Varenna e Monte di Varenna/Le più antiche notizie
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LE PIÙ ANTICHE NOTIZIE
Le origini di Varenna, e degli abitati che sorgono sulle alture, che la cingono a nord, e ad est, e che una volta prendevano il nome di Monte di Varenna si perdono nell’oscurità dei tempi. Si può però affermare, studiando l’ubicazione del villaggio, che la località dev’essere stata abitata fin dai tempi più antichi.
Varenna, posta allo sbocco di una amena e fertile valletta, circondate da due parti, da alti muraglioni, rocciosi, in uno dei punti più propizi del lago, sia per la pesca, sia per ragioni di difesa e di offesa, certamente dev’essere stata prescelta come luogo di sosta o di dimora da quelle popolazioni che prime si affacciarono sul bacino del lago di Como.
Se poi si esamina la superficie più elevata di quello sprone roccioso che si erge quasi a picco sul villaggio, e sul quale si eleva la torre di Vezio, vediamo che essa presenta tutte le caratteristiche degli antichi castellieri che, come è noto, erano i luoghi forti delle genti primitive.
Queste origini sono, naturalmente, comuni a molte altre località del lago di Como, le stazioni lacustri essendo le preferite dalle più antiche popolazioni.
Troviamo nominata Varenna, per la prima volta, in una notizia data dal non sempre attendibile Corio, nella sua storia di Milano, e che si riferisce all’anno 493.
In quell’anno il papa Gelasio avrebbe concesso al Vescovo Teodoro molti privilegi e feudi, gli avrebbe dato il titolo di conte d’Italia ed avrebbe elevato varie località di Lombardia, in corti reali, tra le quali vi sarebbe stata Varenna. Ma per quanto l’esposizione del Corio sia oscura, e poco attendibile, si capisce che il Vescovo, che era pure stato eletto conte d’Italia, in qualità di gastaldo, teneva sotto in sua amministrazione, per conto del sovrano, Varenna e le altre corti regie1.
La prima certa notizia su Varenna, la troviamo in un documento dell’anno 769, pubblicato dal Frisi e dal Porro. Si tratta del testamento, del ricchissimo diacono Grato, che possedeva oliveti e vigneti a Mandello e a Varenna.
Grato, diacono di Monza, di nobile stirpe, ammalatosi nell’agosto del 769 in Pavia, fa testamento lasciando i suoi beni di Concorezzo, Olcio, Varenna e Mandello ad una chiesa-ospedale da erigersi nella sua casa in Monza. Questo documento è scritto in pergamena in copia autentica del 1200, tratta dall’originale, quando questo era già in parte danneggiato dal tempo ed anche consunto2.
Nel testamento del diacono Grato, si trova scritto Vareno, anzichè Varena. Questa dizione potrebbe dare adito ad una nuova, ma un po’ arrischiata, supposizione, di cui voglio fare ora cenno; e cioè che il nome di Varenna potrebbe avere un’origine latina, anzichè gallo-celtica come è comunemente accettata.
Il nome Vareno del documento ci fa ricordare molto il nome proprio latino Vareno, nome portato da non poche distintissime famiglie romane.
Giulio Cesare nei suoi Commentari fa onorata menzione di L. Vareno centurione3.
Quintiliano in più luoghi parla di un Vareno, preconsole di Bitinia4.
Nelle iscrizioni riportate dal Momsen nel suo Corpus (vol V, pagina 142) ve n’è una del battistero d’Aquileia in cui è menzionato C. Vareno.
Nell’anno 1920 il prof. Alessio Valle, scoprì a Tivoli, la mensa ponderaria cioè il luogo di collaudo per la misurazione dei liquidi. Sotto la mensa trovò un’iscrizione che ricorda M. Vareno Dufilo, figlio di Varena e di M. Lartide, benemerito dei cittadini di Tivoli per aver ottenuto loro questa mensa.
Nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni di Volpirano, nella diocesi di Forlì, su di una pietra di color rosso, che serviva di sostegno al catino dell’acqua santa, nel 1678 leggevasi la seguente iscrizione:
Materno et
Cradua eos
idibus aug
innoni reginae
M. Varenus
polipius
cum varena
chrysidae et
cum sius
V. S. L. M.
Il Marchesi, dal quale riportiamo queste iscrizioni, dice che non solamente vi erano molte famiglie dal cognome Vareno, ma che vi era pure una località presso Forlì che si chiamava Vareno dalla gens Varena che l’abitava5.
Vicino a Foligno, si sono trovate due lapidi, nelle quali sono nominati un C. Vareno e un D. Vareno appartenenti alla gens Varena dell’Umbria.
Cicerone pure in una sua celebre orazione difende un L. Vareno.
Interessantissima per questa questione, perchè dimostra che il nome Vareno fu usato anche nell’Italia superiore, è un’epigrafe latina di Sesto Calende, incastrata nella torre campanara dell’abbazia di San Donato, e nella quale è ricordato il nome Varena: le lettere sono in bel carattere CapitaleFonte/commento: 574 e disposte in due linee6.
In essa infatti si legge:
V SIBI V
VARENA
Anche nel basso medioevo noi troviamo in un documento del 1248 una Matilde, contessa di Varenna e nel 1345 Filippino Gonzaga sposa una madonna Varena.
Col nome Varena troviamo persino una santa; vi è una storia di questa santa scritta da Vittor Carlo Pesci7.
Tutti questi nomi personali latini hanno qualche relazione col nome del nostro borgo? Data la nostra scarsa coltura in materia noi poniamo il problema lasciando ad altri più competenti di risolverlo.
Certo è che molti nomi di località vicini a Varenna sono chiaramente di origine latina come Vezio, Reulo, Bologna, Gisazio, Perleido e Tondello ed è certo d’altra parte che fin’ora è stata comunemente accettata la derivazione di Varenna dalla lingua gallo-celta ed a sostegno di questa tesi si citano i numerosi Varennes della Francia dove se ne contano circa 18.
Ulisse Chevalier nel suo Repertoir der sources historiques du Moyen-age, cita la voce Varenae alla quale fa corrispondere i nomi di Varennes e di Varenna.
Nel dizionario di Vivien de Saint Martin è detto che il nome di Varennes si adopra in molte parti della Francia per indicare i piani di alluvione, e i terreni vicini ai fiumi.
Varenne, sempre in Francia, significa un vivaio di pesci8.
Maurizio Monti ritiene che la radice celtica Var-acqua, sia entrata a formare i nomi di molti paesi posti sui fiumi e sul mare, come Varese, Varenna e Varazze, e nota che molti nomi di fiumi hanno pure questa radice: Varo, Vara, Varrone ecc.
L’Arrigoni nella sua storia della Valsassina ammette pure l’origine gallica nel nome di Varenna, e il Cantù propende per ritenere il nome di Varenna derivante dalla radice war, guerra e guardia.
Giuseppe Pasqualigo tra le voci dei dialetti comaschi e ticinesi, di origine gallo-celta, mette la voce varenna, che significherebbe selva riservata e la fa derivare dal celto varechen che significa custodire9.
Recentemente Ettore Pais emette la seguente ipotesi. Egli sostiene che sono etrusche le desinenze in enna ed inna che si riscontrano in nomi di città e di luoghi. Della preponderanza etrusca egli trova traccie nei nomi antichi e moderni, che nel Tirolo, nel Modenese, e nelle regioni Umbrie, invase dagli Etruschi, terminano col suffisso enna e per l’Italia superiore ricorda Clavenna, oggi Chiavenna, che non dista molto da Varenna.
Anche Schneider F. nel suo recente e poderoso lavoro, sui nostri castelli e comuni rurali nell’alto medioevo, ammette pure l’origine etrusca nei nomi con suffisso in enna come Chiavenna, RasennaFonte/commento: 524, Scultenna Vibenna Porsenna10.
Se l’opinione del Pais fosse la vera si potrebbe credere che anche la nostra Varenna abbia avuto origine etrusca11.
Qualunque sia, tra le varie opinioni, la vera origine del nostro borgo, osserveremo che esistono in Italia altre località che portano questo nome tra cui una frazione di Pegli ed un torrente vicino; un’altra Varena esiste nel Trentino, e Varena si chiama anche una frazione del comune di Londa, provincia di Firenze. E’ da notarsi che Londa è di origine etrusca come dimostra l’aver recentemente rinvenuti in quella località oggetti etruschi. Ettore Pais - Storia dell’Italia antica - Vol. 1°, Tav. 70.Fonte/commento: 524
Aggiungeremo che il casato Varenna non lo troviamo mai in Varenna, ma già anticamente a Monza e più tardi in Locarno.
A conforto della mia ipotesi su una derivazione latina del nome Varenna che sembrerà forse troppo azzardata, e sulla quale io non insisto, mi permetto di citare un periodo di una pubblicazione del compianto Carlo Salvioni (Quisquilia di toponomastica lombarda - Archivio Storico Lombardo, anno 31 - 1904, pagine 10 e 11).
«..... quale si fosse l’importanza delle popolazioni preromane, l’occupazione romana le soverchiò tutte imponendo loro con la lingua una nuova civiltà. Ora non parrebbe, in considerazione di un tal fatto, che il procedimento metodico più ragionevole, più conforme alla realtà concreta per chi s’accinge ad investigare un nome locale nostro fosse quello di ricercare in primo luogo non soddisfi una base latina?.... È mia ferma convinzione che la più esatta conoscenza dei dialetti e del loro passato, degli accorgimenti adoperati nel battezzare i luoghi che i metodi d’indagine più raffinata riusciranno man mano a rivendicare al latino un numero di nomi locali assai maggiore a quello che non sia oggidì possibile».Fonte/commento: 524
⁂
Riprendendo il filo delle vicende storiche del nostro paese dobbiamo confessare che, dopo la menzione che di Varenna fa il diacono Grato nel suo testamento, le nostre modeste, ma assidue ricerche non ci hanno consentito di trovare nominata Varenna che dopo quasi tre secoli, e cioè all’epoca della guerra tra Milano e Como descritta dall’anonimo Cumano.
Solo in un’antica tradizione è ricordata Varenna al tempo dei Longobardi. La leggenda, riferita dal Boldoni nel suo Larius vorrebbe che la famosa regina Teodolinda passasse gli ultimi suoi anni a Perledo, dove avrebbe fatto costruire la chiesa di S. Martino con l’antico campanile in forma di torre, ed il castello di Vezio.
Fra gli scrittori moderni il Cantù e l’Arrigoni riferiscono pure questa popolare leggenda, che è dichiarata dal Frisi senza alcun fondamento.
E qui sorge una grossa questione per la quale si accapigliarono gli storici milanesi, comaschi e bergamaschi e che, data la scarsità dei documenti, non può dirsi nemmeno ora risolta. A chi apparteneva nell’alto medio-evo la riva orientale del lago di Como?
Gli storici bergamaschi, con a capo il canonico Lupi sostengono che tutto il ramo del lago di Lecco apparteneva a Bergamo12 e di questo avviso è pure il Ronchetti,13 seguito dal Pagnoncelli14. Il Mazza15 pure colloca Lecco, Mandello e Varenna nel territorio bergamasco. E di questo parere fu pure un insigne erudito milanese, il Fumagalli, che restringe però questa giurisdizione bergamasca sul lago, al solo periodo Longobardo16.
Questi scrittori si appoggiano in parte su quanto ha scritto Paolo Diacono sui confini di Venezia da lui portati al mare e all’Adda, ma è però probabile che queste indicazioni fossero assai generiche, e che l’Adda non segnasse il confine che nella pianura.
Tra i milanesi l’antico storico Galvano Fiamma nel suo Manipolus Florum fa dipendere per l’alto medio evoFonte/commento: 524 la Valsassina e tutta la riviera di Lecco, dai cosidetti Conti di Valsassina antenati dei Torriani.
Il nostro Giulini, l’autorevole storico lombardo, mette il contado di Lecco alla dipendenza di Milano ed enumera le pievi di Mandello, Varenna, Bellano, Dervio e della Valsassina come appartenenti al contado di Lecco.
Il Fumagalli17 già ricordato ritiene che nel generale smembramento dei territori della Diocesi, avvenuto nel secolo X, anche il contado di Lecco dovette essere separato dal territorio della diocesi di Bergamo. Non è d’accordo col Tatti, storico comasco, riguardo al diploma dell’imperatore Corrado del 1026, che avrebbe confermato quel territorio al Vescovo di Como, perchè nel diploma stesso si parla soltanto del dazio da esigersi sulla pesca nel detto contado, mentre invece il vero possessore sarebbe stato l’arcivescovo di Milano, che ha continuato a goderne il possesso fino alla proclamazione della Repubblica milanese, la quale si appropriò, con gli altri fondi arcivescovili, anche il contado di Lecco, di cui l’Arcivescovo non conservò che il diritto diocesano.
Il Fumagalli non è d’accordo nemmeno con G. B. Giovio, che, come tutti gli storici comaschi, ritiene che, con l’estinzione dei conti di Lecco, il contado fosse passato al vescovo di Como, appoggiandosi alle note, ma non ben chiare donazioni imperiali18.
Ignazio Cantù e, più recentemente il Corti, seguono il Giulini. L’Arrigoni asserisce che nell’alto medio-evo i confini ecclesiastici e politici dovevano coincidere, e ne deduce che la riviera di Lecco e la Valsassina dovevano dipendere da Milano, combattendo così la tesi degli scrittori bergamaschi con a capo il Lupi.
Il fantasioso e poco attendibile cronista Giuseppe Stampa, nella sua storia di Gravedona19, scrive che questo insigne borgo, scacciato Desiderio, ultimo re longobardo, rivendicò la sua piena libertà comunale, si eresse in contea estendendosi per tutta la riva del lago e comprendendo la Valsassina, la Val Chiavenna, la Valtellina, Bellano, Varenna, Mandello e Lecco.
Ezio Riboldi in un suo pregevole studio sui contadi rurali del Milanese cita un documento che proverebbe, in modo quasi certo, la giurisdizione di Lecco estesa sino alla sommità del lago. Infatti nel diploma con cui Ottone II nel 977 dava al Vescovo di Como «ripa laci Cumi et Mezolae vel quidquid ibi de comitata Leuco fuit aliquando» parrebbe che il contado di Lecco si estendesse fino al lago di Mezzola. Questa giurisdizione su Varenna e l’alto lago non dovette durare molto perchè nella sentenza del 1170 relativa ad una controversia territoriale tra milanesi e comaschi sono indicati i confini del contado di Lecco così: «ab una parte lacus Lascalda et ab altera terminus da Campellione usque in summitatem montis». Il Riboldi afferma che il termine di Campellione non è che il monte Campione sopra Mandello, e, concludendo il suo studio, afferma che il contado di Lecco esisteva fin dal secolo IX, e si mantenne per tutto il X secolo dipendente dai conti di Lecco; spariti questi e disgregatosi il primitivo contado, quanto rimase unito al capoluogo, passò in dominio degli arcivescovi di Milano, che lo tennero fino al XIV secolo20.
Con l’episcopato di Landolfo Carcano del 977 l’arcivescovo diviene la prima autorità di Milano, sovrapponendosi anche all’autorità del conte, e poichè i confini dell’archidiocesi si estendevano sui territori di vari altri comitati di Lombardia, a poco a poco i conti che ne stavano alla testa perdettero ogni importanza, e così l’arcivescovo finì per diventare signore effettivo di tutta l’archidiocesi. A questa conclusione giunge il Manaresi nella prefazione alla sua recente e pregevolissima raccolta dei più antichi atti del Comune di Milano21.
Sono poi note le strette relazioni di possesso e di dipendenza che corsero tra la sponda orientale del lago di Como, e gli arcivescovi di Milano. Troviamo infatti che già nel 905 l’arcivescovo Andrea di Milano emanava una sentenza di placet da Bellano22.
L’arcivescovo Lamberto nel 931 dona nel suo testamento, alla Chiesa milanese i suoi beni in Mandello. Ariberto nel 1035 dona al monastero di S. Dionigi Lierna ed altri mansi dei dintorni.
La dipendenza del Contado di Lecco dall’arcivescovo di Milano trova più tardi conferma in una bolla di papa Alessandro III del 1162, che per ricompensare la fedeltà dell’arcivescovo di Milano Oberto, conferma a lui ed alla sua chiesa tutti i suoi diritti e nel diploma, enumerante i possessi, è ricordato anche il comitato di Lecco23.
Verso il 1000, secondo l’Andreani, cominciarono a chiamarsi borghi, i paesi cinti da mura, e fra questi erano compresi sul lago di Lecco, Dervio, Bellano e Varenna.
Secondo il Rebuschini24 negli anni dal 1039 al 1040 ardeva la lotta tra gli abitanti delle Tre Pievi contro quelli di Bellagio, Bellano, Como, Isola Comacina, ed altre terre del lago.
Uno degli scontri maggiori fra le due flotte nemiche avvenne nelle acque di Varenna, e fu favorevole ai Pievesi.
Arriviamo così alla famosa guerra decennale tra Milano e Como, dal 1117 al 1127, che doveva coinvolgere tutti i paesi del lago.
Il racconto di questa guerra ci è dato per esteso in un rozzo, ma per noi prezioso poema, scritto da un anonimo, noto sotto il nome di anonimo Cumano.
L’origine del conflitto è dovuta all’elezione del vescovo di Como. L’antipapa Gregorio VIII aveva eletto vescovo di quella città, il Milanese Landolfo Carcano, mentre papa Urbano II aveva eletto Guido dei Grimaldi, scomunicando il primo. I comaschi, che parteggiavano per il secondo, non appena avvenuta la scomunica del Carcano lo scacciarono da Como, e lo assediarono nel castello di S. Giorgio in Pieve d’Ogno, dove erasi rifugiato, facendolo prigioniero.
Ma i milanesi, che parteggiavano per il loro concittadino, e che avevano avuto anche l’appoggio dell’imperatore Enrico IV, colto il pretesto delle prigionia del Carcano mossero guerra ai Comaschi; si schierarono coi Milanesi gli abitanti dell’Isola Comacina, quelli delle Tre Pievi e varie altre località del lago come Bellagio, Bellano, Perledo, Varenna e Dervio.
Un primo scontro, avvenuto nella primavera del 1117 tra le due armate, non ebbe conseguenze decisive; dopo la guerra si svolse quasi completamente sul lago.
Tra i numerosi episodi di questa lunga e feroce guerra, citiamo quello che interessa Varenna, come viene raccontato dall’anonimo cumano nel poema di cui abbiamo fatto parola.
«Fuggono i comaschi e gli isolani li incalzano dappresso e giungono vicino al lido quando i nostri appena lo toccano. Escono allora le navi dal nascondiglio del monte diruto: fuggono quelle voltando la prora e le nostre le inseguono. Una nave mentre le altre fuggono di conserva, più delle altre greve per la travatura della poppa, e stanca dalla corsa troppo lunga, rimasta indietro, vede giunto il suo supremo istante. E già sporgono i nostri gli uncini, già pare loro di tenerla presa quando la scorgono rifugiata sui mesti scogli di Varenna e piangente odono l’equipaggio chiamar con gran voce in soccorso gli uomini del borgo perchè li difendano. Accorrono tutti e dall’alto dei monti e dalle scoscese rupi rotolano ingenti massi in difesa di quelli, dei monti, del lido, e di se stessi.
Quindi una nave tenta con astuzia di fuggire dal porto, ma traggon fuori i remi Cristina e Albenga, due forti navigli così nominati, e la inseguono. Cristina la sorpassa, e gli taglia la via e sospinge verso il lido la fuggente. Atterriti lasciano la sponda gridando e adorano il nume del monte. Sciolta in un baleno e tratta al lago, la rimorchiano e tornati ai loro compagni li ritrovano respinti dai massi che piombano dai monti e stanchi dalla pugna nefasta. Fatta un’inconcussa testuggine si cacciano sotto allo scoglio con faci ardenti, e composta sul fondo una stipa vi appiccano il fuoco, la nave spalmata di pece e resina brucia alle due estremità ed alla parte superiore. L’equipaggio si rifugia sulle vette dei monti scoscesi e la barca è lasciata preda alle fiamme struggitrici.
I comaschi traggono la carena dalla rupe sciogliendo la catena che ve la tiene fissa e lasciando i dolenti nemici tornano felicemente a Como»25.
⁂
Riguardo alla giurisdizione ecclesiastica il più antico documento che parli di Varenna, è un breve di Celestino II, dell’anno 1143, a favore dell’arciprete di Monza, pel quale sono enumerate le chiese poste alla dipendenza dell’arciprete stesso, e, fra esse, troviamo la chiesa di S. Giovanni di Varenna, tutt’ora esistente. Le parole del breve sono le seguenti: «statuentes ut quasqumque possessiones quaecumque bona eadem Ecclesia in presentiarum juste et canonice possidet aut in futurum concessione pontificum largitione. E poichè nè in un precedente atto di donazione del 920 di Berengario alla chiesa di S. Giovanni di Monza, nè nelle bolle papali di Calisto II dell’anno 1120, e di Innocenzo II, dell’anno 1135, in cui vengono fatte concessioni di territori all’arciprete di Monza, si trova annoverata la chiesa di S. Giovanni di Varenna, verosimilmente quindi questa chiesa deve essere passata alla dipendenza di Monza, verso l’anno 1143, anno del breve di Celestino II.
La giurisdizione dell’arciprete di Monza, sulla chiesa di S. Giovanni di Varenna, è confermata in un successivo diploma di Alessandro III, dell’anno 1169, nel quale è un’indicazione importantissima, e cioè, che oltre la chiesa, dipendeva da Monza anche la corte di Varenna.
Non si trattava quindi più di una sola dipendenza spirituale, ma anche di dipendenza temporale.
Da quanto precede possiamo anche arguire che in quegli anni la sola chiesa esistente in Varenna era S. Giovanni, che dev’essere antichissima, poichè dall’iscrizione ancora esistente, e che qui sotto riportiamo, posta sul muro occidentale interno si rileva che detta chiesa era già stata ampliata fin dall’anno 1151.
sancto ioanni baptiste
templum ab a. mcli multoque amplius
extructum et consacratum
pantaleon episcopus sicariensis
a. mcccxxxi septimo idus ianuarii
refectum reconciliavit seu consecravit
dedicationis anniversario sacro
in posterum decreto
in dominicam I. post epiphaniam
quo die
esto dierum xl. venia
templum rite adeun tibus
a mdlxvi secvnda novembris
sanctus carolus visitavit
hec memoriae inscripta sunt
a. mdccl.
⁂
Dobbiamo ora intrattenerci su un’altra guerra combattuta sul lago di Como, e sostenuta dagli isolani, contro i comaschi, guerra che culmina con la distruzione dell’Isola Comacina, e che ha un’importanza capitale per la storia di Varenna.
La piccola, la minuscola isola, tanto celebre nel medio evo, si specchia ancor oggi spopolata, e silente, nell’acqua del lago, coi ruderi della sua antica chiesa di S. Eufemia, venuti alla luce pochi anni or sono, per l’opera amorosa dell’ingegnere Monneret. Anche ultimamente fece parlare di sè per la donazione che il sindaco di Sala fece, all’eroico re Alberto del Belgio, che la donò a sua volta all’accademia di Belle Arti di Milano. Negli antichi tempi alla caduta dell’impero Romano, divenne l’estremo rifugio degli Insubri fuggenti le città devastate dalle orde barbariche, e il loro asilo di libertà e di pace.
Quest’isola fu chiamata la Gibilterra del medio-evo, ed esercitò una specie di egemonia, sui paesi del lago.
Dell’Isola Comacina troviamo una delle più antiche menzioni in Paolo Diacono, il quale ci dice che nell’anno 569, quando i Longobardi occuparono Milano, essa era già una fortezza molto importante. Era custodita da un presidio Greco Romano comandato da un certo Francione generale di Narsete, e molti ricchi italiani per sottrarsi alle spogliazioni dei barbari vi si erano rifugiati.
Giovanni Battista Giovio in una delle sue lettere lariane dice di aver tolto dal Duchesne (tomo I, epistola VI), e dal Bouquet (tomo IV, epistola 27, pag. 67) la notizia che l’Isola Comacina avesse anticamente il nome di Cristopoli, nome venutole dal rifugio che in essa ebbero colle loro ricchezze i principali personaggi di tutta la Gallia Cisalpina allora detta Liguria26.
Sembra che tutta la regione del lago che attornia l’isola costituisse uno stato indipendente dai Longobardi, una specie di repubblica della quale era capitale l’Isola Comacina, che godeva la protezione dei Franchi.
Floriano, abate del monastero romano aveva scritto a Nicetio, arcivescovo di Treviri, perchè raccomandasse la Cristopoli, a Thibano, re dei Franchi con queste parole riportate dal Giovio: «Supplichevole ti prego acciocchè al signor figlio tuo gloriosissimo Teobaldo l’Isola lariense, che si appella Cristopoli raccomandi moltissimo onde a Romani suoi servi i sagramenti dati in ogni chiesa ti serbino».
Si può dire quasi che l’Isola Comacina era divenuta l’ultimo rifugio dell’indipendenza romana.
Giova qui ripetere che anticamente col nome di Isola Comense o Cumana volevasi significare non solamente il territorio dell’isola, ma anche tutta quella parte di terraferma, che sta di fronte, e che è circoscritta dalle catene montane, che la separano dalle valli d’Intelvi, di Porlezza e di Menaggio. Si estendeva inoltre sulla riva orientale del lago comprendendo Lezzeno ed il suo territorio, Colono, Sala, Spurano, Conca Pola, Ossuccio, Campo, Balbiano, il castello dell’isola: Lezzeno e Villa erano i principali centri di questa alacre popolazione, umile custode dell’antica civiltà latina, nel commovente attaccamento, nei loro atti pubblici alle forme del jus romano.
Fosse il desiderio di abbattere questo asilo di libertà, fosse la volontà di por fine alle spedizioni corsare degli Isolani, che spadroneggiavano in tutto il lago, e fosse anche la cupidigia di impadronirsi dei loro averi, ben presto la piccola isola dovette affrontare formidabili nemici.
I primi ad attaccare gli Isolani furono i Longobardi, i quali si erano già impadroniti di tutta la Lombardia. Il solo lago di Como rimaneva indipendente.
L’impresa però non fu tanto facile. I Longobardi comandati da Autari, dovettero tenere l’assedio all’isola per ben sei mesi, sino a che Francione, capo degli Isolani, dovette cedere, mediante però onorevoli patti di pace.
Nell’anno 591, quando Gaidulfo, duca di Bergamo, si sollevò per la seconda volta contro Agilulfo, Re dei Longobardi, non ritenendosi più sicuro nella sua città si rifugiò nell’isola Comacina, dove Agilulfo lo attaccò, lo sconfisse e portò via in quella occasione tutti i tesori dei cittadini romani che vi si trovavano.
Nei primi anni dell’VIII secolo tra i reggitori e pretendenti del regno longobardo furono molte guerre intestine e durante una di esse Ausprando si rifugiò anch’egli nell’isola: fu allora che Ariberto l’espugnò e ne distrusse le fortificazioni.
Osserva il Monneret27 che la fortezza dell’isola non è solamente il luogo più forte di un ducato, «ma assurge alla qualità di uno dei punti più sicuri del regno, se ivi si riducono a difesa re e ribelli da luoghi anche assai lontani».
Nel successivo periodo della dominazione franca, pare che l’isola venisse aggregata al contado di Lecco.
Seguono anni di storia alquanto oscura. Alla morte di Ottone, conte di Lecco, il territorio del ducato venne diviso fra i vescovi di Como e di Bergamo e l’Arcivescovo di Milano. A chi venne attribuita l’isola Comacina? Alcuni vogliono dire appartenesse a Como, altri a Milano, ed altri ancora che fosse indipendente.
L’isola intanto era stata nuovamente fortificata con un castello munito di bastioni, e fiancheggiato da due robuste torri, mentre in mezzo se ne elevava una terza più piccola, ma più alta. Questi dati si rilevano dal blasone della famiglia Giovio, oriunda dell’isola.
Come si è già accennato, una lunga guerra tra Como e Milano ebbe origine nei primi anni del secolo XII per la lite sorta tra i due Vescovi Landolfo Carcano e Guido de’ Grimaldi, milanese il primo, comasco il secondo, entrambi pretendenti alla sede di Como. La guerra venne portata sul lago, e vi furono coinvolti gli abitanti dell’Isola e quelli di Bellagio, Varenna e Gravedona. Gli isolani si schierarono coi Milanesi.
Nel 1125 i Comaschi riportano vittoria sui Comacini, ma due anni dopo questi prendono una terribile rivincita conquistando Como e saccheggiandola.
Nella storia dell’isola hanno una parte molto importante gli istituti religiosi.
Il vescovo Litigerio nel 1031 fondò la canonica di S. Eufemia dell’Isola, della quale godeva il beneficio e le decime un vassallo secolare. Questa canonica finì poi per assorbire tutti i beni della preesistente parrocchiale di S. Giovanni28. Troviamo che nel secolo XI esisteva nell’isola un chiostro benedettino femminile, dedicato ai santi Faustino e Giovita, e nel 1083 veniva fondato il Monastero di S. Benedetto di Monte Oltirone.
Nel 1142, Enrico monaco dei Cistercensi di Morimondo, dopo aver comperato da un certo Ottone d’Isola il territorio di Roncale, vi fondava un nuovo monastero, che da una fresca e limpida fonte colà esistente venne chiamato dell’Acqua fredda, e, pochi anni dopo, fu eretta anche una chiesa che, dagli olivi ond’era circondata, venne denominata Santa Maria del Monte Oliveto.
Intanto gli isolani poco alla volta avevano ricostruito i loro borghi ristabilite le fortificazioni, e coltivati i loro campi e vigneti tanto che erano nuovamente ritornati allo stato di floridezza di un tempo. Pare che parte delle ricchezze, fosse provento del bottino delle loro navi corsare che spadroneggiavano lungo il lago.
Nel 1158 Federico Barbarossa scendeva in Italia con un forte esercito, e subito si acquistava l’affetto dei Comaschi, per aver ordinata la riedificazione della distrutta città. L’imperatore pose anzi i suoi alloggiamenti in Como.
Lo storico imperiale Raderico29 ha posto fra gli atti di sommo coraggio del Barbarossa, l’avere egli fatto una visita ai formidabili isolani. Dice il Bianchi Giovini30 che secondo un’antica tradizione uno della famiglia Giovio avesse persuaso gl’Isolani a sottomettersi all’imperatore ed a fargli buona accoglienza, laonde Federico gli permise di aggiungere al suo stemma l’aquila imperiale; ma alcuni scrittori comensi vogliono che in quella occasione gli Isolani tornassero alla sudditanza di Como ciò che però non è provato.
La fedeltà degl’Isolani all’imperatore non dovette durare molto, perchè nel 1168 li vediamo nuovamente uniti ai Milanesi, e vediamo Brocco Ogerio, giudice d’Isola, sottoscrivere l’accordo tra Obizzo Malaspina e le città della Lega lombarda, tra le quali eravi anche Como, a fine di combattere Federico Barbarossa.
Ma questa fortuita unione dell’isola con Como, non fece dimenticare le antiche rivalità.
Avvenuta la distruzione di Milano per opera del Barbarossa, l’Isola perdette il suo potente alleato, e fu costretta a fare assegnamento nelle sole sue forze. Di questo approfittò Como l’anno 1169 per compiere una spedizione punitiva contro l’isola che fu espugnata e distrutta.
Scrive il Tatti che i Comaschi «armarono contro gl’Isolani i più prodi e spiritosi cittadini ed ordinarono loro la demolizione non solo del Castello, ma anche di tutta la terra d’Isola. Montò sopra varie navi un grosso considerabile di scelta gioventù e arrivati al borgo denunciò il decreto pubblico della Città col quale tutti dovevano sfrattare e andassero dove loro più piacesse, perchè era stato risoluto nel consiglio che s’atterrasse quella fortezza già nido indegno di fuorusciti e ladroni. Abbandonarono dunque la patria gl’Isolani con urli compassionevoli e dirottissimo pianto, non essendo loro giovate le proteste fatte ai Comaschi, che se avevano della sua fede mancato i suoi maggiori, essi nondimeno erano fedeli ed innocenti vassalli».
Racconta lo stesso Tatti che in una delle Chiese d’Isola, dedicata a Santa Agrippina si conservava il corpo del medesimo Santo: i comaschi Isola Comacinalo tolsero, lo trasferirono nella cappella di S. Pietro situata sulla collina in faccia all’isola, e ordinarono la distruzione di tutte le case di quel famosissimo borgo; non vennero rispettati nemmeno i luoghi sacri e i conventi.
Furono gl’Isolani dei veri ladroni come li chiama il Tatti? Può essere, però è anche probabile che nel Tatti, come in tutti gli altri scrittori comaschi, fosse sentito, anche a distanza di secoli ed attraverso tanti altri avvenimenti, il ricordo dell’antica rivalità comunale.
I miseri; raccolte le loro masserizie si ritirarono in gran parte a Varenna ove furono accolti amichevolmente.
Della distruzione dell’isola rimane un documento lapideo che trovasi nella chiesa di S. Giovanni Battista così concepito:
M. C. dant annos LX 9 notandos | Insula quando ruit, magna pestilentia fuit | Divinu monitu templi reparata vetustas | Grandine quassatos servet sacro dona ferentes | Lux maii principium prima finem ultima, dedit | Operi milleno anno quater centesimo L’ | Sex decem atq’ septem iungas et cuncti disc(erne?)31.
Alcuni storici fra i quali il Ballarini ed il Barelli32 leggono in quest’iscrizione la data 1160 anzichè quella del 1169, cosicchè l’isola sarebbe stata distrutta due anni prima di Milano. Ma quest’interpretazione non regge perchè esistono documenti, datati dall’isola degli anni che vanno dal 1160 al 1169.
Don Santo Monti confuta esaurientemente l’asserzione del Barelli e dimostra in modo molto evidente come nell’iscrizione sopra riportata debbasi leggere la data del 116933.
Come si è detto i Comaschi distrussero le case, le fortificazioni e le chiese. Un decreto in data del 1175 di Federico Barbarossa vieta la ricostruzione delle fortezze, e questo divieto è mantenuto nel documento di donazione dell’anno 1296 col quale l’isola comacina viene venduta dall’imperatore Adolfo a Leone, vescovo di Como, e nella conferma di tale donazione fatta da Enrico VII nel 1311 a Leone Lambertenghi34.
Per punire i Comaschi della distruzione delle chiese, il Pontefice lanciò contro di loro l’interdetto, che durò 14 anni, cioè sino al 1183 anno in cui, ottenuto il perdono, il patriarca di Aquileia, di passaggio per Como, restituì i Comaschi alla Comunione dei fedeli, ed ordinò di edificare nella città di Como due chiese eguali alle due di S. Eufemia e de’ Santi Faustino e Giovita distrutte. La canonica di S. Eufemia venne effettivamente trasportata in terraferma, nel paese che prese poi il nome di Isola, e là rimase sino a che fu abolita da Giuseppe II il 18 agosto 1798.
Il convento femminile dei SS. Faustino e Giovita si trasferì anch’esso in terra ferma, nel paese di Campo: là occupòFonte/commento: 524 la chiesa di S. Giovanni, e là rimase fino alla soppressione del 1798.
Gli storici antichi dicono che nell’isola vi fossero nove e più chiese; noi, non conosciamo che quella di S. Eufemia, collegiata, con un capitolo di 12 canonici, istituiti dal vescovo Litigerio; quelle dei SS. Faustino e Giovita, di S. Maria, di S. Pietro e di S. Giovanni, le quali sono ricordate in documenti dell’epoca.
Osserva il Monneret, che probabiimente il Tatti, che conta dodici chiese, avrà voluto riferirsi a tutte le chiese della pieve, comprese quelle di terra ferma. Di tutte queste chiese dell’isola rimangono pochi avanzi, di tre di esse parla Santo Monti nelle sue note al Ninguarda, ed il Monneret nella sua opera citata illustrando con rara competenza di archeologo i ruderi da lui stesso rimessi in luce, della chiesa di Santa Eufemia.
Ed è un vero peccato che gli scavi non siano stati proseguiti, perchè avrebbero forse potuto presentare gradite sorprese, e agli studiosi, Esempio di antica casa a tre finestree agli amanti delle memorie antiche.
Diamo qui un elenco delle famiglie dell’isola che troviamo trasmigrate a Varenna alla fine del secolo XII:
Giovio, Caginosa, de Pino, de Conca, Brugno, Brenta, Benzoni, Murofracto, Balbiano, Franiani, Greppi, Sala, de Brochis, Bertarini, Bergamo, Molo, Isolano, Serponti, Calvasina, Flora, Cantono, Caza, Mazza, Musanigra, Casalicio, Caligaris, Veglio, della Mano, Castello, Rubeo, Lilia, Villa, Vitali, de Domo, Giovio35.
Di queste famiglie alcune sono estinte, altre emigrate; in Varenna rimangono ancora le famiglie Brenta, Bertarini, Conca, Sala, Calvasina, Greppi, Panizza, Lilia e Vitali.
Tra queste famiglie noteremo quella illustre dei conti Balbiano, divenuti poi feudatari della valle di Chiavenna, e familiari dei duchi di Milano; e quella, pure illustre dei Serpenti, testè estinti, che dettero uomini insigni alle armi, e alle scienze. Famiglie nobili e notevoli erano poi gli Scotti, i Tenca, i Mazza, gli Ongania, i Cella, i Campioni, i Pino, i Brenta, i Panizzi e i Calvasina. Tutti conservarono a lungo i beni che avevano nell’isola e paesi circonvicini, mantenendo strette relazioni con la loro antica patria, coi luoghi limitrofi, e allargando i loro possessi in Valtellina, come fanno fede gli atti, in notevole numero, che ci rimangono e ci fanno rimpiangere i molti altri, andati dispersi.
Gli isolani, trasmigrati a Varenna, portarono incremento e ricchezza al paese, e ancor oggi rimangono traccie delle loro abitazioni, piccole case, riunite con archi, ed aventi tutte una impronta di uniformità, essendo a due piani con tre finestre ciascuna e allineate nelle strette viuzze a ripide scalinate.
Questo esilio degli isolani è stato così cantato da un poeta del Lario del secolo scorso, Paolo Fumeo, nativo di Perledo36.
. . . . . . . Alla deserta |
Una curiosa notizia che, se vera, spiegherebbe le ragioni dello stabilirsi degli isolani a Varenna ci è data dal manoscritto dell’abate Francesco Ferrari, nel quale si legge che gli isolani avevano avuto già nel passato delle relazioni con Varenna. Difatti egli narra che verso il 1123, quando ferveva la guerra cosiddetta dei 10 anni, gli isolani temendo sconfitte e saccheggi avevano portato in salvo le loro cose e ricchezze in vari siti e, particolarmente, a Varenna, dove comperarono beni e si accasarono.37.
Non è il caso di fermarsi a confutare la tesi, ormai abbandonata, che Varenna abbia cominciato ad esistere nel 1169: sappiamo dal testamento di Grato, che essa esisteva nel 769; e sappiamo che essa è certissimamente nominata nel breve di Celestino II del 1143 riguardante la Chiesa di S. Giovanni.
Pare che a Varenna si trasferissero le famiglie più cospicue dell’isola, che riuscirono ad imporsi ai primitivi abitanti del paese allora quasi sicuramente povero, e di minima importanza. Una buona prova di questo fatto l’abbiamo nel nome del luogo: per parecchi anni, dopo il 1169 Varenna viene chiamata negli atti pubblici e privati Insula nova ed in qualche atto anche Insula nova sive Varena38.
Un’altra prova ci fornisce l’imposizione da parte degli Isolani del loro rito detto patriarchino perchè conforme alle prescrizioni del Patriarca d’Aquilea. Da allora Varenna non seguì ne il rito romano, nè quello ambrosiano; ma il patriarchino, e, vedremo più avanti, con quanta tenacia i Varennesi abbiano cercato di conservare questa loro costumanza religiosa.
Alcuni storici come il Rovelli e Giov. Battista Giovio, sostengono che il nome d’Insula nova, venne dato dai profughi isolani a quel tratto di lido che trovasi di fronte all’isola e che anche oggidì conserva il nome d’Isola, ma noi li riteniamo in errore perchè, come si è detto or ora, in vari documenti si legge Insula nova sive Varena.
In un documento del 1201 troviamo la denominazione di Borgonovo de Varena: Otto de Casalicio d’Insula cede a Giovanni de Balbiano una casa ed una pezza di terra giacente in borgonovo de Varena ut dicuntur in Pogia de Varena in cambio di altre terre situate nel territorio d’Isola.
Questo documento, che sarà pubblicato in apposito volume, è importante perchè dà le coerenze della proprietà e da esso si è potuta desumere l’ubicazione della casa abitata dai Balbiani la quale si trovava precisamente dove era murato fino a pochi anni or sono, lo stemma di detta famiglia ora conservato nel museo civico di Como. La località Pogia de Varena è l’attuale Poncia di Varena, ossia Punta di Varenna, perchè là la riva si spinge nel lago con una punta di terra.
Fra le coerenze poi, figurano tutti nomi di persone, venute dall’Isola, e perciò è probabile che quella località avesse preso il nome di Borgo Novo, perchè fabbricata dai nuovi abitanti di Varenna.
Perchè gl’Isolani avrebbero preferito Varenna ad altre località del lago di Como? Non è facile la risposta a questa domanda. Parrebbe intanto, come già si è accennato, che gl’Isolani possedessero beni ed avessero interessi in Varenna per aver avuto occasione di recarvisi nel 1123, a nascondere le proprie ricchezze, nella terra degli alleati; ma potrebbe darsi che il luogo d’esilio fosse stato loro imposto dai vincitori comaschi.
Quest’ultima supposizione ci obbliga a pensare che Varenna in quel tempo dipendesse da Como, come propendono a credere il Tatti ed il Rovelli, che, nel confutare la tesi del Lupi circa la giurisdizione di Bergamo su tutta la riva orientale del lago di Como, appoggiandosi a vari diplomi imperiali, affermano che, allo sfasciarsi del Comitato di Lecco, Stemma della famiglia Balbiano tutte le terre della riva orientale del lago passarono sotto il dominio di Como.
Il trasferimento degli Isolani a Varenna dette subito luogo a numerosi atti di compra e vendita di terre e di case: di questi daremo alcuni regesti in apposito volume di documenti, fra i quali però, non se ne trova alcuno, e ci rincresce assai, che dia un riflesso della vita amministrativa e politica del paese nel primo secolo della venuta degli Isolani, cioè dal 1200 al 1300; vita che, come si desume dagli altri documenti consultati, fu indubbiamente interessantissima, e ricca di avvenimenti pubblici e privati.
Si è già parlato della dipendenza della chiesa di S. Giovanni e della Corte di Varenna da Monza.
In un privilegio di Clemente III alla Chiesa di Monza, anno 1188, troviamo confermata questa dipendenza39.
A tal proposito togliamo la seguente notizia da una pergamena del 15 febbraio 1188: Frangerius Bonvasalli da Monza vende all’arciprete della chiesa monzese Oberto de Terzago tutti i suoi diritti, sul mulino nuovo della Baragiola, e su nove pertiche di terra, annessa «pro medietate» nonchè su tutti i diritti, e corsi d’acqua relativi ricevendone prezzo pattuito in lire 60 di mezzi denari «quos denarius ibi predictus Obertus accepit a Bonensenia et Bonora et Iacobo de Burgo et Algerio de Rivori et Doniello Iudice et Petro de Cixelia ab eorum parte et a parte quorundem sitorum suorum nominative pro venditione quam ipse dominus Obertus fecerat eis de terra de Varena»40.
E da un altro analogo documento, pubblicato dal Frisi, togliamo che avendo Giacomo Cagapisto del fu Roberto, sua madre Paracasa, e sua moglie Ladina, venduto a titolo di livello ad Oberto, arciprete della chiesa di Monza, e a Eriprando Giudice e console del comune di Milano tutti i loro possedimenti nei luoghi Balsamo, Cinisello e Bresso, è autorizzato detto arciprete di Monza a ricavare il denaro per il pagamento, nella somma di lire trentasette e soldi dieci dai beni di Varenna venduti agli uomini stessi di Varenna41.
Questo documento è stato recentemente pubblicato dal Manaresi nel suo pregevolissimo libro: «Gli atti del comune di Milano» fino all’anno MCLXVI a pagina 239.
Dunque gli abitanti di Varenna che con la venuta dei ricchi Isolani potevano ormai disporre di sufficiente denaro, con questa compra finirono col liberarsi dalla padronanza dell’arciprete di Monza. La sudditanza spirituale però, come vedremo più avanti, della chiesa di Varenna da quella di Monza continuò per moltissimi anni42.
Come si è visto fin dall’anno 769 la chiesa di Monza possedeva terre ed oliveti in Olcio e Varenna, per la donazione del diacono Grato, terre che furono secondo il Varisco, il nucleo della corte di Varenna. E’ da ritenersi che i Varennesi abbiano nel 1189 acquistate quelle medesime terre riscattandosi così dalla servitù feudale.
Negli anni che seguirono la distruzione dell’Isola la Lombardia fu teatro delle cruenti guerre del Barbarossa.
Nella primavera dell’anno 1176, numerose truppe tedesche scesero dalla Germania e, per il lago di Como entrarono in Lombardia.
Il Barbarossa, infranta la tregua e postosi alla testa dell’esercito, andò, seguito dai Comaschi suoi fedeli amici, incontro ai Milanesi. Ne avvenne la famosa battaglia di Legnano, che dette origine all’armistizio di Venezia del 1177 ed alla pace di Costanza del 1183, la quale coronando gli sforzi della lega Lombarda, affermò definitivamente l’autonomia dei comuni.
A proposito del Barbarossa il Rebuschini racconta questo aneddoto: nel 1157Fonte/commento: 524 i Pievesi e gli Isolani attaccarono sul lago e depredarono completamente il ricco convoglio del bagagli dell’imperatore diretto in Germania. Poche delle navi comensi che scortavano il trasporto poterono salvarsi, e quelle che si gettarono sui prossimi lidi di Tremezzo, Menaggio, Bellagio e Varenna, furono preda di quei terrazzani43.
Con la pace di Costanza del 1183 e con la carta di Reggio (11 febbraio 1185) la repubblica di Milano estendeva la sua giurisdizione su tutta la diocesi Milanese comprese le contee di Seprio, Bolgaria e Lecco44 e pare fosse allora che i comuni principiarono a raccogliere in appositi statuti le leggi emanate in materia civile e criminale.
Probabilmente anche Varenna incominciò allora ad avere i suoi statuti; ma, come avremo occasione di ripetere più avanti, le nostre ricerche per rintracciarli rimasero finora purtroppo infruttuose.
⁂
Lierna, piccolo paese a sud di Varenna, nobilitato da un castello, ebbe rinomanza nelle guerre tra Como e Milano, combattute sul lago. Secondo documenti che possediamo, esso, nei primi anni del XIII secolo di sua spontanea volontà, ottenne di unirsi a Varenna. Cominciò col riscattarsi dal monastero di S. Dionisio di Milano, che lo aveva sotto la sua giurisdizione; nell’anno 1202 poi i suoi consoli e rappresentanti vendettero al podestà di Varenna, Pietro Brancesari, alcuni fondi di Lierna già di proprietà del monastero predetto. E nello stesso anno furono vendute al podestà soprannominato ad agli uomini di Varenna, consigliarmente congregati tutte le terre del paese con giurisdizione e diritti annessi come erano state riscattate dal monastero di S. Dionigi. Tale rendita fu confermata da Filippo, arcivescovo di Milano45.
Il primo accenno che abbiamo potuto trovare del monastero femminile cisterciense di Santa Maria Maddalena di Varenna è in un atto del 30 marzo 1204, steso in Bellagio, dal notaio Giovanni della Piazza in cui Ugerio di Bonardo di Insula Nova, vende ad Arnaldo di Cantono alcuni beni posti in Varenna, fra i quali una vigna che possiede in vicinanza del monastero costruito in Varenna46. Non conosciamo l’atto di fondazione di questo monastero, ma riteniamo che sia sorto dopo la distruzione dell’Isola Comacina, e che sia, anzi, un’emanazione del monastero dei santi Faustino e Giovita, detto anche monastero di Campo, che era dello stesso Ordine cisterciense.
Troviamo difatti un atto interessante il monastero dei Santi Faustino e Giovita, rogato nel monastero di Varenna in data 10 Marzo 1297, in cui è detto che Domina Faustina, abbadessa del monastero di S. Faustino dell’Isola e domina Agata priora dello stesso monastero investono di varie terre de Sannazzaro de Lecino e marchionem de Sannazzaro pure de Lecino. L’atto è redatto nel monastero di Varenna, testi Ser Iohannes de Serpente de Varena e pronotario Zeno f. ser. Anselmi qui dicitur Scota Caginosa de Varena. Notaio rogante predicto Zenus de Scota. (Braidense Carte Bonomi AE XV 35).
Tra le carte pagensi conservate all’Ambrosiana di Milano ve n’è una del 6 dicembre 1208 con la quale Sofia, abbadessa del monastero di Santa Maria di Isolanuova compera alcuni fondi in Lierna dai fratelli Ardrico e Lanfranco Belincasa di Musazio47.
Segue poi un altro documento in data 3 settembre 1213 nei quale Giovanni Musanigra e Stefano e Riboldo suoi figli fanno vendita a Sofia abbadessa del monastero «Beate Mariae» de predicto borgo Insule Novae di tutta la decima che già era del fu Stefano f. q. Aliprando Cagafagiuoli pure di Varenna.
L’atto è rogato nel monastero dal notaio Isolano de Pino48.
Del monastero di cui parliamo non abbiamo trovato cenno nelle varie pubblicazioni sui monasteri cisterciensi, nè, ricordo alcuno nel Libro del Censo di Cencio Camerario, in cui sono pur registrate le tasse annuali, pagate dai vari monasteri del lago di Como.
⁂
L’odio tenace dei comaschi perseguitò gli Isolani anche nella loro nuova patria e, verso il 1210, quando compilarono gli statuti delle città vollero sanzionare in un apposito articolo il perpetuo divieto ai Varennesi di essere assunti in determinati servizi militari dalla città di Como.
L’art. LXXVII degli Statuti così si esprime: Quod nemo Varenae possit esse custos in aliqua fortilicia communis cumanarum in perpetuum. Item statum est quod aliquis de Varena non possit nec debeat esse in aliqua custodia alicuius castri municionis et forticie cumani districtus in perpetuum.
Dopo la pace del 1225 tra i Milanesi e Federico II, e precisamente nell’anno 1226, Milano ed altre città, quali Bologna, Brescia, Mantova, Padova, Vicenza e Treviso, strinsero una lega della durata di 25 anni. Il trattato venne concluso il 2 o il 6 marzo 1226 nella chiesa di S. Zenone di Mosio, terra del Mantovano49. Il Corio nella sua storia di Milano riproduce il documento del quale fa cenno anche il Giulini. Per i Milanesi intervennero come deputati, Ugone Prealone e Ottone Dell’Otto e, come testimoni, Lantelmo Prealone e Lantelmo figlio di Guglielmo di Varena.
Noi non possiamo stabilire con precisione, chi sia questo Lantelmo di Varena; però nelle carte genealogiche della famiglia Tenca questo personaggio figura come il figlio del capostipite della famiglia stessa50.Fonte/commento: 525
Nel 1228 anche Tortona aderisce alla Lega Lombarda nel convegno di Torino, l’8 maggio: tra i presenti rappresentanti di Lombardia vi erano «Zanne de Cantono et Nicola Cumanis et Guglielmo Saporito mediolanensi51.
Molto probabilmente questo Cantono apparteneva alla famiglia Cantono originaria dell’Isola e che troviamo a Varenna nei primi del ’200: dopo la rotta di Cortenova del 27 novembre 1237, tra i guelfi lombardi rimasti prigionieri e sparsi per i castelli delle Puglie e delle Calabrie, troviamo nominati Guglielmo Saporito e Arnaldo de Cantono.
Un Arnaldo Cantono troviamo a Varenna nel 1106 ed un altro, che potrebbe essere il prigioniero della rotta di Cortenova, troviamo in un atto firmato a Varenna nel 125052.
In un atto dell’anno 1195 si trova un Guglielmo di Varena come arbitro del comune di Chiavenna il che prova che doveva essere un personaggio distinto, e niente di più facile che egli fosse il padre di Lantelmo del quale abbiamo parlato più sopra.
Nel 1237 l’Imperatore Federico II scese un’altra volta in Lombardia alla testa di un forte esercito per muovere guerra ai Milanesi. Durante questa guerra due personaggi di Varenna ebbero occasione di distinguersi: Antonio de Matti di Tondello e Guglielmo Tenca di Varenna.
La battaglia di Cortenova, com’è noto, venne perduta dai Milanesi; e quando la triste notizia venne portata a Pagano della Torre, che era amico dei Milanesi, egli, da Primaluna in Valsassina, dove si trovava, ordinò la riunione delle milizie dì tutti i paesi da lui dipendenti, e, affidatone il comando a Antonio de Matti di Tondello, mossero verso Pontida. Colà giunti raccolsero tutti i fuggiaschi dello sconfitto esercito e li diressero verso la Valsassina dove furono soccorsi ed amorosamente ospitati53.
L’episodio relativo a Guglielmo Tenca, che il Fiamma qualifica «de Castelletto» è narrato da quest’autore nel Manip. Flores. Invero non è molto chiaro: dice, che i Milanesi per trarre in inganno le truppe imperiali avevano, mediante un grande fossato scavato di notte tempo, scaricato il Ticinello nel Ticino. L’imperatore, accortosene, ordinò che venisse interrato il fossato; ma gli abitanti di Corbetta, Magenta e delle rive del Ticino, con a capo Guglielmo Tenca e Ardigò Mano, vi si opposero54.
Dallo studio genealogico della famiglia Tenca e dal dizionario storico-blasonico del Crollalanza apparirebbe invece che Guglielmo Tenca della Battaglia di Cortenova, non più di Castelletto, come dice il Fiamma, ma bensì di Varenna sarebbe padre del Lantelmo che firmò come teste nel patto di Moizo. Ma di queste genealogie c’è poco da fidarsi55.
⁂
Secondo la cronaca raccolta da A. Huillard - Brèholles (Cronicum Placentinum et Chranicum de rebus in Italia gestis ab arma 1154 a anno 1284 ex codice manoscripto biblioteca londinensis apud museum Britannicum) nell’anno 1238 gli uomini di Lecco e di Varenna si ribellarono al dominio dei Milanesi.
L’esito infelice della guerra sostenuta dai Milanesi contro l’imperatore, fu anche causa che quelli perdessero la giurisdizione su Lecco e la sua riviera. Ne approfitto Como per estendere il suo dominio sul lago e così troviamo che nel 1239 e nel 1240 Varenna viene ad essere suddita dei comaschi.
L’imperatore Federico II in una sua lettera del 15 febbraio 1239 a Masniero Borgo, podestà di Como e capitano, gli annuncia di aver nominato Bertoldo, marchese di Foehmburg, duca di Lecco e della Riviera56.
Di Varenna si parla in un interessante documento di quello stesso anno; 1 novembre: Andrea da Taranto, giudice della Grande Curia Imperiale, e Filippo Barbavaria, entrambi rettori di Como, mandano a tutti i podestà, decani ed uomini della Valtellina, Chiavenna e del lago una lettera a nome dell’imperatore, nella quale si ordinava di censire e di prendere possesso, in nome di detti rettori, di tutte le proprietà dei cittadini milanesi e degli uomini di Varenna esistenti in tutti i paesi della giurisdizione comasca. Inoltre si ordinava di rinviare a Como tutti gli uomini di Varenna trovati nei territori medesimi57.
Come si vede l’odio dei Comaschi per gli Isolani continuava, dopo distrutta l’isola, verso gli abitanti di Varenna discendenti di quelli.
Al 19 del detto mese troviamo un’altra carta dell’archivio di San Lorenzo di Chiavenna che dice «Enrico Bertramino e Giacomo de Ponte, magistrati di Chiavenna, a nome dei massari, debbono pagare un affitto a quei di Varenna, e ricevono quattro lire sui fitti, e tutto ciò per le spese che incontrarono, e incontrano tuttora nel disbrigo degli affari concernenti Milano ed il suo distretto, e quello di Varenna, per ordine dei Signori Andrea di Taranto, giudice dell’imperial curia, e Filippo de Barbario, uno degli addetti al comune di Como»58.
Dagli annali Piacentini si toglie come nell’anno 1239 i Milanesi penetrarono in Como, e ne occuparono le torri, impadronendosi inoltre di Lecco, Mandello e Varenna. Ma l’esercito dell’imperatore entrava nel comitato milanese, mentre le forze della lega andavano indebolendosi: Como, Lecco, Mandello e Varenna si ribellarono ai Milanesi e si dichiararono per l’imperatore59. Il quale, per premiare la città di Como di questo suo atto di fedeltà le concedeva la giurisdizione su Lecco, Mandello e Varenna.
A prova di ciò possediamo un privilegio imperiale del maggio 1240 con il quale Federico II concedeva ai comaschi molti beni e tutto ciò che era di spettanza della chiesa Milanese non solo; ma ordinava loro di presidiare Lecco e la riviera onde proteggere quelle terre minacciate continuamente dai Milanesi60.
In quegli anni vi fu per Varenna, aquanto pare, un periodo di sudditanza bergamasca.
Nella convenzione del 1375 di sudditanza dei Liernesi ai Varennesi sono citati due atti del 1242, 31 agosto, a rogito l’uno Gaspare de Gaia, l’altro Alamanno del fu Isolano de Pino di Varenna, dai quali risulta che, in presenza del podestà di Bergamo, Montanini de Furno di Cremona, si sono assoggettati in tutto e per tutto alla giurisdizione di Bergamo, come a rogito 6 novembre 1242 dal notaro Denterio de Callo.
Da questi atti risulta anche essere detto territorio di proprietà di quelli di Varenna ed avervi Varenna ogni diritto di giurisdizione, mentre non compete diritto alcuno a quelli di Mandello, sebbene vi abbiano esercitato in passato giurisdizione, ma non per titolo legittimo: per abuso e con continua lotta con quelli di Varenna61.
Però la sudditanza di Varenna a Bergamo deve aver avuto un carattere transitorio, perchè gli storici ci dicono che nel 1244 Varenna venne distrutta dai Comaschi ai quali essa si era ribellata e che quattro anni dopo, nel 1248, venne arsa e distrutta una seconda volta sempre per il reato di ribellione62.
Disgraziatamente mancano particolari su queste lotte e distruzioni del nostro borgo. Nel cartario pagense della chiesa di S. Lorenzo, raccolto dal Cerutti, e in corso di stampa nel Periodico della società storica Comense, v’è una pergamena del 28 luglio 1248 nella quale è menzione di una certa somma che il comune di Chiavenna deve pagare a Giacomo della Porta di Castel Muro che gli aveva prestato danaro per pagare alcune spese fra le quali il soldo delle soldatesche del comune che accampavano a Varenna, nello stesso anno della sua distruzione.
Con l’immigrazione in Varenna degli Isolani, le relazioni fra Varenna e i territori dell’isola distrutta divennero frequenti ed abbiamo già accennato ai numerosi atti di compravendita compiuti dai nuovi abitanti di Varenna. Fra questi ci sembra meritevole di menzione quello col quale i fratelli Giacomo e Nicola Balbiano il 15 febbraio 1282 vendono al prete Amicone Puricelli camerario di S. Eufemia d’Isola, un appezzamento di terreno, situato nel luogo detto Balbieno63, che, molto probabilmente, sarà l’attuale punta di Balbianello, nome che ricorderebbe quello portato dagli antichi proprietari: i Balbiano.
Dobbiamo poi notare come anche negli istituti religiosi sopravissuti alla distruzione nei territori dell’Isola vi fossero non poche persone di Varenna. Nell’elenco dei componenti la canonica di Sant’Eufemia, nell’anno 1258, troviamo ben quattro canonici di Varenna: prete Lanfranco di ser Ottobono de Mollo, altro prete Lanfranco di ser Lagordo de Mollo Fumiano di ser Fumiano de Domo e Remedio di ser Gerardo de Domo64.
In un successivo elenco dell’anno 1262Fonte/commento: 525 troviamo fra i canonici prete Enrico de Castello di ser Guglielmo de Castello, prete Giordano di Ser Ottone Tregambe e ancora il prete Romerio di Ser Gerardo de Domo ed il prete Fumiano nominati nell’elenco del 1158: tutti di Varenna65.
E nel monastero di S. Faustino di Campo d’Isola troviamo fra le monache una domina Vestexia ed una domina Cicilia entrambe di Varenna66.
Attorno alla chiesa di S. Giovanni sorsero le case delle più illustri famiglie del paese come quelle dei Balbiano, della cui dimora abbiamo già fatto cenno, degli Scotti, dei quali rimane ancora lo stemma in una viuzza adiacente alla chiesa, dei Serponti, ricordati in un affresco nelle vicinanze dell’antico porto di Varenna detto il Melsot. Tutta questa plaga conserva ancora oggi un aspetto di vetustà con le strette vie medioevali, piene d’ombre e riunite da archi cadenti, e coi suoi piccoli orti fragranti di lauro, e di erbe odorose.
L’attaccamento degli Isolani per laFonte/commento: 525 loro antica patria è provato dal fatto che tuttora si conservano in Varenna nomi di località dell’antica isola: la frazione Pino, il Caravino il Balbiano ed altri che ora ci sfuggono.
Della ricchezza e potenza conservata dalle famiglie Isolane di Varenna, fanno fede i loro vasti possedimenti negli antichi territori dell’isola, in Valtellina, ed in altre località del lago.
In un documento del 1273 tra le coerenze dei possessi dell’abbazia di S. Abbondio in un territorio di Chiavenna sono citati tra i possessori confinanti «illi de Varena»67. Più tardi in una pergamena, conservata nell’archivio parrocchiale di Varenna, del 4 maggio 1325 appare che Giovanni, figlio del «quondam domini Ardrici de Pino de Varena» è investito della decima del feudi di Limonta e Civenna per sè e suoi discendenti.
Nel già citato strumento di sudditanza degli uomini di Lierna a quelli di Varenna che parta la data del 31 gennaio 1375 e redatto nella chiesa di S. Maurizio «giurisdizione di Varena», fra le ragioni che i Liernesi espongono per preferire a qualsiasi altra la signoria dei Varennesi è detta questa; che gli abitanti di Lierna sono quasi tutti massai di quelli di Varenna e che la quasi totalità del paese è di proprietà degli abitanti di Varenna68.
Molte carte dei fondi dei conventi di Acquafredda, S. Benedetto di Oltrone e Faustino e Giovita riguardano atti di compra e vendita e di donazioni ai predetti conventi da persone d’Insula nova che, si vede, avevano conservato parte delle loro ricchezze nell’antica patria. In dette carte s’incontrano assai frequentemente i nomi delle famiglie Balbiano, Caginosa, Brenta, Franzani, Calvasina, della Piaza, de Pino, Caza, Panizza e Almici e Domo. - Anche la famiglia Domo doveva essere fra le principali del paese. Infatti troviamo nelle carte Bonomi alla Braidense un Albertus de Domo che firma come testimone in Genzana il 13 Marzo 1209 un atto di cessione di beni di certi Attoni Stefano, Bonamici e Roboldi figli del q. Lanfranco Stefani di Varena a domina Anastasia abbadessa di San Fausto e Giovita. Questo Albertus de Domo doveva essere un personaggio importante perchè l’anno dopo troviamo appunto un Albertus de Domo che acquista dall’abadessa del Monastero Maggiore di Milano tutti i redditi e diritti che il monastero ha in Porlezza e nelle Pieve di Porlezza. (28 dicembre 1210). L’atto è redatto nel palazzo dell’arcivescovo Uberto da Pirovano. (A. S. M. Mezzi arcivescovi IV).Fonte/commento: 525
Tra i giudici varennesi di questo periodo che rogavano fuori del paese citeremo Lorenzo de Casteno di Varenua che nel 1255 abitava a Talamona in Valtellina e veniva nominato giudice supplente a Como come risulta da una carta dello stesso anno ricordata dal Cerutti69.
A’ principio del XIII secolo troviamo tra i giudici ser Nicola de Taxeno il cui figlio Grisantus era notaio e messo dell’Imperatore Federico II. Lo troviamo che roga atti a Tremezzo e a Varenna e che si dichiara, come il padre, abitante in contrata Sancti Iohannis de Varena70.Un’antichissima via di Varenna
Molti giudici troviamo nelle famiglie Pino, Insulano de Pino, Caza, Calvasina, Caginosa, e più tardi tra le famiglie Scotti, Tenca, Serponti e Panizza.
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Nella seconda metà del XIII secolo, dopo la distruzione di Varenna da parte del Comaschi, distruzione che deve aver fiaccato non poco le forze del paese, questo si raccoglie in sè stesso; i vincoli con l’antica patria si rallentano. Pertanto nelle carte dei grandi conventi di Acquafredda e di S. Benedetto troviamo minor numero di famiglie varennesi.
In una controversia tra Il convento di Acquafredda e i comuni dei dintorni d’Isola del 1294 frate Nicola di Varenna dell’ordine dei predicatori di San Giovanni di Piemonte viene eletto arbitro tra i due contendenti.
Nel 127671 troviamo a Monza Ribaldus qui dicitur Migloe de Varena appartenente ad una di quelle famiglie che perpetuano ancor oggi in Monza il nome di Varenna72.
Ma già in un antichissimo calendario necrologico monzese73 sotto la data 18 aprile 1135 è detto: 18 aprile O. Iohannes de Varena sepultu in insula Cipro.
Non sappiamo se questo Giovanni di Varena, morto nella lontana Cipro, appartenesse già ad una famiglia Varenna trapiantata in Monza o che, dato che in quest’epoca sono rarissimi gli esempi di nomi di famiglia, fosse semplicemente un nativo di Varenna stabilito in Monza, il che proverebbe le grandi relazioni tra Varenna e Monza.
Dopo la metà del secolo XIII scoppiano le lotte intestine fra Torriani e Visconti, disputantisi il possesso di Milano.
Martino della Torre, nominato dal popolo, anziano della credenza nel 1247, sfidando la scomunica del Papa, aveva occupate le terre che appartenevano alla mensa arcivescovile. Fra esse avrebbe dovuto essere Varenna che noi sappiamo appartenere alla mensa arcivescovile in questi anni, però nella procura fatta nel 1271 dall’arcivescovo Ottone Visconti a frate Bartolomeo come delegato ad esigere le entrate arcivescovili di Arona, Vergante, Intelvi e Valsassina che maturavano da quattro anni non si fa cenno alcuno di Varenna74.
Il pontefice punì con l’interdetto Milano ed i ribelli ed ordinò all’areivescovo di occupare la sede. Ottone, postosi a capo dei nobili entrò in Arona, e si accingeva a proseguire verso Milano, quando Martino della Torre, accorse e lo pose in fuga. In questo periodo tutte le terre di Lecco e della riviera, passarono al dominio dei Torriani, ai quali protestarono fedeltà75.
I fuorusciti milanesi, con a capo il Visconti, si appellarono, come purtroppo spesso accadeva in quei tempi, all’intervento straniero e precisamente a quello Spagnuolo, e, nel 1274 ne ebbero aiuti, e inflissero nel 1276 ai Torriani, sostenuti, ma vanamente, dal Lecchese, dalla Riviera Gruppo di cipressi sopra la strada che da Varenna conduce a Fiume Latte in località detta Prebenula (Fot. Adamoli).e dalla Valsassina, la tremenda sconfitta di Desio, che segnò la decadenza del loro partito.
Lecco e la riviera, furono ancora preda or dell’uno or dell’altro partito, nel 1283 furono occupate da Ottone Visconti ma gli furono ritolte nel 128476 dai Comaschi, con i quali le ostilità continuarono, fino alla pace di Lomazzo del 1286. Nei patti di essa, venne stabilito, che fossero restituiti i beni da ambo le parti, e che i fuorusciti della Valsassina e dei territori di Lecco e della riviera, non fossero molestati.
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Torniamo ora a parlare della chiesa di Varenna e più precisamente della chiesa di S. Giorgio, attuale parrocchia.
Cesare Cantù, appoggiandosi probabilmente a Goffredo da Bussero, scrive che già nel 1288 la chiesa di S. Giorgio di Varenna era chiesa collegiata e plebana di sette chiese e nove altari, e sottoposta alla diocesi di Milano77.
Non ci è stato possibile rinvenire alcun documento che riguardi la detta chiesa nel secolo XIII.
Nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, che va sotto il nome di Goffredo da Bussero, edito in questi anni, a cura dell’architetto Monneret e del compianto Magistretti, secondo i quali la compilazione del Liber non risalirebbe che al primo decennio del XIV secolo, ed il compimento sarebbe avvenuto dopo la morte di Goffredo da Bussero sui materiali da lui lasciati, Varenna è nominata più volte.
A colonna 164 si dice: «Varenna ecclesia sancti Joannis Baptiste»; a colonna 172: «In Varena ecclesia Sancti Martini altare Sancti Jacobi Zebedei»; a colonna 247: «In Varena loco Perre ecclesia sancti Martini» (Perre = Perledo); a colonna 293: «in plebe Varena loco Isino ecclesia sancti Petri», (Isino = Esino); a colonna 394: «In plebe Varena loco Incino ecclesia sancti Victoriis». Incino è evidentemente un errore: si tratta al certo di Isino, Esino dove ancor oggi esiste la chiesa di S. Vittore, a colonna 256: «In plebe Varena loco Gitana ecclesia sancte Marie»; a colonna 409, nell’elenco delle canoniche, sono notati Varena et Bellanum, e, finalmente a colonna 471, nell’elenco delle pievi è detto «Varena sine exemptis78 in ecclesiis VII habet altaria VIIII».
Dopo ciò, si può affermare, che in quel tempo Varenna era capo di Pieve ed aveva giurisdizione su Gitana, Perledo ed Esino; ma in quanto alla chiesa di San Giorgio di Varenna stessa, non avendola Goffredo da Bussero, nominata, dovrebbe credersi che non esistesse prima del XIV secolo, se nel codice di Goffredo non fossero molte le lacune e se non avessimo un documento che ci dà notizia dell’esistenza di essa nel 1313.
Il documento, che è nell’Ambrosiana di Milano, carte pagensi, contiene quanto segue: frate Davide de Scala, genovese, vicario del vescovo di Como, a ciò delegato, per l’autorità di Alberto da Velate, canonico ordinario della metropolitana di Milano e Vicario Generale di Gastone della Torre, Arcivescovo di Milano dietro supplica del console ed uomini di Varenna, i quali richiedevano che venisse consacrata la chiesa di San Giorgio di Varenna, nonchè le altre chiese, i cimiteri ed i calici, notifica di avere consacrato solamente l’altare della Beata Vergine nella chiesa di Santa Maria situata fuori Varenna, ma presso il detto borgo nel quale altare ha deposto e suggellate le reliquie di S. Lorenzo e di altri santi sconosciuti. Inoltre concede in perpetuo a tutti quelli che si saranno confessati e avranno visitato detto altare che contiene le dette reliquie dell’anniversario di detta consacrazione e per tutta l’ottava indulgenza dei peccati, la qual indulgenza sarà di un anno e 40 giorni per il primo giorno, ossia, per il 19 gennaio e di giorni 40 per gli altri dell’ottava.
Fra gli intervenuti alla cerimonia eravi il beneficiario e rettore della chiesa di S. Giorgio, prete Bebulco da Alzate, il quale è il primo parroco che conosciamo di questa chiesa.
Non bisogna poi passare sotto silenzio un giudizio sull’antîchità della chiesa di cui parliamo attribuito all’ora defunto architetto G. B. Torretta il quale nel 1897 ideò un ampliamento della chiesa stessa. Egli dice di aver consultato documenti in base ai quali ritiene che la chiesa venne costruita nell’XI secolo. Queste notizie sono desunte da uno scartafaccio esistente nell’archivio parrocchiale di Varenna lasciato dal parroco Don Mezzera.
Al contrario Don Santo Monti, nelle sue note agli atti della visita pastorale del Ninguarda, e nella sua storia dell’arte nella diocesi di Como, dice che la parrocchiale di Varenna sebbene in gran parte rimodernata, conserva la sua ossatura primitiva e qualche reliquia d’antico come le volte cordonate a crociera delle navi minori che la palesano una ben proporzionata basilica a tre navi del XIV secolo.
Secondo gli studi del Toretta dell’originario tempio non restano oggi che le colonne racchiuse negli attuali pilastri, le murature perimetrali a limitata altezza, le finestre, otturate dal cornicione esistente e da alcune grosse pietre che servirono alla posa delle armature in legno e copertura dell’edificio. Fra il XV secolo ed il XVI vennero erette le volte attuali con gli archi a sesto acuto, e sul senso trasversale conservandosi però ancora libere le colonne, e gli archi aperti, tra l’altare maggiore e le due cappelle laterali, nonchè l’altare appoggiato al muro di fondo, dove oggi trovasi il coro.
Ciò si rileva nel verbale del 25 giugno 1563 della visita pastorale del cardinale arcivescovo Carlo Borromeo, nel quale è detto che questa chiesa «est tota fornicata et habet tres naves cum tribus colonis et quatuor archis» e ciò perchè al posto delle pareti laterali all’altare maggiore vi erano due archi aperti (come si constatò all’assaggio praticatosi) e pressochè libere le due colonne in corrispondenza dell’odierna balaustra.
E’ facile arguire poi che tra il XVI e il XVIII secolo l’aspetto interno della chiesa ha subito una nuova fase, essendosi formati gli attuali pilastri racchiudenti le colonne, chiusi i due archi laterali all’attuale altare maggiore, e costruito il cornicione. La sacristia trovavasi prima sul lato opposto a quello dove oggi trovasi il campanile, eretto nel 1652-53. Alla metà del secolo XVI era costituito da due soli pilastri con tre campane; fu costruito l’altare maggiore, l’organo ecc. Sull’altare maggiore, presso gli armadi dove stanno rinchiuse le reliquie si vedono dipinti degli agnelli; sotto le lesene si scorgono le colonne di vero marmo.
Malgrado queste notizie che abbiamo potuto raccogliere, la data di fondazione della chiesa di San Giorgio di Varenna continua a rimanere per noi un’incognita.
Riguardo alla chiesa parrocchiale di San Martino di Perledo si legge nei documenti della visita pastorale dell’anno 1895 che la chiesa venne edificata nel 1100, e ricostruita nel 1613.
Il Boldoni nel suo Lario riferisce la solita leggenda di tutte le chiese lombarde secondo cui la Regina Teodolinda sarebbe stata la fondatrice della chiesa di San Martino e della torre campanaria che ancora oggi si ammira.
Isolate notizie storiche delle quali abbiamo preso appunto nelle nostre ricerche su questo periodo della Storia di Varenna sono le seguenti:
In una lista di scomunicati dal Vescovo di Como, Giovanni, e di eretici conservataci dal codice Bonomi (AE 15, vol. 32) in data 6 aprile 1282, è nominato Salvadeo Calvaxina de Varena come membro della fazione, scacciata dalla città, dei Rusca, che devastarono la chiesa di Santa Maria ed invasero il vescovado.
Nel principio del secolo XIII visse frate Giacomo da Varenna79 che fu il primo preposto degli Umiliati di Milano. Frate Nicola da Varenna, dell’Ordine dei Predicatori, è nominato il 3 febbraio 1274 arbitro, con frate Guglielmo Bosis dello stesso ordine, in una questione tra il convento di Acquafredda ed i comuni di Sala, Osena e Genzana.
Nel memoriale della famiglia De Matti, edito in parte dall’Arrigoni havvi quest’annotazione: L’11 di ottobre 1235 Giovanni Antonio de Matti di Tondello fu fatto in Introbbio capitano della Milizia di Valsassina.
Fra i personaggi degni di menzione di questo periodo abbiamo il notaio Giovanni detto Sceptrus che ha rogato verso l’anno 1213, come da una pergamena (7092) pagense dell’Ambrosiana.
Della famiglia De Pino citiamo il notaio Isolano De Pino che rogò verso il 1209. (Carte Bonomi, AE XV, 34 pag. 369).
Nel 1225 troviamo poi Joannes filius Insulani Sceptri de Varena notarius, e nel 1228 un Grisantus iudex ac missus domini imperatoris Federici, filius ser Nicolai judicis de Varena. (Braidense. Carte Bonomi AE XV, 34).
Nel 1259 troviamo Allamano de Pino de Varena pronotaio, filius ser Insulani de Pino de Varena. (Carte Bonomi AE XV, p. 563).
Abbiamo un altro notaio in Manfredo de Cantono f. q. Bonapartis de Cantono de Varena che ha rogato verso l’anno 1268. È da notare che i Bonaparte si trovano frequentemente sia in Varena che nell’isola.
In un atto del cartario pagense di Chiavenna del 26 marzo 1193 troviamo un Lanfranco de Serpente de Insula Nova (Varenna) il quale unitamente ad un Balbiano e ad Ottone Franzani pure di Varenna prestano denari al comune di Chiavenna.
In un successivo atto del 4 gennaio 1213 del notaio Lantelmo di Menaggio è nominato un Aurigamis de Superponte de Varena80.
Un Serponti più antico lo abbiamo nell’Isola dove verso il 1100 troviamo un Bertari de Serponte81.
In una memoria che è conservata dagli eredi della famiglia si dice che i Serponti sono originari della Germania. Il primo della famiglia sceso in Lombardia vi sarebbe comparso nei primi anni del secolo XIV e si sarebbe chiamato Tommaso. Questo Serponti fu dall’imperatore Enrico VII spedito ambasciatore presse il pontefice Clemente V. Di questa ambascieria parlano il Lünig (1309), lo Struzio, il Ragnoldi, il Vecerio, il Balusio e Giovanni da Cermenate.
Questo Tommaso Serponti dopo la morte dell’imperatore seguita nel 1313, avrebbe accettato di servire insieme al figlio Giovanni col proprio reggimento di cavalleria nel partito ghibellino dei Visconti in Milano.
Poichè noi abbiamo trovato dei Serponti fin dal XII secolo all’isola Comacina e poi nei XIII secolo in Varenna è da ritenere siano in errore quelli che vogliono dare un’origine tedesca a questa famiglia.
Note
- ↑ Questa notizia del Corio è riportata anche da Ignazio Cantù nelle sue Vicende della Brianza e paesi circonvicini e da Cesare Cantù nella Illustrazione del Lombardo-Veneto, ma quest’ultimo fa le sue riserve sull’autenticitià del documento. La notizia intanto contiene una evidente inesattezza relativamente alla data poichè, mentre il vescovo Teodoro risulta già morto nel 493 in quest’anno stesso era vescovo di Milano Lorenzo I.
- ↑ Il brano del testamento che si riferisce a Varenna è il seguente: Verum etiam et confero ad jura ipsius oracoli vel exenedosii nostri portionem meam de casa cum area ubi posita est cum curticella de quantum habere videor in civitate Mediolanensi ex integrum; nec non et olivetam ea quam habeo in Mandello et Vareno, atque casis aldionaritiis velterris et vineis... Biblioteca Ambrosiana in Milano. Vedasi anche: Frisi, Memorie storiche di Monza, Tomo II; TroyaFonte/commento: Pagina:Vittorio Adami, Varenna e Monte di Varenna (1927).djvu/524, Codice diplomatico, Tomo V; Porro Codex diplomaticas Langobardiae, doc. 39.
- ↑ Erant in ea legione fortissimi Centuriones qui jam primis ordinibus appropinquarent T. Pulsius et L. Varenus.
- ↑ Iteram Bityni (breve tempus a Iulio Basso) et Ruffam Varenum Proconsulem detulerunt, Varenum quem super adversus Bassam et postolarunt.
- ↑ Marchesi Sigismondo, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì, Silva, Forlì 1678.
- ↑ Reale istituto lombardo di scienze e lettere - Serie II, Vol. XLVII.
- ↑ P. C. Pesci, Vita di Santa Varena (Protettrice della Villa del Foro), Alessandria, Tip. Testera, 1885.
- ↑ Carolo du Fresne e du Cange, Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis Tomo IV, Parigi, 1736.
- ↑ Pasqualigo Giuseppe, Compendio storico della repubblica e Canton Ticino, Milano, 1893.
- ↑ Schnider F., Die Entsehung von Burg und Landgemeinde in Italien (Abhandlungen zur Mittleren und Neueren Geschichte, Rothschild - Berlin, 1924.
- ↑ Non bisogna però dimenticare che il nome di Varenna con due n è tutt’affatto recente.
- ↑ Lupi Mario, Codex diplomaticus Bergomatis, Bergomi, MDCCIC.
- ↑ Ronchetti Giuseppe, Memorie storiche della città e chiesa di Bergamo, Bergamo, 1805. Tomo I. pag. 2.
- ↑ Pagnoncelli Antonio, Sulle antichissime origini e concessioni dei governi municipali nelle città italiane. Tomo I, pag. 32.
- ↑ Mazza, Coreografia bergamasca dei secoli VIII, IX e X.
- ↑ Fumagalli, Codice Santambrosiano.
- ↑ Fumagalli, idem.
- ↑ Giovio G. B., Como e il Lario - Commentari, 1795.
- ↑ Stampa Giuseppe, Notizie storiche intorno al comune di Gravedona, Milano, Salvi, 1865.
- ↑ Riboldi Ezio, I contadi rurali nel Milanese in Archivio Storico Lombardo 1904, Fasc. II.
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- ↑ Monneret de Villard Ugo, op. cit. pag. 47.
- ↑ Il canonico Raderico è il continuatore delle Gesta Federici I imperatoris auctoribus Ottone episcopa et Rogemno praepositum frigentibus.
- ↑ Bianchi Giovini, Studi sulla storia dei Longobardi. La Comacina, in Rivista Europea, 1847.
- ↑ Monneret, op. citata, pag. 156. L’iscrizione è dell’anno 1367.
- ↑ Barelli, Rivista Archeologica Comense. Fasc. 1892.
- ↑ Monti Santo, Atti della visita pastorale diocesana di S. Feliciano Ninguarda, Como. Tip. Ostinelli. Vol. III della Raccolta Storica della Soc. Storica Comense.
- ↑ Monneret de Villard Ugo, op. cit, pag. 57.
- ↑ Adami Vittorio, Cenni genealogici sulle famiglie di Varenna e del Monte di Varenna (opuscolo) Milano, 1923. — I Giovio rimasero pochi decenni a Varenna essendo poi trasmigrati a Como.
- ↑ Fumeo Paolo, Il Bardo del Lario, Milano. Tipografia dei classici italiani, 1838.
- ↑ Specilegio dell’Abbatia di Acqua Fredda del Sacro Ordine Cistercense. Diocesi di Como. Pieve di Lenno. Raccolta cronologica di Don Francesco Ferrari, Abbate della stessa Abbazia, 1672. Fasc. man. nella Bibl. Naz. di Torino.
- ↑ Vedi Mon., Hist. Patr.,, Vol. XVI. — Cerutti, Liber statutorum cumanum. 1188, 10 maggio - Ego Fredus f. q. Lanfranci de Velio de Insula Nova. — Vedi A. S. M. - Fondo religione. Pergamena - Chiavenna, S. Maria - Donna, 10 novembre 1194.
- ↑ Pubblicato dall’Ughelli. Italia sacra, tomo IV.
- ↑ Archivio di Stato di Milano, Fondo di religione. Pergamena: Monza Capitolo, 252 b.
- ↑ Frisi, Memorie storiche di Monza. Documento 7 marzo 1189: «... et debet comune Mediolani habere de ipsis rebus venditis secundum computum ipsarum librarum ducentarum et ecclesia Modoetiensis debet residuum habere quas libras trecentas septem et solidos decem predictus dominus archipresbiter accepit de rebus de Varena venditis hominibus de Varena, sicut ipse dixit et protestatus fuit, quia sic inter eos convenit...».
- ↑ Nelle carte Varisco dell’Ambrosiana (Pacco II, n. 36) esiste il seguente elenco, che crediamo inedito, di redditi che Monza possedeva in Varenna. La cartaFonte/commento: 524 appare della fine del secolo XII.
«In Villa Varene solidos IIII. In curte de fluminos bernardus denarios II. Pagano Benzone denarium I. Milicia denarios XII. In curte de Grumello denarios XVI pro curte superiori et inferiori. Casa Vulpis denarios IIII. Casa Oldradi denarios IIII et in alia parte denarium I pro equalitate. In curte de flumine vini meusura I. Milicia staria V. Curia inferiori de flumine staria IIII. In natura vini mensura I posta IIII pro uno quoque vini staria II. In coxola solidos III et posta IIII, vini mensura I, carnis Iibros XXXXXX, casei libros XXII, due de suprascriptis dantur silicis, faces XXXII, perticae quantum sufficiunt ad olivas discutiendos, pallae quantum duo hominus portare possunt, rafine quantum sufficiit dolio in quo oleum deferendum est. Soliginis modia IIII ad starium de garlinda. Sancto Johanis de Varena siliginis modia I ad starium garlinde. Item panigo casei libras V. Item rivolo denarios solidos III pro Sancto Salvatore. Insuper totum pasta XXXII. - ↑ Rebuschini, op. cit. Tomo I, pag. 191.
- ↑ Formentini M., Il Ducato di Milano. Milano, 1877, pag. 30.
- ↑ Queste notizie sono tolte da un atto del 13 gennaio 1375 del quale esistono due copie, una nell’Archivio di Stato di Milano alla voce: Acque, Valsassina, Cart. 1305 e l’altra nell’Archivio dell’Ospedale Maggiore alla voce: Origine e Dotazione, Aggregazioni, S. Dionigi, Ospedale, Vendite. La seconda copia è in condizioni migliori.
- ↑ Pergamena originale in possesso della famiglia Panizza.
- ↑ Bibl. Ambrosiana. - Carte pagensi, n. 7085. — Adami Vittorio, Il monastero di Santa Maria Maddalena di Varenna. Studio pubblicato nella Rivista Storica Benedettina, anno XIII, Vol. XIII, fasc. 57 del 31 dicembre 1922.
- ↑ Bibl. Ambrosiana, Carte pagensi, Pergamene n. 7088.
- ↑ Gli storici non sono concordi sulla data della conclusione del trattato. Il Corio, il Cipolla e l’Huillard Bréholles la stabiliscono al 6 di marzo, mentre il Sigoni, il Giulini ed il Gregorovius la fissano al 2.
- ↑ Per i Tenca vedi Fagnani in Ambrosiana, Sitoni, Crollalanza e Annuario della nobiltà italiana 1887-1894.
- ↑ Ateneo veneto, Lotta tra i Comuni e Federico II. Vol. Il. Fasc. I-III.
- ↑ Appendice al Vol. l’dell’Historia Diplomatica Federici II, di Huillard de Breholles.
- ↑ L’episodio è narrato dall’Arrigoni nella sua storia della Valsassina desumendo la notizia relativa al de Matti da una cronaca manoscritta della famiglia stessa, posseduta ai tempi dell’Arrigoni dall’abate Paolo Fumeo, ed ora introvablle.
- ↑ Vedi: Muratori, Rerum Italicarum Scriptores. Galvano Fiamma, Manipulos Flores; Biscaro Girolamo, Gli antichi navigli milanesi in Archivio Storico Lombardo, fasc. 20, 31 dicembre 1908.
- ↑ A. S. M., Genealogia della famiglia Tenca.
- ↑ Liber statutorum communis Novi Comi. Appendice in Historiae patriae. Leges municipales. Tomo II, parte 1.
- ↑ Documento pubblicato dal Crollalanza. Trovasi anche nel Quellen und Forschungen aus italianischen archiven und biblioteken. Vom Koenigl. Prussich. Historischen Institut in Rom. Hand XV. Heft I.
- ↑ Pergamena di proprietà Santo Monti pubblicata nel Periodico della Società Storica Comense. Fasc. 99-100. pag. 109.
- ↑ Marchetti G., La legazione in Lombardia di Gregorio da Montelungo. In Archivio della R. Soc. Romana di St. Patria. 1913, vol. 85, fasc. 1. Annales mediolanensis, Muratori, tomo XVI, Cronica Bergomense del Finazzi. Miscellanea di storia italiana, tomo V.
- ↑ Cachat Alberto, Il commercio di Milano nel Medio Evo. 1914.
- ↑ Atto del 4 gennaio 1375.
- ↑ Tatti, Giovio, Cantù, Arrigoni nelle opere citate.
- ↑ Atto rogato dal notaro Galvanio del fu ser Guiscardo Dolsemo di Milano. Archivio di Stato di Milano, Pergamene. Isola Comacina, 63+.
- ↑ Atto 20 febbraio 1258 rogato da notar Baldassare Puricelli.
- ↑ Atto 5 marzo 1262 rogato da notar Inoldo Biffo.
- ↑ Carta 29 aprile 1297 pubblicata dal Cerutti nel Liber statutorum Consulum Cumanorum. Vol. XVI, appendice.
- ↑ Biblioteca Braidense, Codice Morbio, 31.
- ↑ Atto 31 gennaio 1375 del notaio Iacobo Tenca del fu Andriolo di Varenna. Copia cartacea presso l’Archivio di Stato di Milano e pergamena presso l’Archivio dell’Ospedale Maggiore.
- ↑ Cerutti, Liber statutorum Cumarum justicae et negotiatorum in Atti Storia Patria, vol. 16.
- ↑ Biblioteca di Brera, Carte Bonomi Vol. 34, pag, 231.
- ↑ Atto 18 agosto 1276 riportato dal Frisi.
- ↑ Di famiglie Varenna trovansene anche in Locarno nel Canton Ticino.
- ↑ Bibl. Ambrosiana, Carte Varisco. Cod. CLV frlsiano.
- ↑ Osio, Documenti diplomatici. Documento X, pag. 18. 5 febbraio 1271.
- ↑ Giulini, Storia di Milano, tomo VIII, pag. 276.
- ↑ Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo XVI. Annales Mediolanenses.
- ↑ Cantù C., Illustrazione del Lombardo-Veneto, vol. III, pag. 1203.
- ↑ Sine exemptis vuol dire senza le chiese esenti da tasse.
- ↑ Tiraboschis Hieronimo, Vetera Humiliatorum Monumenta, e Biblioteca Ambrosiana, Carte Pagensi. Atto 25 aprile 1282.
- ↑ Cartario Pagense di Chiavenna, in Periodico della Società storico-comense, fascicoli 93-94-95, pag. 72.
- ↑ Ugo Monneret de Villard, L’Isola Comacina: Regesto dei documenti, pag. 190 della Rivista archeologica di Como, fascicolo 70-71, anno 1914, p. 190.