104 Poi disse al conte Orlando: Assai mi duole
De’ denti e dell’onor ch’i’ ho perduto;
Pur sempre la sua fè servar si vuole:
Comanda ciò che vuoi, ch’egli è dovuto.
Rispose Orlando: E’ basta due parole:
Ch’al re Falcon mai più chiegga il tributo;
Ed ogni volta che tu mangerai,
Della promessa ti ricorderai.
105 E vo’ che tu ti facci medicare,
Prima che tu ritorni a Salincorno,
E statti qualche dì qui a riposare.
Così Dombrun si posava alcun giorno:
Alcuna volta che volea mangiare,
Dicieno i servi che stavan dintorno:
Che farebb’ei co’ denti che gli manca?
Di Gramolazzo mangierebbe l’anca.
106 Poi nel partir lasciò la fede pegno,
Ch’al re Falcon mai più, come soleva,
Darebbe oppression; ch’aveva il segno,
Come coll’arme perduto lui avea
Il gran tributo, e tornossi al suo regno.
Il re Falcon contento rimaneva,
E ringraziar non si saziava Orlando,
Dicendo ch’ogni cosa è al suo comando.
107 Giunto Dombrun dove la rena aggira
Al vento, e come il mar tempesta mena,
Raccontò tutto, e molto ne sospira,
A Salincorno, che n’ebbe gran pena;
E fatto è scilinguato, e con molt’ira
Diceva: A desinar sempre ed a cena
Ricorderommi di quel c’ho perduto;
Andrai tu, Salincorno, pel tributo.
108 Rispose Salicorno: Io v’andrò certo,
A dispetto del cielo e di Macone;
Chi è quel cavalier che t’ha diserto?
Non debbe esser di corte di Falcone.
Disse Dombruno: E’ non va pel deserto
Di Barberia sì possente lione,
Nè leofanti, o per Libia serpenti,
Che non traessi a lor come a me i denti.