Le Mille ed una Notti/Storia di Abulhassan Alì Ebn Becar e di Schemselnihar, favorita del califfo Aaron-al-Raschid

Storia di Abulhassan Alì Ebn Becar e di Schemselnihar, favorita del califfo Aaron-al-Raschid

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Storia di Abulhassan Alì Ebn Becar e di Schemselnihar, favorita del califfo Aaron-al-Raschid
Storia del sesto fratello del barbiere Lettera di Schemselnihar al principe di Persia Alì Ebn Becar

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STORIA

DI ABULHASSAN ALÌ EBN BECAR E DI SCHEMSELNIHAR, FAVORITA DEL CALIFFO AARON-AL-RASCHID.


«Sotto il regno del califfo Aaron-al-Raschid, viveva a Bagdad un droghiere, per nome Abulhassan Ebn Thaher, uomo ricchissimo, e ben fatto della persona. Aveva più spirito e gentilezza che non suole generalmente possederne la gente della sua professione; e la rettitudine e sincerità sua, l’allegria del suo umore, lo facevano amare e ricercare da tutti. Il califfo, conoscendone il merito, aveva cieca fiducia in lui, e lo stimava tanto, che gli affidò la cura di far le necessarie provviste per le dame sue favorite. Era egli che sceglieva i loro abiti, i mobili ed i gioielli, facendolo con isquisito gusto.

«Le sue buone qualità ed il favore del califfo gli attiravano intorno i figli degli emiri e degli altri ufficiali di prim’ordine, e la sua casa era il convegno di tutta la nobiltà della corte. Ma fra i giovani signori che andavano a trovarlo tutti i giorni, uno se ne trovava da lui stimato sopr’ogni altro, e col quale aveva stretta particolare amicizia. Chiamavasi questo signore Abulhassan Alì Ebn Becar, e traeva origine da una antica famiglia reale di Persia, sussistente ancora a Bagdad, dopo che, per la forza delle loro armi, i Musulmani avevano fatta la conquista di quel regno. Sembrava che la natura si fosse compiaciuta a radunar in quel giovine principe le più rare qualità del corpo e dello spirito; aveva il viso di finita avvenenza, forme snelle, aria disinvolta e fisonomia tanto simpatica che non potevasi vederlo senza subito amarlo; [p. 167 modifica]quando parlava, esprimevasi sempre in termini scelti e forbiti, con un far cortese e disinvolto; fino il suono della voce aveva non so qual grazia che incantava chiunque l’udiva. Inoltre, siccome aveva molto spirito e giudizio, pensava e parlava di tutto con mirabile aggiustatezza; ma con tanta modestia, che nulla diceva se non dopo aver prese tutte le precauzioni possibili onde non dar luogo a sospettare ch’ei preferisse il proprio all’altrui sentimento.

«Fatto come ve lo descrissi, non è da maravigliarsi se Ebn Thaher lo avesse distinto dagli altri giovani signori della corte, la maggior parte dei quali aveva i vizi opposti alle sue virtù. Un giorno che quel principe trovavaso da Ebn Thaher, videro giungere una dama seduta sur una mula nera e bianca, in mezzo a dieci schiave che l’accompagnavano a piedi, tutte bellissime, per quanto giudicar potevasi dal loro portamento, e traverso il velo che ne copriva il volto. Portava la dama una cintura color di rosa larga quattro dita, sulla quale scintillavano perle e diamanti di straordinaria grossezza; e circa alla sua beltà, era facile vedere che superava quella delle sue donne come la luna piena supera il quarto di due soli giorni. Tornava dall’aver fatto qualche provvista; e siccome doveva parlare con Ebn Thaher, entrò nella sua bottega, ch’era pulita e spaziosa, ed ov’egli l’accolse con tutti i segni del più profondo rispetto, pregandola ad accomodarsi, ed accennandole colla mano il posto di onore.

«Intanto il principe di Persia, non volendo lasciar passare sì bella occasione di far valere la sua civiltà e galanteria, accomodava il cuscino di stoffa a fondo d’oro, che doveva servir d’appoggio alla dama; si affrettò quindi a ritirarsi per lasciarla sedere, ed avendola poi salutata baciando ai suoi piedi il tappeto, si rialzò, e rimase ritto davanti a lei, al basso del sofà. [p. 168 modifica]Siccome essa trattava liberamente con Ebn Thaher, si levò il velo, e fece brillare agli occhi del principe di Persia una bellezza sì straordinaria, che ne rimase colpito al cuore. Dal canto suo, la dama non potè trattenersi dal rimirare il principe, la cui vista fece su di lei la medesima impressione. — Signore,» gli disse con aria cortese, «vi prego di sedere.» Il principe di Persia obbedì, e sedette sull’orlo del sofà, cogli occhi sempre fissi in lei, succhiando a lunghi sorsi il dolce veleno dell’amore. Si avvide essa in breve del tumulto del di lui animo, e tale scoperta finì di accenderla per lui. Si alzò quindi, ed avvicinatasi ad Ebn Thaher, dopo avergli detto sottovoce il motivo della sua venuta, gli chiese il nome e la patria del principe di Persia. — Signora,» le rispose Ebn Thaher, «quel giovine signore, onde mi parlate, si chiama Abulhassan Alì Ebn Becar, ed è principe di schiatta reale. —

«Stupì la dama all’udire che la persona, cui già appassionatamente amava, fosse di sì alto lignaggio. — Volete dire; senza dubbio,» ripigliò essa, «che discende dai re di Persia. — Sì, signora,» soggiunse Ebn Thaher; «gli ultimi re di Persia sono suoi antenati. Dopo la conquista di questo regno, i principi della sua casa si sono sempre distinti alla corte dei nostri califfi. — Mi farete un gran piacere,» soggiunse la dama, «di farmi conoscere quel giovin signore. Quando vi manderò questa mia donna,» aggiunse, accennandogli una delle sue schiave, «per avvertirvi di venire da me, vi prego di condurlo con voi. Mi sarà grato ch’egli vegga la magnificenza della mia casa, affinchè possa divulgare che l’avarizia non regna in Bagdad fra le persone di distinzione. Voi ben intendete cosa voglio dire. Non mancate, altrimenti mi adirerò con voi, e non tornerò qui più per tutto la mia vita. —

[p. 169 modifica]«Aveva Ebn Thaher troppa penetrazione per non argomentare da simili parole i sentimenti della dama; laonde: — Mia principessa, mia regina,» le disse, «Dio mi liberi dal darvi mai alcun motivo di collera contro di me.» Ma mi farò sempre una legge di eseguire i vostri ordini.» A tale risposta, prese la dama congedo da Ebn Thaher, facendogli un inchino di testa, e rivolto al principe di Persia uno sguardo grazioso, risalì sulla mula, e partì...»

La sultana Scheherazade tacque qui con gran dispiacere del sultano delle Indie, il quale fu costretto ad alzarsi, vedendo l’aurora. Essa continuò questa storia la notte seguente, e disse a Schahriar:


NOTTE CLXXXVI


— Sire, il principe di Persia, perdutamente, invaghito della dama, l’accompagnò cogli occhi finchè la potè scorgere; ed era già scomparsa da molto tempo, ch’egli ancora guardava dalla parte ov’erasi diretta. Lo avvertì Ebn Thaher di vedere alcune persone che l’osservavano, e cominciavano a ridere nel vederlo in quell’attitudine. — Aimè!» disse il principe; «quella gente e voi stesso avreste compassione di me, se noto vi fosse che la bella dama testè uscita di casa vostra porta seco la parte migliore di me medesimo, e che il resto cerca di non rimanerne diviso! Ditemi, ve ne scongiuro,» soggiunse, «chi è quella leggiadra dama che astringe le persone ad amarla, senza dar loro il tempo di prendere consiglio? — Signore,» rispose Ebn Thaher, «è la famosa Schemselnihar (1), la prima favorita del califfo nostro padrone. — Ed è così chiamata [p. 170 modifica]con giustizia,» interruppe il principe, «essendo più bella del sole in un giorno senza nubi. È vero,» replicò Ebn Thaher; «laonde il Commendatore dei credenti l’ama, o per meglio dire l’adora. Egli mi ha espressamente comandato di somministrarle tutto quello ch’ella potrebbe chiedermi, e prevenire anzi, per quanto mi sarà possibile, ogni suo desiderio. —

«Gli parlava in tal guisa per impedirgli d’impegnarsi in un amore, il quale esser non poteva se non infelice; ma ciò non servì invece che a viepiù infiammarlo. — Ben dubitava; vezzosa Schemselnihar,» sclamò egli, «che non mi sarebbe permesso d’innalzare fino a te i miei pensieri. Sento però, sebbene senza speranza di venire da voi riamato, che non è in mio potere di cessar d’amarvi. Vi amerò dunque, e benedirò la sorte di essere schiavo del più leggiadro oggetto che il sole rischiari. —

«Mentre il principe di Persia consacrava così il suo cuore alla bella Schemselnihar, questa dama, tornando a casa, pensava ai mezzi di vedere il principe ed intertenersi con lui in libertà. Appena fu dunque rientrata nel suo palazzo, mandò ad Ebn Thaher quella delle sue donne che gli aveva mostrata, e ch’era sua confidente; per dirgli di venir da lei senza dilazione, col principe di Persia. Giunse la schiava alla bottega di Ebn Thaher nel mentre ch’egli parlava ancora col principe, e sforzavasi a dissuaderlo colle più forti ragioni dall’amare la favorita del califfo. — Signori,» disse loro colei, vedendoli insieme, «l‘onorevole mia padrona Schemselnihar; la prima favorita del Commendatore de’ credenti, vi prega di venire al suo palazzo, dov’ella vi aspetta.» Ebn Thaher, per dimostrare la propria obbedienza, si alzò subito senza risponder nulla alla schiava, e si accinse a seguirla, ma con certa qual ripugnanza. Il principe, invece, la seguì senza riflettere al pericolo che correva in [p. 171 modifica]siffatta visita, poichè la presenza di Ebn Thaher, che aveva libero l’ingresso in casa della favorita, lo metteva intorno a ciò fuori d’ogni inquietudine. Seguirono dunque la schiava, che li precedeva di pochi passi, ed entrarono dietro di lei nella residenza del califfo, raggiungendola alla porta del palazzo di Schemselnihar, ch’era già aperta. Li introdusse quella in una gran sala, ove li pregò di sedere.

«Si credè il principe di Persia in uno di quei palagi deliziosi promessi nell’altro mondo, non avendo egli fin allora nulla veduto che si avvicinasse alla magnificenza del luogo, in cui si trovava. I tappeti, i cuscini d’appoggio e gli altri addobbi del sofà, colle mobiglie, gli ornamenti e l’architettura, erano di bellezza e ricchezza sorprendenti. Poco dopo ch’egli ed Ebn Thaher furono seduti, una schiava negra servì loro una tavola coperta di parecchi delicatissimi cibi, il cui grato odore faceva giudicare della finezza degl’ingredienti. Mentre mangiavano, la schiava che avevali condotti non li abbandonò mai, e prendeva gran cura di sollecitarli a mangiare que’ manicaretti che sapeva migliori; altre schiave mescettero loro vino eccellente al finire del pasto. Terminarono infine, e fu a ciascuno presentato separatameme un bacile ed un bel vaso d’oro pieno d’acqua per lavarsi le mani, poi si recò loro il profumo d’aloè in un braciere portatile pur d’oro, di cui profumaronsi la barba e gli abiti. Nè fu dimenticata l'acqua d’odore, che trovavasi in un vaso d’oro adorno di diamanti e rubini, fatto espressamente a tal uopo, e fu loro gettata sulle mani, ch’essi ripassarono quindi sulla barba e su tutto il volto, secondo l’uso. Erano appena tornati a sedere al posto, quando la schiava li pregò d’alzarsi e seguirla; ed aperta una porta della sala in cui si trovavano, li introdusse in un vasto salone di maravigliosa architettura. Era una [p. 172 modifica]vôlta della più leggiadra forma, sostenuta da cento colonne di bel marmo bianco come alabastro, colle basi ed i capitelli ornati di quadrupedi e d‘uccelli dorati di vario specie. Il tappeto di quello stupendo salone, composto d’un sol pezzo a tondo d’oro, sparso di mazzetti di rose di seta rossa e bianca, e la vôlta dipinta anch’ella a rabeschi, offrivano alla vista un oggetto de’ più gradevoli. Fra ogni colonna stava un picciolo sofà guarnito alla medesima guisa, con grandi vasi di porcellana, di cristallo, di diaspro, di lustrino, di porfido, d’agata ed altre materie preziose, guernite d’oro e di gemme. Gli spazi fra le colonne erano altrettante grandi finestre, coi davanzali a giusta altezza per appoggiarsi, guarniti al pari del sofà, che guardavano sul più delizioso giardino. Erano i viali di questo selciati di sassolini a vari colori, che rappresentavano il tappeto del salone a volta; di modo che guardando il suolo di dentro e di fuori, sembrava che la vôlta ed il giardino, con tutti i loro abbellimenti, stessero sul medesimo tappeto. Lungo i viali si scorgevano due canali d’acqua limpida come il cristallo, della medesima figura circolare della cupola, uno de’ quali, più alto dell’altro, versava le sue acque in cascata nell’ultimo; e magnifici vasi di bronzo dorato, tutti pieni d’arbusti e di fiori, erano disposti di spazio in ispazio sulle rive di questo. Facevano que’ viali una separazione tra grandi spazi piantati d‘alberi dritti e fronzuti, ove mille canori augelli formavano melodiosi concerti, ricreando la vista coi loro svariati voli, e colle zuffe, ora innocenti ed ora sanguinose, che davansi per aria.»

Il sultano e Dinarzade prestavano attento orecchio alla descrizione del palazzo e del giardino della favorita, quando il giorno comparve. — Buon Dio!» disse questa alla sorella, la quale aveva cessato di parlare, «quanto mi spiace d’essere interrotta nel più bel [p. 173 modifica]passo del racconto! — È tua colpa,» rispose Scheherazade; «dovevi risvegliarmi più presto. — Ti prometto,» soggiunse Dinarzade, «d’essere domani più diligente.»


NOTTE CLXXXVII


Dinarzade non mantenne esattamente la promessa fatta alla sorella di destarla più di buon’ora, e la notte era assai inoltrata, quando Scheherazade, volgendo la parola al sultano suo sposo, ripigliò il corso del racconto, ch’ella continuò le notti seguenti nella solita maniera:

— Sire, il principe di Persia ed Ebn Thaher fermaronsi molto tempo ad esaminare quella grande magnificenza, prorompendo in mille esclamazioni ad ogni cosa che li colpiva, per dimostrare la propria sorpresa ed ammirazione, specialmente il principe di Persia, il quale fin allora non aveva mai veduto nulla di paragonabile. Ebn Thaher, benchè fosse altre volte entrato in quel bel luogo, non cessava di notarvi bellezze che gli sembravano affatto nuove. Insomma, non si stancavano d’ammirare tante singolarità, e n’erano ancora piacevolmente occupati, quando videro una schiera di donne vestite con isfarzo, seduto al di fuori ed a qualche distanza dal bell’edificio, ciascuna sur un sedile di legno di platano delle Indie, adorno di filo d’argento a scompartimenti, con uno strumento di musica in mano, le quali non aspettavano che un solo cenno per cominciar le sinfonie.

«Andarono entrambi a mettersi all’ingresso da cui potevano vederle in faccia, e guardando a destra, videro un ampio cortile, circondato da bellissimi appartamenti, dal quale per vari gradini salivasi al [p. 174 modifica]giardino. La schiava li aveva intanto lasciati, e mentre trovavansi soli, si misero a discorrere per qualche tempo. — Per voi, che siete uomo saggio,» disse il principe di Persia, «non dubito che non riguardino con soddisfazione tutti questi indizi di grandezza e possanza. Io stesso penso non esservi nulla al mondo di più sorprendente; ma quando riflette che questa è la splendida dimora dell’amabilissima Schemselnihar, e che ve la trattiene il primo monarca della terra, vi confesso che mi credo il più sventurato degli uomini. Parmi non vi sia destino più crudele del mio d’amare un oggetto sottoposto al mio rivale, ed in un luogo, in cui codesto rivale è sì potente, ch’io non sono in questo momento neppur sicuro della mia vita. —

«Ebn Thaher, udendo il principe di Persia parlare di tal guisa, rispose: — Volesse Iddio, signore, ch’io potessi darvi assicurazioni tanto certe del felice esito de’ vostri amori, come lo posso per la sicurezza della vostra vita. Benchè questo superbo palazzo appartenga al califfo, che lo fece fabbricare espressamente per Schemselnihar, sotto il nome di Palazzo degli Eterni Piaceri, e faccia parte del suo proprio, nondimeno dovete sapere che questa dama vive qui in assoluta libertà. Non è dessa annoiata da eunuchi che veglino sulle di lei azioni; ha la sua casa particolare, di cui dispone a proprio talento; esce di casa per girare nella città senza domandarne permesso ad alcuno; torna quando le piace; e mai il califfo non viene a vederla se non le ha prima mandate Mesrur, capo de’ suoi eunuchi, per avvisarla a prepararsi a riceverlo. Tranquillatevi dunque, e prestate tutta la vostra attenzione al concerto onde mi avveggo che Schemselnihar vi vuol regalare. —

«Mentre Ebn Thaher finiva queste parole, egli ed il principe di Persia videro venire la schiava [p. 175 modifica]confidente della favorita, la quale impose alle donne sedute davanti a loro di cantare e suonare. Cominciarono allora tutte insieme a toccare gli strumenti, quasi per preludio; e quand’ebbero suonato alcun tempo, una sola si mise a cantare, accompagnando la voce col liuto che trattava a maraviglia. Siccome era stata avvertita del soggetto sul quale doveva cantare, parole trovaronsi tanto conformi ai sentimenti del principe di Persia, che alla fine della strofa non potè trattenersi dall’applaudire. — Sarebbe mai possibile,» sclamò, «che aveste il dono di penetrare nei cuori, e che la cognizione cui avete di quanto accade nel mio vi avesse costretta a darci un saggio della vostra incantevole voce mediante tali parole? Io stesso non mi esprimerei in altri termini.» Non rispose la musicante a quel discorso; ma continuando, cantò parecchie altre strofe, dalle quali rimase il principe sì commosso, che ne ripetè alcune colle lagrime agli occhi, facendo così abbastanza conoscere di applicarsene il senso. Quand’ella ebbe finite tutte le strofe, si alzò colle compagne, e cantarono tutte assieme parole esprimenti: «che la luna piena stava per alzarsi in tutto il suo splendere, e che in breve sarebbe veduta avvicinarsi al sole.» Ciò significava che Schemselnihar stava per comparire, e che il principe di Persia avrebbe presto il piacere di vederla.

«In fatti, guardando dalla parte del cortile, Ebn Thaher ed il principe di Persia osservarono che la schiava confidente si accostava; seguita da dieci negre, le quali portavano con fatica un gran trono d‘argento massiccio, mirabilmente lavorato, ch’essa fece deporre davanti a loro a certa distanza; quindi le schiave negre ritiraronsi dietro gli alberi all’ingresso d’un viale. S’inoltrarono allora in due file venti donne tutte belle e sfarzosamente vestite d’un’acconciatura uniforme, cantando e suonando strumenti [p. 176 modifica]portati da ciascuna, e si disposero vicino al trono da una parte e dall’altra.

«Tutte queste cose tenevano il principe di Persia ed Ebn Thaher occupati in un’attenzione tanto maggiore, in quanto che erano curiosi di sapere come andrebbero a finire. Da ultimo videro comparire dalla medesima porta, d’onde erano venute le dieci negre che avevano portato il trono d’argento, e le venti altre allor entrate, dieci altre donne belle del paro e ben vestite, le quali si fermarono alcuni momenti, aspettando la favorita, la quale, fattasi finalmente vedere, si pose in mezzo ad esse....»

Qui Scheherazade, vedendo l’alba, tacque, e proseguì in tal guisa la notte seguente:


NOTTE CLXXXVIII


— Schemselnihar si pose dunque in mezzo alle dieci donne che l’aspettavano alla porta, ed era facile distinguerla tanto per la statura e l’aria maestosa, quanto da una specie di mantello, di stoffa leggerissima, oro e cilestre, cui portava attaccato alle spalle, sopra al vestito, ch’era il più bello e magnifico che si potesse immaginare. Le perle, i diamanti ed i rubini che servivano d’ornamento non v’erano profusi confusamente; il tutto era in picciol numero, ma scelto con gusto e d’inestimabil valore. S’inoltrò essa con una maestà che mal non rappresentava il sole nel suo corso in mezzo alle nubi che ne ricevono la luce senza celarne lo splendore, e venne a sedere sul trono d’argento per lei apparecchiato.

«Appena il principe di Persia vide Schemselnihar, non ebbe più occhi se non per lei. — Non si domanda più notizia di ciò che si cercava,» diss'egli ad Ebn [p. 177 modifica]Thaher; «tostochè lo si vede, e non si hanno più dubbi appena la verità si manifesta. Vedete voi quell’incantevole beltà? E dessa l’origine de’ miei guai: mali che benedico, e non cesserò di benedire, per quanto rigorosi e di qualunque durata possano essere. A quella vista, non capisco più in me istesso; l’anima mia si turba, si sconvolge, e sento che vuole abbandonarmi. Parti dunque, o anima mia, te lo comando, ma sia pel bene e la conservazione di questo misero corpo. Voi solo, troppo crudele Ebn Thaher, siete l’origine di questo disordine: credeste farmi un piacere qui conducendomi, e comprendo che ci son venuto per finire di perdermi. Perdonate,» proseguì poscia interrompendosi; «io m’inganno; ho voluto venire di mia propria volontà, e di me solo debbo lagnarmi.» Ciò detto, proruppe in lagrime. — Mi piace,» gli disse Ebn Thaher, «che mi rendiate giustizia. Quando vi dissi che Schemselnihar era la prima favorita del califfo, lo feci espressamente onde antivenire questa passione funesta che vi compiacete aumentare in cuore. Tutto ciò che qui vedete, deve guarirvene, e conservar non dovete che sentimenti di gratitudine per l’onore che Schemselnihar ha voluto farvi, ordinandomi di meco condurvi: ridestate dunque la vostra assopita ragione, e mettetevi in istato di comparire a lei davanti, come la convenienza richiede. Eccola che si avvicina: se potessi ricominciare, prenderei misure diverse; ma poichè la cosa è fatta, prego Iddio che non ce ne abbiamo a pentire. Debbo rappresentarvi inoltre,» soggiunse, «che l’amore è un traditore, il quale può gettarvi in un precipizio, d’onde non potrete uscire mai più. —

«Non ebbe Ebn Thaher il tempo di dirne di più, essendo in quel punto giunta Schemselnihar, la quale, collocatasi sul trono, li salutò entrambi inclinando la testa; ma fissati tosto gli occhi sul principe di Persia, [p. 178 modifica]si parlarono l’uno e l’altra un tacito linguaggio, misto di sospiri, col quale in brevi momenti si dissero più cose che dir non avrebbero potuto in molto tempo. Più la giovin dama guardava il principe, e più i suoi sguardi la confermavano nel pensiero che non eragli indifferente; e Schemselnihar, già persuasa della passione del principe, reputavasi la donna più felice del mondo. Distolse finalmente gli occhi da lui per comandare alle prime donne, che avevano cominciato a cantare, di accostarsi. Si alzarono queste, e mentre facevansi avanti, le schiave negre, uscendo dal viale ove si trovavano, portarono i loro sedili, situandoli vicino alla finestra all’ingresso della sala a vôlta, ov’erano Ebn Thaher ed il principe di Persia; di modo che i sedili così disposti, col trono della favorita e le donne che aveva a’ fianchi, formarono un semicerchio intorno ad essi.

«Quando le donne, sedute prima su quei sedili, ebbero ripreso il loro posto col permesso di Schemselnihar, che glielo comandò loro con un cenno, la vezzosa favorita scelse una di esse per cantare, e questa, scorsi alcuni momenti nell’accordare il liuto, cantò una canzone, il cui senso era: Che due innamorati, i quali amavansi perdutamente, avevano l’un per l’altro illimitata tenerezza; che i loro cuori in due diversi corpi ne formavano uno solo, e che quando qualche ostacolo opponevasi a’ loro desiderii, potevano dirsi colle lagrime agli occhi: «Se noi ci amiamo, perchè ci troviamo amabili, è nostra colpa? La colpa è del destino.»

«Lasciò Schemselnihar sì ben trasparire dagli occhi e da’ gesti, essere a lei ed al principe di Persia che applicar si doveano quelle parole, ch’egli non potè contenersi. Si alzò per metà, ed avanzandosi al di sopra della balaustrata che servivagli d’appoggio, costrinse una delle compagne della donna che aveva cantato [p. 179 modifica]a far mente alla sua azione; e siccome colei gli stava vicino: — Ascoltate,» le disse, «e fatemi la grazia di accompagnare col vostro liuto la canzone che intenderete.» Cantò allora un’aria le cui patetiche ed appassionate parole esprimevano al tutto la violenza del proprio amore. Quand’ebbe finito, Schemselnihar, seguendone l’esempio, disse ad una delle sue donne: — Ascoltate me pure, ed accompagnate la mia voce.» Nel tempo stesso cantò in maniera che non fece se non viepiù accendere il cuore del principe di Persia, il quale le rispose con un’altra arietta più appassionata di quella di prima.

«Essendosi così i due amanti, per mezzo delle loro canzoni, dichiarata la reciproca tenerezza, Schemselnihar cedette alla forza della sua. Alzatasi dal trono tutta fuor di sè, si avanzò verso la porta della sala, mentre il principe, il quale ne comprese il pensiero, si alzò tosto anch’egli, e corse precipitosamente alla di lei volta. Incontraronsi sulla porta, ove, porgendosi la mano, si abbracciarono con tal piacere, che svennero, e sarebbero caduti, se le donne che seguito avevano Schemselnihar, non li avessero sorretti, trasportandoli a giacere sur un sofà, ove li fecero rinvenire spruzzandoli d’acqua odorosa, e facendo fiutar loro parecchie sorta di profumi.

«Ripigliati ch’ebbero i sensi, Schemselnihar, per la prima cosa, cominciò a guardare da tutte le parti; e non vedendo Ebn Thaher, chiese con premura ove fosse. Erasi questi tratto in disparte per rispetto, mentre le donne occupavansi a soccorrere la padrona, e temeva fra sè con ragione qualche dispiacevole conseguenza di ciò che aveva veduto. Inteso che Schemselnihar lo domandava, si avanzò, e presentatosi a lei...»

La sultana delle Indie cessò qui di parlare, e la domane proseguì di tal guisa: [p. 180 modifica]

NOTTE CLXXXIX


— Sire, Schemselnihar fu tutta contenta di vedere Ebn Thaher, e gli esternò la sua gioia in questi cortesi termini: — Ebn Thaher, non so in qual modo ricompensare le infinite obbligazioni che vi debbo. Senza il vostro mezzo, non avrei mai conosciuto il principe di Persia, nè amato l’uomo più amabile dell’universo. Siate però persuaso che non morrò ingrata, e che la mia riconoscenza; se fia possibile, pareggerà il benefizio onde vi sono debitrice.» Ebn Thaher rispose a quel complimento con un profondo inchino, ed augurando alla favorita il compimento di tutte le sue brame.

«Schemselnihar si volse allora verso il principe di Persia, che le stava seduto vicino; e guardandolo con qualche confusione, dopo ciò ch’era corso fra loro: — Signore,» gli disse; «io sono ben certa del vostro affetto; e qualunque sia l’ardore col quale mi amate, non dovete dubitare che l’amor mio non sia violento al par del vostro. Ma non lusinghiamoci: per quanta conformità siavi fra i vostri sentimenti ed i miei, non veggo, per voi e per me, che pene; contrarietà e dispiaceri mortali. Non v‘ha altro rimedio a’ nostri guai fuor d’amarci mai sempre, e rimettercene alla volontà del cielo, aspettando ciò che gli piacerà disporre del nostro destino. — Signora,» rispose il principe di Persia, «mi fareste la maggiore ingiustizia, se dubitaste un sol istante della durata dell’amor mio; esso è unito all’anima mia in modo da poter dire che ne fa parte migliore; e che lo conserverò fin dopo la morte. Pene, tormenti, ostacoli, nulla potrà impedirmi d’amarvi.» Terminando tali parole, [p. 181 modifica]versò lagrime in copia, e Schemselnihar non potè trattenere le sue.

«Ebn Thaher colse quel momento per parlare alla favorita. — Signora,» le disse, «permettetemi di rappresentarvi, che in vece di struggervi in lagrime, dovreste compiacervi di stare insieme. Non comprendo nulla a questo vostro dolore. Che sarà dunque mai quando la necessità vi obbligherà a separarvi? Ma che dico, vi obbligherà? E già assai tempo che qui ci troviamo; e v’è noto, o signora, che dobbiamo ormai ritirarci. — Ah! quanto siete crudele!» ripigliò Schemselnihar. «Voi che conoscete l’origine delle mie lagrime, non avrete pietà dell’infelice stato, in cui mi trovo? Trista fatalità! Che cosa mai feci per andar soggetta alla dura legge di non poter godere della persona che unicamente amo? —

«Siccome essa era persuasa che Ebn Thaher le avesse parlato così per sola amicizia, non s’ebbe a male i suoi detti, anzi ne approfittò. In fatti, fece un cenno alla sua confidente, la quale subito uscì, recando poco dopo una colazione di frutta sopra un tavolino d’argento, che collocò fra la padrona ed il principe di Persia. Scelse Schemselnihar il miglior frutto, e presentatolo al principe, lo pregò di mangiarlo per amor suo; egli lo prese, e se lo recò alla bocca dalla parte ch’ella aveva toccata, presentando poi a sua volta qualche cosa a Schemselnihar, la quale la prese egualmente, mangiandola nella stessa guisa. Nè dimenticò essa d’invitare Ebn Thaher a mangiar con loro; ma vedendosi egli in un luogo, ove non si credeva in troppa sicurezza, avrebbe preferito trovarsi in casa propria, e mangiò sol per compiacenza. Tolte le mense, fu portato un bacile d’argento con acqua in un vaso d’oro, e lavatesi le mani insieme, tornarono poi al proprio posto; allora, tre delle dieci donne negre recarono ciascheduna una tazza di [p. 182 modifica]cristallo piena di vino squisito, sopra una sottocoppa d’oro, che deposero davanti a Schemselnihar, al principe di Persia e ad Ebn Thaher.

«Per istarsene in minor soggezione, Schemselnihar ritenne presso di sè soltanto le dieci negre, con dieci altre che sapevano cantare e suonare varii stromenti; e congedate tutte le altre, prese una tazza, e tenendola in mano, cantò alcune tenere parole che una donna accompagnava col liuto. Finita la melodia, bevve, e presa un’altra tazza, la presentò quindi al principe, pregandolo di bere per amor suo, com’ella bevuto aveva per amore di lui. La ricevette egli con grandi trasporti di gioia; ma prima di bere, cantò anch’egli una canzone, che un’altra donna accompagnò collo stromento; e cantando, le lagrime gli sgorgavano in copia dagli occhi; laonde le esternò egli, colle parole che diceva, di non sapere se fosse il vino da lei presentatogli che stava per bere, oppure le proprie lagrime. Schemselnihar presentò in fine la terza tazza ad Ebn Thaher, che la ringraziò della sua bontà e dell’onore che gli faceva.

«Ella poi prese dalle mani d’una delle donne un liuto, e si accompagnò colla voce in maniera sì appassionata, che pareva non potesse più trattenersi; il principe di Persia, intanto, cogli occhi fissi in lei, rimase immobile, quasi colto da incantesimo. In quel mentre, giunse tutta affamata la schiava confidente, e voltasi alla padrona: — Signora,» le disse, «Mesrur e due altri officiali, con parecchi eunuchi che li accompagnano, stanno alla porta, e domandano di parlarvi in nome del califfo.» Quando il principe di Persia ed Ebn Thaber ebbero udite tali parole, cangiarono colore, cominciando a tremare, come se fossero stati sicuri della loro perdita. Ma Schemselnihar, avvedutasene, li rassicurò con un sospiro....»

— Questo racconto m’interessa proprio al vivo,» [p. 183 modifica]disse la buona Dinarzade alla sorella, la quale aveva cessato di parlare, «mi duole che il giorno sia venuto sì presto ad interromperti; e sono impazientissima di sapere se l’imprevisto arrivo del califfo non riescì fatale all’amabile principe di Persia. — Domani lo saprai,» rispose Scheherazade, «se il sultano, nostro signore, prende al par di te piacere al mio racconto, e voglia farmi la grazia di continuare ad ascoltarmi.» Schahriar alzossi senza dir parola per andare alla preghiera e presiedere il consiglio.


NOTTE CXC


Questa notte e le seguenti, Scheherazade, incoraggiata dal silenzio approvatore del sultano delle Indie, proseguì in tal modo la storia degli amori del principe di Persia e della favorita del califfo Aaron-al-Raschid:

— Schemselnihar, dopo avere rassicurato il principe di Persia ed Ebn Thaher, incaricò la schiava sua confidente d’andar ad intertenere Mesrur ed i due altri officiali del califfo, finchè ella fosse in istato di riceverli, e le facesse dire di condurli da lei. Tosto diè ordine di chiudere tutte le finestre della sala, e calare le tele dipinte che stavano dalla parte del giardino; e dopo aver rassicurato il principe ed Ebn Thaher che poteano restarvi senza timore, uscì per la porta che metteva in giardino, e la chiuse. Ma per quante assicurazioni avesse lor dato sulla loro sicurezza, non lasciarono di risentire le più vive inquietudini, per tutto il tempo che rimasero soli.

«Giunta Schemselnihar colle sue donzelle in giardino, fece portar via i sedili che aveano servito alle suonatrici, e quando vide le cose nello stato che [p. 184 modifica]desiderava, sedè sul trono d’argento, e mandò allora ad avvertire la schiava sua confidente di condurle il capo degli eunuchi e di due ufficiali subalterni.

«Comparvero questi seguiti da venti eunuchi negri, tutti ben vestiti, colla sciabola al fianco, ed una cintura d’oro larga quattro dita, ed appena scoprirono da lungi la favorita Schemselnihar, le fecero una profonda riverenza, ch’ella restituì loro dall’alto del trono. Quando furono più inoltrati, essa si alzò, ed andò incontro a Mesrur che procedeva pel primo, domandandogli qual nuova recasse. — Signora,» egli rispose, «il Commendatore de’ credenti, che a voi m’invia, mi ha incaricato di attestarvi che non può vivere più a lungo senza vedervi. Ei pensa di venire a visitarvi questa notte, ed io vengo ad avvertirvene onde vi prepariate a riceverlo. Egli spera, o signora, che voi lo vedrete con altrettanto piacere, quanta è la di lui impazienza di trovarsi con voi. —

«A tal discorso di Mesrur, la favorita Schemselnihar si prosternò per dimostrare la sommissione con cui riceveva l’ordine del califfo, e quindi rialzatasi: — Vi prego,» disse, «di riferire al Commendatore de’ credenti, che mi farò sempre una gloria di eseguire i comandi di sua maestà, e che la sua schiava procurerà di riceverlo con tutto il rispetto che gli è dovuto.» E nel medesimo tempo ordinò alla confidente di far mettere il palazzo in istato di accogliere il califfo, mediante le donne negre incaricate di quell’officio. Poi, congedato il capo degli eunuchi: — Voi vedete,» gli disse, «che occorrerà qualche tempo per apparecchiar tutto. Fate dunque in modo, ve ne supplica, ch’egli abbia un po’ di pazienza, affinchè al suo arrivo non ci trovi nel disordine. —

«Il capo degli eunuchi ed il suo seguito essendosi ritirati, Schemselnihar tornò alla sala, estremamente afflitta della necessità in cui vedevasi di rimandare [p. 185 modifica]il principe di Persia più presto che non si credeva; e giunse a lui colle lagrime agli occhi; cosa che aumentò lo spavento di Ebn Thaher, il quale ne augurò alcun che di sinistro. — Signora,» le disse il principe, «ben veggo che venite ad annunziarmi la necessità di separarci. Purchè non abbia nulla di più funesto a temere, spero che il cielo mi darà la opportuna pazienza onde sopportare la vostra lontananza. — Aimè, cuor mio, anima mia cara,» interruppe la troppo tenera Schemselnihar, «quanto vi trovo felice, e quanto infelice mi conosco, allorchè paragono la vostra sorte col triste mio destino! Soffrirete certo di non vedermi; ma questa sarà tutta la vostra pena, e potrete consolarvene colla speranza di rivedermi. Ma quanto a me; giusto cielo! a qual rigorosa prova son io ridotta? Non solo sarò priva della vista di chi unicamente amo, ma dovrò sostenere quella d’un oggetto, che voi mi rendeste odioso! L’arrivo del califfo non mi rammenterà forse la vostra partenza? E come mai, occupata della cara vostra immagine, potrò dimostrare a quel principe la gioia che traspariva da’ miei occhi ogni qual volta è venuto a vedermi? Avrò distratto lo spirito parlandogli, e le minime compiacenze che avrò pel suo amore, saranno altrettante pugnalate che mi trapasseranno il cuore. Potrò io gustare le sue dolci parole e le sue carezze? Giudicate, o principe, a quali tormenti sarò esposta quando non vi vedrò più.» Le lagrime che versò allora ed i singhiozzi le impedirono di parlar più oltre; il principe di Persia avrebbe voluto rispondere, ma non n’ebbe la forza: il suo proprio dolore e quello che esternava l’amante, avevangli soffocata la parola.

«Ebn Thaher, il quale, dal canto suo, non aspirava se non a vedersi fuor del palazzo, fu costretto a consolarli, esortandoli alla pazienza; ma la schiava venne ad interromperlo, dicendo a Schemselnihar: — [p. 186 modifica]Signora, non c’è tempo da perdere; cominciano ad arrivare gli eunuchi, e sapete che fra poco comparirà il califfo. — Oh cielo, quanto è crudele questa separazione!» sclamò la favorita. «Presto,» disse poi alla confidente, «conduceteli entrambi nella galleria che guarda sul giardino da un lato, e dall’altro sul Tigri, e quando la notte spargerà sulla terra la tenebria sua maggiore, fateli uscire dalla porta, affinchè se ne vadano in sicurezza.» A tali detti, abbracciò teneramente il principe di Persia, senza potergli dire una sola parola, ed andò incontro al calmo nel disordine ch’è facile immaginarsi.

«Frattanto, la schiava confidente condusse il principe ed Ebn Thaher alla galleria indicata da Schemselnihar; e quando li ebbe colà introdotti, ve li lasciò, e ne chiuse, ritirandosi, la porta, dopo averli ripetutamente assicurati che non avevano nulla a temere, e che quando ne fosse tempo, sarebbe venuta a farli uscire.»


NOTTE CXCI


— Sire,» prosegui l’indomani Scheherazade, «essendosi la schiava confidente di Schemselnihar ritirata, il principe di Persia ed Ebn Thaher dimenticarono le di lei assicurazioni ch’essi non avevano nulla a temere; messisi ad esaminare tutta la galleria, furono colti da estremo terrore, quando s’avvidero non esservi una sola uscita onde fuggire nel caso che il califfo od alcuno de’ suoi ufficiali si avvisassero di là inoltrarsi.

«Un grande chiarore che videro d’improvviso traverso le gelosie dalla parte del giardino, li costrinse ad avvicinarsi per vedere d’onde provenisse. Era [p. 187 modifica]cagionato da cento torce di cera bianca, che altrettanti giovani eunuchi negri portavano in mano; erano questi seguiti poi da cento altri di maggior età, tutti della guardia del serraglio del califfo, vestiti ed armati di sciabola come i precedenti; dietro ad essi veniva il califfo, con Mesrur, loro capo, alla destra, e Vassif, secondo loro ufficiale, alla sinistra.

«Schemselnihar aspettava il califfo all’ingresso di un viale, accompagnata da venti donzelle tutte di portentosa bellezza, ed adorne di collane e d’orecchini di grossi diamanti ed altri gioielli, onde avevano coperta la testa. Cantavano esse al suono de’ loro stromenti, formando un gratissimo concerto. La favorita non vide appena comparire il principe, che, avanzatasi, si prosternò a’ di lui piedi; ma facendo tale atto: — Principe di Persia,» disse fra sè, «se i tristi vostri occhi sono testimoni di ciò che faccio, giudicate del rigore della mia sorte. Davanti a voi solo vorrei così umiliarmi; il mio cuore non ne proverebbe ripugnanza alcuna. —

«Somma fu la gioia del califfo al rivedere Schemselnihar. — Alzatevi, signora,» le disse, «ed accostatevi. Mi dolgo meco stesso d’essermi per tanto tempo privato del piacere di vedervi.» E terminando di parlar così, la prese per mano, e senza cessare dal volgerle cortesi detti, andò a sedere sul trono d’argento che Schemselnihar avevagli fatto apprestare. Sedette poi anch’ella sopra una sedia a lui davanti, e le venti donne formarono, sopra altri sedili, cerchio intorno, mentre i giovani eunuchi che portavano le torce, si dispersero nel giardino a certa distanza gli uni dagli altri, affinchè il califfo con maggior agio potesse godere della frescura notturna.

«Seduto che fu il califfo, guardossi attorno, e vide con molta soddisfazione illuminato tutto il giardino d’infiniti fuochi. Ma osservò che la gran sala [p. 188 modifica]era chiusa; e maravigliandosene, ne chiese il motivo. Ma era quella una sorpresa che avevano preparata. In fatti, non ebbe appena aperta bocca, che le finestre spalancaronsi tutte insieme, e la vide illuminata di dentro e di fuori in maniera assai meglio intesa che non l’avesse mai veduta prima. — Vezzosa Schemselnihar,» sclamò Aaron a quello spettacolo, «v’intendo. Avete voluto farmi conoscere che vi sono notti belle quanto i più bei giorni. Dopo quanto veggo, non posso disconvenirne. —

«Torniamo ora al principe di Persia e ad Ebn Thaher, che lasciammo nella galleria. Non sapeva questi ultimo saziarsi dall’ammirare quanto gli si presentava alla vista. — Non son giovane,» diceva egli, «e nella mia vita ho veduto molte feste; ma non credo si possa scorger nulla di più sorprendente, nè che dispieghi maggior grandezza. Tutto quello che ci si racconta dei palazzi incantati, non si accosta certo al prodigioso spettacolo che abbiamo davanti agli occhi. Quanta ricchezza e magnificenza insieme! —

«Non era il principe di Persia abbagliato da tutti quegli oggetti risplendenti, che tanto dilettavano Ebn Thaher. Egli non aveva occhi se non per guardare Schemselnihar; e la presenza del califfo lo immergeva in un’afflizione indicibile. — Caro Ebn Thaher,» diss’egli, «volesse Dio ch’io avessi lo spirito libero sì da poter fermarmi, al par di voi, a ciò solo che dovrebbe destare la mia ammirazione! Ma, oimè! mi trovo in uno stato ben diverso! Tutti questi oggetti a null’altro servono che ad accrescere il mio tormento. Poss’io vedere il califfo solo colla donna che amo, e non morire di disperazione? Perchè un amore tenero come il mio debb’essere frastornato da sì potente rivale? Cielo! quanto bizzarro e crudele è il mio destino! Poco fa mi stimava l’amante più fortunato della terra, ed in questo [p. 189 modifica]momento mi sento trafitto il cuore da un colpo che m’arreca la morte. Non posso resistere, mio caro Ebn Thaher; la mia pazienza è al colmo; il mio male m’annienta, ed il mio coraggio soccombe.» Pronunciando queste ultime parole, vide accadere qualche cosa nel giardino che lo costrinse al silenzio; e a prestarvi la sua attenzione.

«Infatti, il califfo aveva ordinato ad una delle donne che stavangli vicino, di cantare sul suo liuto, ed essa cominciava i preludi. Le parole che pronunciò erano appassionatissime; ed il califfo, persuaso che cantasse per ordine di Schemselnihar, la quale avevagli spesso dato altre simili testimonianze di tenerezza, le spiegò in proprio favore. Ma questa volta, tale non era l’intenzione di Schemselnihar; le applicava essa al suo caro Alì Ebn Becar, e si lasciò penetrare d’un sì vivo dolore al vedersi davanti un oggetto, di cui più non poteva tollerare la presenza, che svenne; e rovesciandosi sul dorso del suo scranno senza bracciuoli, sarebbe caduta, se alcune delle sue donne non l’avessero tosto soccorsa; e presala fra le braccia, la portarono nel salone.

«Ebn Thaher, che stava nella galleria, sorpreso di quel caso, volse la testa verso il principe di Persia, ed invece di vederlo appoggiato alla gelosia per guardare come lui, rimase assai stupito al vederlo disteso a’ suoi piedi fuor de’ sensi. Da questo giudicò della forza dell’amore, ond’era infiammato il principe per Schemselnihar; ed ammirò quello strano effetto di simpatia, il quale gli cagionò un mortale affanno a motivo del luogo, in cui si ritrovavano. Fece dunque il possibile per far rinvenire il principe, ma indarno; stava egli in tale imbarazzo, allorchè la confidente di Schemselnihar venne ad aprire la porta della galleria, entrando tutta affannata, e come persona smarrita di senno. — Venite subito,» gridò, «ch’io vi faccia [p. 190 modifica]uscire: tutto qui è confusione, e temo questo sia l’ultimo de’ nostri giorni. — E come volete che partiamo?» rispose Ebn Thaher, con accento che ben dimostrava il suo cordoglio. «Avvicinatevi, di grazia, e guardate in quale stato si trova il principe di Persia!» Quando la schiava lo vide svenuto, corse a cercar acqua senza perdere il tempo in discorsi, e tornò in tutta fretta.

«Finalmente, il principe di Persia, dopo che gli fu gettata l’acqua in volto, ripigliò i sensi. — Principe,» gli disse allora Ebn Thaher, «corriamo rischio di qui perire voi ed io, se più restiamo; fate dunque uno sforzo, e fuggiamo al più presto.» Era il giovane sì debole, che non potè rialzarsi da sè. Ebn Thaher e la confidente lo aiutarono, e sostenendolo d’ambe le parti, andarono fino ad una porticella di ferro che metteva sul Tigri, d’onde usciti, procedettero fino alla sponda d’un picciolo canale comunicante col fiume. Battè la confidente le mani, e tosto comparve un navicello, che venne alla loro volta con un solo barcaiuolo. Alì Ebn Becar ed il suo compagno allora s’imbarcarono, e la schiava confidente rimase sulla riva del canale. Quando il principe fu seduto nel battello, stese una mano verso il palazzo, e mettendosi l’altra sul cuore: — Caro oggetto dell’anima mia,» sclamò con voce fioca, «ricevi da questa mano la mia fede, mentre ti assicuro con quest’altra che il mio cuore conserverà eternamente il fuoco del quale ardo per te....»

Scheherazade, vedendo qui apparir l’alba, si tacque; la notte seguente proseguì di tal guisa: [p. 191 modifica]

NOTTE CXCII


— Sire, noi abbiamo lasciato il principe di Persia nel battello mentre s’allontanava con dispiacere dal palazzo della favorita.

«Intanto il battelliere vogava con tutte le sue forze, e la schiava confidente di Schemselnihar accompagnò, camminando sulla sponda del canale, il principe di Persia ed Ebn Thaher fino alla corrente del Tigri, ed allora, non potendo andar più oltre, congedatasi da loro, tornò indietro.

«Il principe di Persia stava sempre in una grande prostrazione d’animo, ed Ebn Thaher, consolandolo ed esortandolo a farsi coraggio: — Pensate,» gli diceva, «che quando saremo sbarcati, avremo ancora molta strada da fare per giungere a casa mia, non essendo d’avviso di condurvi, a quest’ora, e nello stato in cui siete, al vostro palagio, che sta molto più lontano: d’altronde potremmo arrischiare d’essere incontrati dalla ronda.» Sbarcarono finalmente; ma il principe aveva sì poca forza, da non poter camminare, ponendo così Ebn Thaher in grave imbarazzo. Allora si ricordò d’avere un amico nelle vicinanze, e trascinò fin là con molto stento il principe. L’amico li ricevette festosamente; e quando li ebbe fatti sedere, chiese loro d’onde venissero sì tardi; Ebn Thaher gli rispose: — Ho saputo stasera che un tale, il quale mi deve una ragguardevole somma di danaro, pensava di partire per un lungo viaggio; non ho dunque perduto tempo, e sono corso a rintracciarlo; strada facendo, incontrai questo giovane signore, che vedete, ed al quale debbo infinite obbligazioni; e siccome conosce anch’egli il mio debitore, [p. 192 modifica]ha voluto farmi la grazia di accompagnarmi. Abbiamo faticato molto a mettere colui alla ragione; ma infine ci siamo riusciti; è questa fu la causa per cui non abbiam potuto uscire di casa sua che molto tardi. Nel ritornare, a pochi passi di qui, questo buon signore; pel quale ho tutta la possibile considerazione, si sentì colto da un repentino male che mi fece prendere la libertà di bussare alla vostra porta; e voglio lusingarmi che vorrete farmi il piacere di darci asilo per questa notte. —

«L'amico di Ebn Thaher si appagò di quella favola, lor disse ch’erano i ben venuti, ed offrì al principe di Persia, cui non conosceva, tutta l’assistenza che poteva desiderare. Ma Ebn Thaher, rispondendo pel principe, disse che il suo male era di tal natura d’aver bisogno sol di quiete; dal qual discorso comprese l’amico che desideravano riposare, per cui li condusse in un appartamento, ove lasciolli in piena libertà di coricarsi.

«Il principe di Persia s’addormentò, ma il sonno gli fu turbato da mille spiacevoli sogni; che gli rappresentavano Schemselnihar svenuta a’ piedi del califfo, aumentando così la sua afflizione. Ebn Thaher, il quale aveva grande impazienza di ritrovarsi alla propria casa, non dubitando che la sua famiglia non fosse immersa in un’inquietudine mortale (poichè non gli era mai accaduto di dormire fuor di casa), si alzò e partì di buon mattino, dopo essersi accommiatato dall’amico, il quale erasi già alzato per fare la preghiera dell’alba. Giunse finalmente a casa; e la prima cosa che fece il principe di Persia, il quale aveva fatto grandi sforzi per camminare, fu di buttarsi sur un sofà, tanto stanco come se avesse fatto un lungo viaggio. Siccome non era in istato di trasferirsi alla propria dimora, Ebn Thaher gli fe’ preparare una camera, ed affinchè, non ne stessero in pena, mandò [p. 193 modifica]ad avvertire i di lui servi dello stato e del luogo in cui si trovava; pregò intanto il principe di Persia a tranquillarsi, a comandare in casa sua, e disporvi d’ogni cosa a proprio talento. — Accetto di buon cuore le cortesi offerte che mi fate,» gli disse il principe; «ma, di grazia, non voglio esservi d’incomodo; vi scongiuro a fare come se io non fossi qui. Non vorrei trattenermi un sol istante, se credessi che la mia presenza potesse arrecarvi il minimo disturbo. —

«Appena Ebn Thaher ebbe un momento per rimettersi, raccontò alla sua famiglia quanto eragli accaduto nel palazzo di Schemselnihar, e finì la narrazione ringraziando Iddio d’averlo liberato da sì grave pericolo. I principali servi del principe di Persia vennero a ricevere i suoi ordini in casa di Ebn Thaher, ed in breve giunsero anche vari suoi amici, già avvertiti della di lui indisposizione. Passarono questi la maggior parte del giorno con lui, e se il loro colloquio non potè scancellare le tristi idee prodotte dal suo male, ne ritrasse almeno il vantaggio, che gli diedero qualche tregua. Sul far della sera voleva egli prender congedo da Ebn Thaher; ma questo amico fedele lo trovò ancora sì debole, che l’obbligò ad aspettare l’indomani; intanto, per contribuire a confortarlo, gli diè alla sera un bel concerto, il quale per altro non servì se non a richiamare alla memoria del principe quello della sera precedente, irritando così i suoi affanni invece di alleviarli, di modo che il giorno seguente ne parve il suo male aumentato. Allora Ebn Thaher più non si oppose al pensiero del principe di ritirarsi in casa propria, e prese anzi egli stesso la cura di farvelo trasportare; lo accompagnò, e quando si vide solo con lui nel suo appartamento, gli mostrò tutte le ragioni che aveva di fare un generoso sforzo, onde vincere una passione, il cui fine non poteva essere felice per lui, [p. 194 modifica]nè per la favorita. — Ah! caro Ebn Thaher,» sclamò il principe, «quanto vi è facile dare questo consiglio, ma quanto è a me difficile il seguirlo! Ne comprendo tutta l’importanza, senza però poterne approfittare. L’ho già detto: porterò meco nella tomba l’amore che m’arde per Schemselnihar.» Vedendo Ebn Thaher di non poter nulla sullo spirito del principe, si accommiatò da lui, e volle andarsene.....»


NOTTE CXCIII


— Il principe di Persia lo trattenne. — Mio buon Ebn Thaher,» gli disse, «vi ho dichiarato non essere in poter mio il seguire i saggi vostri consigli; ma vi supplico di non appormelo a delitto, e non cessare per questo di darmi prove della vostra amicizia. Ora, non sapreste darmene una maggiore di quella d’istruirmi del destino della mia cara Schemselnihar, se ne avete notizie. L’incertezza, in cui sono, della di lei sorte, le mortali inquietudini onde m’è cagione il suo svenimento, mi mantengono nella languidezza che voi mi rimproverate. — Signore,» gli rispose Ebn Thaher, «dovete sperare che il suo svenimento non abbia avuto funeste conseguenze, e che la schiava sua confidente verrà fra poco a riferirmi in qual modo andò a finire la cosa. Appena ne avrò i particolari, non mancherò di venire a parteciparveli. —

«Ebn Thaher lasciò il principe in questa speranza, e tornato a casa, vi aspettò inutilmente tutto il resto del giorno la confidente di Schemselnihar, cui non vide nemmeno il giorno appresso. Intanto, l’inquietudine di sapere lo stato di salute del principe di Persia non permettendogli di restar più a lungo senza vederlo, andò da lui nell’idea d’esortarlo alla [p. 195 modifica]pazienza. Lo trovò a letto, malato secondo il solito, e circondato da buon numero d’amici e da alcuni medici, che impiegavano tutti i lumi dell’arte per discoprire la cagione del suo male. Appena egli scorse Ebn Thaher, lo guardò sorridendo, per dimostrargli due cose a un tempo: l’una, che si compiaceva di vederlo; l’altra, quanto i medici, che non potevano indovinare il motivo della sua malattia, s’ingannassero ne’ loro ragionamenti.

«Ritiraronsi tutti gli amici ed i medici, di modo che Ebn Thaher rimase solo coll’ammalato, ed accostatosi al letto, gli chiese come stesse da quando non l’aveva veduto. — Vi dirò,» rispose il principe, «che il mio amore, il quale continuamente acquista nuove forze, e l’incertezza del destino dell’amabile Schemselnihar, accrescono ogni momento il mio male, e mi mettono in una condizione che affligge i miei parenti e gli amici, e sconcerta i medici, che non ci comprendono nulla. Non potreste credere,» soggiunse, «quanto soffra vedendo tante persone che m’importunano, e non posso civilmente congedare. Voi siete il solo, la cui compagnia sento che mi reca sollievo; ma insomma, non mi dissimulate cosa alcuna, ve ne scongiuro. Quali notizie mi recate voi di Schemselnihar? Avete veduto la sua confidente? che cosa vi ha essa detto?» Rispose Ebn Thaher di non averla veduta; e non ebbe appena data al principe sì trista novella, che gli spuntarono le lagrime dagli occhi; nè pote replicare una sola parola, tanto sentivasi oppresso il cuore. — Principe,» ripigliò allora Ebn Thaher, «permettetemi di dirvi che siete troppo ingegnoso a tormentarvi. In nome di Dio, asciugate le lagrime; qualcuno de’ vostri può entrare in questo momento, e voi sapete con quanta cura nasconder dovete i vostri sentimenti, che potrebbero così essere indovinati. Ad onta di quanto seppe dire quel [p. 196 modifica]giudizioso confidente, non potè il principe frenare il pianto. — Saggio Ebn Thaher,» sclamò quando gli tornò l’uso della favella, «posso ben impedire alla lingua di svelare il segreto del cuore; ma non ho potere bastante sulle mie lagrime, in tanto argomento di tema per Schemselnihar. Se quell’adorabile ed unico oggetto de’ miei desiderii non fosse più al mondo, non gli sopravvivrei un solo istante. — Scacciate sì molesto pensiero,» replicò Ebn Thaher; «Schemselnihar vive ancora, non dovete dubitarne; e se non vi fece, pervenire sue nuove, ciò sarà per non averne potuto trovar l’occasione; ma spero non passerà questo giorno senza che ne riceviate.» Aggiunse a queste parole varie altre cose consolanti; e quindi se ne andò.

«Ebn Thaher fu appena tornato a casa, che vi giunse la confidente di Schemselnihar. Aveva essa l’aria abbattuta, ed egli ne trasse cattivo presagio; chiestole notizie della padrona: — Datemene prima delle vostre,» gli rispose la confidente, «essendo stata in gran pena all’avervi veduto partire nello stato in cui trovavasi il principe di Persia.» Ebn Thaher ne accontentò il desiderio, e quand’ebbe finito, la schiava così favellò: — Se il principe di Persia ha sofferto e soffre per la mia padrona, non è dessa in minor pena di lui. Allorchè v’ebbi lasciati,» proseguì ella, «feci ritorno alla sala ove trovai che Schemselnihar non era ancor rinvenuta dal suo svenimento, malgrado tutti i soccorsi apprestatile. Il califfo le stava seduto vicino con tutti i segni d’un vero dolore; e domandò a tutte le donne, ed a me in particolare, se avessimo qualche cognizione della causa del suo male; ma tutte custodimmo il segreto, dicendo ben altra cosa da quella che veramente era. Grande frattanto fu il nostro dolore vedendolo soffrire sì a lungo, e non si tralasciò alcun mezzo di soccorrerla. Finalmente, era [p. 197 modifica]quasi mezzanotte, quando ricuperò i sensi. Il califfo, il quale aveva avuta la pazienza di attendere fin allora, ne dimostrò molta allegrezza, e chiese a Schemselnihar d’onde le fosse provenuto quel male. Udendo la di lui voce, fece uno sforzo per mettersi a sedere, e baciandogli i piedi prima che potesse impedirglielo: «— Sire,» gli disse, «devo lagnarmi col cielo perchè non m’abbia fatta la grazia intiera di lasciarmi spirare a’ piedi di vostra maestà, per dimostrarvi così fino a qual punto io sia penetrata delle vostre bontà. — Son persuaso che mi amiate,» rispose il califfo; «ma vi comando di conservarvi per amor mio. Avrete probabilmente oggi ecceduto in qualche cosa, che avrà prodotto cotesta indisposizione; fateci attenzione, e vi prego di astenervene un’altra volta. Mi rallegro assai vedendovi in migliore stato, e vi consiglio a passar qui la notte invece di tornare al vostro appartamento, nel timore che il moto non vi sia contrario.» Ordinò quindi si portasse un po’ di vino che le fece prendere per ricuperare le forze, e preso da lei commiato, si ritirò nel proprio palazzo. Partito che fu il califfo; la mia padrona, fattomi cenno di avvicinarmi, mi domandò con inquietudine vostre nuove; io l’assicurai che da molto tempo non eravate più in palazzo, e mentre le acquetava da questo lato lo spirito, mi guardai però bene dal parlarle dello svenimento del principe di Persia, nella tema di farla ricadere nello stato, dal quale le nostre cure l’avevano con tanta fatica ritratta. Ma la mia precauzione fu inutile, come ora intenderete. — Principe,» sclamò essa allora, «rinuncio d’or innanzi a tutti i piaceri, finchè rimarrò priva del bene di vederti. Se ho ben penetrato nel tuo cuore, non faccio che seguire il tuo esempio. Tu non cesserai di sparger lagrime finchè non m’abbi ritrovata; giusto è ch’io pianga e mi affligga finchè tu non [p. 198 modifica]sia reso ai voti miei.» Terminando queste parole, che profferì in maniera da spiegare la violenza della sua passione, svenne una seconda volta tra le mie braccia....»


NOTTE CXCIV


— Sire, la confidente di Schemselnihar continuò a raccontare ad Ebn Thaher tutto ciò ch’era accaduto alla padrona dopo il suo primo svenimento. — Ci volle ancora molto tempo,» diss’ella, «a farla rinvenire. Ricuperò finalmente i sensi, ed allora le dissi: «Signora, siete dunque risoluta di lasciarvi morire, e farci morire noi pure con voi? Vi supplico, in nome del principe di Persia, pel quale avete interesse di vivere, a voler conservare i vostri giorni. Di grazia, lasciatevi persuadere, e fate gli sforzi che dovete a voi stessa, all’amore del principe ed al nostro affetto per voi. — Vi sono grata,» ripigliò essa, «per le vostre cure, lo zelo ed i consigli vostri. Ma oimè! come possono essermi mai utili? Non n’è lecito lusingarci di qualche speranza, e nella tomba sola dobbiamo attendere il fine dei nostri guai.» Una mia compagna volle distrarla da quei tristi pensieri cantando un’aria sul liuto; ma essa le impose silenzio, e le comandò; come pure a tutte le altre, di ritirarsi, trattenendo me sola per passare la notte con lei. Cielo, qual notte! la passò ella in pianti ed in gemiti; e chiamando continuamente il principe di Persia, dolevasi della sorte, che l’aveva destinata al califfo, cui non poteva amare, e non a lui che amava perdutamente. All’indomani, siccome non poteva stare troppo comodamente nella sala, l’aiutai a trasferirsi nelle di lei stanze, ove appena fu giunta, arrivarono tutti i [p. 199 modifica]medici del palazzo a visitarla per ordine del califfo; nè stette molto quel principe a comparire anch’esso in persona. I rimedi ordinati dai medici a Schemselnihar fecero tanto meno effetto, in quanto che ignoravano costoro la cagione del suo male; e l’angustia in cui la teneva la presenza del califfo, non faceva che aumentarlo. Ha però riposato un poco questa notte, ed appena fu svegliata, m’incaricò di venirvi a trovare per aver notizie del principe di Persia.

«— Vi ho già informata dello stato, in cui si trova,» le disse Ebn Thaher; «tornate dunque dalla vostra padrona, ed assicuratela che il principe di Persia aspettava sue notizie colla medesima impazienza ch’ella ne attendeva di lui. Esortatela soprattutto a moderarsi e vincersi, acciò non le sfugga dinanzi al califfo qualche parola che possa perderne tutti con lei. — Quanto a me,» riprese la confidente, «ve lo confesso: temo tutto da’ suoi trasporti. Mi presi la libertà di dirle intorno a ciò il mio parere, e sono persuasa che non si sdegnerà che gliene parli ancora da parte vostra. —

«Ebn Thaher, il quale era giunto allora dalla dimora del principe di Persia, non istimò a proposito di tornarvi sì presto, e trascurare gli affari importanti sopraggiuntigli nel tornare a casa; laonde non vi si recò se non verso il cadere dei giorno. Era solo il principe, e non istava meglio della mattina. — Ebn Thaher,» gli disse, vedendolo comparire, «voi avete certo molti amici, ma questi amici non conoscono quanto valete, come me lo faceste conoscere col vostro zelo, le vostre cure, e le pene che vi date quando si tratta di recar loro servizio. Sono confuso di ciò che fate per me con tanta affezione, e non so come potrò ricompensarvene. — Principe,» gli rispose Ebn Taher, «lasciamo da parte questo discorso, ve ne supplico: son pronto non solo a dare uno de’ miei occhi per [p. 200 modifica]conservarne uno a voi, ma ben anche a sagrificare la mia vita per la vostra. Ma ora non si tratta di ciò. Vengo a dirvi, che Schemselnihar mi ha mandata la sua confidente per chiedermi nuove di voi, e nel medesimo tempo darmene delle sue. Già comprenderete ch’io nulla le dissi che non le abbia confermato l’eccesso del vostro amore per la sua padrona, e la costanza colla quale l’amate.» Gli fece poscia un’esposizione fedele di quanto avevagli detto la schiava confidente; lo ascoltò il principe con tutti i diversi movimenti di timore, di gelosia, di tenerezza e di compassione, che ispiravangli le sue parole, facendo su ciascuna cosa che udiva tutte le riflessioni affliggenti e consolanti, delle quali esser poteva capace un amante al par di lui appassionato.

«Durò tanto tempo il loro colloquio, che trovandosi molto inoltrata la notte, il principe di Persia obbligò Ebn Thaher a fermarsi da lui. La mattina seguente, tornando quell’amico fedele alla propria dimora, vide venirsi incontro una donna, cui presto riconobbe per la confidente di Schemselnihar, la quale, accostatasegli: — La mia padrona vi saluta,» disse, «e vengo a pregarvi da parte sua di consegnare questa lettera al principe di Persia.» Prese lo zelante Ebn Thaher la lettera, e tornò presso il principe, accompagnato dalla schiava confidente...» —

Scheherazade, vedendo il giorno, cessò qui di parlare; e la notte seguente ripigliò il racconto di tal guisa:


NOTTE CXCV


— Sire, quando Ebn Thaher fu entrato, colla confidente di Schemselnihar, in casa del principe di [p. 201 modifica]Persia, la pregò di fermarsi un momento nell’anticamera ad aspettarlo. Appena l’ebbe il principe veduto, gli chiese con premura quali notizie recasse. — La migliore che possiate udire,» gli rispose Ebn Thaher; «vi si ama con egual passione onde voi amate. La confidente di Schemselnihar è qui in anticamera: vi porta una lettera per parte della sua padrona, ed aspetta i vostri ordini per entrare. — Entri subito,» gridò il principe con trasporto d’allegrezza. Ciò dicendo, si pose a sedere sul letto per riceverla.

«Essendo i servi del principe usciti dalla stanza al vedere Ebn Thaher, onde lasciarlo solo col loro padrone, andò questi ad aprire in persona la porta, ed introdusse la confidente, cui il principe tosto riconobbe, e ricevette con molta cortesia. — Signore,» gli diss’ella, «so tutti i mali da voi sofferti dopo ch’io ebbi l’onore di guidarvi al battello, che vi attendeva per ricondurvi a casa, ma spero che questa lettera contribuirà alla vostra guarigione.» A tali parole gli presentò la lettera. La prese egli, e baciatala più volte, l’aprì, e lesse quanto segue:



Note

  1. Questa parola araba significa il sole del giorno.