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NOTTE CLXXXIX


— Sire, Schemselnihar fu tutta contenta di vedere Ebn Thaher, e gli esternò la sua gioia in questi cortesi termini: — Ebn Thaher, non so in qual modo ricompensare le infinite obbligazioni che vi debbo. Senza il vostro mezzo, non avrei mai conosciuto il principe di Persia, nè amato l’uomo più amabile dell’universo. Siate però persuaso che non morrò ingrata, e che la mia riconoscenza; se fia possibile, pareggerà il benefizio onde vi sono debitrice.» Ebn Thaher rispose a quel complimento con un profondo inchino, ed augurando alla favorita il compimento di tutte le sue brame.

«Schemselnihar si volse allora verso il principe di Persia, che le stava seduto vicino; e guardandolo con qualche confusione, dopo ciò ch’era corso fra loro: — Signore,» gli disse; «io sono ben certa del vostro affetto; e qualunque sia l’ardore col quale mi amate, non dovete dubitare che l’amor mio non sia violento al par del vostro. Ma non lusinghiamoci: per quanta conformità siavi fra i vostri sentimenti ed i miei, non veggo, per voi e per me, che pene; contrarietà e dispiaceri mortali. Non v‘ha altro rimedio a’ nostri guai fuor d’amarci mai sempre, e rimettercene alla volontà del cielo, aspettando ciò che gli piacerà disporre del nostro destino. — Signora,» rispose il principe di Persia, «mi fareste la maggiore ingiustizia, se dubitaste un sol istante della durata dell’amor mio; esso è unito all’anima mia in modo da poter dire che ne fa parte migliore; e che lo conserverò fin dopo la morte. Pene, tormenti, ostacoli, nulla potrà impedirmi d’amarvi.» Terminando tali parole,