14 Io son venuta perchè il padre mio
Vuol ch’io ti dica quel che intenderai,
Ch’un nostro gran nimico antico e rio,
Se tu l’uccidi, i tuoi prigioni arai,
E ciò che in Persia già ti promissi io:
Non so se ricordar sentito l’hai;
Ma molto suona la sua possa magna,
Il Veglio appellato è della montagna.
15 E statti d’ogni cosa alla mia fede,
Se tu farai, Rinaldo, quel ch’io dico;
Ma dimmi come sia rimaso a piede,
E ch’io non veggo Orlando qui il tuo amico:
Piglia questo caval, che, per mia fede,
Se non l’accetti, sarai mio nimico.
Disse Rinaldo: In un deserto folto
Rimase Orlando, e ’l destrier mi fu tolto.
16 Il me’ ch’io posso mi son qui condotto:
L’amor ch’io porto a Antea me lo fa fare,
E son venuto a piè più che di trotto;
Nè voglio altro caval mai cavalcare,
Insin che ’l mio Baiardo non m’è sotto:
Or, perchè sempre mi puoi comandare,
Colui che di’ di montagna o di bosco,
Fammi assaper, ch’io per me nol cognosco.
17 E s’egli avessi la testa di ferro,
Per lo tuo amor due pezzi ne faroe:
Così ti giuro, e so che mai non erro,
E d’ogni cosa in te mi fideroe
Di ciò che fu ne’ patti, s’io l’atterro.
Rispose Antea: Con teco manderoe
Un de’ miei mammalucchi,3 che là vegni,
E questo can malfusso te lo ’nsegni.
18 Io mi ritorno drento alla città,
Chè tempo non è or da far soggiorno:
A’ tuoi prigion niente mancherà,
Ch’io gli ho sempre onorati notte e giorno;
E libero ciascun di lor sarà,
Rinaldo, in ogni modo al tuo ritorno;
Macon sia teco. E poi voltò il cavallo,
Chè ’n volto più non sofferia guardallo.