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canto decimosettimo. 371

109 Non so ben chi si sia quel cavaliere,
     Ma so ch’e’ sare’ ben buono erbolaio,12
     Chè sa cavare e denti, al mio parere:
     Questo è il tributo ch’io t’arreco e ’l maio;
     E se tu vuogli andar, ti fo assapere,
     Che ne trarrà a te anco più d’un paio:
     Io gli promissi, se l’osserverai,
     Che mai tributo al re tu chiederai.

110 E per me tanto non vi vo’ venire,
     Acciò che traditor non mi chiamassi.
     Pur Salicorno tanto seppe dire,
     Ch’alfin Dombrun dispose che tornassi;
     E cinquecento d’arme fe guernire
     Di ciò che gli parea che bisognassi;
     E in pochi dì ne venne al re Falcone
     Come uom bestial sanz’altra discrezione.

111 Sanza osservare o legge o fede o patto,
     Con questa gente intorno s’accampoe;
     E manda un suo messaggio drento ratto:
     Il messo al re dinanzi se n’andoe,
     E disse brievemente appunto il fatto,
     Siccome il suo signor gli comandoe:
     Che mandi presto al campo a sua difesa
     Colui ch’al suo fratel fe tanta offesa.

112 E sta sopra un’alfana, e suona un corno,
     E minacciava il cielo e la natura.
     Orlando come inteso ha Salicorno,
     Fece a Terigi darsi l’armadura;
     E la figliuola del re gli è d’intorno,
     Dicendo: Dio ti dia, baron, ventura,
     E in ogni modo vincitor ti faccia:
     Poi che fortuna ancor più mi minaccia.

113 Diceva Orlando: Non temer, donzella,
     Chè in ogni modo rimarrem vincenti,
     Ch’a Salicorno trarrò la mascella,
     S’al suo fratello ho tratto solo i denti;
     E con Terigi suo montato è in sella;
     Ma la fanciulla, e certi suoi sergenti,
     Volle con lui sino in sul campo andare;
     Chè sanza lui non si fidava stare.