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canto decimosettimo. 357

39 Disse Rinaldo: In ogni modo voglio,
     Che tu ti vesta tutta tua armadura,
     Chè altrimenti combatter non soglio:
     Vedren come al mio brando sarà dura;
     E forse ti farò giù por l’orgoglio,
     E più il Soldan non istarà in paura:
     Armossi il Veglio allor di tutta botta
     Di pelle di serpente dura e cotta.

40 E tolse per ispada un mazzafrusto6
     Con tre palle di piombo incatenate,
     Ferrato, nocchieruto, grave e giusto,
     E ritornò a Rinaldo immediate;
     E disse: Io ti farò mutar di gusto,
     Come tu assaggi di queste picchiate;
     Chè, s’io t’accocco una palla di piombo,
     Di Babillona s’udirà il rimbombo.

41 Ma vo’ che tu mi dica, se ti piace,
     Il nome tuo e se tu se’ Pagano,
     Poi che tu parli sì superbo e audace,
     E vuoi far le vendette del Soldano.
     Disse Rinaldo: Ciò non mi dispiace;
     Io sono il gran signor di Montalbano,
     E per amor d’Antea vengo a ammazzarti,
     Chè lo farò, pria che da te mi parti.

42 E so che per la gola, Veglio, menti,
     Ch’alla battaglia vincessi colei;
     Non sette come te co’ tuoi parenti:
     Oltre, io ti sfido per amor di lei;
     Ed hogli fatti mille sacramenti,
     Che sanza il capo tuo non tornerei;
     E nel partir mi donò questa stella
     D’una sua vesta ch’avea molto bella:

43 Ed io gli donerò, per cambio a questo,
     Il capo tuo, malvagio traditore.
     Turbossi il Veglio nella fronte presto,
     Quand’e’ sentì chi era quel signore,
     E se fussi il partirsi stato onesto,
     Si dipartia, sì gli tremava il core;
     Ma per vergogna il mazzafrusto alzoe,
     E con Rinaldo la zuffa appiccoe.