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quasi mezzanotte, quando ricuperò i sensi. Il califfo, il quale aveva avuta la pazienza di attendere fin allora, ne dimostrò molta allegrezza, e chiese a Schemselnihar d’onde le fosse provenuto quel male. Udendo la di lui voce, fece uno sforzo per mettersi a sedere, e baciandogli i piedi prima che potesse impedirglielo: «— Sire,» gli disse, «devo lagnarmi col cielo perchè non m’abbia fatta la grazia intiera di lasciarmi spirare a’ piedi di vostra maestà, per dimostrarvi così fino a qual punto io sia penetrata delle vostre bontà. — Son persuaso che mi amiate,» rispose il califfo; «ma vi comando di conservarvi per amor mio. Avrete probabilmente oggi ecceduto in qualche cosa, che avrà prodotto cotesta indisposizione; fateci attenzione, e vi prego di astenervene un’altra volta. Mi rallegro assai vedendovi in migliore stato, e vi consiglio a passar qui la notte invece di tornare al vostro appartamento, nel timore che il moto non vi sia contrario.» Ordinò quindi si portasse un po’ di vino che le fece prendere per ricuperare le forze, e preso da lei commiato, si ritirò nel proprio palazzo. Partito che fu il califfo; la mia padrona, fattomi cenno di avvicinarmi, mi domandò con inquietudine vostre nuove; io l’assicurai che da molto tempo non eravate più in palazzo, e mentre le acquetava da questo lato lo spirito, mi guardai però bene dal parlarle dello svenimento del principe di Persia, nella tema di farla ricadere nello stato, dal quale le nostre cure l’avevano con tanta fatica ritratta. Ma la mia precauzione fu inutile, come ora intenderete. — Principe,» sclamò essa allora, «rinuncio d’or innanzi a tutti i piaceri, finchè rimarrò priva del bene di vederti. Se ho ben penetrato nel tuo cuore, non faccio che seguire il tuo esempio. Tu non cesserai di sparger lagrime finchè non m’abbi ritrovata; giusto è ch’io pianga e mi affligga finchè tu non