Rime (Vittoria Colonna)/La vita di Vittoria Colonna Marchesana di Pescara

La vita di Vittoria Colonna Marchesana di Pescara

../A' leggitori ../Testimonianze IncludiIntestazione 22 ottobre 2024 75% Poesie

La vita di Vittoria Colonna Marchesana di Pescara
A' leggitori Testimonianze


[p. v modifica]

LA VITA DI

VITTORIA COLONNA

Marchesana di Pescara

SCRITTA DA

ACCADEMICO ECCITATO.

V
ittoria Colonna1 Marchesana di Pescara, la più illustre tra le Donne, che segnalarono il sedicesimo Secolo, nacque, non già in Roma, come hassi da alcuni Scrittori; ma nel Castello di [p. vi modifica]Marino2 l’anno 14903 di Fabrizio Colonna gran Conestabile del Regno di Napoli, uno de’ più saggi Capitani, di cui facciano menzione le Storie di que’ tempi, e di Anna di Montefeltro 4 figlia di Federico Duca d’Urbino. Si ammirarono in lei, ancora fanciulla, accoppiate ad una rara bellezza di corpo alcune di quelle doti dell’animo, le quali furono poscia la meraviglia del suo Secolo, di guisa che venuta al quarto anno [p. vii modifica]dell'età sua 5 Don Alfonso d’Avalo Marchese di Pescara, chiaro per le sue militari imprese6 la chiese per isposa di suo figliuolo Ferdinando Francesco, fanciullo di altrettanta età, cui dal Colonna venne promessa, mosso dalle istanze di Ferdinando il giovine Re d’Aragona 7e dal desiderio di unire il vincolo del parentado a quello dell’amicizia, per cui a Don Alfonso egli era strettamente congiunto.

Posero ogni cura i genitori di Vittoria nel coltivare il di lei animo, indirizzandola, per quanto l’età sua il sostenea, nella via delle Lettere, ed all’acquisto delle morali virtù, cui essendo ella per natura disposta, vi riusciva con gran lode, ed oltre l’aspettazione d’ogn’uno. Venne frattanto crescendo in costumi, in sapere, ed in bellezza, non meno che in persona, ed in età, di guisa che in lei vedeasi raccolto [p. viii modifica]quanto di pregevole appena ritruovasi sparso fra molte altre.

A tali prerogative molto aggiugnea di pregio la chiarezza del sangue, e sì in lei risplendeano venuta nell’età da marito, che trassero ad amarla, ed a desiderare le sue nozze i Duchi di Savoja e di Braganza,8, allora appunto, che il giovine Marchese di Pescara si apparecchiava a darle l’anello; ma fosse, che il Papa 9, il quale si era frammesso nell’affare, si mostrasse parziale dello Sposo; o non isperassero, che Vittoria ad altri rivolgesse l’amore, che sino dalla prima e tenera sua giovinezza ella avea al Marchese, giovine avvenente, ed il meglio costumato che fosse; da ciò si ritrassero, e questi lieto d’essere venuto a fine del suo [p. ix modifica]intento, celebrò con isplendido apparecchio e con gran festa le nozze, da amendue gli Sposi desiderate, correndo l’anno diciassettesimo10 dell’età loro.

Questa ragguardevole Coppia non ebbe forse pari in Italia di que’ tempi, perciocchè siccome Vittoria per le accennate sue doti sollevavasi sopra tutte l’altre del suo sesso; così il Marchese suo Sposo, oltre che in costumi, ed in ogni maniera di buone Lettere 11 avea pochi eguali tra’ suoi coetanei; datosi ne’ primi suoi anni all’esercizio dell’armi, diede sì certe e belle speranze del suo valore, che ancor giovinetto ascese ai supremi gradi nella milizia 12, ed allorchè morte lo colse nella sua più bella età, era già salito in riputazione del più saggio, e prode Capitano del suo tempo.

La sua generosa natura, che lo inclinava a sì fatti esercizj, non lo lasciò lungamente in riposo dopo le sue nozze, dalle quali per qualche tempo avea indarno aspettato d’aver figliuoli; poichè svegliatasi in Italia la guerra Francese, non volle trascurare sì bella occasione, onde dar saggio del suo valore, [p. x modifica]nè mancare in sì grave urgenza al debito di fedele Vassallo verso il suo Re 13. Benchè a Vittoria dolesse oltre modo di dover vivere lontana da lui, pure, oltre al costume delle femmine, non cercò mezzi di ritrarlo da così fatta risoluzione: ricordogli soltanto, che così non si lasciasse accendere dal desiderio della gloria, e dalla speranza dell’immortalità, che si scordasse della propria salute. Come fu vicina l’ora, che da lui dividere la dovea, gli fe dono di un superbo Padiglione, e di un Camerino ornato di ricamo, sopra la cui porta leggevasi ciò, che giustamente fu detto di Vespasiano. Nunquam minus otiosus, quam cum otiosus erat ille: utilissimo avvertimento spezialmente ad un Capitano, e poichè ella ebbegli presentato alcune palme in segno di felice augurio, preso da lei congedo assai onorevolmente in famiglia, in cavalli, ed in arnesi trasserissi all’esercito14.

Se ciò le fosse cagione di dolore, certamente non è da chiedersi. Tuttavia ben presto ebbe di che rallegrarsi, poichè il Marchese appena arrivato al campo avea di se date tali speranze, che quantunque giovinetto d’anni [p. xi modifica]ventuno 15, venne scelto alla carica importante di Capitan Generale de’ Cavalleggieri.

Pochi mesi appresso ebbe Vittoria nuova cagione di attristarsi, perciocchè il Marchese coraggiosamente combattendo nella giornata di Ravenna, soverchiato da’ nemici venne in loro potere. Fu poscia condotto a Milano, ed ivi guardato in assai onesta prigione, donde fu tratto dopo breve tempo per intercessione del Triulzi suo Zio materno 16. In questo mezzo egli scrisse un piacevolissimo Dialogo d’Amore, ed indirizzollo alla Marchesana sua Sposa, nel quale molto vivamente espresse l’amore, che le portava, e quanto gli dolesse l’essere da lei lontano; dal che ella prese motivo di farne una divisa, racchiudendo un amorino in un cerchio formato da un serpente, con questo verso:

Quem peperit virtus, prudentia servet amorem.

volendo in tal guisa mostrare, che la prudenza dovea rendere indissolubile il bel nodo, che stretto avea la virtù 17. [p. xii modifica]

Rimasa sola del marito, come abborriva sommamente il di lei genio dallo starsi in darno, e dal passar la vita tra’ vani sollazzi, nè avea cosa, che la dilettasse quanto lo studio delle buone lettere; così i disegni e pensieri suoi erano allora, più che mai fossero, volti alle medesime, ed a fine di potervisi applicare con tutto l’agio, venne a Napoli da Ischia 18, dove trovavasi col marito, allorchè questi lasciolla per passare al campo, e dove usavano di portarsi sovente 19 a godere in riposo le delizie della campagna.

Venuta a Napoli ella si dimorava quasi sempre in casa, per non isviarsi dallo studio uscendone, mettendo a conto di vita quel tempo solamente, che in esso spendeva. Oggetti principali de’ suoi studj erano l’erudizione antica 20, e l’Italiana Poesia, nella quale versò ella gran parte del suo sapere, e per la quale era già salita in grandissima [p. xiii modifica]riputazione. Le imprese di suo marito erano l’ordinario argomento de’ suoi poetici componimenti, e secondo che scrive il Bullart 21,Elle chantoit ses Victoires par des vers Toscans si relevez, & si dignes de leur sujet, qu’elle sembloit être une nouvelle Muse destinée pour publier la renomée de ce gran Capitaine, & pour inspirer les louvanges, que l’on doit a la vertu guerriere.

Da sì fatti studj ella volgeasi spesso allo scrivere sensate, ed affettuose lettere al marito 22, il quale non ostante che fosse tutto nelle cose della guerra, aveala sempre tra’ suoi pensieri, nè per che che si fosse dimenticò giammai l’amor suo, e perciò soleva visitarla 23. benchè lontana, quando egli si vedea tempo di farlo, senza mancare ai doveri dell’importante sua carica.

Lontana dall’ardor della gloria, quella soltanto riputava essere onesta ed immortale, che da lodevoli e virtuose azioni suol nascere. Di questa sua virtù diede assai chiaro argomento allora quando, dopo la battaglia di Pavia, memorabile per la prigionia di Francesco I. Re di Francia, nella [p. xiv modifica]quale il Marchese di Pescara rimase ferito in molte parti della persona, ed ebbe quasi tutta la gloria de’ considerabili vantaggi dagl’Imperiali riportati sopra de’ Francesi; ella intese, che varj Principi uniti in lega contro Cesare, tentavano di farvi entrare ancora suo marito, offerendogli il Regno di Napoli in ricompensa della sua infedeltà; poichè temendo non forse egli abbagliato dallo splendore del Diadema accettasse l’offertà; scrissegli che volesse ricordarsi della solita sua virtù, con la cui riputazione e lode egli avanzava la fortuna e la gloria di molti Re. Perciocchè non con la grandezza de’ Regni e de’ titoli, ma per la via della virtù l’onore s’acquista, il quale sempre con chiara lode arriva a’ Discendenti; che ella non desiderava d’esser moglie di Re, bensì di quel gran Capitano, il quale non solamente in guerra col valore; ma ancora in pace con la magnanimità avea saputo vincere i Re più grandi24. Questa lettera svegliò tali pensieri nell’animo del marito, che rinunziò apertamente alle speranze del trono, anzichè far cosa contraria alla virtù, in cui al primo invito de’ Collegati parea, che egli cominciasse a vacillare.

Non molto dopo la giornata di Pavia, seguita nel Febbrajo del 1525, ella conobbe [p. xv modifica]non avere la fortuna cangiato verso di lei il suo costume, e la sua natura, avendole costei apparecchiato nuove sciagure. Ritrovavasi il Marchese in Milano assai debole, e disagiato della persona per il soverchio bere d’acqua, non meno che per i molti disastri e fatiche in guerra sostenute, a cura della quale infermità nè consiglio di medico, nè virtù di medicina alcuna pareva che valesse, anzi ogni giorno più andava scemando di forze. Di tale malattia tenendosi egli spacciato, ne diede avviso alla moglie, perchè senza indugio si portasse a Milano, bramoso di vederla prima di morire 25. In pochi giorni così egli andò di cattivo in peggiore stato, che venne sfidato da’ Medici, e sentendosi venir meno lo spirito, e vicino alla morte, fatto chiamare a se il Marchese del Vasto suo cugino, gli raccomandò con quell’affetto, che potè maggiore, l’amatissima sua Moglie, di cui non avendo avuto figliuoli26 in diciannove anni di matrimonio 27 dichiarollo [p. xvi modifica]erede delle ricchissime sue facoltà. Vittoria non sì tosto intese il marito essere preso da grave infermità, che partitasi da Napoli con onorevole seguito passò a Roma, dove fu accolta con istraordinarj onori, e continuando poscia con ogni sollecitudine il suo viaggio alla volta di Milano, come fu giunta a Viterbo, ebbe la nuova funestissima della di lui morte28.

Non poteva certamente la fortuna percuoterla di maggior colpo, e parve, che in questo suo gran bisogno ella venisse abbandonata ancora dalla propria virtù, perciocchè non dando luogo a’ conforti, in guisa si abbandonò al dolore, che ne perdè i sensi. Ritornati poscia ai loro ufficj il sentimento e gli spiriti, allargò il freno alle lagrime, le quali non si rasciugarono se non dopo parecchi anni29, e ne nacquero le più elegantui ed affettuose poesie, che di questa eccellente Rimatrice ci siano rimase. [p. xvii modifica]

Potrei con lungo catalogo ricordare molti Scrittori, i quali con grave errore affermarono, che Vittoria poco dopo la morte del marito, accaduta nel Novembre del 1525., si ritirasse in un Monistero, ed ivi finisse i suoi giorni 30; ma ciò esser falso appar manifestamente e dalle di lei Opere rimasteci, e dalle Lettere da varj personaggi ad essa scritte a Ferrara, a Roma, a Napoli, e ad Ischia nel corso di parecchi anni dopo tale epoca, come più sotto osserverassi.

Tornata a Napoli di Viterbo si ritirò nuovamente a’ suoi studj, l’unico conforto, che le fosse rimaso dopo la morte del marito. Era allora Vittoria giovine d’anni trentacinque, di fresche bellezze, e celebre per la sua letteratura; aspiravano perciò varj Principi alle sue nozze 31, cui [p. xviii modifica]cercavano di disporla ancora i proprj fratelli 32, i quali si aspettavano di far di lei alcun gran parentado; ma ella ben lontana dal darci orecchio, a chiunque di ciò le faceva parole usava di rispondere, che il suo Sole 33, quantunque dagli altri fosse riputato morto, appresso di Lei sempre vivea 34: sopra di che ella scrisse un Sonetto sì ingegnoso e leggiadro 35, che da Alessandro Zilioli 36 venne trascelto per dar saggio della sua eccellenza nell’Italiana Poesia. Conviene in fatti, che altamente avesse fisso nel cuore il Marchese suo marito, se nel corso de’ primi sette anni 37 della sua vedovanza non seppe colle sue Rime, se non piagnere la morte di lui. Certamente ella lasciò a’ posteri un raro esempio di costanza e fedeltà conjugale. [p. xix modifica]

Soleva dire, che anzi avrebbe scelto di morire, che sopravvivere al marito; invidiare perciò la sorte di Lodovico e Bartolommea genitori di Francescomaria Molza, i quali si morirono nel medesimo giorno 38, intorno a che abbiamo di lei tre elegantissimi Sonetti, che ella inviò a questo celebre Poeta 39. Erale oltre modo grato ancora il soggiorno d’Ischia, perocchè quivi ebbe già in costume di trattenersi con esso lui gran parte dell’anno; andava perciò ella dicendo di voler passare in quest’Isola il rimanente de’ suoi giorni 40, dove mille oggetti ad ogn’ora le ricordavano le passate sue felicità. [p. xx modifica]

Questi ed altri sì fatti pensieri ella esprimeva nella più affettuosa maniera colle sue Rime, ingegnosamente spargendole delle lodi di suo marito 41, il cui nome desiderava di rendere immortale42; e perciò ebbe a dire un erudito Scrittore, che colle sue rare, e meravigliose Rime ella fece un Sepolcro così onorevole al nome di suo marito, che finchè il mondo duri, sarà perciò sempre celebrato ed illustre tra noi43. Le molte Poesie, che la nostra Marchesana compose intorno a sì fatti argomenti ne’ primi anni di sua vedovanza esprimono sì vivamente gli affetti del di lei animo, che potè dir [p. xxi modifica]giustamente il Quadrio 44 che ella non pure andò del pari con ogni più rinomato Poeta, ma nel maneggio degli affetti tolse per avventura a’ contemporanei la palma.

Ella perciò in quel tempo, che era il fiore della sua giovinezza, acquistossi l’amicizia, e l’applauso di quanti in Italia facevano professione di belle lettere, fra’ quali, per tacere di parecchi altri, sono spezialmente da annoverarsi Paolo Giovio, da cui le vennero indirizzati i sette Libri della Vita e Fatti del Marchese di Pescara suo marito 45, e Lodovico Martelli, il quale in morte del medesimo le inviò alcune Stanze consolatorie 46. Ebbe commerzio di Lettere e di Rime con Lodovico Dolce 47, e con Veronica Gambara 48, ed ebbe altresì stretta [p. xxii modifica]amicizia con Marcantonio Flaminio, da cui mentre ella vivea, ed anche in morte fu encomiata nelle sue Poesie latine 49. Ancora il Castiglione si pose a scrivere i quattro Libri del Cortigiano 50 per far cosa grata a lei, non meno che per soddisfare ai voleri di Luigi XII. Re di Francia, e di Alfonso Ariosto suo carissimo amico 51. Tra i principali amici ed ammiratori di questa eccellentissima Donna debbono pure aver luogo Giovanni Guidiccioni Vescovo di Fossombrone, ed il Cardinal Pietro Bembo, ai quali soleva ella di quando in quando inviare le sue Rime 52, da loro avute in grandissimo pregio 53, ed a’ quali ella mandò ancora [p. xxiii modifica]proprio ritratto, di cui l’aveano richiesta54. Il Bembo spezialmente ebbe di lei grandissima opinione, come può agevolmente comprendersi, se si osservi, essersi lui riputato a gloria, che ella avesse dato onorevole giudizio delle sue Poesie, sopra le quali ragionando ella in una sua Lettera, diede tale saggio di dottrina e d’ingegno, che questo [p. xxiv modifica]dottissimo Uomo così ebbe a scriverne al Giovio. Ella a me pare vie più sodo, e più fondato giudizio avere, e più particolare e minuto discorso far sopra le mie Rime, di quello che io veggo a questi dì avere e saper fare gran parte de’ più scienziati, e maggiori maestri di queste medesime cose. E se io fossi fuori del giuoco, sicchè non si paresse, che io dicessi a favor mio, direi ancora molto più avanti che io non dico. Ella è sicuramente quella gran Donna, che voi avete ed al mondo più d’una volta dipinta con l’onorato inchiostro delle vostre prose, ed a me molte fiate disegnata con le parole. Nè penso giammai d’aver cotanto guadagnato quanto ora, poichè ella così onoratamente di me scrive55.

Era il settimo anno56 da che il Marchese di Pescara era salito a miglior [p. xxv modifica]vita, quando Vittoria avendo sperimentato vano ogni mezzo per isgombrare dal proprio animo la tristezza ed il dolore, conobbe assai chiaro, essere troppo misera la condizione di chi vive secondo le inclinazioni della guasta natura, ed essere i beni di questa terra simili alla rosa, con cui nascono e crescono, e cui stanno inseparabilmente congiunte le spine; si pose perciò in animo di alzarsi colla mente sopra le cose terrene, e di fissarla nelle divine, certa, che questa fosse la sola maniera di scioglier l’anima da quegli affetti, onde hanno cagione le mondane amarezze. In fatti ella adoperò per modo nella via dello spirito, e così accostossi coll’intelletto alle cose celesti, che interamente dimentica del terreno amore tutta si accese del divino, e da quel tempo innanzi ella si pose a scrivere sopra argomenti sacri, lasciando quasi del tutto le Rime profane, le quali erano state per l’addietro l’ordinario soggetto de’ suoi componimenti 57. Applicatasi con fervore alla vita spirituale ed all’esercizio delle [p. xxvi modifica]virtù, il suo esempio era altrui di eccitamento alla pietà, e ben può dirsi, che sossero i suoi costumi un raro modello di vita cristiana, se persone di buona vita richiedevan la di consiglio, intorno alla maniera di ben incamminarsi all’eterna salute; siccome fecero la Regina di Navarra 58, la Duchessa d’Amalfi 59, e Bernardo Tasso, il quale nella risposta ad una Lettera di lei piena d’amore e di carità, che gli aveva destato nell’animo spiriti di virtù e di religione, le dice: Voi, che siete in grazia di Dio, continuando in quest’ufficio, mostratemi la strada, per la quale così secura camminate all’eterna salute; e pregate Colui, che vi scorge per questo cammino, che con la voce della sua pietà mi chiami; e non vi sdegnate se per l’orme della vostra virtù, seguitando i vostri passi, vi verrò dietro60.

Nella primavera del 1537. ella fece una gita a Lucca, e quindi passò a Ferrara con disegno di trattenervisi lungamente 61. [p. xxvii modifica]In quale stima e riputazione fosse quivi la nostra Marchesana, può agevolmente comprendersi da ciò, che il Molza scrive di Roma a Camillo suo figliuolo a Bologna a’ 24. di Maggio di quest’anno. Io credo, che molto faccia al proposito nostro la venuta della Signora Marchesa di Pescara in Ferrara, nè saprei io immaginarmi persona, che in questa nostra causa ci potesse essere di maggior giovamento cagione: ella con l’autorità sua, e con la buona volontà, che sempre mi ha dimostrato, potrà forse quello che io penso, che nè Lettere di Papa, nè di Cardinali abbiano potuto a quest’ora62. Mentre ella dimoravasi in Ferrara, andava rivolgendo tra se di fare un viaggio a Gerusalemme, mossa dal desiderio di visitare que’ santi luoghi, e certamente sarebbe ella venuta all’effetto, se il Marchese del Vasto, cui non sofferiva l’animo di vederla esporsi ai pericoli di sì lungo viaggio, non [p. xxviii modifica]avesse cercato di ritrarla da sì fatto proponimento, e di disporla a passare a Roma 63, siccome ella fece verso il fine di quest’anno 64.

Soggiornando ella in questa Città, di que’ tempi fioritissima di buone lettere e d’ingegni, riceveva spesse visite da’ primi Letterati, da varj Principi, e da’ Cardinali, tratti dal desiderio di conoscere, e conversare con questa gran Donna 65, tenuta la più dotta 66, e meglio costumata dell’età sua. Tra i molti il Cardinal Polo, ed il [p. xxix modifica]Cardinal Contarini, amendue non meno pii che dotti, la ebbero in grandissima stima, così per la sua insigne pietà, che per l’universale sua letteratura, dalla qual simiglianza di costumi e di genio nacque una sì perfetta e santa amicizia67, che da altro caso che da morte non fu separata. Certamente è da credersi, che Vittoria si avesse acquistata la stima e benevolenza ancora del Papa, se ella fu in gran parte cagione che questi innalzasse il Bembo al Cardinalato, siccome raccogliesi da una Lettera di lui, scrittale da Venezia nell’Aprile del 1539.68. Quivi ella attese spezialmente a sollevare molti dotti Uomini dall’indigenza, ordinaria disgrazia de’ Letterati. Furono di questo numero Bernardo Tasso69, Marco Cavallo, Luigi Alamanni, ed il Molza70 già suo maestro nella Poesia. [p. xxx modifica]

Tanti e sì fatti motivi di distrazione non ebbero forza di sviarla giammai dalla contemplazione delle cose celesti, alle quali sempre più colla mente accostandosi, venne in deliberazione di togliersi interamente alle brighe del Secolo, del quale abbastanza conosciute avea le vanità e gl’inganni. Nel Marzo del 1541. ella mise ad effetto sì saggia risoluzione, ritirandosi in un Monistero di Suore in Orvieto71, e di questo ivi a pochi mesi passò a quello di S. Caterina di Viterbo72, dove menando esemplare e santa vita, era altrui di eccitamento e di norma alla cristiana perfezione.

Del tempo, in cui ella lasciasse questo ritiro, non si trova indizio tra le memorie di quel secolo; egli è certo soltanto, che nell’Agosto del 1542. ella fosse tuttavia tra [p. xxxi modifica]quelle Religiose, siccome è chiaro da una Lettera di lei, scritta da S. Caterina di Viterbo, ed indirizzata a Suor Serafina Contarini a Venezia, in cui piagne la morte del Cardinal Contarini di lei fratello, di questo tempo accadutanota. Egli è certo altresì, che ella ritornasse a Roma, dove sul cominciare dell’anno 1547. cinquantesimottavo dell’età sua, nel Palazzo Cesarini detto Argentina, infermò gravemente. Sfidata da’ Medici, veggendosi venir alla morte, fece il suo testamento a’ 15. di Febbrajo, verso il fine del qualenota, spargendo di se odore di santità, 73 74 [p. xxxii modifica]75, venne a quel passo, al quale ogn’uno una volta perviene76.

Salì questa illustre Donna a tale grado di riputazione colle elegantissime sue Poesie, [p. xxxiii modifica]e così le ebbero in pregio i Dotti dell’età sua, che nella prima edizione fattane in Parma nel 1538. le diedero il titolo di Divina 77, e nella seconda fatta in Venezia nel
In morte di lei compose due Ode Marcantonio Flaminio, delle quali una ne indirizzò a Marcantonio Faita; l’altra a Girolamo Torriano. Di questa piacemi di trascriverne alcuni pochi versi, ne’ quali l’Autore seppe ingegnosamente raccogliere molte sue lodi.

Cui mens candida, candidique mores,
Virtus vivida, comitasque sancta,
Caeleste ingenium, eruditioque
Rara, nectare dulciora verba,
Summa nobilitas, decora vultus
Majestas, opulenta, sed bonorum
Et res, & domus usque aperta ad usus,
Illa carminibus suis poetas,
Quotquot saecula multa protulerunt,
Longe vicerat. . . . . . . . . . . . . .

Carm. Lib. 5.
[p. xxxiv modifica]1540.78 quello di Diva; titoli, che di que’ tempi non solevano dispensarsi, che a uomini eccellentissimi. Non v’ha dubbio, che lo stile giudizioso ed affettuoso delle sue Rime, e la dottrina e l’erudizione, di cui sono sparse, non solamente superano d’assai la condizion femminile; ma tolgono per avventura il vanto alla maggior parte de’ Poeti, che in gran copia fiorirono in quel felicissimo secolo, di guisa che Giammatteo Toscano non ebbe difficoltà d’affermare, che ella fosse nulli post Petrarcam secunda79. Il Crescimbeni assai ritenuto nel lodare la pareggia ai migliori seguaci di quello, dicendo, che ella adoperò con tanta felicità e dottrina nel maneggio delle liriche Muse, che innalzossi sopra tutte le Donne, e potè gloriarsi di camminare a paro co’ maggiori seguaci del Petrarca, da’ quali ricevè il titolo di Divina80. .

Il guardarsi, siccome ella fece in tutte le sue Rime, da ogni detto o parola, che [p. xxxv modifica]onestissima non fosse; egli è costume tanto più da commendarsi, quanto è meno seguito da’ Poeti, perciò il sopra mentovato Giammatteo Toscano prese argomento di lodarla spezialmente da questa sua virtù, e di biasimare il brutto vizio, che a questa si oppone81.

Oltre all’esser soverchio, sarebbe ancora troppo lungo l’annoverare le molte lodi, colle quali da parecchi Scrittori venne encomiata la nostra Eroina, così per la sua erudizione, dottrina, ed ingegnosa maniera di poetare, che per l’integrità de’ suoi costumi, e meravigliosa fermezza nell’amor del marito; perciocchè, siccome afferma Francesco Agostino della Chiesa nel suo Teatro delle Donne letterate, non v’è Scrittor Italiano di quel tempo, che in prosa o in verso non l’abbia celebrata e commendata sopra tutto il sesso donnesco82, intorno a che è spezialmente degno di esser letto ciò, che con [p. xxxvi modifica]molta eleganza scrissero Agostino Bevazzano83, e l’Ariosto84 suoi principali ammiratori. [p. xxxvii modifica]

Il Cardinal Pompeo Colonna, volendo anch’esso onorare questa sua parente, le dedicò un Volume de Laudibus Mulierum, che egli scrisse a tale oggetto, e che a multis priscae virtutis exemplis atque orationis jucunditate est eruditorum lectione dignissimum 85. [p. xxxviii modifica]Ancora il Cardinal Gasparo Contarini le indirizzò il suo Trattato del Libero Arbitrio 86, Adamo Fumano fece lo stesso degli Scritti morali ed ascetici di S. Basilio traslatati da lui dal greco nel latino idioma 87, e così fece ancora il Giovio de’ sette Libri della Vita e Fatti del Marchese suo marito, siccome di sopra abbiamo osservato 88.

Attese non solamente alla Poesia, ma alle scienze tutte 89, e scrisse non senza lode intorno a varie materie90. Pochi de’ suoi componimenti però sono arrivati sino a noi, benchè per avventura i migliori; cioè buon numero di Sonetti, parte sopra la morte di suo marito, e parte sacri, se si eccettuino alcuni pochi in lode degli amici; due Canzoni, ed il Trionfo della Croce in elegantissimi terzetti, che ella compose il settimo anno della sua vedovanza 91, allorachè applicatasi alla vita spirituale, il suo amor verso Dio divenne il soggetto de’ suoi poetici componimenti92.


Note

  1. Di un’altra Vittoria Colonna trovasi menzione in due Lettere di Annibal Caro scritte nel Febbrajo del 1551., la quale di quel tempo ancor giovinetta scrivea in versi non senza lode; ma niuna delle sue Poesie ci è stata conservata dalle stampe. Lett. del Caro Vol. 1. num. 197. 198. dell’edizion Comin. Giannantonio Serone in una sua Lettera a Dionigi Atanagi a pag. 251. delle Lettere Facete raccolte da Francesco Turchi, Venez. 1575. la chiama degna Nipote di sì gran Zia; quindi è manifesto, che ella fosse nipote della nostra Poetessa.
  2. Errano senza dubbio Giammatteo Toscano Pepl. Ital. ed Antonio Bulifon Cronic. affermando, che Vittoria nascesse in Roma, perciocchè dalla seguente Oda di Marcantonio Flaminio suo contemporaneo è manifesto, essere lei uscita alla luce nel Castello di Marino suo Feudo, dodici miglia discosto da Roma.

              Ad Villam Marianam de Vict. Columna.
    Salve magna domus, meae Columnae
    Natalis, domus o beata Salve,
    Hicne vagiit illa Musa, doctis
    Quam Phoebus decimam addidit Camoenis?
    Coeli lumina vidit hicne primum
    Coelo foemina digna? digna celsis
    Nasci, & vivere in aedibus deorum:
    Supra sidera sidus ipsa clarum?
    O foelix domus!. . . . . . . . . . . . .

    Carm. lib. 1.

  3. Paolo Giovio nel lib. 1. della Vita del Marchese di Pescara, di cui la nostra Vittoria divenne moglie; afferma, che questi due illustri Sposi fossero eguali d’età, e che il Marchese fosse di sedici anni allorchè Ferrante Re di Spagna passò a Napoli, il che per testimonianza del Guicciardini lib. 7. Stor. Ital. essendo avvenuto l’ anno 1506. egli è fuor d’ ogni dubbio, che Vittoria venisse alla luce l’anno 1490.
  4. Di questa Principessa ebbe Fabrizio sei figliuoli. Federico, Ascanio, Ferdinando, Camillo, Sciarra, e Vittoria.
  5. Bullart. Academie des Sciences, & des Arts contenant les Vies & les Eloges historiques des Hommes illustres. a Paris 1682. fol. Tom. 2. lib. 5. pag. 336. Giovio loc. cit. Pare, che ella alluda a questa promessa di matrimonio in età sì tenera con quel Sonetto, che comincia:

    A pena avean gli spirti intiera vita,
    Quando il mio cor proscrisse ogn’altro oggetto.

  6. Egli fu ucciso nel 1496. per tradimento di uno Schiavo, mentre comandava gli Aragonesi nell’assedio di Napoli. Giovio Vita del March. di Pesc. Lib. 1.
  7. Giovio loc. cit.
  8. Di questa concorrenza fa cenno il Giovio in una sua Lettera a Stefano Colonna. Il maritaggio della Sig. Vittoria batte tra il Duca di Braganza, Duchino di Savoja, ed il Marchese di Pescara; l’uno è troppo lontano, l’altro è troppo fuoruscito, e l’altro è troppo tenerello. Dio inspirerà Sua Santità nel manco male. Di Roma a’ 22 di Novembre 1512. Leggesi questa a pag. 109. dell’edizione delle Lettere di quest’Autore fatta in Venezia nel 1560. dai Fratelli Sessa; ma senza dubbio v’è errore nella data, perciocchè ella è cosa certa, che Vittoria era moglie del Marchese di Pescara d’alcuni anni, allorchè egli rimase prigioniero nella battaglia di Ravenna, seguita, sicome è noto per molte Storie, appunto nel 1512. ed oltre a ciò il Giovio non lo averebbe chiamato tenerello in quest’anno, che era il ventesimosecondo dell’era sua.
  9. Giulio Secondo, siccome raccogliesi dall’addotta Lettera del Giovio.
  10. Giovio nella Vita del March. Lib. 1.
  11. Giovio ibid. Bullart ibid.
  12. Di ventun anno fu eletto alla carica di Capitan Generale de’ Cavalleggieri V. la nota (15).
  13. Giovio nella sua Vita Lib. 1.
  14. Bulifon loc. cit.
  15. Abbiamo già osservato not. (8) essere seguita la famosa battaglia di Ravenna nel 1512 ventesimo secondo dell’età sua, e la carica di Capitan Generale de’ Cavalleggieri eragli stata conferita qualche tempo prima. Giovio nella sua Vita Lib. 1.
  16. Giovio ibid.
  17. Bullart loc. cit.
  18. Bulifon loc. cit.
  19. In più luoghi delle sue Rime sotto nome di Scoglio ella fa menzione dell’Isola d’Ischia, come d’un luogo, che molto le andasse a genio, e dove usasse di far lungo soggiorno col marito, il che spezialmente si osserva nel Sonetto:

    Sperai, che ’l tempo i caldi alti desiri,

    e nell’altro:

    Donna secura accesa, e dall’errante

    Descrive quest’Isola Luca Contile a pag. 129 del Vol. primo delle sue Lettere stampate in Pavia nel 1564.

  20. Bullart loc. cit.
  21. Ibid.
  22. Bulifon loc. cit.
  23. V. il Sonetto:

    Qui fece il mio bel Sole a noi ritorno

  24. Giovio nella Vita di lui. Lib. 7.
  25. Giovio ibid.
  26. Giovio ibid. Ella fa cenno di questa sua sterilità nel Sonetto, che comincia:

    Quande morte tra noi disciolse il nodo

    e poco sotto:

    Sterili i corpi fur, l’alme feconde.

  27. L’anno 1525., in cui il Marchese di Pescara venne a morte, dee certamente riputarsi il diciannovesimo del suo matrimonio, seguito verso il fine del 1506. o nel cominciare del 1507. veggasi il Giovio nella Vita di lui Lib. 7.
  28. Bullart loc. cit. Fu sepolto in Milano con assai onorate esequie a’ 30. di Novembre del 1525, e poco appresso accompagnato da buon numero d’amici e domestici vestiti a bruno, fu portato a Napoli, e posto nella Chiesa di S. Domenico, dove con magnificenza rinnovate le esequie, fu con molta eleganza lodato in pubblico per Gualtiero Corbetta Milanese. Giovio nella Vita di lui Lib. 7.
  29. Prese quindi argomento di lodarla l’Ariosto con un suo Epigramma, in cui la innalza sopra la Figlia di Catone Uticense, la quale non ebbe cuore per sopravviver al marito.

    Non vivam fine te, mi Brute, exterrita dixit
         Portia, & ardentes sorbuit ore faces;
    Avale, te extincto, dixit Victoria, vivam
         Perpetuo moestas sic dolitura dies.
    Utraque Romana est, sed in hoc Victoria major,
         Nulla dolere potest mortua, viva dolet.

    V’ha chi attribuisce questo Epigramma a M. A. Flaminio: Flamin. Carm. ediz. Comin. pag. 89. nè manca chi lo ascriva a Tommaso Mosconi; parmi tuttavia da seguire l’opinione del Corso pag. 381. il quale inclina a credere esserne Autore l’Ariosto. Sopra lo stesso argomento scrisse Vittoria la quarta Stanza della prima Canzone, siccome pure il Sonetto:

    Veggio al mio danno acceso, e largo il Cielo.

  30. V. la nota (76).
  31. Bullart loc. cit.
  32. Alessandro Zilioli, Istor. delle Vite de’ Poeti Italiani a pag. 198. del M. S. posseduto dal celebre Letterato il Sig. Conte Giammaria Mazzucchelli, cui mi professo debitore di questa, e di alcune altre notizie spettanti a questa Vita.
  33. Con questo nome ella usò di chiamare il marito in tutte le sue Rime.
  34. Veggasi la Sposizione di Rinaldo Corso sopra il Sonetto di Vittoria:

    D’ogni sua gloria fu largo al mio Sole.

    a pag. 170. dell’ediz. delle sue Rime fatta in Venezia nel 1558 dai Fratelli Sessa.

  35. Questo è il Sonetto che comincia:

    Di così nobil fiamma amor mi cinse.

  36. Zilioli loc. cit.
  37. V. la nota (58).
  38. Nella Vita del Molza molto eruditamente scritta dal celebre Sig. Ab. Pierantonio Serassi, posta in principio del primo Vol. delle Opere di questo Poeta, raccolte novellamente ed illustrate dal medesimo. Bergamo 1747. appo Pietro Lancellotto.
  39. Leggasi la Sposizione del Corso sopra questi tre Sonetti a pag. 339. dell’accennata edizione. Il primo comincia:

    Quanta invidia al mio Cor felici e rare.

    l’altro

    Alta fiamma amorosa, e ben nate alme

    ed il terzo

    Al bel leggiadro stil soggetto eguale.

    a questo ultimo il Molza rispose ripigliando le stesse rime col Sonetto:

    Ben fu nemico il mio destin fatale.

  40. V. il Sonetto:

    Quand’io dal caro scoglio miro intorno

    e gli altri due citati nella nota (19), intorno al primo de’ quali parmi necessario avvertire l’errore di Rinaldo Corso nella Sposizione dell’ultimo terzetto a pag. 165. supponendo che Vittoria colla voce scoglio abbia voluto significare la propria costanza, non l’Isola d’Ischia, di cui sotto lo stesso nome ella parla in più luoghi delle sue Rime, siccome è chiaro dagli stessi comenti del Corso a pag. 269. e 468. senzachè in questo luogo, se per lo scoglio s’intenda quest’Isola, il senso è per se chiaro e facile da intendersi; dove se vogliasi sottintendere la di lei costanza, avviene il contrario, e converrebbe dire, che ella non avesse espresso il suo pensiero colla solita sua eleganza.

  41. Se si eccettuino le sue Rime sacre, pochissime sono quelle, nelle quali ella non abbia preso a lodare il marito, il cui nome desiderava di rendere immortale, siccome osserva il Corso a pag. 403. nella Sposizione del Sonetto:

    L’alto Signor, dal cui saver congiunte

  42. Dell’aver lei colle sue Rime reso immortale il nome del marito fu con molta eleganza lodata da Pierio Valeriano nella dedica del ventesimo secondo Libro de’ suoi Geroglifici.
  43. Francesco Agostino Della Chiesa nel Teatro delle Donne Letterate a pag. 296. dell’ediz. di Mondovì del 1620.
  44. Storia e ragione d’ogni Poesia Tom. II. pag. 332.
  45. Dell’aver lui scritto la Vita del Marchese di Pescara, e dell’averla a lei indirizzata, fu ringraziato e lodato nel Sonetto:

    Di quella cara tua serbata fronde.

  46. Queste si leggono tra le Rime del Martelli a car. 193. dell'ediz. di Lucca del 1730.
  47. Lett. del Dolce Lib. 1. pag. 124. della Raccolta di Paolo Manuzio.
  48. Due Sonetti ritrovansi fra quelli di Veronica Gambara in lode di Vittoria, de’ quali uno comincia:

    O della nostra etade unica gloria.

    e l’altro:

    Mentre de’ vaghi e giovanil pensieri.

    cui ella rispose ripigliando le stesse rime; a questo col Sonetto:

    Lasciar non posso i miei dolci pensieri.

    ed al primo con quello:

    Di nuovo il Cielo dell’antica gloria.

    intorno ai quali veggasi ciò, che scrisse il Corso a pag. 224. e 330.

  49. V. le note (2), (78), e la Vita di questo Poeta latinamente scritta dal Canonico Francesco Maria Mancurti, premessa alle edizioni Cominiane delle di lui Poesie.
  50. Ciò comprendesi da una Lettera del Castiglione scritta da Madrid alla nostra Marchesana nel 1525., che leggesi tra le Opere di quest’Autore a pag. 292. dell’ediz. Comin.
  51. Bernardino Marliani nella Vita del Castiglione, premessa alle sue Opere novellamente stampate dal Comino
  52. Ciò si rileva dalla Lettera del Guidiccioni addotta nella nota (56), e da un’altra del Bembo a lei del Luglio 1532., che si legge a pag. 334. del terzo Volume delle sue Opere stampate in Venezia nel 1729. in fol.
  53. Non solamente le loro Lettere, ma ancora le loro Poesie rendono testimonianza della stima, che eglino facevano delle Rime di lei. veggasi il Sonetto del Bembo:

    Alta Colonna, e ferma alle tempeste.

    e quell’altro:

    Caro e sovran dell’età nostra onore.

    come pure:

    Cingi le costei tempie dell’amato

    con cui egli rispose a quello di Vittoria in lode di lui:

    Ahi quanto fu al mio Sole contrario il fato.

    Piacque sì fattamente questo Sonetto al Bembo, che in una sua Lettera al Giovio a pag. 64. Vol. 3. dell’accennata edizione delle sue Opere, chiamollo grave, gentile, ingegnoso, eccellentemente e pensato e disposto e dettato. In lode del medesimo ella compose quell’altro Sonetto:

    Spirto gentil, dal cui gran nome altero.

    al quale il Bembo non rispose, nè so se mai la Marchesana gliel’abbia mandato. Tre Sonetti compose ancora il Guidiccioni in lode della medesima, in uno de’ quali allude al suo valore nel poetare, e principia:

    Se ’l vostro Sol, che nel più ardente vero.

    degli altri due uno comincia:

    Quanto a’ begli occhi vostri, e quanto manca.

    e l’altro:

    Se ben s’erge talor lieto il pensiero.

    V. ancora la Vita di questo celebre Poeta da me scritta, e premessa all’edizion delle sue Rime in Bergamo 1753.

  54. La ringrazia il Guidiccioni, che gli sia stata liberale del suo Ritratto, in una Lettera, che leggesi senza data a pag. 164. Vol. 1. delle Opere di questo Autore in Genova 1749. nella Stamperia Lerziana. Lo stesso fa il Bembo in quella a car. 334. Vol. 3. delle sue Op. dell’accennata edizione.
  55. Op. Bemb. Vol. 3. pag. 65
  56. Che questa riforma della sua vita non debba porsi oltre al settimo anno della sua vedovanza, è manifesto dal Trionfo della Croce da lei composto, allorachè dopo la morte del marito

    Già sette volte avea girato intorno
    I segni, ove ne fa cangiar stagione
    Chi porta seco in ogni parte il giorno.

    Che poi ciò non seguisse prima di questo tempo, chiaramente appare dal Sonetto:

    Sperai, che ’l tempo i caldi alti desiri
    Temprasse alquanto, o dal mortal’affanno
    Fosse il cor vinto sì, che ’l settimo anno
    Non s’udisser sì lunge i miei sospiri.

    nel quale continua a piagnere la morte del marito, ed a favellare del terreno amore, che ella pose del tutto in oblio, da che si fu applicata alla vita spirituale.

  57. In qual guisa e con quali ajuti lasciando i terreni affetti ella si sollevasse alla contemplazione delle cose celesti, può vedersi nelle sue Rime Sacre, ma spezialmente nel Trionfi della Croce, sopra il quale vedi ciò, che scrisse il Corso.
  58. V. la Lettera di Vittoria alla Regina di Navarra, e l’altra della Regina a lei, fra quelle raccolte da Bernardino Pino Lib. 1. pag. 149. 151. in Venezia 1574.
  59. Lettere della Machesana alla Duchessa d’Amalfi Lib. 2. pag. 113. 115. 119. dell’accennata Raccolta del Pino.
  60. Lett. del Tasso Vol. 1. pag. 134. ediz. Comin.
  61. Ciò accertano due Lettere della Marchesana scritte da Ferrara a Pietro Aretino, la prima del Settembre, l’altra del Novembre 1537., che leggonsi a pag. 18. Vol. 2. della Raccolta di Lettere scritte a quest’Autore, e benchè la seconda trovisi colla data del 1539.; la stretta relazione, che questa ha con la prima, scopre agevolmente l’errore di stampa, e ci dà a conoscere essere stata scritta del pari che l’altra nel 1537. Si ha di ciò più chiara notizia da quattro Lettere del Molza scritte di Roma nei mesi di Maggio, Giugno, e Settembre dello stesso anno a suo figliuolo Camillo a Bologna, le quali si leggono a pag. 65. 67. 71. 75. del Vol. 3. delle Opere di questo Poeta, raccolte ed illustrate dal chiarissimo Sig. Ab. Serassi. Bergamo 1747.
  62. Ciò si legge nella prima delle quattro Lettere del Molza accennate nella nota antecedente.
  63. Tutto ciò si rileva dalle due Lettere di lei all’Aretino addotte nella nota (63).
  64. Nell’Aprile del 1538. le scrive il Bembo a Roma, e perciò è da credersi, che o nella Primavera di quest’anno, o verso il fine dell’anno antecedente ella entrasse in cammino alla volta di Roma. Op. Bemb. Vol. 3. pag. 334.
  65. Ciò si ha nel ristretto della sua Vita, che fra quelle di Giovanna d’Aragona, del Marchese di Pescara, di Giulia Gonzaga, e di molt’altre illustri persone leggesi in un Codice a penna della famosa Libreria del Sig. Valletta in Napoli. Quali Vite contenga questo Volume, veggasi nel Giornale de’ Letterati d’Italia. Tom. 24. pag. 92.
  66. Che ella avesse il primo grido in Italia, ne rende testimonianza il Bembo in una sua Lettera scritta di Padova nel Gennajo 1534. a Francesco Maria Malchiavello a Vicenza, in cui volendo lodare la Sig. Caterina da Piovene di valorosa in poesia, la pareggia a Vittoria così: Ella non può esser se non valorosissima, se quel Sonetto è suo, come V. S. afferma. Il quale nel vero è tanto bello, che mi fa maravigliare grandemente. E parmi, che la Marchesa di Pescara sia non solamente a Napoli, ma eziandio nella vostra Città. Dissi Marchesa di Pescara, perciocchè è quella, che ha ora il primo grido. Op. Bemb. Vol. 3. pag. 270.
  67. Veggansi le Lettere del Cardinal Polo a lei, ed al Cardinal Contarini, nel Vol. terzo della Raccolta delle sue Lettere, e la Prefazione del Cardinal Querini allo stesso Vol. Vedi pure la Lettera di lei a Suor Serafina Contarini fra quelle raccolte dal Manuzio.
  68. In tal guisa le scrive il Bembo. Vostra Illustriss. Sig. ha più da rallegrarsi della nuova dignità e grado datomi da nostro Signor perciò, che ella ne è stata in buona parte cagione, che per alcun mio merito, di che ella per sua molta cortesia ragiona meco nelle sue Lettere. Op. Bemb. Vol. 3. pag. 335.
  69. Sue Lettere Vol. 1. pag. 130 ediz. Comin
  70. Ciò si legge nel Manoscritto accennato nella nota (67).
  71. Che di questo tempo ella si rittirasse nell’accennato Monistero, ne fa fede una Lettera del Cardinal Polo al Card. Contarini del dì 11. Aprile 1541. della raccolta mentovata not. (69), nella quale gliene dà contezza. Quod ad Illustrissimam Marchionissam Piscariae attinet….. Orvietum se recepit, ibique in Coenobium Monacharum se abdidit, quarum institut is & conversatione ita delectatur, ut cum tot Angelis se versari existimet, quae nullum ferme sermonem admittunt, nisi de Deo. Deesi perciò credere ciò essere accaduto nel Marzo precedente.
  72. Da due Lettere del Bembo scrittele a Viterbo nei mesi d’Ottobre e Novembre del 1541. Op. Bemb. Vol. 3. pag. 335. 336. e dalla mentovata Lettera di lei not. (69) a Suor Serafina Contarini.
  73. Secondo il Panvinio morì il Cardinal Contarini nell’Agosto 1542. in Bologna essendo Legato.
  74. Sono in disparere gli Scrittori intorno al tempo ed al luogo della di lei morte. Tengono il Bullart, ed il Bulifon loc. cit. che ella finisse di vivere l’anno 1541. nel Monistero di S. Maria di Milano. Che ella venisse a morte in questo Monistero si ha ancora dal Crescimbeni Stor. della Vol. Poesia Vol. 1. Lib. 3. c. 16., ma egli crede ciò essere accaduto nel 1546. Ancora l’eruditissima Sig. Contessa Lovisa Bergalli Gozzi nella sua Raccolta di componimenti poetici delle più illustri Rimatrici Vol. 1. pag. 269. seguì la medesima opinione riguardo al luogo, poichè rispetto al tempo dubita ella se debba credersi morta nel 1541. o nel 1549. Egli è però certissimo, che e quanto al luogo e quanto al tempo tutti sono in errore; perciocchè ci è rimasto il suo testamento fatto in Roma a’ 15. di Febbrajo del 1547. nel Palazzo Cesarini chiamato Argentina, ov’ella giaceva inferma, della quale infermità poco tempo dopo morì, come si ha nel Catalogo della Libreria Capponi pag. 126. in Roma 1747. Ancora dal MS. accennato not. (67) del Signor Valletta abbiamo, che ella morisse in Roma, ma non ci dà contezza del tempo, intorno al quale toglie ogni dubbio Lodovico Beccatelli Arcivescovo di Ragusi nella Vita del Bembo, di cui fu contemporaneo ed amico, perciocchè venendo egli a favellare della morte di lui accaduta a’ 20. di Gennajo del 1547. così scrive: Parve appunto, che quell’anno si sforzasse di estinguere gli chiari ingegni di Roma, perchè dopo la morte del Reverendissimo Bembo fra termine di un mese ne privò della Sig. Vittoria Colonna Marchesa di Pescara, che a’ giorni nostri in versi è stata un’altra Saffo, ed in opere sante e di carità una S. Elisabetta. Leggesi questa Vita nel Vol. secondo degli Storici delle cose Veneziane, i quasi hanno scritto per pubblico Decreto. Da quanto si è detto intorno al tempo della morte di questa illustre Donna, è manifesto esservi errore di stampa nella data dell’Ottobre 1548., colla quale leggesi la Lettera di Vincenzo Martelli a lei a pag. 45. delle Lettere di quest’Autore stampate in Venezia nel 1561. da’ Bolognino Zaltieri dopo quelle dell’Atanagi, e lo stesso certamente dee credersi della Lettera del Cardinal Polo colla data del Marzo 1548. Epist. Card. Regin. Poli. Tom. 4., nella quale piagne la morte di Vittoria come di fresco accaduta.
  75. Non sono mancati de’ maligni, i quali abbiano tentato di macchiare la fama di questa piissima Dama, raro esemplare di vita cristiana, per la stima in cui ella ebbe Fra Bernardino Ochino, tacendo costoro non a caso, che ciò riguardi solamente quel tempo, in cui egli facevasi da tutti ammirare, come un vero modello di vita penitente, ed in cui aveva grido di zelantissimo predicatore, pieno dello spirito di Dio; dovendosi certamente dire tutto in contrario rispetto al tempo che venne, dopo aver lui empiamente abbandonato l’Ordine di S. Francesco e la Religione Cattolica. Da due Lettere del Bembo a lei dei mesi di Febbrajo e Marzo del 1539. Op. Bemb. Vol. 3. pag. 334. 335. nelle quali egli favella dell’Ochino, può agevolmente comprendersi qual fosse costui prima della sua caduta. Nella prima: Confesso di non aver mai udito predicare più utilmente, nè più santamente di lui; nè mi maraviglio se V. S. l’ama tanto, quanto ella fa. Ragiona molto diversamente e più cristianamente di tutti gli altri, che in pergamo sian saliti a’ giorni miei, e con più viva carità ed amore, e migliori, e più giovevoli cose. E stimo che egli sia per portarsene, quando egli si partirà, il cuore di tutta questa Città seco; e nella seconda: Ragiono con V. S. come ho ragionato questa mattina col R. P. F. Bernardino, a cui ho aperto tutto il cuore e pensier mio, come arei aperto a Gesù Cristo, a cui stimo lui essere graziosissimo e carissimo, nè a me pare aver giammai parlato col più Santo Uomo di lui. Lo stesso dee dirsi rispetto alla stima, in cui ella ebbe il Vergerio, prima che egli si partisse dalla vera Religione. Ancora l’amicizia tra essa e Marcantonio Flaminio tacciato a torto di falsa credenza, parve a taluno fondamento sufficiente, onde poter dubitare, non forse anch’ella avesse aderito alle altrui false opinioni. Quanto scrisse il Cardinal Querini in discolpa dell’uno e dell’altra Pref. alla Vita del Card. Contar. pag. 38. e seg., basti a far tacere tutti costoro, secondo i cui principi vacillerebbe la riputazione di mille altre innocentissime persone.
  76. In morte di lei compose due Ode Marcantonio Flaminio, delle quali una ne indirizzò a Marcantonio Faita; l’altra a Girolamo Torriano. Di questa piacemi di trascriverne alcuni pochi versi, ne’ quali l’Autore seppe ingegnosamente raccogliere molte sue lodi.

    Cui mens candida, candidique mores,
    Virtus vivida, comitasque sancta,
    Caeleste ingenium, eruditioque
    Rara, nectare dulciora verba,
    Summa nobilitas, decora vultus
    Majestas, opulenta, sed bonorum
    Et res, & domus usque aperta ad usus,
    Illa carminibus suis poetas,
    Quotquot saecula multa protulerunt,
    Longe vicerat. . . . . . . . . . . . . .

    Carm. Lib. 5.

  77. Divina la chiama spesso il Corso nella Sposizione delle sue Rime, e lo stesso fece Fausto da Longiano in una sua Lettera tra quelle scritte all’Aretino Vol. 1. pag. 202. Divine altresì furono dette le sue Poesie dal Giraldi nel secondo Dialogo de Poet. nostr. tempor. e come tali diceva di venerale Irene Castriotta Principessa di Bassignano Ruscell. Impr. Lib. 2. Chiama Divina la di lei virtù ancora il Castiglione nella sua Lettera a Michel de Silva Vescovo di Viseo. Op. Cast. pag. 7. ediz. Comin.
  78. Per Comin da Trino.
  79. Peplus Italiae Lib. 4. cap. 153.
  80. Ne’ suoi Commentarj intorno alla Storia della volgar Poesia. Vol. 2. pag. 361. Venezia 1730
  81. Dopo le lodi di Saffo e di Corinna passa a quelle di Vittoria così:

    Huic ego te obiiciam faustum Victoria nomen:
    Quae non prisca tuis tantum muliebria plectris
    Plectra silere jubes, Romanaque Graecaque Tuscis:
    Sed (tua quae virtus propria est) lascivia versus
    Commaculat dum nulla tuos…
    Tantum sola decus casto fers carmine, quantum
    Dedecus obsceno Sapphoque, Corinnaque versu.

    Pepl. Ital. Lib. 4. cap. 153.

  82. Pag. 296. ediz. cit.
  83. O decus Italidum Virgo Victoria, castas
         Dignior Aonias inter babenda Deas,
    Quaenam fama tui rendet tibi praemia facti?
         Quis, caelo qui te laudibus aequet, erit?4
    Conjugis extincti cineres, manesque sepultos
         Corde geris, luges carmine, mente colis.
    Hajus & egregiam virtutem, animasque viriles,
         Factaque, non hominis femina voce sonas.’8
    Pro quibus insigni Phoebus tua tempora lauru
         Cinxit, & aeternum nomen habere dedit.
    Credo equidem: pereat Caelum, mare, terra, priusquam11
         Gloria deficiat nominis ista tui.
    Jam valeant: jam fama sile, quascumque vetustas
         Rettulit, amissis indoluisse viris.14
    Quid, tibi se ut conferre queant, fecisse videmus?
         Omnes feminei signa doloris habent.
    Defunctos luxere diu, aut periere; maritum
         Ipsa tuum invita vivere morte facis.
    Verso il fine delle sue Poesie latine.

  84. Nel Furioso Canto 37. così:

    Sceglieronne una, e sceglierolla tale,
         Che superato avrà l’invidia in modo,
         Che nessun’altra potrà avere a male,
         Se l’altre taccio, e se lei sola lodo.
         Quest’una ha non pur se fatta immortale
         Col dolce stil, di che il miglior non odo;
         Ma può qualunque; di cui parli, o scriva,
         Trar del sepolcro, e far che eterno viva.
    Come Febo la candida Sorella
         Fà più di luce adorna, e più la mira,
         Che Venere, o che Maja, o che altra stella,
         Che va col Cielo, o che da se si gira,
         Così facondia più che all’altre, a quella,
         Di che io vi parlo, e più dolcezza spira;
         E dà tal forza all’alte sue parole,
         Che orna a’ dì nostri il Ciel d’un altro Sole.
         Vittoria è il nome; e ben conviensi a nata
    Fra le vittorie; e a chi o vada, o stanzi

         Di trofei sempre, e di trionfi ornata
         La vittoria abbia seco o dietro, o innanzi;
         Questa è un’ altra Artemisia, che lodata
         Fu di pietà verso il suo Mausolo; anzi
         Tanto maggior, quanto è più assai bell’ opra,
         Che por sotterra un Uom, trarlo di sopra.
    Se Laodomia, se la moglier di Bruto,
         S’ Arria, s’ Argia, s’ Evadne, e se altre mo.
         Meritar laude per aver voluto,
         Morti i mariti, esser con lor sepolte;
         Quanto onore a Vittoria è più dovuto,
         Che di Lete, e del Rio, che nove volte
         L’Ombre circonda, ha tratto il suo consorte
         Malgrado delle Parche, e della Morte?
    Se al fiero Achille invidia della chiara
         Meonia tromba il Macedonico ebbe,
         Quanto invitto Francesco di Pescara
         Maggiore a te, se vivesse or, l’ avrebbe;
         Che sì casta mogliere, e a te sì cara
         Canti l’eterno onor, che ti si debbe;
         E che per lei sì il nome tuo rimbombe,
         Che da bramar non hai più chiare trombe.
    Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
         Io n’ho desir, volessi porre in carte,
         Ne direi lungamente; ma non tanto,
         Che a dir non ne restasse anco gran parte ecc.

    La celebrò altresì in quasi tutte le sue Rime Galeazzo di Tarsia, il quale, siccome scrive il Basile Pref. alle Rime del medesimo, fu di lei castissimo amante.

  85. Così il Giovio nella Vita di questo Cardinale a car. 203. dell’ ediz. del. Torrentino 1551. fol. Il M. S. originale della sua Opera de Laudibus Mulierum trovasi ora nella Biblioteca del Re Cristianissimo. Bayle Dict. Critiq. Art. Colonna (Pompe’e).
  86. Veggasi la Vita di lui scritta dal Casa, stampata dai Giunti nel 1564. pag. 361.
  87. Ciò si ha nella Vita del Cardinal Contarini scritta dal Card. Querini pag. 41.
  88. Vedi la nota (47).
  89. Crescimbeni loc. cit.
  90. Pietro Paolo Ribera nella sua Opera delle Glorie immortali delle Donne Illustri. pag. 301. Venezia 1609. presso Evangelista Deuchino.
  91. Vedi la nota (58).
  92. Sono pure avanzate al tempo alcune delle sue Lettere, le quali leggonsi tra quelle di varj Uomini illustri di quel Secolo, raccolte dal Pino, dal Manuzio, e da altri.