Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VIII/Libro I/Capo III

Capo III – Università, Scuole pubbliche ed Accademie

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Capo III – Università, Scuole pubbliche ed Accademie
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Capo III.

Università, Scuole pubbliche eA’Accademie.

I. Qui ancora scarso argomento di storia ci viene innanzi, e ciò che nel secolo xvi ha occupati due capi, ci convien qui restringerlo entro un solo, perchè esso abbia pure qualche estensione. Le università italiane nel corso di questo secolo non ci offrono nè quelle memorabili rivoluzioni che vedevam sì frequenti ne’ secoli addietro, nè quegli esempii di gara tra le une e le altre nel richiamare alle lor cattedre i più celebri professori, de’ quali non pochi abbiam veduti nel secolo precedente. Esse ancora parvero soffrir non poco di quel languore che su tutta l’italiana letteratura si andò spargendo, e quelle della Toscana furon le più felici, perchè ae’esse non venner meno i suoi splendidi mecenati. Scorriamole nondimeno u’una dopo l’altra, e raccogliamo, come meglio è possibile, le poche notizie che ne troviamo negli scrittori di que’ tempi. [p. 55 modifica]PRIMO 55 II. Deir università di Bologna non abbiamo altre memorie che la nuda serie de’ professori pubblicata dall1 Alidosi e solo fino al 1623 nè di essi è or tempo di ragionare. I nomi però di alcuni tra loro , de’ quali parlerem nel decorso di questa Storia, ci fan conoscere eh1 ella continuò a mostrarsi degna dell1 onore di cui avea sempre goduto; e un Cassini, un Cavalieri, un Montanari posson bastare a renderne il nome immortale. E eh1 ella nel numero ancora degli scolari, che da ogni parte vi accorrevano , continuasse a gareggiare colle più illustri , ne abbiam la pruova fra le altre in una lettera d’Aquilino Coppini, scritta da Milano nel novembre del 1608 a V incenzo Cavalli , che studiava allora in Bologna: Illud autem scito , dice egli, (Coppia. Epist p. 74) mirifice mihi grata fuisse , quæ de ista urbe, de Academia magnificentia, de numero et sapientia Doctorum , de multitudine ac modestia nobilissimorum juvenium, qui istuc studendi causa confluxerunt, ad me scripsisti. Di quella di Padova molto abbiam nelle Storie del Papadopoli e del Facciolati; e questo secondo principalmente nel tesser la serie de’ lettori di amendue le classi, cioè de’ legisti e degli artisti , ci dà ancora notizia de’ diversi decreti dal Senato veneto e da’ Riformatori dello Studio in diverse occasioni pubblicati, di alcuni nuovi collegi aperti, e di altre cose spettanti allo stato di quella università , la qual pure e nel numero degli scolari e nel valore de’ professori sostenne la fama a cui ne’ secoli precedenti era salita. Ma io non trovo cosa che [p. 56 modifica]

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degna ini sembri d’esser qui rammentata distintamente (d). Molto più scarsi lumi abbiamo (a) Un onore ebbe al principio di questo secolo F università di Padova, di cui ella può andare giustamente superba , cioè di avere per alcuni mesi quasi a suo alunno il gran Gustavo Adolfo principe ereditario allora e poi re di Svezia , e uno dei più famosi sovrani che abbia avuti P Europa. 11 Papadopoii, citando altri scrittori padovani, lo afferma (Hist. Gymn. patav. l. 2, c. 44) » n,a frammischia al racconto sì gravi errori, che quasi si crederebbe di’ ei ci narra una favola. Ei dice che quel re discendeva dall antica stirpe dei Jagelloni re di Polonia, il che è falsissimo; e fissa la venuta di questo principe all’anno 1611, in cui egli trovossi all’assedio di Colmar, e in cui pur succedette al re Carlo IX suo padre. Ma convien separare gli errori del racconto, dal racconto medesimo. Questo è certissimo; perciocchè, per tacer del Viviani, che nella \ ita del Galileo il racconta, sol però come cosa che hassi per tradizione, ne abbiamo l’indubitabile testimonianza del Galileo medesimo, il quale in una lettera da me pubblicata, e che si potrà leggere , ove di lui tratterassi, parlando dei suoi sistemi e delle sue scoperte , dice; Alcuna cosa su questo proposito mi uscì di bocca, allor quando si degnò di sentirmi a Padova il Principe Gustavo di Svezia , che da giovane facendo V incognito per f Italia. si fermò quivi colla sua comitiva per molti mesi, ed ebbi la sorte di contrarvi servitù mediante le mie nuove speculazioni e curiosi problemi , che venivan giornalmente promossi, e da me risoluti, e volle ancora di’ io gli insegnassi la lingua Toscana. E di fatto sappiamo dal Puftendorf, eh* ei possedeva e parlava bene la nostra lingua. Questo è dunque un fatto innegabile; e la difficoltà tratta dalla serie delle azioni del gran Gustavo sciogliesi agevolmente, fissandone il viaggio in Italia e il soggiorno in Padova all’an 1609, in cui, e non nel 1611, era ivi il Galileo, e in cui quel principe contava 15 in 16 anni di età. Quindi a ragione il defunto re di Svezia , imitatore ed emulatore del coraggio, del senno e delle [p. 57 modifica]PRIMO 5? intorno all1 università di Pavia; e l’Indice degli Atti ad essa spettanti, raccolto dall’avvocato Parodi e da noi mentovato più volte, non ci offre cosa che qui si possa riferire con piacere e con frutto dei leggitori. Anzi riguardo a’ professori che in essa insegnarono, pochi io ne trovo nel corso di questo secolo, de’ quali sia celebre il nome nella storia delle lettere e delle scienze. III. Benchè le università della Toscana, e quella di Pisa singolarmente, pel favore de’ gran duchi fossero in fiorente e lietissimo stato, esse ancora però non ci somministrarono a questo luogo copioso argomento di storia. Perciocchè la lor gloria, più che in altre cose, è riposta nella fama e nel valore de’ profesori che ad esse furon chiamati. Noi vedremo infatti che nelle scuole di Pisa e in quelle ancor di Firenze dieder pruove del loro ingegno que’ dottissimi uomini , il cui solo nome equivale a qualunque più luminoso elogio; i Galilei, i Viviani, i Torricelli, i Redi, i Malpighi, i Bellini, i Borelli, i Marchetti, i Noris, e tanti altri celebri professori, de’ quali a ragione si vanta il secolo di cui scriviamo. Nè sol dall’Italia, ma dalle straniere provincie ancora traevano spesso i gran duchi alcuni de’ professori altre virtù di Gustavo, nel viaggio in Italia fatto nel irB3 e 84, informato dell’ornamento aggiunto per opera del sig. procuratole Andrea Memmo al Prato dilla Valle di Padova , col disporvi le statue degli uomini più rinomati che illustrata aveano quella università , La voluto ehe a sue spese vi s’innalzasse ancora la statua a quel suo glorioso predecessore. [p. 58 modifica]•»H LIBRO più rinomati. Cosi al tempo di Cosimo II furono profesori in Pisa Giulio Cesare Bulengero e Tommaso Dempstero, al tempo di Ferdinando II il Fine Ilio auatoiuico inglese, e sotto Cosimo III il P. Francesco Meslier Minor Osservante e dottore della Sorbona, Pietro Ambarachio ossia Benedetto Siro.Maronita, che fu poi religioso della Compagnia di Gesù, e il celebre Jacopo Gronovio, il quale, benchè per poco tempo si trattenesse in Pisa, e la sua indole difficile e risentita lo persuadesse a tornar presto alla sua Olanda, conservò sempre ciò non ostante stima e riconoscenza pe’ Medici suoi benefattori, e ne volle lasciar pruova fra le altre nella dedica fatta al gran duca Cosimo III del suo Ammiano Marcellino stampato nel 1693. Nè sole le università di Pisa e di Firenze, ma quella ancora di Siena godè della protezione de’ suoi sovrani, e ne raccolse lietissimi frutti. E Ferdinando II principalmente un nuovo regolamento ad essa prescrisse nel 1655, acciocchè il numero degli scolari non meno che il zelo e l’impegno dei professori nell1 islruirli si facesse sempre maggiore, e più illustre rendesse, come di fatto avvenne, quel pubblico Studio. E nuovi provvedimenti ancora le diede nel 1672 Cosimo III, facendo accrescer gli stipendi de1 professori, acciocchè essi avesser premio corrispondente al loro ingegno e alle loro fatiche, e onorando con privilegi e con esenzioni coloro che a quella università concorrevano per istruirsi. Intorno alle quali cose, da me brevemente accennate, più diffuse notizie si troveranno ne’ più volte citati Ragionamenti del sig. Giuseppe Bianchini. [p. 59 modifica]PRIMO 59 IV. L università di Napoli el>be al principio «li questo secolo un zelante e splendido protettore nel vicerè conte di Lemos , da cui fu innalzata, colla direzione del celebre cav. Fontana, la vasta e magnifica fabbrica di questo Studio, e furono stabilite opportune leggi affin di avvivare il coltivamento delle arti e delle scienze; e alcuni altri ancora dei vicerè spagnuoli, che nel corso di questo secolo governaron quel regno, mostraron di avere in pregio gli studi, e onoraron del lor favore gli uomini dotti. Ma ciò non ostante non fu molto felice in quella provincia lo stato della letteratura j e io non posso meglio esprimerne le ragioni, che col recare le parole con cui le descrive il! sig. Giangiuseppe Origlia: Passato poscia questo regno, dice egli, (Stor. dello Studio. di Nap. t 2, p. 188, ec.) sotto il governo de’ Spagnuoli, e reso provincia delle Spagne, come in tanto non ebbe proprio principe , e fu governato <kì vice rii, che da’ sovrani di quelle erano qui inviati, per lo spazio presso che di due secoli, che durò un tal governo, appena si mantennero gli studi tra’ nostri in questo stesso stato senza altro miglioramento. Quegli Spagnuoli proposti al governo di queste Provincie, essendo sempre sul timore di esser richiamati dalla corte di Madrid, e così di lasciarle, mettevano ogni loro cura piuttosto in cai’ ciar dalle loro viscere somme rilevatissime (d’oro, ed impinguarsi col sangue de’ nostri, che in pensar di promuovere le lettere e le scienze. Senza che erano essi danimo anzi guerriero, che inclinalo a queste, e per IV. Infilile Malo di qurlla di Na|H»li. [p. 60 modifica]V. Vnirrrfità •li Ferrara e di Roma. Go LIBRO le controversie di religione, che allor si sentivano tener in moto la Germania, ed anche altre parti dell’Europa, aveano in sospetto ogni genere di novità. Quindi le ordinanze c/i essi fecero in materie appartenenti alla nostra università, non riguardavano altro che il mantenerla sull’antic o piede in cui eli’ era , o il porla in quello dell’università di Spagna , di cui soltanto aveano qualche buona idea. Onde gl’ingegni imprigionati, per così dire, tra le dottrine degli antichi non facevano ni un moto. Vennero, egli è vero, di tempo in tempo da Spagna per viceré alcuni nobili spiriti, e di un talento molto sopra la portata degli altri di quella nazione, che educati nelle lettere, e fatto avendo in quelle non dispregevoli progressi, gran segni di amore e di stima mostrarono verso coloro che le professarono. E questi si furono quegli appunto di cui onorevole, menzione fatto abbiamo nel proprio luogo di questa nostra Storia. Ma quel tanto che di buono durante il lor governo si faceva , era poscia da’ lor successori distrutto e guasto; e le lor ordinanze venivano da costoro malamente o assai poco eseguile. V. Clemente VIII quando si rendette signor di F errara, pensò a conservare nell’antico suo lustro quella università, che sotto gli Estensi era sì felicemente fiorita. I Brevi per ciò promulgali non da lui solamente, ma anche dagli altri pontefici che gli succederono, e i saggi regolamenti a questo fine medesimo pubblicati da’ magistrati di quella città, che si posson vedere diffusamente riferiti ed esposti nella [p. 61 modifica]PRIMO 6l Storia del Borsetti (Hist Gymn. Ferr. t. 1 , p. 229, ec.), fecero sperare che non dovesse quello studio soffrire alcun danno dalla mutazion del dominio. Ma ciò non ostante, benchè non mancassero nel corso di questo secolo all’università di Ferrara dottissimi professori , benchè ancora qualche nuova cattedra le si aggiungesse, e benchè quella città continuasse a vedere le scienze e le lettere studiosamente coltivate entro le sue mura* ciò non ostante la differenza che sempre passa tra una città che gode della presenza del suo sovrano, il quale avendola continuamente sotto gli occhi, più facilmente si accende di zelo a procurarne il vantaggio, e una città che avendo lontano il suo principe non può sì agevolmente mostrargli i suoi bisogni, fu cagione che quella università, dopo la partenza degli Estensi, sembrasse decadere alquanto dal suo usato splendore. E molto più che le pubbliche necessità avendo costretti i magistrati ad impiegare in più urgenti bisogni parte di quel denaro che era all’università destinato, e essendosi perciò sminuiti gli stipendii de’ professori, non poteron più quelle cattedre offrirsi a’ professori stranieri di molto nome, al valor de’ quali non sembrava corrispondere il loro stipendio. Più copiosi effetti fecer provare i pontefici all* università loro di Roma , detta la Sapienza. Ad Alessandro VII si dovette il compimento della magnifica fabbrica ad essa destinata, che da più pontefici precedenti era già stata cominciata c proseguila j ed egli inoltre vi aggiunse e una scelta biblioteca, di cui diremo nel capo [p. 62 modifica]VI Allre umtriiiliiollv Ha. 62 LIBRO seguente, e l’orto botanico, a cui poscia fu aggiunto il teatro anatomico, sei nuove cattedre istituì, e accrebbe gli stipendii de’ professori j e avendo in tal modo quasi rinnovata quella università, ne fece nel novembre del 1660 la solenne dedicazione. Clemente IX, per accrescere nuovo onore alla Sapienza romana , e per regolar saggiamente gli studi di quella città, ordinò nel 1668 che niuno potesse in Roma tener pubblica scuola, se dal rettore della Sapienza non fosse stato prima approvato. E finalmente, perchè il concorso a quelle scuole fosse maggiore, il pontefice Innocenzo XII vietò a chiunque si fosse il leggere in Roma parte alcuna della civile e della ecclesiastica giurisprudenza , volendo che a’ soli professori della Sapienza fosse ciò riserbato. VI. L i regale munificenza di cui diè tanti saggi il duca di Savoia Carlo Emanuele I, singolarmente nel proteggere e nel ricompensare gli studi, non ci lascia dubitare che alla sua università di Torino non ne facesse ei provare magnanimi effetti. Nondimeno non ne abbiamo, o a me almeno non è avvenuto di ritrovarne, espresse testimonianze. Due altre università ci si fanno innanzi, una in questo secolo aperta, f altra rinnovata. La prima è quella di Modena , che dal duca Francesco II fu istituita , e nel cui aprimento nel 1683 il celebre dottor Bernardino Ramazzini recitò f orazione che si ha alle stampe. Essa non pretese allora di gareggiare colle università più illustri d’Italia. L* ora tur nondimeno parve presago che sarebbe venuto un giorno in cui anche alle straniere 1 [p. 63 modifica]primo (53 nazioni uè sarebbe stato conosciuto ed onorato il nome. Ed egli se or ritornasse in vita , si piacerebbe di non essere stato infelice profeta. La seconda fu quella di Parma , che istituita già, come a suo luogo si è detto, t. 6, par. 1) al principio del secolo xv da Niccolò III, marchese di Ferrara e signore allora di quella città, e venuta poi meno, dal duca Ranuccio fu rinnovata l’anno 1600, e da ogni parte invitati vi furono celebri professori, e allettati con tali stipendii, che Sforza degli Oddi celebre giureconsulto perugino , il quale allora era primario professore di Diritto civile in Padova, collo stipendio di mille ducati, non credette di provveder male a se stesso, abbandonando quella cattedra, per passare a quella di Parma (Facciol. Fasti Gymn. patav. pars 3, p. 135), ove poscia finì di vivere l’anno 1611, come altrove abbiamo osservato (t. 7, par. 2, c. 4»§ xtx). YU. Io non parlerò qui stesamente delle altre pubbliche scuole in molte città d’Italia, le quali furono comunemente affidate a’ Religiosi della Compagnia di Gesù, benchè in più luoghi le avessero ancora i Chierici regolari della Congregazion di S. Paolo, detti Barnabiti, e que’ della Congregazion di Somasca, e que’ delle Scuole Pie; i quali tutti con sollecito zelo si adoperavano ad ammaestrare la gioventù all’istruzion loro raccomandata nelle lettere non meno che nella religione. A che gioverebbe eli’ io qui venissi annoverando distintamente in quali città fossero essi introdotti , con quali esercizii coltivassero i loro scolari, qual frutto ne raccogliessero? Benchè tali scuole vii. Scuoti* j’ii1liliihr «Je1 nnwri. [p. 64 modifica]64 libro possano talvolta esser più utili che le più solenni università, singolarmente in ciò che appartiene agli elementi della letteratura, la loro fama però non si stende comunemente a’ lontani paesi} nè esse somministrano fatti, o vicende di tal natura, che nella Storia generale delle lettere e delle scienze possan degnamente aver luogo. Più opportuno e più adattato allo scopo di questa mia opera sarebbe f esaminare se a tali scuole, e a quelle principalmente de’ Gesuiti, si debba, come alcuni hanno affermato , la corruzione del gusto, che si sparse quasi in tutta l’Italia. Ma io lascerò volentieri ad altri f esame di tal quistione} perciocchè, se mi accingessi a fare apologie e difese, mi si opporrebbe ch’io son giudice troppo sospetto. Ma se io mi astengo perciò dall’entrare in tali ricerche, bramo che se ne astenga ugualmente chiunque, senza esaminare i fatti, è già fermamente persuaso dell’opinion contraria alla mia. Nella Dissertazione premessa al secondo tomo di questa Storia, ho esaminata l’origine della corruzion del buon gusto, corruzione che certo si sparse ancora tra’ Gesuiti, ma che nacque da tai principii, ne’ quali a me non sembra ch’essi avessero parte alcuna. Noi vedremo innoltre nel decorso di questa parte di Storia, che se tra’ Gesuiti furon non pochi i quali si abbandonarono al reo gusto del secolo, molti ancora ve n’ebbe che se ne terreno saggiamente lontani, a parer di coloro il cui giudizio non può essere sospetto; e vedremo ancora che per comune sentimento si dà al P. Paolo Segneri la lode di essere stato [p. 65 modifica]LIBRO 05 il primo ristoratore dell’italiana sacra eloquenza. Dovrassi dunque esaminare come accadesse che, non essendo allora unanimi i Gesuiti nello stile delle opere loro, sì in prosa che in verso, fossero unanimi in insegnar agli altri lo stil gonfio e scorretto che tanto allor dominava; e come dalla sorgente medesima della corruzione uscisse P antidoto che cominciò a ripararne i danni. Finalmente converrà esaminare come avvenisse che, essendo in molte città d’Italia le pubbliche scuole affidate ad altri maestri, in esse ugualmente si spargesse la corruzione del gusto, che in quelle nelle quali insegnavano i Gesuiti. Queste riflessioni a me sembran provare con evidenza che non solo non furono i Gesuiti i primarii autori del reo gusto, ma che in niun modo si può ad essi attribuire tal colpa; e che soltanto molti di essi si lasciaron travolgere dalla corrente, e si uniron cogli altri a diffondere e a promuovere quel guasto stile per cui vedean tanto lodati ed ammirati coloro che ne erano stati i primi propagatori. Ma, come ho detto, non voglio su ciò trattenermi; e passo invece a ragionare delle accademie, intorno alle quali potremo forse con maggior piacere occuparci. Vili. Niuna fra le città d’Italia avea avute nel secolo precedente accademie per numero e per fama sì rinomate, quante Roma. E anche nel secolo di cui scriviamo, e ne’ primi anni di esso principalmente, continuò essa ad avere in ciò il primato d’onore. Tre ne fiorirono ivi al principio del secolo , cioè quelle Tirabosciu, Voi XIV. 5 [p. 66 modifica]66 LIBRO degli Umoristi, degli Ordinati e de’ Lincei, le quali non sarebbero state inferiori a quelle del secolo precedente, se il gusto non avesse già cominciato a cambiarsi, e all1 eleganza succeduta non fosse l’ampollosità e la gonfiezza. Delle due prime abbiam molte testimonianze nella Pinacoteca e nelle Lettere dell1 Eritreo, di cui qui ci varremo principalmente, giovandoci insieme de’ monumenti che ne ha studiosamente raccolti Giovanni Fischer nella Vita dell Eritreo. premessa all’edizion delle Lettere di questo scrittore fatta in Colonia nel 1739. Di quella degli Umoristi fu fondatore Paolo Mancini patrizio romano. Giovane nobile, di aspetto leggiadro e di pulite maniere, dopo aver frequentate le scuole de’ Gesuiti in Roma, e studiata la giurisprudenza nell’università di Perugia, volle ancora acquistarsi nome fra l’armi; e nel movimento che fece Clemente VIII per occupare Ferrara, fu capitano fra le guardie a cavallo del Cardinal Pietro Aldobrandini legato e generale, e diè quelle pruove di \ alore che permisegli la natura di quella pacifica guerra (Erithr. Pinacoth pars 1, p. 31, ed. Lips.). Tornato a Roma, e presa in moglie Vittoria Capozzi gentildonna romana, fra le allegrezze nuziali cominciarono alcuni amici di Paolo a rappresentare commedie e a recitar poesie, e fra essi distinguevasi principalmente Gaspare Salviani, quel desso sotto il cui nome abbiamo le note sulla Secchia rapita di Alessandro Tassoni. Il plauso con cui venivano accolti tali componimenti, ottenne agli autori di essi il soprannome di Begli Umori, il qual poi diede origine a quel [p. 67 modifica](li Umoristi, die essi presero, (quando cominciarono a formare un corpo accademico. L1 epoca di questa accademia dee (fissarsi poco dopo il i(ìoo; perciocché l’Eritreo, parlando della morte del Mancini, che avvenne nel i 635, alcuni anni dappoichè egli, rimasto vedovo, avea preso il sacerdozio, dice che per più di 30 anni avea egli avuto il piacere di veder nella sua casa raccolta una tale adunanza d’uomini dotti, che la maggiore non erasi mai veduta in Roma , e di vederla fiorir per modo ne’ letterarii esercizii d’ogni maniera che potea destare invidia anche fra le nazioni straniere (ib. Epist ad div. t. 1, l. 5, ep. 6). Certo essa era già fermata nel 1603, nel qual anno (ib. l. 4, ep. 4) Giovanni Zarattino Castellini faentino recitò ivi un’orazione sulle barbe. Il Salviani ne era il piò fervido promotore, e quando doveasi tener l’adunanza, andava egli in cerca di tutti gli accademici, invitandoli e pregandoli a intervenirvi, e a fare in essa pubbliche le erudite loro fatiche (id. Pinacoth. pars 1, p. 32). Raccoglievansi essi due volte ogni mese, e talvolta ogni otto giorni in casa del Mancini , e prima quegli a cui ciò era stato dal principe ordinato, saliva in bigoncia a recitare o un’orazione, o un poema, o altro componimento, e seguivan poscia gli altri accademici recitando le lor poesie. Antonio Bruni , di cui diremo tra’ poeti italiani, era il segretario e censore dell’accademia, a cui toccava l’esaminare i componimenti che doveano pubblicarsi. Con qual fervore e con qual vicendevole unione si coltivassero in essa gli studi, ce ne ha [p. 68 modifica]68 LIBRO lasciala memoria fra gli altri il suddetto Eritreo: jFlorebat, «lice egli (EpisL ad div. t. 1, l. 4, ep. 2) , ea tempestata 11umoristarimi Celebris A endemia hominum doctissimorum numero atque frequentia: erat summa inter eos pax atque concordia; nemo adversarius, nemo obtrectator laudum alterius, sed contra semper alter ab altero adjuvabatur, et communicando, et monendo, et favendo. Parve che sul principio minacciasse quest’accademia di venir presto al nulla, perciocchè lo stesso Eritreo, scrivendo agli 8 di luglio del 1607 al Castellini, dice ch’egli temeva che essa fosse vicina a sciogliersi, perciocchè le adunanze che prima tenevansi ogni otto giorni, erano già da gran tempo intramesse. Ma poscia in una proscritta, aggiunta la sera del giorno medesimo, scrive che crasi in quel dì stesso raccolta l’accademia con tal frequenza di accademici e di uditori, che non ricordavasi di aver mai veduta l’uguale (ib. l. 1, ep. 10). Appena era a’ que’ tempi uom dotto in tutta l’Italia, che ad essa non fosse ascritto. Perciò nel numero di quegli accademici, oltre i già nominati, veggiamo Porfirio Feliciano, Antonio Querenghi, Alessandro Tassoni, Battista Guarini, Francesco Bracciolini, il Cardinal Girolamo Aleandro, il Marini, il cardinale Sforza Pallavicino, il commendatore Cassiano dal Pozzo e due sommi pontefici Clemente VIII e Alessandro VII. Moltissimi altri accademici, e quasi tutti famosi per la molteplice loro erudizione e dottrina , nomina il ch. sig. dottore Domenico Vandelli (Lettere di Ciriaco Sincero, ec. p. il quale dice di averne raccolti i nomi di [p. 69 modifica]PRIMO (kj cinquecento e più, e accenna ancora le leggi che ne fece scrivere don Felice Colonna duca di Pagliano, le quali poi serviron di norma a tutte F altre accademie. Anzi ad essa ancor venne ascritto il celebre Niccolò Claudio Fabrizio de Peiresc, a cui, quando finì di vivere, celebrò l’accademia solennissime esequie. La sala stessa in cui teneansi le adunanze, colla sua magnificenza e colle imprese de’ celebri letterati che n’erano membri, sembrava ad esse invitare; e intorno ad essa aggira vasi una vaga ringhiera, dalla quale le dame e le principesse romane godevano aneli’ esse di starsi spettatrici di sì lieto spettacolo (a). In tal felicissimo stato mantennesi l’accademia degli Umoristi fino al 1(170. Ma poscia ella venne languendo, finchè totalmente si estinse. Clemente XI, che già era stato accademico, volle nel 1717 rinnovare una sì illustre accademia, e ne nominò presidente don Alessandro Albani, che fu poi cardinale. Ma non pare che questo rinnovamento fosse di lunga durata. IX. Di quella degli Ordinati io ho fatto un cenno nella Storia del secolo precedente, seguendo il Quadrio, che agli ultimi anni di esso (a) Erasi però anche nell’accademia degli Umoristi introdotto il cattivo gusto del secolo scorso; e a ciò pare che alluda il Redi iu uua sua lettera scritta da Roma nel i65os A questi giorni, dice egli, si fece l Accademia degli Umoristi coll1 intervento di molli cardinali e prelati: l’orazione fu ordinarissima: le poesie arci01 di mirissime: tante, tante: le nostre Accademie di Firenze vi possono stare, ec. (Op. A 5 , p. 1 ed. napoL 1778). [p. 70 modifica]70 LIBRO ne fissa l’origine (t 1, p. 98). Ma poichè è certo, come si è detto, che l1 accademia degli Umoristi non ebbe cominciamento che dopo il i(ioo, e poiché è certo ancora che a questa fu posteriore, come ora vedremo, quella degli Ordinati, ne segue che solo dopo il principio del secolo XVII se ne debba fissar l’origine. Anzi possiam certamente fissarla al i(jo8, perciocché Marco Velsero, scrivendo a Paolo Gualdo agli 8 d’agosto del detto anno, L’Accademia, dice (Lettere (f Uom. ili I eri. 1744? P- 345), del sig. Cardinal Deti non dovrà mancare di uscir in pubblico con qualche composizione di qualche considerazione per farsi e conoscere, e riputare dal mondo, poichè in tutte le cose tanto importa il principio. La prego di darmene nuova; almeno ci dia gusto del nome deli Accademia, degli Accademici, dello scopo, delle leggi, ec. Si può dire che due ne furono i fondatori, Giulio Strozzi che ne formò l’idea, e il Cardinal Giambattista Deti che nel suo palazzo f accolse. Del primo ci ha trasmesso 1 elogio il sopraccitato Eritreo (Pinacoth. pars 3,n. 51), il quale per incidenza parla ancor del secondo. Lo Strozzi era d’origine fiorentino, e figlio di padre nobile, ma nato in Venezia da una concubina. In questa città passò egli i giovanili suoi anni, e si esercitò con felice successo negli studi della letteratura, e singolarmente nella poesia italiana, di cui diede poscia più saggi in componimenti d’ogni maniera lirici, drammatici , epici, fra’ quali abbiamo un poema in xxiv canti, intitolato Venezia edificata. Ma tutte queste poesie sono del gusto del secolo, [p. 71 modifica]PRIMO • 71 e sono ora con ragione quasi dimenticate. Trasferitosi a Roma lo Strozzi ne’ primi anni del secolo xvii, pensò a formare una nuova accademia, per contrapporla a quella degli Umoristi , contro la quale egli era sdegnato, forse perchè essa non facea delle sue poesie quella stima eh egli credeva loro dovuta. Per conciliar maggior fama alla sorgente accademia, ottenne che il Cardinal Deti, il qual per altro non avea finallora mostrata propensione alcuna alle lettere, la ricevesse nel suo palazzo, sperando che la casa di un cardinale sarebbe stata assai più frequentata e onorata , che quella di un privato patrizio, qual era il Mancini. E veramente i principii ne furon tali, che parve che I’ accademia degli Umoristi dovesse rimanerne ecclissata , singolarmente dappoichè Ottavio Tronsarelli, poeta a que’ tempi famoso soprattutto nella poesia drammatica, sdegnato egli pure contro degli Umoristi, volse loro le spalle, e si fè ascriver tra gli Ordinati (ib. n. 36). La protezione degli Aldobrandini, parenti di quel cardinale, e i canti e le sinfonie musicali dalle quali accompagnate erano le loro adunanze , traeva ad esse gran numero di cardinali, di prelati e de’ più ragguardevoli personaggi. Al contrario quella degli Umoristi fu talvolta così deserta , clic quando F Aleandro recitovvi le sue lezioni sull’impresa dell1 accademia, che si hanno alle stampe, egli ebbe tre soli uditori, come narrasi dall* Eritreo che vi era presente. Ma lo splendore dell1 accademia degli Ordinati fu quasi un lampo che in un momento [p. 72 modifica]X. I LlUfOI. 7 a LIBRO disparve. Il cardinale che non amava punto gli studi, si annoiò. presto di aver quella briga nel suo palazzo; e lo Strozzi, ottenuto che ebbe il titolo di Protono tari o, non fu più molto sollecito della sua accademia, la quale perciò in poco tempo si sciolse, laddove quella degli Umoristi crebbe ogni giorno più in celebrità e in nome , e tanto più si rendette famosa , quanto maggiori erano state le macchine ad atterrarla impiegale. X, Niuna però fra le accademie che al principio di questo secolo furono istituite, può uguagliarsi a quella de’ Lincei, fondata in sua casa dal principe Federigo Cesi romano, il quale non è agevole a definire se più giovasse alle scienze col proteggerle colla sua magnificenza, o col coltivarle col suo ingegno. Il celebre sig. dottor Giovanni Bianchi di Rimini, noto sotto il nome di Giano Planco, ha tessuta la Storia di questa accademia, da lui premessa alla ristampa del Fitobasano di Fabio Colonna, fatta in Firenze nel i ^.\\. Contro di questa Storia pubblicò alcune Considerazioni il signor dottor Domenico Vandelli valoroso professore di matematica in quest1 università di Modena , il quale più cose trovò a riprendere in quella Storia, e singolarmente l1 ommissione fatta di Alessandro Tassoni nel numero degli accademici; la quale contesa diede poi occasione a più altre lettere da amendue pubblicate, dal dottor Bianchi sotto il nome di Simone Cosmopolita , e sotto quello di Ciriaco Sincero modenese dal dottor Vandelli. E, come suole [p. 73 modifica]mimo -3 avvenire, frutto di questa contesa è stato il rischiarar la storia di quest’accademia, singolarmente per la diligenza dello scrittor modenese , il quale molti monumenti ha prodotti che spargon gran luce nella storia letteraria di quel secolo. L’anno i(>o3 a’ 17 d’agosto fu dato a quest’accademia felice cominciamento, e fu essa detta de’ Lincei, perchè gli accademici presero a loro simbolo un lince, a spiegar l’acutezza con cui si eran prefissi di osservare e di studiar la natura. Benchè il principale loro oggetto fosser le scienze matematiche e filosofiche, non trascuravan!! però l’amena letteratura e gli studi poetici: Philosophos suos desiderat , dice Giovanni Fabro da Bamberga nelle Prescrizioni ossia Leggi de’ Lincei pubblicate in Roma (t. 1, p. 99)) nel 1624 ad rerum ipsissimarum cognitionem tendentes disciplinis naturalibis praesertim ac mathematicis, non neglectis interini amoeniorum AI usarum et philologiae t ornamentis, ut quae ad instar elega 11tissimae vestis reliquum totum scientiarum corpus condecorent, idque eo industria magis, quo ile relinqui pluries hae consueverunt, quia minus studiosis lucriparae existimentur. Ma poichè. come si è accennato, lo studio della natura fu il principale oggetto delle radunanze de’ Lincei, noi ci riserbi a ino a parlarne più stesamente, ove degli studi filosofici e matematici si dovrà ragionare. XI. Io passo sotto silenzio molte altre accademie romane che dal Quadrio si annoverano, come quelle de’ Partenii, de’ Malinconici , degl’Intricati, degli Uniformi , dei Delfici , de’ [p. 74 modifica]7 4 LIBRO Fantastici, de’ Negletti, degli Assetali, degl*Infecondi, e più altre, delle quali è inutile il qui ripetere i nomi, poichè altri monumenti non ne abbiamo, se non che quegli accademici si radunavano a recitare de’ versi, e che da alcune di queste accademie si pubblicò qualche poetica raccolta; notizie che all’italiana letteratura non accrescon gran pregio. atteso singolarmente il gusto poco felice di tali poesie. Di più distinta e più onorevol menzione sarebbe degna l’Arcadia, fondata in Roma nel 1690, perciocchè il fine che questa illustre adunanza si prefisse, basterebbe esso solo a renderne memorabile e glorioso il nome. Prese essa a muover guerra al pessimo gusto da cui quasi tutta l’Italia era miseramente compresa, e a ricondurre le Muse sul buon sentiero dal quale tanto eransi allontanate. Il principal fondatore e padre ne fu Giammario Crescimbeni maceratese, a cui più altri, compresi da somigliante zelo, si unirono, e fra essi furono i più famosi Vincenzo Leonio da Spoleti, Silvio Stampiglia, l ab. Gianvincenzo Gravina, Benedetto Menzini, Alessandro Guidi, Giuseppe Paolucci da Spello, l’avvocato Giambattista Felice Zappi, l’ab. Pompeo Figari e l’ab. Paolo Antonio del Negro. Ma essa, più che al secolo XVII, appartiene al nostro presente, e perciò non è di questo luogo il parlarne; e ancorchè pure ne dovessimo qui far parola, tanto già se 11’ è detto da mille scrittori , che poco utile sarebbe il trattenersi nel ragionarne. Di alcuni però tra’ poeti che ne furono i fondatori, e che di poco toccarono il secol presente, diremo, ove sarà luogo a [p. 75 modifica]PRIMO nj trattare dello stato della poesia italiana. Benchè non avesser forma di regolate accademie, ne ebber però tutto il pregio, e ne produssero forse anche più ampio frutto, due erudite conversazioni che sugli ultimi anni di questo secolo teneansi in Roma, nelle quali da’ più dotti uomini che ivi viveano, si ragionava di diverse materie scientifiche ed erudite; una presso monsig. Giovanni Ciampini, del quale diremo nel libro seguente: l’altra presso monsig. Marcello Severoli faentino, prelato dottissimo e splendido protettore de’ dotti, morto in Roma nel 1707, di cui si ha la Vita tra quelle degli Arcadi illustri. XII. Fra le città dello Stato ecclesiastico niuna ebbe sì gran numero d’accademie, quanto Bologna. Più di trenta ne annovera il Quadrio (l. ciLp. 5~, ec.) in questo secolo istituite. Ma di esse null’altro sappiamo, se non il tempo in cui ebber principio, e di alcune ancora ci son noti i fondatori. E sappiamo innoltre che quasi tutte ebbero breve vita. In fatti Gregorio Leti, scrivendo verso il 1676, afferma (Italia regnante, par. 3, l. 2, p. 82) che estinte già le accademia antiche degli Indomiti e della Notte, ed altre fino al numero di 24, una sola avea allor molta fama, cioè l’accademia de’ Gelati. Questa era stata fondata fin dall’anno 1588 (Fantuzzi, Scritt. bologn. t.1, p. 11), e noi ne abbiamo a suo luogo fatta menzione. Si mantenne essa costante e in istato assai lieto per tutto il corso di questo secolo, e ne son pruova le Memorie, Imprese e Ritratti de’ signori Accademici Gelati di Bologna raccolte [p. 76 modifica]’jG LIBRO nel principato del sig. conte Valerio Zani il Ritardato, e nella stessa città stampate nel 1672, e innoltre le Prose de’ medesimi stampate l’anno precedente. Le prime ci mostrano che appena v ebbe uoiii dotto a quei tempi che ad essa non fosse ascritto, e per nominarne solo alcuni de’ più famosi, veggi amo tra essi il pontefice Urbano VIII, Francesco Redi, Fulvio Testi, Battista Guarini, Gianvincenzo Imperiali , Lorenzo Crasso , monsig. Giambattista Agocchia , monsig. Giovanni Ciampoli, il co. Prospero Bonarelli, Melchiorre Zoppio, Gemini ano Montanari. Le seconde ci danno un saggio degli studi di quegli accademici; e se esse ci fan conoscere che essi ancora comunemente seguirono il reo gusto del secolo, ci fanno però conoscere ancora che non v’era genere d’erudizione , che da essi non si coltivasse; perciocchè vi sono ragionamenti di poesia, di filosofia morale, di antichità, di astronomia e d’ogni sorta di scienze j e pregevoli sono fra f altre il Discorso di Giambattista Capponi delle Terme de’ Romani e de’ diversi loro esercizi, quel della Musica di Girolamo Desideri, e quello di Geminiano Montanari sulle Stelle sparite dal cielo. Aveva quest’accademia la sua propria biblioteca, la qual tuttavia si conserva unita presso il ch. sig. co. Giovanni Fantuzzi. Oltre quella de’ Gelati, tre altre rammentane il Leti, quella degl’Inabili in casa del Signor. dottore Giovanni Turchi, quella degli Unanimi fondata dal sig. dottor Bonzi; e un’altra istituita dal co. arcidiacono Bentivoglio, la qual nell1 inverno ogni giovedì raduna vasi in casa dell’arcidiacono [p. 77 modifica]PRIMO r-r. Calderini: le quali notizie ho io voluto accennare, perchè di quest’ultima il Quadrio non fa alcuna menzione, e delle due prime non nomina i fondatori. Egli innoltre non fa che un sol cenno di quella degli Ardenti, della quale io ho un bel monumento in una lettera inedita di don Ferrante II Gonzaga duca di Guastalla al sig. Giambattista Sampieri, che si conserva nel segreto archivio di Guastalla, scritta a’ 27 di febbraio nel 1616: Resto, scrive egli, con molta obbligazione a V. S. della diligenza che ha usata per ha ver un luogo nell’Accademia degli Ardenti per D Carlo mio figlio, e che r abbia jalto ascrivere fra li pretendenti; ma già che esso sta volentieri e con soddisfazione di tutti nel collegio, io m appiglierò al parere di V. S. col valermi a suo tempo del suddetto luogo dell Accademia per D Vincenzo mio figlio, e starò aspettando intendere da lei quando potrà essere questo; sicura che di tutto si conserverà in questa casa e da me particolarmente la memoria, che è giusto, per riservire V. S. in qualsivoglia occasione, e per fine le bacio le mani. Di tutte 1 altre bolognesi accademie in questo secolo erette, io accennerò solo quella degl’Inquieti, fondata nel 1691, la qual raccoglievasi in casa del famoso poeta e astronomo Eustachio Manfredi, il cui solo nome può bastare a renderla immortale (a). (a) Delle accademie bolognesi di questo e de’ secoli precedenti più copiose notizie si posson vedere nel tomo I degli Scrittori bolognesi. E così pure intorno alle ferraresi son degne d’esser lette le IN ufi zie isteriche die ne ha pubblicate il sig. ab. 13arullu!di iuniore nel 1787 [p. 78 modifica]78 LIBRO t XIU. Alcune accademie ebbe anche in questo ’ secol Ferrara, e la prima e la più illustre fra esse , anche perchè fino a’ nostri tempi si è sostenuta, è quella degl’intrepidi, fondata nel 1600 da Giambal.ista Aleotti d’Argenta, nel cui aprimento recitò l’orazione il co. Guidubaldo Bonarelli, e di cui fu principe verso questo tempo Jacopo Mazzoni. A render più fiorita quest’accademia concorse la munificenza de’ magistrati. perciocchè sulle pubbliche entrate furono ad essa assegnati cento annui scudi per le spese necessarie agli esercizii di lettere e d’armi, che nel teatro perciò destinato soleano celebrarsi. Ma celebri furono alcune altre che dal Quadrio si nominano, e delle quali io lascio di far parola. Io passo pure sotto silenzio le accademie di Ravenna, di Perugia, di Faenza , di Macerata , di Imola e di molte altre città dello Stato ecclesiastico, in cui appena alcuna ve n’ebbe che non avesse la sua accademia. E a qual fine dovrei io qui nominarle? Non per farle conoscere, perchè già ne abbiamo molti cataloghi nelle opere del Jarchio, del Fabricio , del Quadrio e di altri autori da me altrove citali. Non per dar qualche idea de’ loro esercizii, perchè altro non potrei Egli ha mostrato, fra le altre cose, clic il fondatore di quella degli Intrepidi fu Francesco Saraceni ferrarese , e che l’Aleotti ne fu sol l’architetto; che il Mazzoni non potè esserne il primo principe, essendo allora egli già morto, ma che quella dignità fu conferita prima U* ogni altro a don Cai lo Cibo Malaspiua marchese di Massa e Carrara e duca d* Aicllo. [p. 79 modifica]PRIMO dirne, se non che gli accademici si radunavano a recitare le loro poesie, o altri componimenti. Che giova dunque il venire inutilmente dicendo ciò che tanti altri han già detto? Dolce e piacevole oggetto era per me l’occuparmi nelle accademie del secolo xvi. Tutto in esse spirava fervore, erudizione e buon gusto, e le loro vicende e le gare tra esse insorte potevano non senza piacer trattenerci. Ma nella maggior parte di quelle del secolo XVII a me par che ogni cosa sia languida e fredda; e se pur vi ha qualche accademia che con impegno prenda a coltivare le belle arti, gli accademici comunemente, sedotti dal pessimo gusto di quell’età, ci offron tali componimenti che non si posson da noi leggere senza nausea. E di ciò duolsi ancora il celebre Boccalini, il quale finge che gli accademici Intronati mandino ad avvisare Apollo, che ogni accademia avendo principii nobilissimi e virtuosissimi, riuscendo gli accademici nei primi anni ferventi nelle lettioni, nelle dispute, ed in ogni altro esercizio letterario, col tempo poi in essi così languiva quell’ardentissimo desiderio di sapere, e quegli esercizi virtuosi talmente si raffreddavano, che dove prima le accademie de’ privati erano frequenti , e dai principi avute in somma considerazione , in progresso di tempo di maniera venivano abbandonate e disprezzate, che molte volte era accaduto, che come piuttosto dannose che utili sino erano state proibite (Centur. 1, ragg. i f\). XIV. Non così dee dirsi dell’accademie di Firenze e delle altre città della Toscana. Parve [p. 80 modifica]rietino rifiutine* 80 LI DUO r,°* quasi che il buon gusto in quella provincia si confinasse, mentre tutte le altre si lasciavano miseramente corrompere, per così dire, dall’universale contagio, Ebbevi, è vero, anche qualche scrittor toscano che ne fu infetto; ma per lo più furono ivi presi a oggetto il imitazione i buoni scrittori de’ secoli precedenti. L’accademie ivi istituite nel secolo xvi, e che in questo ancora continuarono a fiorire felicemente , giovaron non poco a preservar la Toscana dalla comune infezione; e a mantener le accademie in sì florido stato molto contribuì l’impegno e la munificenza de’ gran duchi. L’Accademia fiorentina, di cui abbiamo nella Storia del secolo precedente veduta l’origine , continuò a tenere in questo secolo le sue radunanze; e perchè sul finir di esso parve che se ne rattiepidisse alquanto il fervore, il gran duca Cosimo III ordinò con suo decreto, diretto all’avvocato Jacopo Rilli console della medesima , che si ripigliassero e si promuovessero i consueti esercizii. E frutto delle premure di questo sovrano nel ravvivare la detta accademia furon le due opere che poscia a illustrazione di essa si pubblicarono , la prima nel 1700 dal detto avvocato Rilli, intitolata Notizie ileU Accademia %fiorentina, per la quale somministrò in gran parte le notizie il celebre Magliabecchi (Salvini, Oraz.fun. del Magliab.); l’altra dal canonico Salvino Salvini nel 1717, intitolata Fasti consolari dell’Accademia fiorentina. Quella ancor della Crusca fu dagli stessi gran duchi sostenuta e protetta. A’ tempi di Cosimo II si fece nel 1612 la prima edizione [p. 81 modifica]p ii i >»<i gì del Vocabolario. Cosimo III volle in età giovanile, primo fra tutti i gran duchi, essere ad essa aggregato; e volle ancor poscia che ne fosse membro Giangastone suo figlio (Bianchini , Ragionam, p. 127). Molto essa ancora dovette al Cardinal Leopoldo, da cui eccitati furono e animati gli accademici a intraprendere quelle minute ed esatte ricerche, delle quali fu poscia frutto la terza più ampia edizione del Vocabolario medesimo, fatta nel 1691J del che diremo altrove. Oltre queste due accademie, la fondazion delle quali appartiene alla Storia del secolo precedente, un altra ne fu in questo secolo istituita , che presto cominciò a gareggiare colle altre in celebrità e in valore, cioè (quella degli Apatisti. Agostino Coltellini, oriondo bolognese, ma nato in Firenze, ne fu il fondatore nel 1631 (u), cominciando a radunare 111 sua casa alcuni giovani che, compiuto i] (n) Convien dire che il Cinelli avesse qualche motivo di essere mal soddisfatto del Coltellini. Perciocchè egli, nella sua Biblioteca volante, nell’articolo del P. Gandolfi nega espressamente che il Coltellini fosse il fondatore di quest’accademia. Ma i documenti che se ne producono nelle Notizie dell’Accademia fiorentina, e fra gli altri un chirografo del gran duca Ferdinando II al Coltellini fondatore dell3 accademia degli Apatisti, gli assicura incontrastabilmente tal gloria. Forse dallo stesso mal umor del Cinelli contro del Coltellini ebbe anche origine ciò eli egli afferma, ch’egli non nacque già in Firenze, ma a questa città venne dalle Vallate di Bergamo. T1RAB0SCUI , Fol. XIF. 6 [p. 82 modifica]8j libimi corso delle scuole, ivi si esercitavano nell’eloquenza e nella poesia , costume che fu poscia seguito da molti in Firenze, ove celebri furono nel corso di questo secolo le veglie di Carlo Dati , del Lorenzini, del senator Pandolfini , degli Averani (V. Magalotti, Lett, famil. t. 2, p. 28). Queste adunanze acquistando in poco tempo credito e fama , e prendendo più certa forma, vennero a formare due corpi, uno de’ quali diceva si l’università, l’altro 1 accademia, e ad amendue si diede il sopprannome degli Apatisti. Diverso era il lor fine; perciocchè la prima avea a suo scopo 1 illustrazione delle scienze, la seconda esercitavasi principalmente nell’amena letteratura. Il celebre Benedetto Fioretti , noto sotto il nome di Udeno Nisieli, fu, dopo il Coltellini, il più fervido promotore di queste assemblee. I più dotti uomini e i più eleganti scrittori che avesse allora Firenze furono ad esse ascritti, e fra gli altri Francesco Cionacci, Benedetto Menzini, Carlo Dati , Benedetto Buommattei, Francesco Forzoni Accolti, Francesco Adimari, Benedetto Averani, Giambattista Fagiuoli, e molti ancora tra gli stranieri la onorarono col loro nome, come Niccolò Einsio, Egidio Menagio e il Chapelain. Anzi molti ancora tra’ principi e sovrani d’Europa vollero esserne membri, e se ne posson vedere i nomi presso il ranouico Sab ini (Fasti consol. p. 610). Più altre notizie intorno a quest’accademia, che fiorisce tuttora felicemente, sono state diligentemente raccolte dal conte Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 2, p. 875, ec.), [p. 83 modifica]p:.imo 33 il quale ancora ne espone il sistema, le leggi, il metodo che si tiene nelle adunanze (a). Àirune altre men famose accademie, nella stessa città fondate, si accennan dal Quadrio (l. c. p. 71), delle quali non giova il ripetere i nomi. Di quella del Cimento, che sopra tutte le altre fu celebre, e a cui tanto dee la moderna filosofia , sarà luogo più opportuno a trattare , ove ragioneremo di questo studio. Qui avvertirem solamente che oltre quest’accademia , il cardinal Leopoldo de’ Medici, che ne fu il fondatore, volle ancor rinnovare la famosa Accademia Platonica, già istituita dal vecchio Cosimo. Niccolò Arri ghetti recitò l’Orazione nel riaprimento di essa Prose fiorent. par. 1, t 7)^ e si tornò a spiegar Dante e Petrarca secondo le ilice ili Platone. Ma queste cominciaron presto ad essere dimenticate; c I* accademia del Cimento, col penetrar felicemente dentro i più riposti segreti della natura, dovette scemar di molto la stima che prima aveasi per le sublimi ma sterili idee di Platone. « Oltre queste pubbliche accademie, più altre private furono in Firenze nel corso di questo secolo 5 e celebre singolarmente tra esse fu quella del priore Orazio Rucellai, morto nel 1674: Ecco perduto a Firenze, scriveva il Magalotti all’occasione di questa morte , (Lettere fami gl. t 2, p. 28) (a) Le Ire accademie qui nominile, cioè la Fiorentina e quella della Crusca c degli Apatisti. sono siate per ordine del gran duca, poscia uuperudore, Leopoldo, Munite in una sola, che aicesi l’Accademia fiorentina. [p. 84 modifica]84 LIBRO quel solo uomo che si poteva mostrare indifferentemente a ogni forastiero Il priore era uomo di tutte l’età, di tutti i sessi, di tutte le professioni Voi altri fate bene a procurare che non si abolisca il suo istituto (cioè di radunarne in casa sua gli uomini letterati, e di tener con essi eruditi discorsi, di leggere dissertazioni, ec.), e mi rallegro che abbiate così buoni assegnamenti per farlo sussistere, dico del Salvini, del Lorenzini e dell’Averani. Veggasi P elogio che ne ha inserito il canonico Salvini ne’ suoi Fasti consolari dell’Accademia fiorentina (p. 5l5G). XV. Due accademie aveano nello scorso secolo ottenuto gran nome in Siena , quella de’ Rozzi e quella degl’Intronati; e di amendue si è detto a suo luogo; e si è osservato che amendue dovettero per ordine de’ gran duchi interrompere le loro adunanze, le quali nella recente mutazion di governo sembraron pericolose. L’anno 1603 fu lor permesso il tornare agli antichi loro esercizii; ed amendue li ripigliarono con fervore e con impegno non ordinario. Ma quella degl* Intronati parve che non potesse più sorgere all’antico onore, e che la privata assemblea dei Filomati, istituita nel 1580, mentre le pubbliche adunanze eran vietate, a sè traesse l’applauso e l’ammirazione de’ dotti; finchè nel i(>54, per far rifiorire la prima in addietro sì celebre, ad essa si unì la seconda, e cambiando nome, prese quello degl’Intronati. Essa ebbe l’onore di avere tra’ suoi socii il pontefice Alessandro VII, prima che fosse innalzalo [p. 85 modifica]• ’ PRIMO ^ 85 alla cattedra di S: Pietro, e di ricevere distinte pruove di onore e di stima da’ gran duchi e dagli altri principi della famiglia de’ Medici, fra’ quali il principe Mattia governatore di Siena circa il 1660 dotolla di un annuo assegnamento, affinchè si potessero dare alla luce le opere degli accademici. Aveano già questi il proprio loro teatro per le drammatiche rappresentazioni , il quale fu poscia verso il 1670 con più bella e più magnifica idea rifabbricato, e vi si vider più volte con solenne pompa rappresentate commedie e tragedie composte da valorosi accademici, de’ quali fu essa sempre, come è anche nel! presente, feconda. Con quella degl’Intronati gareggiò l’accademia de’ lloz/.i,la quale pure nel corso di tutto il secolo di cui scriviamo , si mantenne in lieto e fiorente stato, e si accrebbe ancora di numero colf incorporarsi che ad essa fecero nel 1 <_>G5 alcune minori accademie. Le teatrali rappresentazioni erano state il primario fine della istituzione di quest1 accademia, ed esse continuarono a formare il più diletto esercizio; se non che, lasciato in disparte il volgar dialetto sanese, di cui in addietro aveano usato, cominciarono gli accademici a ripulire il loro stile, e ad adattarsi al gusto dei moderni più colti scrittori. Alla eleganza de’ loro componimenti aggiunsero essi la magnificenza delle comparse, che non si vider mai forse sì sorprendenti, come nelle drammatiche azioni di questi accademici. Alcune di esse. che riscosser f applauso e la maraviglia degli attoniti spettatori, si descrivono nelle Memorie delle principali Accademie [p. 86 modifica]86 LIBRO di Siena (Calogerà, N. Bacc. <T Opusc. i 3) e nella Storia dell1 Accademia de1 Rozzi, stampata in Siena nel 1775, ove alcune ancora se ne annoverano che in questi ultimi anni sono state da’ Rozzi rappresentate. Un1 altra nuova accademia più vantaggiosa , perchè allo studio dell’amena letteratura congiugne quello delle più gravi scienze, cioè quella de’ Fisiocritici, fu nel 1691 fondata in Siena da Pirro Maria Gabrielli lettor primario di medicina e di botanica in quella università, alla quale il gran duca Cosimo III assegnò annue rendite per le spese al mantenimento di essa necessarie. Ma gli studi di questi valorosi accademici, i quali, a somiglianza delle altre più illustri accademie d’Europa , vanno pubblicando i loro Atti, appartengono con miglior ragione al secolo nostro presente j e io perciò tralascio di dirne più oltre, Io passo pure sotto silenzio alcune alti e accademie di minor fama, che furono in Siena. Ma non deesi ommettere un nuovo genere di accademia di cui questa città in questo secolo stesso diede forse l’unico esempio. Alcune dame sanesi, studiose coltivatrici della poesia, vollero esse pure formare le loro adunanze , e sotto la protezione di Vittoria della Rovere, moglie del gran duca Ferdinando II, principessa amante dei buoni studi, e ad esempio del marito liberale ad essi del suo favore, presero a unirsi insieme nei giorni determinati, e a recitare le poetiche loro composizioni. E ognun può di leggieri immaginare qual affollato concorso si facesse ad udirle. Di quest’accademia fa menzione il più volle citato signor [p. 87 modifica]PRIMO. 87 Giuseppe Bianchini (Ragionavi. di’ Gran Ducili, p. io5), ina non ci dice fin quando ella si sostenesse. Le altre città della Toscana non mancarono di accademie; ma non ne abbiam tali notizie che le distinguano da tante altre delle quali sarebbe inutile il ragionare. XVI. Napoli che era stata una delle prime città italiane ad avere entro le sue mura erudite accademie, molte pure ne ebbe iipI secolo di cui scriviamo. Abbiam già accennata quella che il marchese Giambattista Manso raccolse in sua casa, detta degli Oziosi; e più altre se ne annoverano dal Quadrio (p. 83) e dagli altri scrittori di tale argomento, fra le quali è degna di particolar lode quella degl1 Investiganti, diretta principalmente a esaminare i fenomeni della natura. Essi ancora ci additano quelle di Nardò, di Lecce, di Pizzo e di Policastro, di Capoa , di Bitonto, dell* Aquila , di Rossano e di altre città di quel regno. Molte pure ne ebbero Palermo e Messina e le altre città della Sicilia, delle quali io non mi trattengo a parlare, per non annoiare chi legge con una sterile serie di nomi e di anni. Poco ancora troviamo intorno alle accademie delle altre città d’Italia soggette al dominio spagnuolo. Fra quelle di Milano deesi rammentare principalmente l’accademia dei Faticosi, fondata nel 1662 nella casa de’ PP. Teatini, detta di S. Antonio da’ PP. don Giambattista Rabbia e doq Celso Quattrocasa, ove adunandosi i più dotti uomini di quella città, si occupavano or in argomenti di filosofia morale , or nell’amena letteratura. Il co. Giovanni Borromeo , splendido cavaliere [p. 88 modifica]88 LIBRO e mecenate de’ dotti, onoravale di sua presenza , e avea in animo di fabbricare all’accademia una stanza che degna fosse di essa e del suo protettore. Ma la morte ne troncò i disegni. Continuò essa nondimeno, e crebbe anche vie maggiormente in fama per gli uomini eruditi che ad essa furono ascritti. Intorno a che veggasi il ch. sig. Sassi (De Studis mediol!. C. 13) che ne fu membro, e che potrebbe bastar egli solo a conciliare a quest’accademia grandissimo nome. Una dama ancora, cioè donna Teresa Visconti, detta con pastoral nome Eurilla, videsi ivi nel 1670 adunar in sua casa valorosi poeti, e formar una illustre accademia, a cui interveniva fra gli altri il celebre segretario Carlo Maria Maggi (Quadrio, t. 7, p. 1!\). Ma non sappiamo di qual durata essa fosse. In Pavia continuò ad aver nome quella degli Affidati; ma nè di questa, nè di altre accademie nelle città della Lombardia spagnuola non ci si offrono monumenti degni di distinta menzione. XVII. Fra le molte accademie che in Venezia formaronsi in questo secolo, e che si annoveran dal Quadrio (t. 1, p. 109) e da altri scrittori, io accennerò quella degl’Incogniti , fondata nel i(53o da Gianfrancesco Loredano, nella quale fiorirono Dardi Bembo, Giovanni Garzoni, Lionardo Quirino, Marino dell’Angelo, Pietro Michele ed altri, de’ quali si trovan gli elogi nelle Glorie degl Incogniti, ivi stampate nel 1647; opera che si può leggere da chi pago di raccoglier qualche notizia, può soffrire la noia d’uno stil tronfio e vizioso. L’autore [p. 89 modifica]PRIMO 8j) di questo libro credesi il medesimo Loredano; benchè sia possibile che alcuni altri ancora di quegli accademici vi ponesser la mano (V. Foscarini, Letterat, venez. pag. 323). Degne ancora di onorevol menzione son quella dei Delfici, quella degli Argonauti, raccolta nel suo convento dal celebre P. Coronelli Conventuale, e quella degli Animosi, della quale fu fondatore e promotor principale Apostolo Zeno , e che adunavasi in casa di Gian Carlo Grimani. Molte ancora ne ebbe Padova, e fu illustre singolarmente quella de’ Ricovrati fondata nel 1599, di cui fu primo principe Federigo Cornaro patrizio veneto (Facciolati Fasti Gymn. patav. parsr 3, p, 31). Ne furon tosto distese e pubblicate le leggi, le quali col volger degli anni furon più volte riformate e cambiate. Il Senato veneto, intento a promuovere e a sostenere tutte le istituzioni vantaggiose agli studi, la prese sotto la sua protezione nel iC>(>y, e destinò a tenervi le adunanze la pubblica biblioteca , e assegnò all1 accademia I1 annua rendita di cento ducati (a). L’accademia Delia ivi pure fondata dal cavalier Pietro Duodo avea principalmente presi di mira gli esercizii cavallereschi, al qual fine fu unita con quella degli Hoplosophisti nel secolo precedente istituita. Non è perciò di quest’opera il ragionare. Di altre meno illustri accademie di Padova, e di quelle (a) il eh. sig. ab. Gennari , come abbiamo altrove accennato, ci ba date belle ed esatte notizie intorno niraccademia de’ Ricovrali nel suo Saggio storico sulle Accademie di Padova, ove ragiona ancora di altre accademie che di questo secolo fiorii ono nella stessa lillà. [p. 90 modifica]9° libro pure delle altre città dello Stato veneto, non abbiamo notizie di tal natura, che dobbiam qui trattenerci nel riferirle. Io farò solo un cenno di quella degli Aletofili, fondata in Verona nel 1686, la quale era principalmente rivolta alle scienze filosofiche e matematiche. Di essa ci dà un distinto ragguaglio il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 1, p. 465). E certo molti vantaggi poteano aspettarne le lettere , se essa non fosse troppo presto venuta meno (a). Le altre città degli altri Stati d’Italia, (ir) Delle accademie bresciane, che fiorirono nel secolo scorso, oltre la Dissertazione altre volte citata del sig. Chiaramonti, ragiona esattamente il sig. don Baldassarre Zamboni altrove da me lodato (Libreria Ma’ tinengo, p. 67). Due ne indica il Quadrio in Bergamo, una detta degli Eccitati, fondata nel 164.2 dal P. don Bonifacio Agliai di iberico Regolare Teatino, e da a1 tri, della quale più copiose notizie si posson vedere nel t. 1 degli Scrittori di Bergamo del P. Barnaba Vaerini Domenicano (p. 38, ec.), il quale anche di altre accademie , che prima e dopo esse ivi fiorirono, ragiona distintamente. L’altra, che dal Quadrio solo si accenna, è quella detta Mariana, restituita, dice egli, nel 1618, e che diede poi origine, come dice il P. Vaerini, al collegio Mariano, che tuttora fiorisce in quella città. Questo recente scrittore fa ancor menzione di un’altra accademia fondata circa il 1615 da Odoardo Micheli teologo, e che raccoglie vasi nella casa di (ìiamba lista Personcni natio di Albino nel territorio di Bergamo. Era «{(lesti medico.a’ suoi tempi assai rinomato, di cui più opere si hanno alle stampe, e una fra le altre intitolala JVnrte* Solitari ir stampata in Venezia l’anno ibi 3 (il che ci mostra che deesi anticipare di qualche anno la fondazione di quest’accademia), nella cui prefazione ci parla con lode di questa adunanza, annovera alcuni degli accademici che In componevano , e dice di aver [p. 91 modifica]PRIMO gì cioò Genova, Parma, Piacenza, Modena, Reggio (a), Torino, e alcune altre città del Piemonte non furon prive di tali illustri adunanze , e o si mantennero in vigore quelle delle quali si è detto nel secolo precedente, o altre nuove con nuovi nomi ne furon fondate; e deesi annoverare fra esse quella de’ Dissonanti, fondata verso il 1680 in questa città di Modena, la quale sotto la protezione de’ suoi sovrani è venuta sempre fino al presente crescendo in celebrità e in valore. Ma per le ragioni più volte nel decorso di questo capo raccolte in quell’opera tutte le osservazioni che essi falle aveano sull’Odissea di Omero. Di questa notizia son debitore al s!g. ab. Angelo Personeni , da cui abbiamo avute le Notizie del Cardinal Ci ri zio Personpni A Idobrnndini , stampate in Pergamo nel 1786, nelle quali Ira provato che quel celebre cardinale apparteneva a quell 1 stessa famiglia. ,(a) Delle accademie di Modena, di Reggio e di altre città degli Stati Estensi ho parlalo più n lungo nella Biblioteca modenese (t. 1, p. ai; t. 6, p. 3). Tra esse inerita singolarmente di essere ricordata con lode quella che il principe Alfonso figlio del «luca Cesare, di cui ho ragionato nel precedente capo, fondò in Corte nel i6nq; Iìerciocchc essa era destinala singolarmente a coltivare e scienze, e v’intervenivano il principe stesso, Antonio Querengo. il marchese Ferrante Bentivoplio , il marchese Èrcole e il co. Ippolito Estensi Tassoni, il conte Guido Coccapaui e più altri. Pur che essa allora non avesse lunga durata; ma il principe rinnovolla nel 1618, e vi fu ammesso tra gli altri Scipione Cbinramonti celebre per le contese avute col Galileo. Ma aneli’essa dovette venir meno, allor quando il principe, divenuto sovrano dopo la morte del padre, scese dal trono 1 anno 1629, e rendettesi cappuccino. [p. 92 modifica]t)2 LIBRO accennate non giova eli1 io mi arresti a parlarne più lungamente (a). lU X\IU. * A queste accademie erette in Italia in vuoisi aggiugneme un1 altra che l’impera» Ior Ferdinando III fondò in Vienna, diretta singolarmente al coltivamento della lingua italiana. Erane egli intendente e studioso; e ne diede un bel saggio col recare in essa le Filippiche di Demostene5 la qual versione, non rammentata finora da alcuno, dice il celebre sig. conte Galeani Napione di Cocconato di aver veduta stampata presso il ch. sig. abate Denina (Della lingua ital. t. 1, p. 213). Or egli, desideroso di promuovere nell’Allemagna lo studio di una lingua a lui tanto cara, volle che l’arciduca Leopoldo suo figlio l’an 1656 fondasse nell’imperial corte un’accademia composta di dieci Italiani, capo de’ quali era il rinomatissimo principe Raimondo Montecuccoli (ivi, p. 2.33). Raduuavasi essa nelle camere stesse dell’imperadore innanzi a’ più cospicui personaggi di quella corte, e vi si recitavano poesie italiane; e lo stesso arciduca Leopoldo vi recitò talvolta qualche suo madrigale. E da ciò, come osserva lo stesso erudito scrittore, ebbero senza dubbio origine i premii e gli onori che ivi conseguirono poscia tanti illustri Italiani, e fra essi (//) Quest’accademia l’anno 1791 determinò saggiamente di non ristringersi a’ poetici studi soltanto, come avea (atto finora , ma di coltivare ancora le scienze; dal qual opportuno provvedimento si può a ragione sperare che sempre più copiosi frulli raccoglieranno gl’ingegni modenesi. [p. 93 modifica]il Zeno e il Metastasio. Anche in Francia, com’egli stesso riflette, recandone la testimonianza di Carlo Dati e di Lorenzo Panciatichi, era la nostra lingua amata per modo che non era dama o cavalier d’alto affare che l’idioma italiano non intendesse e non parlasse, ei’i nostri scrittori non ricercasse e non leggesse. Così mentre la nostra lingua in alcune provincie d’Italia giacevasi trascurata, e da un vizioso stile riceveva danno eo’oltraggio, avea nella stima degli stranieri un troppo onorevol compenso. „