Chi vuol fiabe, chi vuole?/Le nozze di Primpellino
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LE NOZZE DI PRIMPELLINO
Or accadde che una notte furono svegliati di soprassalto da un forte picchio all’uscio. Dapprima credettero che fosse il vento; infatti veniva giù un rovescione d’acqua accompagnato da un ventaccio furioso, che scoteva tutta la casetta. Si udì un altro picchio, e poi una flebile voce:
— Ricoverate, per carità, una povera vecchia che ha smarrito la strada! —
Senza esitare, il marito saltò giù dal letto, si vestì in fretta e corse ad aprire.
La vecchina grondava, faceva pietà.
Si era levata anche la moglie; e mentre il marito accendeva un bel fuoco, aiutava la vecchina a mutar panni, e la ristorava con un bicchiere di vino. Poi, mèssala a letto, la copriva bene per riscaldarla.
La mattina dopo, nel punto di andar via, la vecchina disse:
— Non so come ringraziarvi della carità che mi avete fatto. Vi lascio questi tre semi. Seminateli d’estate; faranno il frutto in inverno. Uno all’anno, badate.
— Che semi sono?
Seme, semino,
Acqua la sera, zappa il mattino.
Seme, semetto,
Figliola o figlioletto;
Seme, semino,
Primpella o Primpellino.
Appena fuori dell’uscio, la vecchina era sparita.
— Ah, maritino mio! Questa è la nostra fortuna. Hai sentito? Figliola o figlioletto. Costei era una maga o una fata.
— O una pazza — soggiunse il marito. — Come vuoi che da una pianta venga fuori un figliolo o una figliola?
— Le maghe e le fate posson fare anche questo.
— Semineremo di estate e attenderemo il frutto d’inverno. Ma forse nascerà qualche erbaccia maligna.
— Non dire così, marito mio! Questa è la nostra fortuna.
E, al principio dell’estate, seminarono uno di quei semini.
Spuntarono due foglioline, poi altre due. Acqua la sera, zappa il mattino.
— Che pianta sarà, marito mio?
— Non si capisce; ma, se dovessi dire, mi sembra pianta di zucca.
Le foglie crebbero, si allargarono; il ceppo si allungò come un esile traicio...
— Che pianta sarà, marito mio?
— Non vedi? È proprio pianta di zucca.
— Se mai, non di zucca come tutte le altre.
— Vernina o frataia, le zucche si valgono. —
Venne il fiore, grosso, giallo, e più tardi spuntò anche il frutto; non c’era più da dubitare.
— È stata una bella beffa! Quando questa zucca sarà matura, la coglieremo, le daremo nome Primpella come disse la vecchia, e la terremo per nostra figliola!
— Non ridere, marito mio! Aspettiamo fino all’ultimo. —
Acqua la sera, zappa il mattino; a questo badava la donna. La zucca cresceva d’un bel verde, e la donna la covava con gli occhi, quasi dovesse vederla, da un momento all’altro, mutarsi in una creaturina di carne e ossa.
— È strano, — diceva al marito — non ti sembra che prenda di giorno in giorno la forma di una bambina?
Infatti quella zucca, unico prodotto della pianta che si stendeva per lungo e per largo nell’orto con viticci e grandi foglie, dalla parte del picciòlo aveva una rotondità che somigliava a una testa di bambino; poi si allargava, si allungava... insomma, con la buona volontà che ci metteva la donna, aveva tutta l’aria di un bambino in fasce, nascosto dentro la buccia diventata così gialla da parere dorata.
La donna — acqua la sera, zappa la mattina — la covava con gli occhi, quasi dovesse vederla, da un momento all’altro, mutarsi in una creaturina di carne e ossa.
— Cogliàmola, è matura.
— Attendiamo ancora, marito mio.
— S’infraciderà.
— Fino a quest’altra settimana, attendiamo.
— Seme, semino,
Primpella o Primpellino.
Non poteva cavarselo di mente, non ostante la canzonatura del marito. E una mattina ch’ella stava a covare con gli occhi la bella zucca, le parve di vederla agitare un pochino, senza che nessuno la toccasse. Dunque c’era dentro qualcosa di vivo! Primpella o Primpellino, forse! E la povera donna non stiè più su le mosse; corse in cucina, prese un coltellaccio e, senza dir niente al marito, spaccò per lungo la zucca. Stupì.
In mezzo a quella specie di rete a cui sono attaccati i semi, era una creaturina bianca bianca, piccina piccina che diè un lieve vagito e spirò. La donna cominciò a darsi pugni in testa, a strapparsi i capelli, a piangere e a strillare.
— Ahimè, Primpella mia! Ahimè, Che pianta sarà, marito mio? (pag. 296) Primpellino mio! O l’una o l’altro, ti ho ucciso con le mie mani!
Accorse il marito.
— Non è niente, moglietta mia. Abbiamo altri due semi. Pazienza. Attenderemo ancora un anno.
La donna pianse la intera giornata; e il marito, verso sera, scavata una buca in fondo al prato, vi seppellì la zucca con entro la creaturina bianca bianca, piccina piccina.
— Primpella?... O Primpellino?...
— Moglietta mia, non ci ho guardato. — E quando tornò l’estate, seminarono un altro di quei semi. Acqua la sera, zappa il mattino; a questo badava la donna. E dopo una settimana, spuntarono due foglioline; poi altre due.
— Che pianta sarà, marito mio?
— Non si capisce; ma, se dovessi dire, mi sembra un popone.
— Qualunque sia, la terra lo nutrisca e il sole lo maturi! È la nostra fortuna, marito mio!
— Purchè non ci entri di mezzo la fretta... tu m’intendi, moglie! —
Era una pianta di popone, e produceva un solo frutto. La donna lo covava con gli occhi, non osava di toccarlo con un dito. Acqua la sera, zappa il mattino.
— Non ti sembra, marito mio, che prenda, di giorno in giorno, la forma di un bambino?
— Arancino o moscadello,
Quando è tempo di poponi
Non scordarti del coltello!
— Moscadello od arancino,
Attendiamo che si spacchi,
O Primpella o Primpellino. —
Il marito diceva così per ammonire la moglie, e la moglie rispondeva così per rassicurare il marito. Ed ora, invece di due, quattro occhi covavano il bel popone ovato, con la buccia aspra, solcata, maturante nel terreno grasso, tra le foglie diradate a posta perchè il sole lo investisse da ogni parte.
— Sarà tempo, marito mio?
— Non è tempo, moglina mia. Attendiamo che si spacchi.
— Sì, attendiamo che si spacchi. —
E restavano là, incantati a guardare, quasi dovessero veder aprirsi il popone e uscir fuori una creaturina di carne e di ossa. Arrivò finalmente il giorno in cui il popone si spaccò.
Era infracidito sul terreno grasso, e dentro, tra la polpa verdastra, si scorgeva imputridita una creaturina compiuta, morta per non essere stata liberata dall’involucro a tempo opportuno!
La donna cominciò a darsi pugni in testa, a strapparsi i capelli, a piangere, e strillare:
— Ahimè, Primpella mia! Ahimè, Primpellino mio!
— Non è niente! Abbiamo un ultimo seme. Pazienza! Attenderemo ancora un altr’anno.
La donna pianse la intera giornata, e il marito, verso sera, scavò una buca in fondo al prato, accanto alla prima, e vi seppellì il popone infracidito e la creaturina putrefatta.
— Primpella?... O Primpellino?
— Moglietta mia, non ci ho badato. —
E quando tornò l’estate, seminarono l’ultimo seme.
Acqua la sera, zappa il mattino; a questo badava la donna. Quantunque molto scoraggiati, marito e moglie però non disperavano; e, appena levati da letto, andavano sul posto, e, come invocazione, ripetevano:
— Seme, semino,
Primpella o Primpellino! —
Venne su una pianta, con piccole foglie che s’infoltirono nei rami; ma intanto, nè fiori, nè frutto, e non si sapeva che pianta fosse. Il marito diceva:
— Sarà questo... Sarà quest’altro! —
Tirava a indovinare. Intanto, nè fiori, nè frutti, e i mesi passavano!
Finalmente, ecco i bocciolini e poi i fioretti stellati a cinque foglioline. Che cosa poteva seguirne? Qualche piccola bacca.
Eppure marito e moglie non disperavano; e ogni mattina, appena levati da letto, andavano sul posto, e, come invocazione, ripetevano:
— Seme, semino,
Primpella o Primpellino. —
Un giorno passò di là un vecchione curvo, capelluto, barbuto, che si fermò davanti alla porta della casetta chiedendo un bicchier d’acqua. Mentre la donna lo serviva, il vecchione guardava attorno, quasi frugasse con gli occhi mezzi nascosti sotto le folte sopracciglia.
— Oh!... Che ve ne fate di quella pianta?
— Non sappiamo neppure che pianta sia.
— Si chiama Mandragora. Se voleste disfarvi della radice, ve la pagherei a peso d’oro. —
Marito e moglie si guardarono negli occhi.
— Non la vendiamo! Non la vendiamo! — risposero ad una voce.
E appena quel vecchio fu andato via, scavarono con le mani la terra e trassero fuori la radice. Diedero un grido:
— Primpella? O Primpellino? —
Si vedeva un omino, una creaturina scura scura, qualcosa che non era o non sembrava radice, e non era o non sembrava ancora proprio una creatura viva.
— Ah! Questa volta non saremo delusi. —
E portarono la pianta in casa e la posarono delicatamente su un giaciglio, accanto al focolare.
Quella notte, marito e moglie non potevano chiudere occhio.
— Hai sentito? Si è mosso qualcosa.
— Ti sarà parso; vediamo. —
Il marito accendeva il lume e andava a guardare; la radice era là, rigida, ferma.
— Tentiamo di dormire, moglie mia. —
Verso mezzanotte, di nuovo:
— Hai sentito? Si è mosso qualcosa.
— Ti sarà parso; vediamo. —
Ma prima che riaccendessero il lume, ecco qualcosa di grave che saltava sul letto e sgambettava e vagiva: 'nguèe! ’nguèe! ’nguèe!
Dalla grande gioia, non trovavano modo di accendere il lume; ma così, al buio, la donna aveva già preso tra le braccia la creatura viva che sguizzava con le gambettine e pareva volesse fuggirle.
Era un bel bambino roseo, biondo, grassoccio, che si sarebbe detto nato da due mesi, e che aveva l’argento vivo addosso. Invece di vagire, già parlava; poche ore dopo, si rizzava bene su le gambine; e prima di mezzogiorno, andava per casa come un frugolino, rimestando, spostando, urtando ogni cosa.
Marito e moglie sembravano impazziti dalla gioia; gli stavano attorno, temendo che si facesse male.
— No, Primpellino!
— Bada, bada, Primpellino! —
Avevano un corredino, preparato da anni, ingiallito nelle cassette, e bastò per vestirlo nei primi giorni. Ma quel demonietto cresceva a vista d’occhio. La donna dovette mettersi a tagliare e a cucire altre camicie, altri vestitini, e quantunque li tagliasse proprio a crescenza, bastavano appena per quindici giorni.
Nei primi mesi era stato un divertimento tutto quell’armeggio, ma ora la povera donna non aveva più tempo di occuparsi di niente.
— Primpellino, che cosa fai? Primpellino, dove vai? Primpellino, non toccare! Primpellino, non saltare! —
E spesso lo perdeva di vista.
— Primpellino, dove sei?
Le rispondeva dalla stalla. Accorreva, e lo trovava tra le gambe della mucca.
— Primpellino, dove sei?
Le rispondeva dal pollaio. Accorreva, e lo trovava che faceva saltare per aria i gusci delle uova fresche che si era succhiato.
— Primpellino, dove sei? —
E le rispondeva dall’alto di un fico, di un pesco, di un gelso moro, dove si era tutto impiastricciato faccia, mani e vestiti, da riconoscersi a stento.
— Ah, Primpellino, Primpellino! Tu sei la disperazione di babbo e mamma. —
Anche di babbo, perchè Primpellino, per giocare, si serviva di qualunque cosa gli venisse sotto mano: zappe, rastrelli, seghe, pennati, roncole; li trascinava qua e là, nè si sapeva mai dove li lasciasse.
— Ah, Primpellino, Primpellino! Tu sei la disperazione di babbo e mamma. —
Ma, nello stesso tempo, egli era buono, servizievole, sollecito se gli si chiedeva di fare qualcosa. Andava e veniva, così celermente, che certe volte babbo e mamma stentavano a credere che egli avesse eseguito l’incarico dàtogli.
Non occorreva d’insegnargli, sapeva già fare ogni cosa.
La donna impastava il pane e lo metteva a lievitare; intanto si allontanava di casa per qualche faccenda. Al ritorno:
— Ah, Primpellino, che hai fatto! —
Il pane era già bell’e sfornato, caldo, di perfetta cottura.
L’omo gli diceva:
— A potare si fa così; quando sarai cresciuto mi aiuterai. —
Senza farsi scorgere, Primpellino afferrava un pennato e via:nel folto della vigna.
— Primpellino, dove sei? —
Rispondeva di colà. E si vedeva Primpellino che dava colpi a destra, a facendo saltar per aria i tralci, quasi operasse una devastazione.
Il babbo accorreva, con le braccia in alto, gridando:
— Smetti, smetti, tristanzuolo! stra
Ma arrivato sul posto, trovava già compiuto un lavoro per cui non sarebbero bastate due giornate, e così esattamente da rimanerne stupito. Era già un bel ragazzino, forte, muscoloso; e intanto si nutriva soltanto di latte, di uova e di frutta.
La mattina, cerca Primpellino di qua, cerca Primpellino di là, lo trovavano inginocchiato per terra fra le gambe della mucca, e succhiava, succhiava il latte; quello munto non voleva berlo.
Più tardi, cerca Primpellino di qua, cerca Primpellino di là, lo trovavano nel pollaio che frugava nei corbelli per trovarvi le uova fresche. Vi faceva due buchini sulla punta, e se le sorbiva con un sorso. Serbava i gusci in un canto.
— Perchè quei gusci, Primpellino?
— Per farli covare dalla chioccia, mammina cara!
— Sei sciocco, Primpellino! stra
Ma appena una delle galline diè il segno di esser chioccia, Primpellino preparava un corbello con paglia e fieno, vi disponeva una ventina di gusci di uova, e vi poneva su la chioccia per covarli. S’intese un gran scricchiolio.
— Hai visto, sciocchino? stra
Il peso della gallina avea schiacciato i gusci, ma sotto le ali e attorno al petto di essa erano accoccolati venti pulcini bianchi, neri, variegati che pigolavano e chiedevano da beccare. E in un canto era già pronto un vassoio con midolla di pane sminuzzata intrisa col vino, e mescolata con prezzemolo tagliuzzato e qualche cima di menta.
In certi momenti, marito e moglie avevano paura di quel figliuolo che riusciva a fare tutte quelle cose, quasi avesse la magia nella punta delle dita. Notavano:
— È cresciuto prestamente da principio; ora non cresce più.
— Meglio, marito mio, se rimarrà sempre ragazzino.
— Perchè?
— Perchè così non prenderà moglie, e non metterà su casa da sè.
Aveva appena finito di parlare, che dalla cucina, dove si trovava, Primpellino si mise a cantare:
— Babbo bello,
mamma bella,
Primpellino vuol Primpella;
Se tra un anno non l’avrà,
Primpellino se n’andrà. —
Accorsero in cucina, spaventati della minaccia.
— Che significa, Primpellino?
— Significa che tra un anno dovete farmi Primpella. Appena nata la sposerò.
Se tra un anno non l’avrà,
Primpellino se n’andrà. —
— Dove, Primpellino? dove?
— Nel mio paese, sottoterra!
— E avresti cuore di lasciarci?
— Babbo bello, mamma bella,
Primpellino vuol Primpella.
Egli non rispose altro. Diè un salto dalla finestra, e poi altri due o tre, e andò ad arrampicarsi in cima a un ciliegio e si mise a spolpare ciliege, divertendosi a lanciare lontano gli ossi con un cannellino. E di tanto in tanto ripeteva:
— Babbo bello, mamma bella...
— Come faremo, marito mio?
— Come vorrà la sorte, moglie mia. —
Si sentivano attaccati a Primpellino, quasi fosse una creatura delle loro viscere. Gli perdonavano tutte le bizzarrie, tutte le stranezze; ormai si erano abituati; ma ogni loro felicità era cascata giù al tristissimo annunzio: Primpellino se n’andrà! Sapevano per prova che neppure una sillaba di Primpellino andava in fallo! E si vedevano perduti, se non trovavano modo di avere Primpella per farla sposare con Primpellino.
Egli intanto diventava più strano, più capriccioso, più pazzerellone di prima.
Vedeva una stella filante? E gridava:
— Mamma, mamma, affèrrala! —
E poichè la mamma non gliel’afferrava, quantunque per contentarlo ne facesse l’atto, Primpellino si arrabbiava, pestava i piedi, strillava. Per sfogarsi, saltava in cima a un pesco e faceva una bella scorpacciata delle pesche più belle.
Vedeva un largo raggio di sole, formicolante di pulviscolo che penetrava dalla finestra? E subito gridava:
— Mamma, tienlo fermo; voglio salirvi su e montare in alto! —
E poichè la mamma non poteva render solido il raggio del sole formicolante di pulviscolo, Primpellino si arrabbiava, pestava i piedi, strillava. Per sfogarsi saltava in cima a un gelso moro, e faceva una bella scorpacciata di gelso tingendosi di rosso le mani, i vestiti, impiastricciandosi la faccia. Poi saltava giù dall’albero, e pareva dovesse fiaccarsi il collo; si tuffava, vestito com’era, nella vaschetta dell’orto, e ne usciva ripulito da capo a piedi.
Dava una scrollatina di braccia, di gambe ed era più asciutto di un osso. Certe mattine si levava con la voglia di fare una corsa a cavallo dell’asinello. L’asinello era vecchio, con la coda spelata, con le lunghe orecchie ciondoloni. Ma il mariuolo:sapeva come farlo correre e saltare. Prendeva una manata di spine e gliele legava sotto la coda. L’asinello, per liberarsene, correva, saltava, tirava calci; e lui, in groppa, afferrato alle orecchie. L’asinello pareva impazzito; e Primpellino rideva, gli batteva i fianchi con le calcagna, gridava:
— Bravo! Bravo! Bravo! —
E quando l’aveva così martoriato un bel pezzetto e il povero animale non ne poteva più, Primpellino gli slegava le spine di sotto la coda, e, saltato giù, lo accarezzava, gli dava la biada, lo conduceva alla vasca per farlo bere, e poi su l’aia perchè si rivoltolasse tra la polvere. Non lo lasciava tranquillo finchè l’asino non si risolveva a fargli un raglio quasi di ringraziamento. Allora lo legava alla mangiatoia e si rivolgeva a un altro divertimento.
Non lo contrariavano, lo lasciavan fare, quantunque continuamente temessero che non gli accadesse qualche guaio.
Una volta la mamma gli disse:
— Primpellino, prendi la brocca e vai a riempirla alla fontana.
— La brocca è pesante; prendo un paniere.
E avanti che la mamma gli gridasse: — Che cosa fai? — egli era già andato alla fontana e tornava, reggendo a stento il paniere che non versava una goccia d’acqua.
Un’altra volta, vedendo che il babbo, aggiogati il bue e la vacca, li aveva attaccati all’aratro, Primpellino gli disse:
— No, babbo; col solo aratro si fa meglio. —
E in un attimo, staccati il bue e la vacca, impugnava, con tutt’e due le mani, il manico dell’aratro, e lo spingeva avanti quasi fosse stato un fuscello. L’aratro andava e veniva, smovendo il terreno col vomero, facendo larghi solchi e profondi, con gran stupore del contadino che non credeva ai suoi occhi.
In men di un’ora, Primpellino aveva fornito il lavoro di due o tre giornate.
E per ciò, marito e moglie non sapevano rassegnarsi al pensiero che un giorno L’asinello correva... saltava, tirava calci; e lui, in groppa, afferrato alle orecchie. (pag. 315) o l’altro, se non avesse sposato Primpella, Primpellino sarebbe andato via, ed essi lo avrebbero pianto per tutta la vita.
— Ah, marito mio! Ho sognato la vecchina, quella dei semi. Mi ha detto: State allegri; Primpella è per via! —
Ed era vero. Quando Primpellino seppe che la mamma, finalmente, portava in seno Primpella — già la chiamava così — non stiè più nei panni dalla gioia.
— Mamma, lasciami ascoltare! —
Poggiava un orecchio sul seno di lei e stava immobile, trattenendo il fiato.
— Primpella! Primpellal Mi vuoi per marito? —
E non ricevendo risposta, si stizziva, pestava i piedi, strillava, piangeva.
— Facciamola uscir fuori subito! —
Era andato in cucina, aveva preso un coltellaccio, e dovette accorrere il babbo per levarglielo di mano e impedirgli che commettesse l’orrore di ferire la mamma.
Si svincolò, diè un salto sul tetto, e sedutosi su la grondaia, con le gambine penzoloni, chiamava a gran voce:
— Primpella! Primpella! —
E stette lassù tutta la nottata, gridando:
— Voglio Primpella! Voglio Primpella! —
La mattina, allo spuntar del sole, saltò giù.
— Mamma, lasciami ascoltare. —
Poggiava un orecchio sul seno di lei e stava immobile, trattenendo il fiato:
— Primpella, Primpella! Mi vuoi per marito? —
Naturalmente non riceveva risposta, e si stizziva, pestava i piedi, strillava, piangeva.
Marito e moglie non ne potevano più. E che cosa combinarono? Per acchetarlo, dissero:
— Primpella parlerà per bocca della mamma. —
Preparavano le feste delle nozze.
— Voglio un bel vestito, tutto di seta. —
E gli fecero un bel vestito tutto di seta.
— Voglio un bel cappello di paglia col nastro azzurro. —
E gli fecero un bel cappello di paglia col nastro azzurro.
— Dovete invitare l’asinello, che raglierà.
— Inviteremo l’asinello, che raglierà.
— Dovete invitare il bue e la mucca, che muggiranno.
— Sì, come tu vuoi, Primpellino.
— Dovete invitare il gallo con le galline. Il gallo farà chicchirichi e le galline chiocceranno e faranno le uova.
— Sì, come tu vuoi, Primpellino.
— E dovete fare una torta grande quanto un corbello.
— Sì, una torta, grande quanto un corbello, Primpellino. —
Pur di vederlo star tranquillo, avrebbero promesso chi sa che altro!
La mamma cuciva il vestito di seta, e Primpellino cheto come l’olio, stava a guardare.
Il babbo aveva comprato il cappello di paglia col nastro azzurro, e Primpelllno si divertiva a provarselo in testa e a levarselo per osservare il bel nastro azzurro.
La mamma impastava la torta grande quanto un corbello, e Primpellino, zitto, con le mani dietro la schiena, girava torno torno alla madia, sgranando gli occhi dalla contentezza.
E il giorno delle nozze, trassero di stalla l’asinello, il bue e la:mucca e li condussero davanti l’uscio; aprirono il pollaio e,:spargendo manate di becchime, raccolsero davanti alla casa il gallo e le dodici galline.
Primpellino, vestito da sposo, si pavoneggiava, strofinandosi le mani dall’allegrezza.
— Asinello, perchè non ragli? —
L’asinello, a testa bassa, con le orecchie ciondoloni, pareva fiutasse il terreno.
— Bue e mucca, perchè non muggite?
Essi ruminavano, ruminavano, soffiando di tanto in tanto con le narici umide, e pensavano a tutt’altro che a muggire.
— Gallo, perchè non fai chicchirichì? Galline, perchè non chiocciate e non fate le uova? —
Gallo e galline badavano a becchettare; c’era tanto buon grano, per terra!
— Non importa! Non importa! Ora sposo Primpella! Mi vuoi per marito, mi vuoi?
— No! No! No! —
La povera donna non aveva potuto far a meno di rispondere così. Primpellino era rimasto di sasso.
— Come mai, moglie mia?
— Non posso rispondere altrimenti! —
Primpellino si riscosse e tornò a domandare:
— Primpella! Primpella! Mi vuoi per marito, mi vuoi?
— No! No! No! —
La voce sembrava uscisse di fondo della strozza della povera donna.
Primpellino era rimasto di sasso.
— Come mai, moglie mia?
— Non posso rispondere altrimenti! —
Marito e moglie erano atterriti di quel che accadeva.
— Primpella! Primpella! Mi vuoi per marito, mi vuoi?
— No! No! No! —
Si udì un gran rumore. Veniva giù un rovescione di acqua accompagnato da un ventaccio furioso, che scoteva tutta la casetta.
Marito e moglie si trovarono a letto, come quella notte. E in mezzo ad essi c’era una creaturina che vagiva.
— Accendi il lume, marito mio! —
Il poveretto, dallo sbalordimento, non trovava modo di accendere.
Finalmente, alla luce della candela, videro una bella bambina, come se l’eran sognata...
E Primpellino?
Non ce n’era traccia in nessun posto. Chiama, richiama; nessuno rispondeva.
— Che è mai stato? Tutto un sogno?
— Non è possibile, marito mio. —
Uscirono fuori, e che cosa trovarono nell’orto?
Una bella pianta di zucca, una bella pianta di popone, ma senza fiori nè frutto, e fra essi una pianticina con foglioline verde scuro e fiorellini stellati.
Per una settimana si sentivano vagellare la testa, non si raccapezzavano. Poi, a poco a poco, cominciarono a tranquillarsi, felici di avere quella bambina che li guardava con gli occhietti vaghi, agitava nel vuoto le manine e sorrideva.
— Questo non può esser sogno!
— No davvero, moglie mia! —
E non si stillarono il cervello per convincersi se avevano sofferto una lunga allucinazione, se avevano fatto un sogno dopo che la vecchina aveva dato loro quei tre semi. Di questo non riuscivano a dubitare: avevano Primpella — potevano chiamarla altrimenti? — e si sentivano felici. La vecchina, Maga o Fata, li aveva rimeritati così dell’ospitalità di quella notte. Si sentivano felici; ma spesso rimpiangevano:
— Se avessimo anche Primpellino! —
Tanto è vero che chi ha, più vuole avere!
Larga la foglia, lunga la via
Dite la vostra, che ho detto la mia.