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sia reso ai voti miei.» Terminando queste parole, che profferì in maniera da spiegare la violenza della sua passione, svenne una seconda volta tra le mie braccia....»
NOTTE CXCIV
— Sire, la confidente di Schemselnihar continuò a raccontare ad Ebn Thaher tutto ciò ch’era accaduto alla padrona dopo il suo primo svenimento. — Ci volle ancora molto tempo,» diss’ella, «a farla rinvenire. Ricuperò finalmente i sensi, ed allora le dissi: «Signora, siete dunque risoluta di lasciarvi morire, e farci morire noi pure con voi? Vi supplico, in nome del principe di Persia, pel quale avete interesse di vivere, a voler conservare i vostri giorni. Di grazia, lasciatevi persuadere, e fate gli sforzi che dovete a voi stessa, all’amore del principe ed al nostro affetto per voi. — Vi sono grata,» ripigliò essa, «per le vostre cure, lo zelo ed i consigli vostri. Ma oimè! come possono essermi mai utili? Non n’è lecito lusingarci di qualche speranza, e nella tomba sola dobbiamo attendere il fine dei nostri guai.» Una mia compagna volle distrarla da quei tristi pensieri cantando un’aria sul liuto; ma essa le impose silenzio, e le comandò; come pure a tutte le altre, di ritirarsi, trattenendo me sola per passare la notte con lei. Cielo, qual notte! la passò ella in pianti ed in gemiti; e chiamando continuamente il principe di Persia, dolevasi della sorte, che l’aveva destinata al califfo, cui non poteva amare, e non a lui che amava perdutamente. All’indomani, siccome non poteva stare troppo comodamente nella sala, l’aiutai a trasferirsi nelle di lei stanze, ove appena fu giunta, arrivarono tutti i