Le Mille ed una Notti/Lettera di Schemselnihar al principe di Persia Alì Ebn Becar

Lettera di Schemselnihar al principe di Persia Alì Ebn Becar

../Storia di Abulhassan Alì Ebn Becar e di Schemselnihar, favorita del califfo Aaron-al-Raschid ../Risposta del principe di Persia alla lettera di Schemselnihar IncludiIntestazione 8 gennaio 2018 100% Da definire

Lettera di Schemselnihar al principe di Persia Alì Ebn Becar
Storia di Abulhassan Alì Ebn Becar e di Schemselnihar, favorita del califfo Aaron-al-Raschid Risposta del principe di Persia alla lettera di Schemselnihar
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L E T T E R A


DI SCHEMSELNIHAR AL PRINCIPE DI PERSIA ALI’ EBN BECAR.

«La persona che vi consegnerà questa lettera, potrà darvi mie notizie assai meglio di me medesima, non riconoscendomi io più dal momento che ho cessato di vedervi. Privata della vostra presenza, cerco d’illudermi conversando con voi mediante queste mal vergate linee, collo stesso piacere, come se avessi il bene di parlarvi. [p. 202 modifica]

«Dicesi che la pazienza sia un rimedio per tutti i mali; eppure essa inasprisce i miei invece di mitigarli. Benchè la vostra effigie mi stia scolpita nel più profondo del cuore, i miei occhi desiderano continuamente di vederne l’originale, e perderanno tutta la loro luce, se fa d’uopo che ne vadano privi ancora per molto tempo. Posso lusingarmi che i vostri abbiano eguale impazienza di vedermi? Sì, che lo posso, avendolo bastantemente compreso dai loro teneri sguardi. Quanto sarebbe Schemselnihar beata, e quanto felice sareste voi, o principe, se i miei desiderii, ai vostri conformi, non fossero attraversati da insuperabili ostacoli, che tanto più vivamente m’affliggono, in quanto che affliggono voi pure.

«Questi sentimenti, vergati dalle mie dita, e che esprimo con incredibile piacere, ripetendoli varie volte, mi partono dalle più intime latebre del cuore, e dalla incurabile ferita che voi vi faceste; ferita che mille volte benedico, malgrado il crudele tormento che soffro per la vostra assenza. Conterei per nulla tutto ciò che si oppone ai nostri amori, se mi fosse solamente dato di vedervi qualche volta in libertà: vi possederei allora; cosa potrei desiderare di più?

«Non immaginatevi che le mie parole dicano più ch’io non pensi. Aimè! di qualunque espressione mi possa io mai valere, pur sento di pensare più cose che non vi dica! I miei occhi, che stanno in continua veglia, versando lagrime, mentre aspettano di rivedervi: il mio cuore afflitto che voi solo desidera: i sospiri che mi sfuggono tutte le volte che penso a voi, cioè ad ogni memento: l’immaginazione che più non mi rappresenta altro oggetto fuor del caro mio principe: le querele che dirigo al cielo pel rigore del mio destino: in fine la mia tristezza, le inquietudini, i tormenti, che non mi [p. 203 modifica]lasciano tregua, dacchè vi ho perduto di vista, sono garanti di quanto vi scrivo.

«Non son io ben infelice d’esser nata per amare, senza speranza di fruire dell’oggetto che amo? Questo desolante pensiero mi opprime a tal segno che ne morrei, se non fossi persuasa che voi mi amiate. Ma una sì dolce consolazione contrabbilancia la mia disperazione, e mi attacca alla vita. Scrivetemi che mi amate sempre: conserverò la vostra lettera preziosamente, e leggendola mille volte al giorno, soffrirò i miei mali con minor impazienza. Auguro che il cielo cessi d’essere irato contro di noi, e ne faccia trovare l’occasione di dirci senza ostacoli, che ci amiamo e che non cesseremo mai d’amarci. Addio. Saluto Ebn Thaher, al quale dobbiamo entrambi tante obbligazioni.»


NOTTE CXCVI


— Non si contentò il principe di Persia d’aver letta una volta questa lettera, sembrandogli averlo fatto con troppo poca attenzione. Tornò dunque a percorrerla più lentamente, e leggendola, ora mandava tristi sospiri, ora versava lagrime, ora prorompeva in trasporti di gioia e di tenerezza, secondo la qualità dei sentimenti ond’era agitato a tal lettura. Insomma, non si stancava di percorrere cogli occhi quei caratteri vergati da una mano sì cara, e preparavasi a rileggerli per la terza volta, quando Ebn Thaber fecegli osservare che la confidente non aveva tempo da perdere, e che dovesse pensare a scrivere la risposta. — Aime!» sclamò il principe; «come volete che risponda ad una lettera sì tenera? Con quali termini esprimerà il turbamento in cui mi trovo? Ho l’ [p. 204 modifica]animo combattuto da mille crudeli pensieri, ed i miei sentimenti svaniscono appena concepiti, per dar luogo ad altri. Mentre il mio corpo risente ancora le impressioni dell’anima, come potrò tenere la carta e guidar la cannuccia (1) per formar le lettere? —

«Così parlando, cavò da un piccolo scrittoio, che gli stava vicino, un foglio di carta, una cannuccia temperata ed il calamaio...»

Scheherazade, scorgendo l’alba, interruppe qui la sua narrazione, riprendendola come segue alla domane:


NOTTE CXCVII


— Sire, il principe di Persia, prima di scrivere, porse la lettera di Schemselnihar ad Ebn Thaher, pregandolo di tenergliela aperta davanti mentre scriveva, affinchè, gettandovi sopra gli occhi, potesse veder meglio cosa dovesse rispondere. Cominciò lo scritto; ma le lagrime che degli occhi piovevano sulla carta, lo costrinsero varie volte a fermarsi per lasciarle scorrere liberamente. Terminata infine la sua lettera, la consegnò ad Ebn Thaher, e: — Leggetela, ve ne prego,» gli disse, «e fatemi la grazia di osservare se il disordine del mio spirito m’abbia concesso di scrivere una risposta conveniente.» La prese Ebn Thaher, e lesse ciò che segue:


Note

  1. Gli Arabi, i Persiani ed i Turchi, quando scrivono, tengono la carta colla mano sinistra, appoggiata solamente sul ginocchio e scrivono colla destra con una cannuccia temperata e fessa come le nostre penne. Quella specie di cannuccia è vuota, e somiglia ai nostri giunchi; ha però maggior consistenza.