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358 il morgante maggiore.

44 Rinaldo aveva gli occhi a quelle palle,
     Ch’un tratto che l’avessin fatto colta,
     Gli facevon le gote altro che gialle;
     Pur s’appiccorno alcuna qualche volta,
     Chè non potè così netto schifalle,
     Tanto che l’elmo sonava a raccolta:
     Dunque convien ch’ogni suo ingegno adopre,
     E con lo scudo e col brando si cuopre.

45 E come e’ vede la mazza caduta,
     Il me’ che può con la spada il punzecchia,
     Quando alle gambe, quando alla barbuta;
     Con l’altro braccio lo scudo apparecchia,
     Per riparare; e ’n tal modo s’aiuta,
     Chè lo schermire era l’arte sua vecchia;
     Ma ogni volta riparar non puossi,
     E spesso coll’un piede inginocchiossi.

46 Quand’ebbon combattuto un’ora o piue,
     Rinaldo un tratto Frusberta su alza
     Per mostrare a quel colpo sua virtue:
     Un cappellaccio ch’egli avea giù balza
     Per la percossa, che sì aspra fue,
     Che ’l crudel Veglio la terra rincalza:
     E cadde come il tordo sbalordito,
     Tanto ch’un pezzo stette tramortito.

47 E risentito disse: O cavaliere,
     Io mi t’arrendo, e dommi tuo prigione,
     Che mi potevi uccidere a giacere:
     Da ora innanzi, famoso barone,
     Di mia persona fanne il tuo volere.
     Disse Rinaldo: Per mio compagnone
     T’accetto, e tua persona franca e degna
     Con meco in compagnia vo’ che ne vegna.

48 Rispose il Veglio: Io son molto contento
     Seguitar cavalier tanto giocondo,
     E vo’ che tuo sia sempre a tuo talento
     Questo palagio, e ciò ch’i’ ho nel mondo,
     E s’altro c’è che ti sia in piacimento.
     Rinaldo disse: A questo sol rispondo,
     Che tu ci dessi da far colezione,
     Ch’ognun ci piglierebbe oggi al boccone.