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dassero dove loro più piacesse, perchè era stato risoluto nel consiglio che s’atterrasse quella fortezza già nido indegno di fuorusciti e ladroni. Abbandonarono dunque la patria gl’Isolani con urli compassionevoli e dirottissimo pianto, non essendo loro giovate le proteste fatte ai Comaschi, che se avevano della sua fede mancato i suoi maggiori, essi nondimeno erano fedeli ed innocenti vassalli».

Racconta lo stesso Tatti che in una delle Chiese d’Isola, dedicata a Santa Agrippina si conservava il corpo del medesimo Santo: i comaschi Isola Comacinalo tolsero, lo trasferirono nella cappella di S. Pietro situata sulla collina in faccia all’isola, e ordinarono la distruzione di tutte le case di quel famosissimo borgo; non vennero rispettati nemmeno i luoghi sacri e i conventi.

Furono gl’Isolani dei veri ladroni come li chiama il Tatti? Può essere, però è anche probabile che nel Tatti, come in tutti gli altri scrittori comaschi, fosse sentito, anche a distanza di secoli ed attraverso tanti altri avvenimenti, il ricordo dell’antica rivalità comunale.

I miseri; raccolte le loro masserizie si ritirarono in gran parte a Varenna ove furono accolti amichevolmente.

Della distruzione dell’isola rimane un documento lapideo che trovasi nella chiesa di S. Giovanni Battista così concepito:

M. C. dant annos LX 9 notandos | Insula quando ruit, magna pestilentia fuit | Divinu monitu templi reparata vetustas | Grandine quas-