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era chiusa; e maravigliandosene, ne chiese il motivo. Ma era quella una sorpresa che avevano preparata. In fatti, non ebbe appena aperta bocca, che le finestre spalancaronsi tutte insieme, e la vide illuminata di dentro e di fuori in maniera assai meglio intesa che non l’avesse mai veduta prima. — Vezzosa Schemselnihar,» sclamò Aaron a quello spettacolo, «v’intendo. Avete voluto farmi conoscere che vi sono notti belle quanto i più bei giorni. Dopo quanto veggo, non posso disconvenirne. —

«Torniamo ora al principe di Persia e ad Ebn Thaher, che lasciammo nella galleria. Non sapeva questi ultimo saziarsi dall’ammirare quanto gli si presentava alla vista. — Non son giovane,» diceva egli, «e nella mia vita ho veduto molte feste; ma non credo si possa scorger nulla di più sorprendente, nè che dispieghi maggior grandezza. Tutto quello che ci si racconta dei palazzi incantati, non si accosta certo al prodigioso spettacolo che abbiamo davanti agli occhi. Quanta ricchezza e magnificenza insieme! —

«Non era il principe di Persia abbagliato da tutti quegli oggetti risplendenti, che tanto dilettavano Ebn Thaher. Egli non aveva occhi se non per guardare Schemselnihar; e la presenza del califfo lo immergeva in un’afflizione indicibile. — Caro Ebn Thaher,» diss’egli, «volesse Dio ch’io avessi lo spirito libero sì da poter fermarmi, al par di voi, a ciò solo che dovrebbe destare la mia ammirazione! Ma, oimè! mi trovo in uno stato ben diverso! Tutti questi oggetti a null’altro servono che ad accrescere il mio tormento. Poss’io vedere il califfo solo colla donna che amo, e non morire di disperazione? Perchè un amore tenero come il mio debb’essere frastornato da sì potente rivale? Cielo! quanto bizzarro e crudele è il mio destino! Poco fa mi stimava l’amante più fortunato della terra, ed in questo mo-