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360 il morgante maggiore.

54 La qual, come costor vide venire,
     Fecesi incontro benigna e modesta,
     E dicea seco: E’ non posson disdire,
     Che non sian di Rinaldo e di sua gesta,
     Tanto sopra il caval mostran d’ardire;
     L’aspetto e ’l modo lor lo manifesta:
     E di Rinaldo suo pur si risente,
     E salutògli graziosamente,

55 E disse: Tu, che innanzi agli altri guardo
     Sanza che ’l nome tuo più oltre dica,
     Se’ quel gentil baron detto Guicciardo
     Dove ogni gentilezza si nutrica;
     Quell’altro cavalier chiamato è Alardo,
     In cui risurge ogni eccellenzia antica:
     Ma dimmi, ove hai tu lasciate le chiavi,
     Che in su la lancia dicesti arrecavi?

56 Guicciardo gli rispose: O damigella,
     Io non so la cagion della tua impresa,
     Ma poi che così è, venuto in sella
     Sono in sul campo per la mia difesa;
     E certo tu mi par donna sì bella
     Che di combatter con teco mi pesa:
     Se ignun de’ miei t’ha fatto mancamento,
     Per la mia fè ch’io ne son malcontento.

57 Ed arei caro intender qual sia quello
     Che t’abbi fatto ingiuria, ove, o in qual parte,
     Per darti poi le chiavi del castello,
     Chè tu mi par, quand’io ti guato, Marte,
     Nè altro fuor ch’un mio carnal fratello,
     E ’l mio cugin maestro di quest’arte,
     Cioè Orlando e Rinaldo d’Amone,
     Vidi star meglio armato in su l’arcione.

58 Rispose allora a Guicciardo la dama:
     Per gentilezza, e non per nimistate,
     Per acquistar con teco in arme fama,
     Vengo a combatter la vostra cittate.
     Disse Guicciardo: Se questa si chiama,
     Gentil madonna, come voi parlate,
     Forse ch’ell’è gentilezza in Soria,
     Ma in Francia nostra mi par villania.