Morgante maggiore/Canto decimosettimo

Canto decimosettimo

../Canto decimosesto IncludiIntestazione 29 ottobre 2024 100% Da definire

Canto decimosesto
[p. 349 modifica]

CANTO DECIMOSETTIMO.




ARGOMENTO.

     Ecco Rinaldo a Babbillona, ed ecco
Gano attorno al Soldano, acciò disperso
Resti Rinaldo da quel Veglio becco,
Che su in montagna la suona a traverso:
Gano modella poi con altro stecco,
E contra Montalban l’ira ha converso:
Antea l’assedia, allor ch’altrove Orlando
La figlia al re Falcon sta liberando.


1 Vergine innanzi al parto, ed ora e sempre,
     Vergine pura, Vergine beata,
     Vergine che ’l tuo figlio in ciel contempre,1
     Vergine degna, Vergine sacrata,
     Vergine, ch’ogni cosa guidi e tempre,
     Vergine con Gesù nostra avvocata,
     Vergine piena di grazia e di gloria,
     Vergine eterna, aiuta la mia storia.

2 Sappi, ch’io son colui per cui sospira
     Nella città la figlia del Soldano;
     Ma la fortuna, che sue rote gira,
     M’ha qui condotto cogli sproni in mano,
     E di me fatto il berzaglio e la mira:
     Or pur torrai quest’alfana, Pagano,
     Chè ’l mio cavallo ho perduto Baiardo,
     E il mio cugin, che mai fu il più gagliardo.

3 Nella città n’andrai subito a quella;
     Dì che Rinaldo in sul campo l’aspetta
     Alla battaglia, armato, non in sella,
     Che vuol de’ suoi prigion far la vendetta:
     Vedrai che gli parrà buona novella.
     Gualtier sopra l’alfana si rassetta,
     E presto in Babillona andava a Antea,
     E quel c’ha detto Rinaldo, dicea.

[p. 350 modifica]

4 Diceva Antea: Può farlo la fortuna,
     Che sia Rinaldo, e sia così soletto
     Sanza cavallo, o compagnia nessuna?
     E corse a Ulivieri e Ricciardetto,
     E disse: Or non temete cosa alcuna;
     Perchè sapea che vivon con sospetto;
     E quanto più potea gli confortava,
     Chè per amor di Rinaldo gli amava.

5 E Ricciardetto avea trattato in modo,
     Che mai nessun disagio comportoe,
     Tanto la strigne l’amoroso nodo.
     Poi, fatto questo, al Soldan se n’andoe:
     Voi non sapete, disse, quel ch’io odo,
     Però quel c’ho sentito vi diroe:
     Rinaldo fuor m’aspetta delle mura,
     A piè, soletto, sol coll’armadura.

6 Il Soldan disse: Molto strano è il caso,
     Ch’un cavalier di tanta nominanza
     Così sanza caval sia sol rimaso;
     E disse: Che di’ tu, Gan di Maganza,
     Che se’ d’ogni scienza e virtù vaso?
     Sai che Rinaldo ha pur molta possanza,
     Nè la fortuna ritentar vorrei;
     Per tanto il tuo consiglio caro arei.

7 Forse che Gano ebbe a pensare a questo,
     Ch’avea di tradimenti pieno il seno,
     E la risposta apparecchiata ha presto;
     Disse: Soldan, s’a mio modo fareno,
     Non metteren così in un tratto il resto:
     Ma minor posta ch’Antea mettereno:
     Se Rinaldo ama la donna famosa,
     Credi per lei che farebbe ogni cosa.

8 E’ c’è quel Veglio antico maladetto,
     Che sta nella montagna d’Aspracorte,
     E tutto il regno tuo tiene in sospetto:
     La tua fanciulla con parole accorte
     Conchiugga con Rinaldo questo effetto,
     Che se a quel Veglio dar crede la morte,
     Che riarà i prigioni, e tutti i patti
     Gli osserverai che in Persia furon fatti.

[p. 351 modifica]

9 Era il Soldano uom molto scozzonato,2
     E ’ntese ben che lo manda alla mazza,
     E fra sè disse: Che uomo scelerato!
     Ecco ben traditor di fine razza!
     Rispose: Io lodo quel c’hai consigliato:
     Ogn’altra cosa sare’ forse pazza.
     E la sua figlia confortò ch’andassi
     Al suo Rinaldo, e questo domandassi.

10 Ella rispose al Soldan, ch’era presta,
     E quando più potè si facea bella:
     Missesi indosso una leggiadra vesta,
     Ove fiammeggia d’oro alcuna stella
     Nel campo azurro, molto ben contesta
     Di seta ricca, e poi montava in sella
     Con due sergenti, e non volle armadura,
     Ed a Rinaldo andò fuor delle mura.

11 Quando Rinaldo Antea vede venire,
     Sente nel cuor di subito un riprezzo
     D’amor, che gliel facea per forza aprire:
     Ecco il Sol, disse fra le stelle in mezzo.
     Giunse la donna che ’l facea morire.
     Vide che s’era a seder posto al rezzo
     Appiè d’un moro gelso in sulla strada,
     In sul pome appoggiato della spada.

12 E disse: Mille salute a Rinaldo:
     Qual fato ingiusto o qual fortuna vuole,
     Ch’a piè soletto cammini pel caldo?
     Quando Rinaldo sentì le parole,
     Non potea il cor nel petto stargli saldo,
     E disse: Ben ne venga il mio bel sole;
     Qual grazia qui ti manda a confortarmi?
     Ma dimmi, dov’hai tu lasciate l’armi?

13 Rispose la fanciulla: Ah, puro e soro,
     A quel che ci bisogna ogni arme è buona:
     Ch’io doverrei per uscir di martoro,
     Far come Tisbe mia di Babillona,
     Poi che noi siamo appiè del gelso moro,
     Della cui fede ancor la fama suona;
     E forse del mio amor costante e degno
     In qualche modo il ciel farebbe segno.

[p. 352 modifica]

14 Io son venuta perchè il padre mio
     Vuol ch’io ti dica quel che intenderai,
     Ch’un nostro gran nimico antico e rio,
     Se tu l’uccidi, i tuoi prigioni arai,
     E ciò che in Persia già ti promissi io:
     Non so se ricordar sentito l’hai;
     Ma molto suona la sua possa magna,
     Il Veglio appellato è della montagna.

15 E statti d’ogni cosa alla mia fede,
     Se tu farai, Rinaldo, quel ch’io dico;
     Ma dimmi come sia rimaso a piede,
     E ch’io non veggo Orlando qui il tuo amico:
     Piglia questo caval, che, per mia fede,
     Se non l’accetti, sarai mio nimico.
     Disse Rinaldo: In un deserto folto
     Rimase Orlando, e ’l destrier mi fu tolto.

16 Il me’ ch’io posso mi son qui condotto:
     L’amor ch’io porto a Antea me lo fa fare,
     E son venuto a piè più che di trotto;
     Nè voglio altro caval mai cavalcare,
     Insin che ’l mio Baiardo non m’è sotto:
     Or, perchè sempre mi puoi comandare,
     Colui, che di’ di montagna o di bosco,
     Fammi assaper, ch’io per me nol cognosco.

17 E s’egli avessi la testa di ferro,
     Per lo tuo amor due pezzi ne faroe:
     Così ti giuro, e so che mai non erro,
     E d’ogni cosa in te mi fideroe
     Di ciò che fu ne’ patti, s’io l’atterro.
     Rispose Antea: Con teco manderoe
     Un de’ miei mammalucchi,3 che là vegni,
     E questo can malfusso te lo ’nsegni.

18 Io mi ritorno drento alla città,
     Chè tempo non è or da far soggiorno:
     A’ tuoi prigion niente mancherà,
     Ch’io gli ho sempre onorati notte e giorno;
     E libero ciascun di lor sarà,
     Rinaldo, in ogni modo al tuo ritorno;
     Macon sia teco. E poi voltò il cavallo,
     Chè ’n volto più non sofferia guardallo.

[p. 353 modifica]

19 E ritornossi sospirando drento,
     E ridiceva al Soldano ogni cosa:
     Non domandar come Gan fu contento:
     Dell’allegrezza non trovava posa;
     E perchè e’ fussi doppio il tradimento,
     Disse così: Se tu vuoi còr la rosa
     A tempo, e sanza pugnerti la mano,
     Un altro bel partito c’è, Soldano.

20 Rinaldo non arà col Veglio scampo:
     Or mi parrebbe la tua figlia andassi
     A Monalbano intanto a porre il campo,
     E bastere’ trentamila menassi,
     Prima che sia raffreddo questo vampo:
     Orlando non v’è or, che rimediassi,
     Ma sol Guicciardo, Alardo e Malagigi;
     E preso Montalban, preso è Parigi.

21 Questo Ulivieri e questo Ricciardetto
     De’ miglior paladin son ch’abbi Carlo:
     Carlo in Parigi è rimaso soletto,
     E per paura attenderà a guardarlo:
     Qui è il partito vinto, e ’l giuoco netto,
     Pur che tu sappi, signor mio, pigliarlo:
     Donde al Soldan troppo la ’mpresa piace,
     E ciò c’ha detto Gan gli fu capace.4

22 E la figliuola scongiurava e priega,
     Che ora è tempo acquistar qualche fama;
     Ma la fanciulla al principio ciò niega,
     Come colei che Rinaldo molto ama:
     E molto saviamente al padre allega,
     Che sempre più l’onor che l’util brama,
     E che Rinaldo voleva aspettare,
     E ciò ch’aveva promesso osservare.

23 Il padre rispondea: Prima che torni
     Dal Veglio, o ch’e’ gli dia sì tosto morte,
     Saranno trapassati molti giorni:
     Tu sarai a Montalban prima alle porte
     Co’ tuoi stendardi, e’ tuoi baroni adorni;
     Ed oltre a questo, Orlando or non è in corte,
     Nè Ricciardetto, Ulivieri o Rinaldo;
     Però battiamo il ferro mentre è caldo.5

[p. 354 modifica]

24 Quando Rinaldo sarà ritornato,
     Perch’io m’avveggo tu gli porti amore,
     Ciò che promesso gli hai fia osservato,
     E giusto il mio poter farengli onore,
     Tanto che in Persia si sia ritornato:
     Quivi si poserà, sendo signore:
     Direm che nella Mecche tu sia andata,
     E ’n pochi giorni qui sarai tornata.

25 Gano in sul fatto diceva parole,
     Ch’eran tutte de’ colpi del maestro:
     Quando Antea vide che ’l Soldan pur vuole,
     Rispose che parata era a suo destro:
     Fannosi insegne, come far si suole,
     E fornimenti per luogo campestro,
     Padiglioni e trabacche s’apparecchia,
     E tutta l’arme si ritruova vecchia.

26 Non credo che mai tanto martellassi
     In Mongibello il gran fabbro Vulcano,
     Quanto per tutta Babillona fassi:
     E chi portava l’arco soriano,
     Racconcia le saette co’ turcassi;
     Chi la sua scimitarra piglia in mano,
     E vuol veder s’ell’è di tutta pruova;
     Chi briglie e selle, e chi staffe rinuova.

27 In pochi giorni son tutti assettati,
     E diè il Soldan le sue benedizioni
     Alla figliuola, e sono accomiatati,
     E dati tutti al vento i lor pennoni:
     Guardava Antea que’ cavalieri armati,
     E tutti gli vagheggia in sugli arcioni,
     E dice: Io vedrò pur Cristianitade,
     Castella e ville e l’altre sue contrade.

28 Le sue marine, i boschi, i monti e ’l piano,
     E ’l bel castel che guarda Malagigi
     Del mio Rinaldo, detto Montalbano;
     Vedrò la bella chiesa San Dionigi:
     Vedrò il Danese, Astolfo e Carlo Mano,
     Quand’io sarò a combatter poi a Parigi;
     E s’io torrò a Rinaldo il suo castello,
     Potrò ciò ch’io vorrò poi aver da quello.

[p. 355 modifica]

29 Combatterò co’ paladini ancora:
     Rinaldo tornerà, così Orlando,
     E proverrommi con lor forse allora:
     La fama insino al ciel n’andrà volando.
     Così di queste cose s’innamora,
     Mentre che a ciò pensava cavalcando,
     Come colei che sol bramava onore,
     E molto generoso aveva il core.

30 Gan per la via con lei molto parlava,
     Ch’era con essa a fargli compagnia:
     Così faremo, e molto confortava,
     Dicendo spesso: Per la fede mia,
     Del traditor Rinaldo non mi grava;
     E’ non ci va due mesi, che in balía
     Arete tutto il reame di Francia,
     Sanza operare spada molto o lancia.

31 Io ho parenti e amici in ogni lato,
     E non ha Carlo sì fidata terra,
     Ch’io non sappi ordinar qualche trattato,
     Come e’ vedranno appiccata la guerra.
     Diceva Antea: Guata uom bene ostinato!
     Chi dice traditor, certo non erra;
     Che se di questo il mio giudicio è saldo,
     Non vidi alla mia vita un tal ribaldo.

32 Così costor ne vanno a Montalbano.
     Or ritorniamo un poco al suo signore:
     Rinaldo e ’l mamalucco del Soldano
     Vanno a quel Veglio crudo e peccatore.
     Dicea Rinaldo allo scudier pagano:
     Monta in su quest’alfana per mio amore,
     Chè insin che ’l mio caval non troverroe,
     Altro destrier giammai cavalcheroe.

33 Non voleva il Pagan per reverenza,
     Ma poi per reverenza anco l’accetta:
     Vanno parlando della gran potenza
     Di quell’aspra persona e maladetta.
     Diceva il mamalucco: Abbi avvertenza,
     Che la sua branca addosso non ti metta.
     Rinaldo rispondea: Tu riderai,
     Chè maggior bestia son di lui assai.

[p. 356 modifica]

34 Poi che furono entrati in un gran bosco,
     In mezzo a quel trovorno un gran burrone
     Diserto, oscuro, e tenebroso, e fosco:
     Disse il Pagan: Qui sta quel can ghiottone
     In quel palagio che vedi; io il cognosco
     Insin di qua, ch’io ’l veggo a un balcone.
     E mostrò quello a Rinaldo, che stava
     Alla finestra, e pel bosco guardava.

35 Come e’ vide apparir Rinaldo, forte
     Gridò da quel balcon: Che gente è questa?
     Ch’andate voi cercando qua la morte?
     Venne alla porta con molta tempesta.
     Disse Rinaldo: A te sanza altre scorte
     Venuti siam per l’oscura foresta,
     E vengo a dare a te quel che ha’ tu detto,
     Per onta e disonor di Macometto.

36 So che tu se’ del gran Soldan nimico,
     E son venuto qui per vendicallo
     Di ciò che fatto gli hai pel tempo antico,
     Chè contro a lui commesso hai più d’un fallo.
     Rispose il Veglio: Io fui sempre suo amico
     Per ogni tempo, e tutto il mondo sallo;
     E perchè cavalier mi par da bene,
     Vo’ che tu intenda onde tal cosa viene.

37 Questo Soldan, già sendo addormentato,
     Una mattina in vision vedea,
     Che sendo sopra il suo cavallo armato,
     Una montagna addosso gli cadea;
     Ed ha per questo sogno interpetrato,
     Ch’io sia quel desso, e già ci mandò Antea
     A combatter con meco, e finalmente
     Della battaglia si partì perdente.

38 Questo sospetto fa che mi persegua,
     E cerchi quanto e’ può tormi la vita,
     Sanza voler con meco accordo o triegua:
     Ma se questa sentenzia è stabilita
     In ciel, se innanzi a me non si dilegua,
     Convien che finalmente sia esaudita;
     Or se tu se’ venuto qua a sfidarmi,
     Aspetta tanto ch’io prenda mie armi.

[p. 357 modifica]

39 Disse Rinaldo: In ogni modo voglio,
     Che tu ti vesta tutta tua armadura,
     Chè altrimenti combatter non soglio:
     Vedren come al mio brando sarà dura;
     E forse ti farò giù por l’orgoglio,
     E più il Soldan non istarà in paura:
     Armossi il Veglio allor di tutta botta
     Di pelle di serpente dura e cotta.

40 E tolse per ispada un mazzafrusto,6
     Con tre palle di piombo incatenate,
     Ferrato, nocchieruto, grave e giusto,
     E ritornò a Rinaldo immediate;
     E disse: Io ti farò mutar di gusto,
     Come tu assaggi di queste picchiate;
     Chè, s’io t’accocco una palla di piombo,
     Di Babillona s’udirà il rimbombo.

41 Ma vo’ che tu mi dica, se ti piace,
     Il nome tuo e se tu se’ Pagano,
     Poi che tu parli sì superbo e audace,
     E vuoi far le vendette del Soldano.
     Disse Rinaldo: Ciò non mi dispiace;
     Io sono il gran signor di Montalbano,
     E per amor d’Antea vengo a ammazzarti,
     Chè lo farò, pria che da te mi parti.

42 E so che per la gola, Veglio, menti,
     Ch’alla battaglia vincessi colei;
     Non sette come te co’ tuoi parenti:
     Oltre, io ti sfido per amor di lei;
     Ed hogli fatti mille sacramenti,
     Che sanza il capo tuo non tornerei;
     E nel partir mi donò questa stella
     D’una sua vesta ch’avea molto bella:

43 Ed io gli donerò, per cambio a questo,
     Il capo tuo, malvagio traditore.
     Turbossi il Veglio nella fronte presto,
     Quand’e’ sentì chi era quel signore,
     E se fussi il partirsi stato onesto,
     Si dipartía, sì gli tremava il core;
     Ma per vergogna il mazzafrusto alzoe,
     E con Rinaldo la zuffa appiccoe.

[p. 358 modifica]

44 Rinaldo aveva gli occhi a quelle palle,
     Ch’un tratto che l’avessin fatto colta,
     Gli facevon le gote altro che gialle;
     Pur s’appiccorno alcuna qualche volta,
     Chè non potè così netto schifalle,
     Tanto che l’elmo sonava a raccolta:
     Dunque convien ch’ogni suo ingegno adopre,
     E con lo scudo e col brando si cuopre.

45 E come e’ vede la mazza caduta,
     Il me’ che può colla spada il punzecchia,
     Quando alle gambe, quando alla barbuta;
     Con l’altro braccio lo scudo apparecchia,
     Per riparare; e ’n tal modo s’aiuta,
     Chè lo schermire era l’arte sua vecchia;
     Ma ogni volta riparar non puossi,
     E spesso coll’un piede inginocchiossi.

46 Quand’ebbon combattuto un’ora o piue,
     Rinaldo un tratto Frusberta su alza,
     Per mostrare a quel colpo sua virtue;
     Un cappellaccio ch’egli avea giù balza,
     Per la percossa, che sì aspra fue,
     Che ’l crudel Veglio la terra rincalza:
     E cadde come il tordo sbalordito,
     Tanto ch’un pezzo stette tramortito.

47 E risentito disse: Cavaliere,
     Io mi t’arrendo, e dommi tuo prigione,
     Che mi potevi uccidere a giacere:
     Da ora innanzi, famoso barone,
     Di mia persona fanne il tuo volere.
     Disse Rinaldo: Per mio compagnone
     T’accetto, e tua persona franca e degna
     Con meco in compagnia vo’ che ne vegna.

48 Rispose il Veglio: Io son molto contento
     Seguitar cavalier tanto giocondo,
     E vo’ che tuo sia sempre a tuo talento
     Questo palagio, e ciò ch’i’ ho nel mondo,
     E s’altro c’è che ti sia in piacimento.
     Rinaldo disse: A questo sol rispondo,
     Che tu ci dessi da far colezione,
     Ch’ognun ci piglierebbe oggi al boccone.

[p. 359 modifica]

49 Noi abbiam per un deserto camminato,
     Dove pan non si truova nè farina,
     E so che ’l mio compagno anco è affamato,
     Ch’era a caval, pensa chi a piè cammina:
     Abbiam sanza vigilia digiunato,
     Chè ci partimmo per tempo ier mattina.
     Il Veglio apparecchiar facea vivande,
     E fece lor onor subito, e grande:

50 E stanno così insieme a riposarsi.
     Or ritorniamo ov’io lasciai Antea,
     Ch’a Montalban cominciava appressarsi;
     Tanto che un giorno alle mura giugnea,
     E con sua gente comincia accamparsi:
     E poi mandò, come Gan gli dicea,
     Un messaggier di subito al castello
     Al buon Guicciardo e l’altro suo fratello.

51 Il messo andò colla ’mbasciata in fretta,
     E disse, come del Soldan la figlia
     Era venuta con molta sua setta;7
     E che non abbin di ciò maraviglia,
     Però che questo è fatto per vendetta
     Del lor fratel contro alla sua famiglia:
     Che mandin giù le chiavi del castello,
     O vengan sopra il campo a salvar quello.

52 Guicciardo a quel messaggio rispondea,
     Che non sa che vendetta o che cagione
     A quest’impresa commossa abbi Antea,
     E che restava pien d’ammirazione.
     E che le chiavi ch’ella gli chiedea
     Gli porterebbe lui sopra l’arcione,
     Per dargliel colla punta della lancia,
     Chè così era il costume di Francia.

53 Tornò il messaggio, e fece la ’mbasciata,
     Della qual cosa Antea seco sorrise:
     Guicciardo con Alardo e sua brigata
     L’altra mattina ognun l’arme si mise,
     E tutta fu la terra rafforzata,
     E con le sbarre le strade ricise;
     E vennono in sul campo armati in sella,
     Dove aspettava la gentil donzella.

[p. 360 modifica]

54 La qual, come costor vide venire,
     Fecesi incontro benigna e modesta,
     E dicea seco: E’ non posson disdire,
     Che non sian di Rinaldo e di sua gesta,
     Tanto sopra il caval mostran d’ardire;
     L’aspetto e ’l modo lor lo manifesta:
     E di Rinaldo suo pur si risente,
     E salutògli graziosamente.

55 E disse: Tu, che innanzi agli altri guardo
     Sanza che ’l nome tuo più oltre dica,
     Se’ quel gentil baron detto Guicciardo,
     Dove ogni gentilezza si nutrica;
     Quell’altro cavalier chiamato è Alardo,
     In cui risurge ogni eccellenzia antica:
     Ma dimmi, ove hai tu lasciate le chiavi,
     Che in su la lancia dicesti arrecavi?

56 Guicciardo gli rispose: O damigella,
     Io non so la cagion della tua impresa,
     Ma poi che così è, venuto in sella
     Sono in sul campo per la mia difesa;
     E certo tu mi par donna sì bella,
     Che di combatter con teco mi pesa:
     Se ignun de’ miei t’ha fatto mancamento,
     Per la mia fè ch’io ne son malcontento.

57 Ed arei caro intender qual sia quello
     Che t’abbi fatto ingiuria, ove, o in qual parte,
     Per darti poi le chiavi del castello,
     Chè tu mi par, quand’io ti guato, Marte:
     Nè altro fuor ch’un mio carnal fratello,
     E ’l mio cugin maestro di quest’arte,
     Cioè Orlando e Rinaldo d’Amone,
     Vidi star meglio armato in su l’arcione.

58 Rispose allora a Guicciardo la dama:
     Per gentilezza, e non per nimistate,
     Per acquistar con teco in arme fama,
     Vengo a combatter la vostra cittate.
     Disse Guicciardo: Se questa si chiama,
     Gentil madonna, come voi parlate,
     Forse ch’ell’è gentilezza in Soria,
     Ma in Francia nostra mi par villania.

[p. 361 modifica]

59 Pur se con meco volete provarvi,
     Contento son, ma facciam questo patto,
     Che a Babillona dobbiate tornarvi
     Con tutta vostra gente, s’io v’abbatto;
     Se mi vincete, il castel vo’ donarvi.
     Rispose Antea: Per Macon, ciò sia fatto;
     Piglia del campo, gentil mio Guicciardo,
     Ch’io proverrò come sarai gagliardo.

60 Preso del campo, le lance abbassaro,
     E vengonsi a ferir con gran fierezza;
     E poi che insieme i destrier s’accostaro,
     Il buon Guicciardo la sua lancia spezza,
     E molti tronchi per l’aria n’andaro;
     Ma la fanciulla il colpo poco apprezza,
     E per tal modo Guicciardo ha ferito,
     Che di cadere alfin prese partito.

61 Disse la dama: Tu se’ mio prigione,
     Io vo’ provarmi con quell’altro ancora.
     E mandò via Guicciardo al padiglione,
     E ’nverso Alardo s’accostava allora,
     E disse: Piglia del campo, barone,
     Poi che Guicciardo della sella è fuora.
     Alardo presto allor del campo tolse,
     E l’uno incontro all’altro il destrier volse.

62 Vanno più presto ch’uccello, o saetta
     Di buon balestro o arco diserrata,
     E pensa ognun la lancia in resta metta,
     Quando fu tempo d’averla abbassata:
     E come insieme furono alla stretta,
     Tremò la terra, e parve impaurata,
     Tanto Antea grida, e ’l suo caval conforta,
     Che ’l suo signor come un drago ne porta.

63 Alardo nello scudo appiccò il ferro,
     E fece colla lancia il suo dovuto;
     Ma poco valse il colpo, s’io non erro,
     Che nol passò, benchè sia molto acuto,
     Perchè non era una foglia di cerro:
     E finalmente restava abbattuto,
     Ch’al colpo della donna non s’attenne;
     Tanto ch’a lui come a quell’altro avvenne,

[p. 362 modifica]

64 E funne al padiglion preso menato.
     Quivi allor Ganellon con lei s’accosta:
     Disse la Dama a Gan: C’hai tu pensato
     Far di costor? rispondimi a tua posta.
     Quel traditor, che stava apparecchiato,
     Non ebbe troppo a pensar la risposta,
     E disse: Dama, a voler giucar netto,
     Io gli farei impiccar: questo è in effetto.

65 Rispose la figliuola del Soldano:
     Non dubitate, cavalier, d’Antea;
     Colui, per cui tenete Montalbano,
     Giostrò con meco, e so che mi potea
     Uccider con la lancia ch’avea in mano,
     Ma nol sofferse il ben che mi volea;
     E per suo amor vo’ render guidardone,
     E non sarà contento Ganellone.

66 Io giostrai in Persia col vostro Ulivieri,
     E vinsilo, e così poi Ricciardetto,
     Quantunque io nol facessi volentieri,
     E molto duol ne sento, vi prometto;
     Però ch’io gli ho lasciati prigionieri
     Al padre mio, e stonne con sospetto:
     Rinaldo è ito acquistar pel suo meglio
     Della Montagna quell’antico Veglio.

67 E come questo acquistato sarà,
     Gli renderà i prigioni il padre mio;
     E so che presto ne verranno in qua;
     Della qual cosa i’ ho troppo disio:
     Nè infin che sia tornato, il cor mi sta
     Contento drento al petto, pel mio Dio:
     Or questo traditor can rinnegato
     Si pentirà di quel c’ha consigliato.

68 E fecegli imbottire8 il giubberello
     Da quattro mamalucchi co’ bastoni;
     Nè mai campana suonò sì a martello,
     Quanto e’ sonavan le percussioni:
     Guicciardo ne godea, così il fratello.
     Poi che battuto fu, que’ compagnoni
     Lo rizzon su con ischerno e con beffe,
     Dicendo tutti: Nafferì9 bizeffe.10

[p. 363 modifica]

69 Non intendeva Gan questo linguaggio,
     Se non che la fanciulla gliel chiarì:
     I mamalucchi voglion per vantaggio
     Per ogni bastonata un nasserì
     Da ogni peccator che fanno oltraggio:
     Or vedi, Ganellon, la cosa è qui;
     Il tradimento a molti piace assai,
     Ma il traditore a niun non piacque mai.

70 Così in parte portò la penitenzia
     Il traditor di Gan de’ suoi peccati,
     Chè per occulta e divina sentenzia
     Sono assai volte i nostri error purgati;
     Ma voglionsi portar con pazienzia,
     Non come Giuda andar tra’ disperati:
     Dunque e’ si vede alfin la sua vendetta
     Per qualche via, chi luogo e tempo aspetta.

71 Guicciardo ringraziò quanto più puote
     La damigella di quel ch’avea fatto;
     Ma per dolore il petto si percuote,
     Ch’Ulivier di prigion non era tratto
     E Ricciardetto, e bagnava le gote,
     Temendo che il Soldan non rompa il patto:
     Ma quanto può, dà lor costei conforto,
     Ch’a niun di lor non sarà fatto torto.

72 Allor pregorno Guicciardo e ’l fratello:
     Piacciati, Antea, venire in cortesia
     A star del tuo Rinaldo nel castello,
     Tanto che torni in qua di Pagania;
     Non ti bisogna omai combatter quello,
     Ogni cosa ti diamo in tua balía.
     Della qual cosa fu costei contenta;
     E Ganellon nella prigione stenta.

73 Lasciamo Antea, che stava a suo piacere
     A Montalbano, e ’l suo Rinaldo aspetta;
     E molto onor secondo il lor potere
     Fanno i Cristiani a questa donna eletta.
     Orlando va con molto dispiacere
     Con quella sventurata poveretta,
     Come dicemo, che s’era fuggita
     Da que’ giganti, per campar la vita.

[p. 364 modifica]

74 Ove se’ tu, dicendo, fratel mio?
     Ove lasciato m’hai così meschino?
     Ove vai tu? perchè non son teco io?
     Ove mi guidi, mio buon Vegliantino?
     Ove capiterem? questo sa Dio:
     Ove, o in qual parte fia nostro cammino?
     Ove guido costei per questi boschi?
     Ove troviam qualcun che la conoschi?

75 Io maladico la fortuna ria,
     Io maladico Persia e l’Amostante,
     Io maladico la disgrazia mia,
     Io maladico la gente affricante;
     Io maladico il soldan di Soria,
     Io maladico Antea che volle amante,
     Io maladico Amor che n’è cagione,
     Io maladico il nostro Ganellone.

76 Sentendo la fanciulla lamentare
     Orlando, gran pietà gli venía al core,
     Dicendo: Lasso, non ti disperare,
     Raccomándati a Dio giusto Signore,
     Che non ci voglia così abbandonare.
     Orlando disse: Dama, per mio amore,
     Cavalca innanzi un po’ col mio scudiere,
     Ch’io vo’ soletto alquanto rimanere.

77 Terigi e la fanciulla s’avvioe;
     Orlando allor di Vegliantino scese,
     E in terra nella via s’inginocchioe,
     Le braccia al cielo umilmente distese,
     E ’l suo Gesù, come solea, adoroe,
     E la sua Madre, che in qualche paese
     Lo conducessi fuor di quel burrone;
     E in questo modo fu la sua orazione.

78 O sommo Padre giusto onnipotente,
     O Vergine, in cui sol sempre sperai,
     O Redentor della cristiana gente;
     Io non mi leverò di terra mai,
     Se prima non m’allumini la mente,
     Là dove il mio cugin condotto l’hai,
     O s’egli è vivo o morto o incarcerato,
     O sano o infermo, o dove e’ sia arrivato.

[p. 365 modifica]

79 Io te ne priego per quella virtute,
     Che tu donasti all’Angel Gabriello,
     Venendo annunziar nostra salute,
     Che tu mi guidi dove è il mio fratello;
     E perch’io vo per vie non conosciute,
     Come a Tobbia mi manda Raffaello,
     Che m’accompagni insin che me lo ’nsegni,
     S’e’ prieghi miei di grazia in te son degni.

80 Per l’amor che portasti al nostro Adamo,
     Pel sacrificio che Abram già ti fe;
     Per ogni profezia che noi leggiamo,
     Pel tuo Davidde e pel tuo Moisè;
     Per quella croce onde salvati siamo;
     Pel tuo Jacobbe antico, e per Noè;
     Pel lamento che fece Geremia;
     Per Giovacchin, Joseffo, e Zaccheria;

81 Pe’ miracoli già che tu facesti,
     Concedi tanta grazia a’ tuoi fedeli,
     Che dove è il mio cugin mi manifesti;
     Io te ne priego pe’ santi Vangeli.
     In questo par ch’una voce si desti
     Molto soave, che parea da’ cieli,
     Dicendo: Al tuo camin va ritto e saldo,
     Chè sano e salvo troverrai Rinaldo.

82 E troverrai il caval ch’egli ha smarrito,
     E ch’egli arà acquistato un gran gigante.
     Poi fu subito un lampo disparito,
     Che prima agli occhi gli apparve davante.
     Orlando sopra il caval fu salito,
     E ringraziava le potenzie sante;
     E la fanciulla e Terigi trovava,
     Che poco a lui dinanzi cavalcava.

83 Usciron della selva, e capitorno
     A una gran città, che il re Falcone
     Signoreggiava, ed all’oste smontorno,
     Ch’apparecchiava certa colezione;
     E due donzelli in questo vi passorno;
     Quella fanciulla a sua consolazione
     All’uscio corse, per voler vedegli,
     E l’un di lor la prese pe’ capegli.

[p. 366 modifica]

84 Era del re Falcon costui nipote,
     E Calandro per nome si diceva;
     Le chiome sparse e le pulite gote
     Vide, e con seco menar la voleva;
     La fanciulla gridava quanto puote:
     Terigi presto alle grida correva,
     Ed accostossi per torla al Pagano,
     Ma fugli dato un colpo assai villano;

85 Tanto che cadde sbalordito in terra.
     Orlando intanto e l’oste era là corso,
     E Durlindana con grand’ira afferra,
     Che mai non furiò sì tigre o orso:
     Un manrovescio a Calandro diserra,
     Che lo tagliò nel mezzo come un torso,
     E Macometto nel cader giù chiama;
     Così per forza lasciò andar la dama.

86 Eran con lui parecchi schiere armate:
     Corrono addosso subito ad Orlando;
     Ma poi ch’assaggion delle sue derrate,
     Ognuno a drieto si viene allargando.
     Fur le novelle al re Falcon portate:
     Vennene all’oste, e venía domandando:
     Che cosa è questa? chi Calandro ha morto?
     Fugli risposto: E’ non gli è fatto torto.

87 Orlando al re parlò discretamente:
     Sappi ch’io l’uccisi io, santa corona;
     Una fanciulla di nobile gente,
     Ch’io ho con meco onesta e cara e buona,
     Volea con seco menar quel dolente,
     E fargli villania di sua persona,
     E strascinava quella a suo dispetto:
     Or tu se’ savio, il caso in te rimetto.

88 So che sicura vuoi che sia la strada,
     E non si sforzi ignun per nessun modo,
     Ma che sicuro dì e notte vada.
     Rispose il re Falcon: Troppo ne godo;
     Rimetti, cavalier, drento la spada,
     Di quel c’hai fatto io ti ringrazio e lodo:
     Giustizia sempre amai sopra ogni cosa,
     Questa è nipote mia, figliuola, e sposa.

[p. 367 modifica]

89 Vo’ che tu venga nella mia città,
     Per ristorarti ancor di quest’oltraggio.
     Guarda se questo era uom pien di bontà,
     Guarda s’egli era un re discreto e saggio!
     Rispose Orlando: Ognun di noi verrà,
     Ma perchè cavalier siam di passaggio,
     Un’altra gentilezza ancor farai,
     Che l’oste in cortesia ci accorderai.

90 Rispose il re Falcon: Ben volentieri;
     E subito chiamò lo spenditore,
     E fece contentar del suo l’ostieri:
     Poi rimontò ciascun sul corridore,
     Orlando, la fanciulla, e lo scudieri.
     Il re Falcone a tutti fece onore:
     E mentre che ’l convito era più bello,
     Subito venne un messaggiero a quello.

91 Era un Pagan, che pare un corbacchione,
     Molto villan, superbo, strano e nero,
     Coperto d’una pelle di dragone;
     E giunto, con un modo crudo e fiero,
     Diceva al re: Distruggati Macone,
     E Giuppiter, che regge il grande impero:
     Tu dèi saper che ’l tempo è pur venuto
     Ch’al mio signor tu mandi il suo tributo.

92 Turbossi tutto il re Falcone, e disse:
     O mia figliuola, lasso! sventurata,
     Quanto era meglio assai che tu morisse,
     Anzi ch’al mondo mai non fussi nata!
     Orlando lo pregò, che gli chiarisse
     Quel che importar volea quella imbasciata.
     Rispose il re Falcon: Tu lo saprai,
     E meco insieme so che piangerai.

93 Un’isola è nel mar là della rena:
     Otto giganti son tutti fratelli,
     Ognun molta arroganza e rabbia mena,
     Come ha fatto costui ch’è un di quelli:
     Hannoci dato per eterna pena,
     Ch’ogni anno di noi tristi e meschinelli
     Una fanciulla lor tributo sia:
     Tocca quest’anno alla figliuola mia.

[p. 368 modifica]

94 E non potè più oltre dir parola:
     Colui pur la ’mbasciata sua replíca:
     Il re Falcone abbraccia la figliuola.
     Orlando disse: Vuoi tu ch’io gli dica
     Quel che mi par per la mia parte sola?
     Chè di tener le lacrime ho fatica,
     Tanto m’incresce di lei e di voi!
     Onde e’ rispose: Dì ciò che tu vuoi.

95 Orlando disse al superbo gigante:
     Non so quel che ’l signor tuo si domanda,
     Ma tu mi pari uom crudele, arrogante:
     La tua imbasciata minaccia e comanda,
     Che basterebbe al Soldan del Levante:
     Dimmi il tuo nome, e di quel che ti manda;
     Poi ti dirò quel che sarà dovuto,
     Come tu abbi a acquistare il tributo.

96 Disse il Pagan: Se pur saper t’aggrada
     Il nome mio, chiamato son Dombruno,
     E Salicorno il sir della contrada.
     Rispose Orlando: Lecito a ciascuno
     È ciò che si guadagna con la spada;
     Questo confessi tu? Dond’io sono uno,
     Che vo’ questa fanciulla guadagnarmi
     Con teco, con la spada o con altr’armi.

97 Disse Dombrun: Per Dio, contento sono;
     Andiam, chè noi farem bella la piazza,
     E se tu vinci, va ch’io tel perdono.
     Orlando aveva indosso la corazza,
     E disse al re Falcone: E’ sarà buono
     Ch’io ti gastighi così fatta razza.
     Levossi ritto e missesi l’elmetto,
     E disse: Andiam, Pagan, dove tu hai detto.

98 Corsono in piazza ognun subitamente,
     E tutto fu conturbato il convito;
     Salì Dombrun sopra un suo gran corrente,
     Orlando è sopra Vegliantin salito:
     Or qui si ragunò di molta gente,
     E la donzella col viso pulito
     Era a vedere la sua redenzione,
     E per Orlando faceva orazione.

[p. 369 modifica]

99 Pure orazion s’intende alla moresca:
     Pregava Macon suo che l’aiutasse,
     E che di sua virginità gl’incresca,
     Che ’l fer gigante non la violasse
     Nella sua pura età fiorita e fresca.
     In questo i due baron le lance basse
     Avieno, e tutta la piazza tremava,
     Però che Vegliantin folgor menava.

100 Il popol maraviglia avea di quello:
     Orlando truova Dombruno alla peccia;11
     Ma pur lo scudo reggeva al martello:
     Ruppe la lancia che parve di feccia,
     E tutto si scontorse il Pagan fello,
     E la sua aste appiccava alla treccia:
     Ma per quel colpo ne fe tronchi e pezzi;
     Dunque lo scudo a Orlando fe vezzi.

101 Prese Dombruno una sua scimitarra,
     La qual già disse alcun ch’era incantata,
     Benchè ’l nostro autor questo non narra;
     Credo più tosto forte temperata;
     E par che inverso il ciel bestemmi e garra;
     Dette a Orlando una gran tentennata,
     Gridando: Se tu puoi, da questa guarti.
     E dello scudo gli fece due parti,

102 Perchè con esso si volle coprire:
     Orlando dell’un pezzo ch’avea in mano
     Dette a Dombrun, tal che gliel fe sentire;
     Perchè nel ceffo giugneva al Pagano,
     E fecegli tre denti fuori uscire,
     E tramortito rovinò in sul piano;
     Onde ciascun maravigliato fue,
     Che così presto il torrion va giue.

103 Dicendo: E’ basterebbe al conte Orlando;
     Quel colpo arebbe atterrato una rôcca!
     Il Saracin pur venne respirando,
     E ritto si mettea la mano in bocca
     E le sue zanne non venía trovando,
     E ’l sangue giù pel petto gli trabocca;
     Donde si e’ duol sanza comparazione,
     E sol si studia bestemmiar Macone.

[p. 370 modifica]

104 Poi disse al conte Orlando: Assai mi duole
     De’ denti e dell’onor ch’i’ ho perduto;
     Pur sempre la sua fè servar si vuole:
     Comanda ciò che vuoi, ch’egli è dovuto.
     Rispose Orlando: E’ basta due parole;
     Ch’al re Falcon mai più chiegga il tributo;
     Ed ogni volta che tu mangerai,
     Della promessa ti ricorderai.

105 E vo’ che tu ti facci medicare,
     Prima che tu ritorni a Salincorno,
     E statti qualche dì qui a riposare.
     Così Dombrun si posava alcun giorno:
     Alcuna volta che volea mangiare,
     Dicieno i servi che stavan dintorno:
     Che farebb’ei co’ denti che gli manca?
     Di Gramolazzo mangierebbe l’anca.

106 Poi nel partir lasciò la fede pegno,
     Ch’al re Falcon mai più, come soleva,
     Darebbe oppression; ch’aveva il segno,
     Come coll’arme perduto lui aveva
     Il gran tributo, e tornossi al suo regno.
     Il re Falcon contento rimaneva,
     E ringraziar non si saziava Orlando,
     Dicendo ch’ogni cosa è al suo comando.

107 Giunto Dombrun dove la rena aggira
     Al vento, e come il mar tempesta mena,
     Raccontò tutto, e molto ne sospira,
     A Salincorno, che n’ebbe gran pena;
     E fatto è scilinguato, e con molt’ira
     Diceva: A desinar sempre ed a cena
     Ricorderommi di quel c’ho perduto;
     Andrai tu, Salincorno, pel tributo.

108 Rispose Salicorno: Io v’andrò certo,
     A dispetto del cielo e di Macone;
     Chi è quel cavalier che t’ha diserto?
     Non debbe esser di corte di Falcone.
     Disse Dombruno: E’ non va pel deserto
     Di Barberia sì possente lione,
     Nè leofanti, o per Libia serpenti,
     Che non traessi a lor come a me i denti.

[p. 371 modifica]

109 Non so ben chi si sia quel cavaliere,
     Ma so ch’e’ sare’ ben buono erbolaio,12
     Chè sa cavare i denti, al mio parere:
     Questo è il tributo ch’io t’arreco e ’l maio;
     E se tu vuogli andar, ti fo assapere,
     Che ne trarrà a te anco più d’un paio:
     Io gli promissi, se l’osserverai,
     Che mai tributo al re tu chiederai.

110 E per me tanto non vi vo’ venire
     Acciò che traditor non mi chiamassi.
     Pur Salicorno tanto seppe dire,
     Ch’alfin Dombrun dispose che tornassi;
     E cinquecento d’arme fe guernire
     Di ciò che gli parea che bisognassi:
     E ’n pochi dì ne venne al re Falcone
     Come uom bestial sanz’altra discrezione.

111 Sanza osservare o legge o fede o patto,
     Con questa gente intorno s’accampoe;
     E manda un suo messaggio drento ratto:
     Il messo al re dinanzi se n’andoe,
     E disse brievemente appunto il fatto,
     Siccome il suo signor gli comandoe:
     Che mandi presto al campo a sua difesa
     Colui ch’al suo fratel fe tanta offesa.

112 E sta sopra un’alfana, e suona un corno,
     E minacciava il cielo e la natura.
     Orlando come inteso ha Salicorno,
     Fece a Terigi darsi l’armadura;
     E la figliuola del re gli è d’intorno,
     Dicendo: Dio ti dia, baron, ventura,
     E in ogni modo vincitor ti faccia:
     Poi che fortuna ancor più mi minaccia.

113 Diceva Orlando: Non temer, donzella,
     Chè in ogni modo rimarrem vincenti,
     Ch’a Salicorno trarrò la mascella,
     S’al suo fratello ho tratto solo i denti;
     E con Terigi suo montato è in sella;
     Ma la fanciulla, e certi suoi sergenti,
     Volle con lui sino in sul campo andare;
     Chè sanza lui non si fidava stare.

[p. 372 modifica]

114 Disse il gigante: Se’ tu quel Pagano,
     Ch’al mio Dombruno hai fatto villania?
     È questa la tua femmina, ruffiano?
     Rispose Orlando: Per la testa mia,
     Che gentilezza è teco esser villano:13
     Così di te, come dell’altro fia;
     Quel ch’io gli ho fatto mi pare una zacchera,14
     Tanto è che preso non fia più a mazzacchera.15

115 Questa fanciulla ha cento servi e ’l padre,
     Che te per servo non vorrebbon, credi;
     E le sue membra, che son sì leggiadre,
     Volevi pel tributo ch’ancor chiedi;
     E se’ venuto qua con queste squadre,
     E di’ ch’io son ruffian: néttati i piedi;
     Chè per voler bagasce e concubine,
     Arà il peccato tuo sue discipline.

116 Disse il gigante: E’ non son sempre eguali,
     Come tu sai, le forze di ciascuno,
     I denti miei saranno di cinghiali,
     Non ti parranno forse di Dombruno:
     Otto giganti siam fratei carnali;
     Signor là della valle di Malpruno
     Cinque ne sono, e noi tre siamo insieme,
     Dove la rena come il gran mar freme.

117 Rispose Orlando: I cinque pel bollire
     Sono scemati, e questo abbi per certo.
     Con questa spada un ne feci morire,
     E l’altro un mio cugin ch’è molto sperto:
     Una fanciulla usoron già rapire
     Al re Gostanzo, e stavan nel deserto,
     Quale ho con meco, molto ornata e bella,
     E voglio al padre suo rimenar quella.

118 E s’io ritorno mai per quel paese,
     Ch’io truovi ancor que’ tre nella foresta,
     Io non sarò, com’io fu’ già cortese,
     Ch’a tutti a tre dipartirò la testa.
     Or Salicorno tanta ira l’accese,
     Che cominciava a menar gran tempesta,
     Quando e’ sentì ricordar tanti torti,
     E come due de’ suoi fratei son morti.

[p. 373 modifica]

119 Traditor, rinnegato, micidiale,
     Piglia del campo, con un grido disse.
     Orlando a Vegliantin fe metter l’ale;
     Poi si voltava, e l’aste in basso misse,
     Ch’era un abete saldo e naturale,
     Qual tolse alla città, prima partisse;
     E giunse colla lancia dura e grave
     Nel petto a quel, che gli parve una trave.

120 E disse allor: Che diavol fia, Macone!
     Questo mi pare un albero di fusta. 16
     La lancia resse alla percussione,
     Perch’era dura e grossa e molto giusta;
     Ma regger non potè quel compagnone,
     Nè la sua alfana, benchè sia robusta:
     Dunque fu il colpo di tanta bontade,
     Che Salicorno e l’alfana giù cade.

121 La figliuola del re, che vide questo,
     Fra sè disse: Un miracolo ho veduto.
     E ’l gran gigante feroce e rubesto
     Disse a Orlando: Tu non m’hai abbattuto:
     (E saltò della sella in terra presto)
     Vedi che staffa non ebbi perduto;
     È stato sol difetto dell’alfana,
     E la tua lancia fu molto villana.

122 Rispose Orlando: Stu non se’ ben chiaro,
     Io ti potrei col brando chiarir tosto;
     A ogni cosa troverrem riparo.
     Disse il Pagan: Per Dio, s’io mi t’accosto,
     Io ti farò costar quel colpo caro.
     Diceva Orlando: E pagherai tu il costo.
     E Durlindana sua fuori ha tirata,
     E Salicorno ha la mazza ferrata.

123 Qui si comincia a sentir vespro e nona,
     Qui le dolenti note cominciorno,
     Qui innanzi mattutin già terza suona,
     Qui non si posan le mosche d’intorno;
     Qui sanza balenar l’aria rintruona,
     Qui purga i suoi peccati Salicorno:
     Qui si vedrà chi saprà di schermaglia,
     Qui mostra Durlindana s’ella taglia.

[p. 374 modifica]

124 Il Saracin talvolta alza la mazza,
     E dice: Aspetta, ch’io ti forbo il nifo;17
     Il paladin rispondea: Bestia pazza,
     Che dirai tu se col brando lo schifo?
     E ritrovava a costui la corazza,
     Tanto che spesso scontorceva il grifo;
     Ma non poteva colpirlo all’elmetto,
     Però che allato gli pare un fiaschetto.

125 E Salicorno per la sua grandezza
     Alcuna volta la mazza fallava:
     Un tratto mena con tanta fierezza,
     Che, giunto a vôto, in terra rovinava.
     Orlando volle mostrar gentilezza:
     Lieva su; disse; e ’l Pagan si levava,
     E disse: Dimmi, cavalier da guerra,
     Per che cagion non mi feristi in terra?

126 Tu debb’esser per certo un uom gentile,
     Di nobil sangue, tu non puoi negarlo;
     Tu non volesti darmi come vile;
     Se lecito, barone, è quel ch’io parlo,
     Dimmi il tuo nome. Orlando come umile
     Rispose: Io son nipote del re Carlo,
     Orlando di Milon figliuol d’Angrante,
     Nimico d’Appollino e Trivigante.

127 Sentendo Salicorno dire Orlando,
     Cominciò il cuore a tremargli e la mano,
     E disse: Onde venuto, o come, o quando,
     Se’, paladino, in questo luogo strano?
     Non vo’ con teco operar mazza o brando,
     Ch’io so che ’l mio poter sarebbe vano:
     Da ora innanzi sia come tu vuoi,
     Chè la battaglia è finita tra noi.

128 Odo che ’l fior se’ di tutti i Cristiani,
     E che tu se’ fatato per antico:
     Io vo’ più tosto trovarmi alle mani
     Col tuo cugin, ch’è molto mio nimico,
     E vendicarmi d’assai casi strani:
     E vo’ che mi prometta come amico,
     Quando col tuo Rinaldo tu sarai,
     Per qualche modo me n’avviserai.

[p. 375 modifica]

129 Ch’io son disposto rompergli la fronte,
     Però che mio nimico è in sempiterno:
     E s’egli è della schiatta di Chiarmonte,
     Ed io del sangue son di Salinferno,
     E non intendo sofferir tante onte:
     Colui che ’l nome suo risuona eterno,
     Mambrin dell’Ulivante, anco era nato
     Del sangue mio da ciascuno onorato.

130 Disse Orlando: Io non so dove si sia
     Rinaldo ancor, ma s’io lo troverroe,
     Subito un messo a te mandato fia;
     E ’n questo modo andar ti lasceroe,
     Ch’al re Falcon non dia più ricadia,18
     Benchè malvolentier ti liberoe:
     Ma so che tu darai nell’altra rete,
     Se con Rinaldo mio vi proverrete.

131 Il Saracin promesse licenziare
     Del tributo quel re liberamente,
     E fece il campo suo presto levare.
     Orlando al re Falcon subitamente
     Nella città tornava a raccontare,
     Com’egli è salvo e libera sua gente;
     E dopo alquanti dì prese comiato,
     E lasciò quello al tutto sconsolato.

132 E cavalcando va per molte strade,
     Sanza posarsi mai sera o mattina,
     E domandando va per le contrade,
     Dove stia il re della Bellamarina:
     Tanto che giunse un giorno alla cittade,
     E quella damigella peregrina
     Rappresentava al suo doglioso padre,
     Che l’ha gran tempo pianta, e la sua madre.

133 Era vestito a nero la città,
     E ’l re con tutti i suoi con molto affanno,
     Nè sopra i campanil gridando va
     Ne’ suoi paesi più il talacimanno:19
     Per le moschee molti uficj si fa
     Al modo lor, che di costei non sanno,
     Dove perduta sia già stata tanto,
     Sicchè per morta n’avean fatto il pianto.

[p. 376 modifica]

134 La novella n’andò con gran furore
     Al re Gostanzo, come la sua figlia
     Era venuta, onde e’ gli crebbe il core,
     E corse incontro colla sua famiglia;
     E tutta la città trasse al romore,
     Come avvien sempre d’ogni maraviglia:
     Ognun voleva il primo abbracciar questa:
     Pensa se ’l padre suo gli fece festa.

135 Ella gli disse: Questo è il conte Orlando:
     E dove e come e’ l’aveva trovata,
     E da’ giganti tolta, e disse quando
     Ed in che modo l’avevon rubata:
     E tutta la sua vita vien contando,
     E come pel cammin l’abbi onorata
     Orlando sempre, insin che l’ha condotta.
     Il re Gostanzo così disse allotta:

136 Quest’ è colui, che ti scampò da morte?
     Quest’ è colui che t’ha dunque prosciolta?
     Quest’ è colui ch’è tanto ardito e forte?
     Quest’ è colui ch’agli altri fama ha tolta?
     Quest’ è colui ch’allegra or la mia corte?
     Quest’ è colui per cui non se’ sepolta?
     Quest’ è colui ch’uccise il fier gigante?
     Quest’ è colui ch’è ’l gran signor d’Angrante?

137 Non cavalca caval miglior barone,
     Nè miglior cavalier porta elmo in testa;
     Non cinse spada mai simil campione,
     Nè miglior paladin pon lancia in resta;
     Non uom tanto gentil si calza sprone.
     Ed abbracciava Orlando con gran festa,
     E la reina e lui lo ringraziorno,
     E tutto il popol suo che gli è dintorno.

138 Or lasciam questi star così contenti.
     Ritorniamo al soldan di Babillona,
     Che non pareva già che si rammenti
     Di quel ch’a Antea promesse sua corona
     De’ due prigion; ma pensava altrimenti
     Di tor subito a questi la persona,
     Prima che sia Rinaldo a lui tornato
     Dal Veglio, dov’e’ sa che l’ha mandato.

[p. 377 modifica]

139 Mandò pel giustizier quel traditore,
     E scrisse un brieve per la gran letizia
     Al re Gostanzo, per mostrargli amore,
     Che venissi a veder questa giustizia;
     Dicendo: Sappi, famoso signore,
     Ch’io gli ho a punir di più d’una malizia;
     Com’io dirò nell’altro cantar bello.
     Guardivi sempre l’Angiol Raffaello.

Note

  1. [p. 396 modifica]contempre. Contempli.
  2. [p. 396 modifica]scozzonato. Scaltro, accorto. Scozzonare è propriamente domare e ammaestrare i cavalli, o altre bestie da cavalcare. Viene da excocimatus, il quale è formato da cocio, onis, che valeva lo stesso che l’antico arulator; come si cava dalle glosse d’Isidoro: «Arulator cocio». Sesto, intorno la origine di questa voce cocio, dice: «Coctiones dictu ridentur a cunctatione; quod in emendis, vendendisque mercibus, tarde perveniunt ad justi pretii finem.» Da essa venne la voce italiana cozzone, che vale sensale, cioè colui che s’intromette tra il venditore e il compratore per la conclusione d’alcun negozio, specialmente di cavalli; laonde s’adopera anche ad indicare quei che domano, e ammaestrano tali animali.
  3. [p. 396 modifica]mamalucchi. O Mammaluki: nome d’una dinastia che regnò per alcun tempo in Egitto. Erano in principio schiavi dei Turchi, e Circassi che Melicsaleh avea comperati dai Tartari, ed istrutti nel servigio delle armi. In appresso, sdegnati contro il sultano Moadam, ultimo degli Ajoubiti, perchè a loro insaputa aveva conchiuso un trattato con San Luigi re di Francia, suo prigioniero, lo uccisero, e posero in luogo di lui un di loro, che fu il sultano Azedim, o Monz Ibec. Secondo altri questi Mamaluki si sceglievano d’infra gli schiavi cristiani, ed erano ciò che i giannizzeri fra i Turchi. Il uomo loro viene dalla voce mamluc, che significa colui che è sotto il dominio d’un altro. Lo Scaligero tiene che cotal voce sia arabica, ma che propriamente significhi una cosa comprata con danaro.
  4. [p. 396 modifica]gli fu capace. Lo persuase.
  5. [p. 396 modifica]Però battiamo ec. Non ci lasciamo sfuggire la opportunità.
  6. [p. 396 modifica]mazzafrusto. Chiamavasi così una specie di frusta, fatta di cinque o sei cordicelle, o fili d’ottone o di ferro, guerniti in cima di palle di piombo o d’altro, e legata ad un manico di legno o di ferro.
  7. [p. 396 modifica]con molta sua setta. Con molti della sua setta.
  8. [p. 396 modifica]E fecegli imbottire ec. Intendi, lo fece bastonare.
  9. [p. 396 modifica]nafferi. Lo stesso che naffe o gnaffe; modo imprecativo, simile all’ædepol, e al mehercule de’ Latini, e al νὴ τὸν ἡρακλέα de’ Greci. Si usano forse queste cotali voci in luogo di maffe; quasi dicesse per mia fè. Vedi Varchi, Lezione ec.
  10. [p. 396 modifica]bizzeffe. Dicesi comunemente a bizzeffe, e vale in abbondanza, o simili.
  11. [p. 396 modifica]peccia. Pancia.
  12. [p. 396 modifica]erbolaio. Colui che va cercando erbe. Forse qui è preso per Cerretano, che va per le piazze vendendo erbe ed unguenti medicinali, e cavando i denti.
  13. [p. 396 modifica]Che gentilezza ec. Da quel di Dante:

    E cortesia fu lui esser villano.     

    Inf. XXXIII, 150.

  14. [p. 396 modifica]mi pare una zacchera. Mi pare un niente. Il Menagio fa venire la [p. 397 modifica]voce zacchera dalla latina ciccum, che è lo stesso che hilum, che significa, secondo Fasto, il nero della fava, e figuratamente cosa da nulla, di nessun pregio.
  15. [p. 397 modifica]preso... a mazzacchera. Mazzacchera è strumento da pigliare anguille o ranocchi al boccone, laonde pigliare a mazzacchera vale quanto pigliare al boccone.
  16. [p. 397 modifica]fusta. Specie di naviglio da remo, di basso bordo, e da corseggiare.
  17. [p. 397 modifica]nifo. dicono i Fiorentini per grifo, dal greco γρύψ. Si dice anche per ischerzo del viso dell’uomo; ondo niffolo ai chiama quell’atto che si fa col viso, arricciando le labbra o ’l naso, quando si vuol mostrare d’avere a schifo checchessia.
  18. [p. 397 modifica]ricadia. Molestia, travaglio.
  19. [p. 397 modifica]talacimanno. Colui che appresso i Saracini di sulle torri, o mineretti, chiama il popolo al tempio, nelle ore della preghiera.