi, ,che non si trovano nel vocabolario della Crusca, sono carrozze posteriori alla compilazione del detto vocabolario, ma carrozze in costume a’ tempi nostri, introdotte dalla mollezza e dal lusso, giunte dalla Francia, dalla Germania e dall’Inghilterra in Italia.

Stanza 51.

e tremila zecchini veneziani...

L’autore della Marfisa ha protestato, nella prefazione al suo poema, di voler usare quanti anacronismi vuole per far chiara la sua allegoria, e di non curarsi di critici in questo punto. I zecchini ch’escono dalla zecca di Venezia sono di purgatissimo oro e in pregio di tutte le nazioni. [p. 340 modifica]

Stanza 52.

Or qui potrebbe dirmi alcun lettore
che una dama alle truffe non discende.
Ed io rispondo che Matteo scrittore
faceva in quell’etá commedie orrende..

E fino a tutta l’ottava 54 sono censure alle commedie del Goldoni, il quale spesso metteva in iscena de’ nobili titolati d’un pessimo carattere e come si legge nelle soprannotate tre ottave.

Stanza 79.

Turpino scrive che le sputacchiate...

Gli applausi, che si fanno nelle chiese di Venezia a’ predicatori e alle fanciulle che cantano nei pii conservatori! musicali, quando piacciono, sono di raschiamenti universali delle trachee e un gran sputacchiare catarroso degli uditori.

Stanza 89.

Dalle commedie e da’ romanzi nuovi
traea gran parte de’ suoi bei riflessi...

Nuovo scherzo satirico alle commedie del Goldoni e alle commedie e romanzi del Chiari, ch’erano le letture predilette di Marfisa, riformata dall’antico costume.

ANNOTAZIONI AL CANTO OTTAVO

Stanza 19.

e le stimate fece colle mani,
giunta a Marfísa...

Modo usato da Luigi Pulci nel suo poema del Morgante, forse tratto dall’attitudine in cui è dipinto san Francesco dalle stimate, con le braccia e le mani aperte in atto di preghiera.

Stanza 30.

Facendo il sordo o albanese messere...

«Far albanese messere» è proverbio toscano antico, e vale finger di non capire. [p. 341 modifica]

Stanza 38.

Di Marco e di Matteo nelle riforme
scopre il bel, vede il buono, è a me conforme.

Altro scherzo derisorio satirico sugl’infiniti volumi posti alle stampe dal Goldoni e dal Chiari, tenuti da Marfisa per classici ed eccellenti.

ANNOTAZIONI AL CANTO NONO

Stanza 44.

suo padre di Martan fu servitore...

Martano è dipinto, néVC Orlando furioso di Lodovico Ariosto, codardo, traditore ed esecrabile.

Stanza 57.

— Corpo di Bacco! — giura in ogni lato —
del primo mio romanzo nella storia
vo’ metter la persona del marchese
in vista da far ridere il paese.

Il «corpo di Bacco!» era il giuramento favorito del Chiari. Tal giuramento si legge con frequenza ne’ suoi romanzi e nelle sue commedie.

Il Chiarí, se aveva collera con alcuno, si svelenava ne’ suoi romanzi, mettendo in quelli i suoi avversi in un aspetto ridicolo e abborribile, a misura del di lui cruccio e con una trivialitá plebea, sfogando persino la sua bile a farli perire per le mani d’un carnefice.

Dalla ottava 57 fino alla 63 è derisoria censura delle opere del Chiari e del Goldoni e sulle replicate edizioni di quelle.

Stanza 63.

che sembrava un’idea del Ma^umierí...

Il Masgumieri fu noto ciarlatano, venditor di balsami e taccomacchi in Venezia. [p. 342 modifica]

Stanza 64.

Un altro scrittorel di simil forma,
il qual delle Siagion facea poemi...

Certo conte Orazio Arrighi Landini, che in quel tempo scriveva e stampava poemetti sulle Stagioni dell’anno ed altre poesie, dedicando le operette sue indistintamente a soggetti da’ quali sperava qualche sovvenimento. Egli passava in Venezia per buon poeta alla sprovveduta. Questo signore, niente censurabile sull’ottimo carattere e costume, era però infelice poeta. Un piccolo tratto di gioviale ironia poetica, sopra a’ suoi scritti e sopra gli accidenti della sua vita, dello scrittore della Marfisa, lo fece entrare in furore e nel desiderio di vendicarsi con qualche scrittura, che fu ignuda affatto di merito, e di maniere incivili, le quali non fecero che far ridere l’autore della Marfisa. Le ottave 64-67 contengono un cenno di questo fatto.

Stanza 68.

Gl’impostori scrittor d’allora in caldo
appiccomo question co’ buon scrittori.

Sino all’ottava 73 è storia veridica e satirica sopra al Chiari e il Goldoni, iracondi con gli accademici detti granelleschi, ch’esistevano in Venezia, gran difensori della puritá del nostro idioma e della buona poesia.

ANNOTAZIONI AL CANTO DECIMO

Stanza 3.

par loro avere in sul capo il mantello...

I birri, che pigliano qualche delinquente in Venezia per condurlo in prigione, gli mettono in sul capo un tabarro per coprirlo alla vista del popolo. I soli ladri sono via condotti, da’ birri, scoperti.

Stanza 4.

ma come, verbigrazia, quel di Praia...

A Praia, nel territorio padovano, v’è un ricchissimo convento di monaci cassinensi. [p. 343 modifica]

Stanza 37.

Correa pel monastero una pazzia:
che si tenea per raoral lavorío
l’opre e i romanzi del poeta Marco,
ed ogni tavolin n’era giá carco.

Le universali letture erano allora le opere del Chiari e del Goldoni. Dalla ottava 37 all’ottava 46 è censura derisoria de’ romanzi del Chiarí.

Stanza 71.

. . . Grazie a Salomone
ed a Rutilio, in altro sono dotto...
Servo mille persojie del paese
con la mia Fiorentina e Bolognese.

Rutilio Benincasa fu astronomo, e l’opere sue sorto molto studiate e considerate da’ giuocatori al lotto. La Fiorentina e la Bolognese sono di que’ molti libriccini di cabafe numeriche, che si vendono agl’infiniti creduli giuocatori del lotto. Quanto agli anacronismi dell’ottava 71, si è detto che l’autore della Marfisa volle usarli a suo talento per render chiara la sua allegorica intenzione, senza curarsi delle stitiche censure in tal proposito.

ANNOTAZIONI AL CANTO UNDECIMO

Stanza 8.

e dice: — Eccovi alfin quel del formaggio...

Proverbio comune in Venezia. «Trovar quel del formaggio»

vale abbattersi a chi sa castigare.

Stanza 9.

ne sa quanto un Macope ad una ura...

Macope fu celebre professore di medicina nella universitá di Padova. [p. 344 modifica]

Stanza 79.

No, che non v’è ne’ romanzi del Chiari
sorpresa a quella di Marfísa eguale...

L’abate Chiari nelle sue commedie e nei suoi romanzi studiava e procurava sempre di sbalordire gli spettatori e i lettori colle sorprese maravigliose e gli accidenti impossibili.

Stanza 102.

Certi Macmud dipingono prudenti,
molto teneri in cor, molto pietosi,
certi bey, filosofi saccenti,
moralisti, divoti e generosi;
e per converso Cristian malviventi,
marchesi ladri e conti pidocchiosi...

Son prese di mira le commedie del Goldoni, e particolarmente le Persiane e le altre commedie turche, che correano in quel tempo ne’ teatri di Venezia.

Stanza 108.

perocché certo e’ le sapeva tutte
e aggiunge alle dottrine di Margutte.

Margutte è il personaggio d’un ateo, ladro, ghiottone e colmo di tutti i vizi, dipinto anche con troppa vivacitá e imprudenza, ma felicemente e comicamente, da Luigi Pulci nel suo poema del Morgante.

ANNOTAZIONI AL CANTO DUODECIMO ED ULTIMO

Stanza 5.

Solo i Marchi e i Mattei da San Michele
hanno alcune cagion d’irritamento...

L’ottava contiene una ingenua e cordiale veritá, non essendo l’autore della Marfisa (sempre risibile e scherzevole) stato avverso al Chiari ed al Goldoni che per uno zelo letterario d’opinione, in accordo co* suoi soci accademici detti granelleschi, e per la [p. 345 modifica]sovversione che facevano gli scritti di quelle due persone, sviando la gioventú dallo studio della nostra lingua legittima litterale, dalla eloquenza, dalla varietá dello stile e dalla colta poesia italiana ne* differenti generi.

Stanza 23.

con que’ meschin cinque ducati al mese...

Gli ufficiali militari dell’armata veneta, che venivano riformati dopo il loro servizio, restavano con la sola paga mensuale di venti soldi al giorno.

Stanza 32.

Dal suo procurator corre volando.
Ecco un messo togato viene ansante,
che intima una gran pena al conte Orlando
e nel casotto sequestra il gigante...

Dalla ottava 32 a tutta la ottava 35 l’autore della Marfisa dá un’idea al lettore de’ raggiri interminabili usati da’ causidici del fòro veneto.

Stanza 49.

da que’ che balzan giú da’ campanili...

I suicidii erano divenuti frequenti in Venezia. Parecchi disperati avevano scelta la morte volontaria con lo scagliarsi dall’enorme altezza del campanile di San Marco, e morivano stritolati e stracciati.

Stanza 56.

a’ mascalzoni affamati e assetati...

A Venezia vivono molti viziosi scioperati della plebaglia vendendo relazioni a stampa, vere, inventate o false, bandi e notizie di rei giustiziati, gridando con voci fastidiose e correndo per tutta la cittá, anche prima che l’infelice condannato abbia subita la sentenza, per trarne sollecitamente danari da spendere alla taverna.

Stanza 67.

la favola di Mida e del barbiere...

La favola di Mida, re di Frigia — che aveva le orecchie d’asino e le teneva occulte per vergogna, e del barbiere che lo tondeva [p. 346 modifica]e che, pena la vita, non doveva palesare il secreto; il quale si sfogò palesandolo in un buco della terra, dal quale buco spuntarono canne, che percosse dal vento suonavano: «Mida ha l’orecchie d’asino», palesando cosí la sciagura di Mida, — è favola nota.

Stanza 89.

Si leggea nel lunario da Bassano...

Altro anacronismo dell’arbitrio dell’autore della Marfisa. Moltissimi lunari degli anni successivi, che si vendono in Venezia, giungono dalle stamperie di Bassano o di Trevigi.

Stanza 114.

Non eran di Parigi i bei talenti...

Sotto il nome di Parigi e di Francia s’interpreti sempre Venezia allegoricamente.

Stanza 116.

Marco e Matteo non eran piú scrittori,
che di seccar le coglie erano rei...

Le opere teatrali del Chiari erano rifiutate da’ comici, perché non facevano piú alcun effetto in iscena, ed egli s’era ritirato a Brescia. Il Goldoni era passato a Parigi a cercar quella fortuna che in Venezia s’era per lui raffreddata.

Stanza 145.

Ecco i ministri ch’alzano il sipario,
e son piú di duemila giunti in scena...

I ministri della repubblica di Venezia stipendiati e con la cieca facoltá di poter lucrare quegl’incerti, ch’essi sapevano procurarsi e far certi, erano un numero infinito. [p. 347 modifica]

NOTA

[p. 349 modifica]Una parte della storia della Marfisa è data dal G. stesso, un po’ nella prefazione, un po’ nelle Annotazioni. Sicché possiamo risparmiarci di rifarla per intero, bastando riprenderla dal punto in cui l’autore l’ha lasciata.

Scritti dunque i primi dieci canti nel 1761, e gli ultimi due, nonché dedica e prefazione, sette anni dopo (cioè nel 1768), il G. tenne chiuso per altri quattro anni il ms. nel suo cassetto, prima di darlo alla luce. Infatti soltanto nel 1772, con la falsa data di Firenze (ma con l’aggiunta: «E si vende da Paolo Colombani in Venezia, all’insegna della pace»), venne pubblicata per la prima e sola volta: La Marfisa bizzarra, poema faceto, nelle opere del conte Carlo Gozzi tomo VII. È un volume in-i6 di 398 pagine, oltre una pagina innumerata di Errata-corrige, nella guale, a dir vero, non è elencata neppure la metà dei molti errori di stampa ond’è deturpata la non bella edizione.

Del lavoro il G. non restò troppo soddisfatto: gli pareva, a suo dire, macchiato «di sbagli ed errori, i quali accrescono bruttura alla naturale bruttura del poema»1. Perciò, a libro finito, e, come pare, dopo il 17972, vi tornò su, e ne apparecchiò una seconda edizione, tempestando di correzioni i margini d’un esemplare stampato, intercalando alcune giunte e portando alle proporzioni [p. 350 modifica]di vere e proprie Annotazioni le poche e brevi note sparse qua e lá nell’edizione Colombani.

Questa nuova edizione avrebbe dovuto esser costituita, secondo il desiderio dell’autore, da due piccoli volumi3, e recare il titolo:

La Marfisa bizzarra, poema faceto del conte Carlo Gozzi veneziano, cogli argomenti del ntedesitno autore. Seconda edizione, ricorretta, emendata e accresciuta, giuntevi alcune annotazioni al fine d’ogni canto.

Senonché la desiderata ristampa, per ragioni a noi ignote, non potè mai aver luogo, vivente il G. Dopo la sua morte (1806), l’esemplare da lui postillato, venuto in ereditá al nipote Carlo (figlio di Gasparo), fu da quest’ultimo dato temporaneamente in prestito al segretario Gradenigo, che s’affrettava a ricopiare giunte e correzioni su d’un altro esemplare, alla fine del quale annotava:

«1806, 14 luglio. Ho io sottoscritto terminato di copiare le aggiunte e le correzioni fatte dal chiaro autore sull’origfinale che potei avere scritto dal di lui carattere. Gradenigo». Quasi nel medesimo tempo (1809) Angelo Dalmistro, grande ammiratore del Gozzi, s’accingeva a curar lui la nuova edizione della Marfisa.

Ottenne in prestito l’apografo Gradenigo, lo apparecchiò per la stampa, aggiungendovi di sua mano altre correzioni, trovò anche lo stampatore: non restava altro (cosa che a lui sembrava facile) che il giá ricordato erede del Gozzi accordasse il necessario consenso.

«O il nipote dell’autore — scriveva da Montebellun, il 5 febbraio 1809, per l’appunto al Gradenigo — la fa stampare egli, o facciola stampare io: in ogni maniera io ne sarò contento, purché un si ricco dono si faccia all’Italia, che da qualche anno l’aspetta».

Ma, o che il consenso non fosse stato dato o quale altra sia stata la ragione, la ristampa, disegnata dal Dalmistro con tanta fermezza di propositi, andò in fumo. Chi ci perdette piú di tutti, fu il povero Gradenigo. È vero che il Dalmistro gli aveva promesso, nella lettera avanti citata, che «l’esemplare postillato, anzi corredato di giunte, da lui favorito, sarebbe stato tenuto sotto la piú stretta custodia diurna e notturna». Senonché codesta custodia fu cosí ferocemente gelosa o (che può anche darsi) cosí sciaguratamente [p. 351 modifica]trascurata, che il prezioso libro, invece di ritornare nelle mani del legittimo proprietario o del figlio di lui, il nobile Vittore Gradenigo (che della non avvenuta restituzione si lagnava col Cicogna), passò non si sa né come né quando (forse prima, forse dopo la morte del Dalmistro), in quelle di Bartolomeo Gamba. Dal Gamba a sua volta lo ebbe in prestito nel 1840 Emanuele Cicogna, il quale ricopiò correzioni e giunte su di un terzo esemplare, che, giunto fino a noi, si conserva nel Museo civico e Correr di Venezia Libri postillati, H, 17).

Un solo punto oscuro resta in questa narrazione, che abbiamo riassunta da un proemio aggiunto dal medesimo Cicogna all’esemplare sopra menzionato.

Il Cicogna annota: «Oggi, primo giugno 1856, ho veduto presso il signor conte Carlo Gozzi, figlio di Gaspare, quondam Almorò ossia presso il nipote dell’ultimo dei fratelli del Nostro l’originale, stampa e manoscritto della Marfisa, ch’io e Tessier credevamo perduto, ma che fu sempre gelosamente conservato nella famiglia di Carlo, ed ogg^ è appunto nelle mani del consigliere Carlo Gozzi con altri autografi del chiarissimo autore».

Ora, ebbe il Cicogna l’idea e l’agio d collazionare la copia, da lui estratta dall’apografo Gradenigo, sull’autografo gozziano? Nessun documento abbiamo rinvenuto che ci permetta di dare, a codesto interrogativo, una risposta affermativa o negativa. C è quindi solamente da augurarsi (e anche da supporre, data l’accuratezza e la -scrupolositá ben note del Cicogna) che le cose sieno andate nel modo criticamente piú desiderabile; in gfuisa che perfetto equipK)!lente dell’autografo gozziano sia riuscita la copia del Cicogna, che, in mancanza di meglio, abbiamo dovuto prendere a fondamento della presente edizione.

Confrontata con l’edizione Colombani, essa, oltre molte varianti formali, che non è il caso d’enumerare, presenta le seguenti aggiunte:

a) Canto i — ottave 51-2, 66-7, 72-8.
b) Canto V — ottave 84-100.
c) Canto XII — ottave 118-32, 139.
d) Tutta rappendice4. [p. 352 modifica]

Inoltre quelle che nell’edizione Colombani, per un assai palese errore d’impaginazione, erano le ottave 12-5 del canto quinto, presero nell’esemplare postillato il posto che loro toccava logicamente, il posto cioè delle ottave 8-1 1; e cosí all’inverso.

Non ci pare necessario di fare troppe parole sui criteri, comuni a tutti i volumi degli Scrittori d’Italia, seguiti in questa ristampa. Basta avvertire che, oltre alla correzione di qualche svista tipografica sfuggfita al medesimo G., abbiamo rettificato anche alcuni evidenti errori di distrazione, se non, anche essi, meramente tipografici, che guastavano la struttura del verso (p. es., «avea» e simili per «aveva», e all’inverso; «lor» e simili per «loro», e all’inverso, ecc. ecc.). — E neppure mette conto di estenderci in particolari bibliografici. Purtroppo la Maifisa, non ostante i suoi innegabili pregi di vivezza e freschezza, che ne costituiscono uno dei migliori poemi eroicomici della letteratura italiana (tale anzi da esser collocata assai piú in alto di lavori congeneri, i quali godono da secoli reputazione troppo superiore ai propri meriti), non ha allettato finora nessuno studioso a farla oggetto d’uno studio critico. Bisogna dunque contentarsi dei magri accenni che si trovano in lavori d’indole generale intorno al G., giá catalogati quasi tutti in bibliografie speciali, ricordate dal Prezzolini nella Nota alla sua edizione delle Memorie inutili.

Nostro dovere imprescindibile è invece quello di manifestare tutta la nostra gratitudine al dr. Ricciotti Bratti del Museo civico e Correr di Venezia, il quale, assumendosi cortesemente per noi la parte piú delicata e ingrata del lavoro, ossia compiendo lo spoglio delle giunte e varianti dell’apografo Cicogna, ci ha permesso di riprodurre la forma definitiva voluta dal G., o almeno quella che, giusta i documenti che si posseggono, deve essere ritenuta tale. [p. 353 modifica]

INDICE


A Sua Eccellenza la signora Caterina Dolfíno cavaliera e procuratoressa Tron, Carlo Gozzi pag. 3
Prefazione scritta tra i dubbio che sia necessaria e ’l dubbio che sia inconcludente » 7
Canto primo » 13
» secondo » 35
» terzo » 57
» quarto » 77
» quinto » 99
» sesto » 133
» settimo » 159
» ottavo » 183
» nono » 205
» decimo » 225
» undecimo » 247
» duodecimo ed ultimo » 281
Appendice
I    — Lo scrittore della Marfisa a’ suoi lettori umanissimi » 323
II   — Annotazioni
Avvertimento » 329
Annotazioni al canto primo » ivi
» » secondo » 332
» » terzo » 333
» » quarto » 334
» » quinto » 336
» » sesto » 338
» » settimo » 339
» » ottavo » 340
» » nono » 341
» » decimo » 342
» » undecimo » 343
» » duodecimo ed ultimo » 344
  1. Gamba, in Biografie degli italuxni illustri del Db Tipaldo, ni (Venezia, 1836), 339 «•
  2. «Osservo che le giunte e annotazioni del G. devono essere state da lui fatte dopo il 1797, cioè dopo la caduta della repubblica, se non tutte almeno in parte, giacché nella annotazione alla stanza 46 del canto quinto si parla del bucintoro come cosa ch’era riccbiasima». Cosi il Cicogna, nel suo proemio più appresso citato.
  3. Quest’esemplare preparato per la stampa era «diviso in due tometti, legati in rustico, con carte frammezzate... Il primo tonietto aveva pagine 226 tra stampa e ms., il secondo... pur pagine 226...; senonché per errore era scritto 126» (Cicogna, loc. cit.).
  4. Una parte di questa, e cioè le AnnotasioHt, fu giá pubblicata da G. B. Magrini, a pp. 275-98 de /tempi, la vita e gli scritti di C. G., aggiuntevi le sue ottHOtaswni inedite della Marfisa bizzarra (Napoli, D’Angelilli, 1S87). Il resto (e cosí de pori le ottave aggiunte) comparisce nella nostra edizione per la prima volta.