Le Istorie Trentine in compendio ristrette/Epoca prima
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EPOCA PRIMA
La valle dell’Adige stabilmente abitata
e principii della città di Trento
Secondo quello che ne dicono le antiche memorie l’Europa era in gran parte abitata al tempo della famosa guerra fra Greci e Trojani, fattasi dodici secoli prima della comparsa di Gesù Cristo, e cinquecento anni innanzi la fondazione (la prima fabbrica) di Roma. In quel tempo abitavano a’ pie’ de’ nostri monti di quà del mare Adriatico le popolose genti Euganee; di là del Po fin alla sua destra ripa erano i numerosi e potenti Etrusci; la Germania meridionale era, come a chi ne dubitasse proveremo, occupata dalle genti innumerabili de’ Celti; i Galli, di celtica origine pur essi, coltivavano il paese che or dicesi Francia, ed erano già nei primi anni di Roma cresciuti a tanta moltitudine che devettero per varie parti emigrare a migliaja facendosi strada con le armi.
Da questi fatti certissimi è forza conchiudere e tenere per indubitato che anche nelle nostre Valli, e specialmente in quella dell’Adige, bastantemente ampia, fertile, e meno che altre soggetta ad essere devastata dal fiume, che allora ancor più che al presente era in tutto il suo corso costeggiato da pendici e colline, erano in que’ tempi abitatori venutici dall’uno o dall’altro dei circostanti popolati paesi. Immaginarsi le nostre Valli deserte, od abitate solo da pochi selvaggi, mentre le vicine provincie si trovavano piene di popolo, è al tutto impossibile.
Essendo vero tutto ciò, si dimostra da sè che i primitivi abitatori della vallea dell’Adige qui stabilitisi non potevano, posti in mezzo a tanti popoli, starsi quieti, e sicuri, e provvedere a’ loro bisogni senza un capoluogo che servisse loro di ricovero, e che fosse residenza de’ capi del popolo, ritrovo e convegno delle generali adunanze, e centro della comune difesa. Nè giova l’opporre che in que’ remotissimi tempi non sapevan gli uomini edificare abitazioni, o non se ne curavano. Cura di fabbricare non si prendean, nè si prendono, i popoli sempre pastori, erranti per necessità, chè ad essi bastano tende o capanne. Ma tostochè un popolo, od una tribù, giungeva in luogo ove poter prendere sicura stanza, e procacciarsi di che sussistere, ed alimentare il suo gregge, ivi subito edificava stabili abitazioni, e come sapeva meglio munivale. Nè è poi necessario supporre che la città fosse da prima tale quali erano in que’ tempi altrove alcune, e quali sono moltissime al presente; bastava che fosse in origine, se volete, uno di que’ recinti difesi da grossi massi di roccia posti in circolo che usavano di avere certi popoli, e che vedevansi in Germania e nelle Gallie; poi un corpo unito di fabbricati in cui potessero soggiornare sicuri dagl’insulti delle fiere e delle stagioni molte famiglie, una grossa terra (villa) una borgata, che poi si ampliò, si fortificò, si abbellì come avvenne di tutte le altre, e da essi medesimi que’ primi fondatori, a da altri popoli sopravvenuti.
Questa borgata diventa col tempo città, poichè altre non ne possono contare tra’ monti lungo il corso dell’Adige che nome abbiano di più o d’egualmente antiche, fu l’antichissima Trento. La quale con savio accorgimento si locò nel mezzo delle valli e dell’alpi col suo nome chiamate dagli antichi trentine, che ha di sopra e di sotto vaste e fertili pianure, e ai lati spaziose colline e vicini monti, e cui fanno capo quattro vie, ovvero aditi (entrate) formati dalla natura che si partono da ampii paesi, e di quivi a quelli conducono.
Mostrerò chiaro altrove che falso scrisse chi favoleggiando affermò, Trento essere stata fondata dai Galli. Ed avendo provato che in tempi da noi remotissimi eran nelle nostre valli e segnatamente in quella dell'Adige, venuti abitatori, e che questi, fermata avendo qui loro dimora, avean bisogno di un capoluogo, d’una città, e constando che Trento è certamente antichissima, avuto anche riguardo alla sua posizione, che è tale da dovervi essere o castello o città tostochè il paese fu abitato, conchiudo senza timore di essere con ragioni o con fatti contraddetto, che Trento è città la quale dee i suoi principii ai primi abitanti fermatisi stabilmente nelle valli e nelle alpi che da essa ebbero nome di trentine. Quello che dir ne dovremo nel seguente periodo non lascerà, spero, a nessuno intorno a ciò il minimo dubbio.
A fine di essere in tutto il seguito della narrazione bene inteso da ognuno debbo qui far osservare ai Lettori, che nel senso datole da tutti gli scrittori autorevoli la voce Alpi significa montagne, paese montano, non già solo e sempre nude o nevose cime di monti in lunga serie disposte e formanti tra loro catena. Volendo al vocabolo Alpi dare sol questa ultima significanza, gli alpigiani, i popoli alpini, de' quali come di numerose genti parlano tanto i Geografi e gli Istorici, dovrebbesi creder essere stati non uomini ma lupi, orsi, e camosci, perciocchè nessuno potria persuadersi che intere popolazioni abbian potuto soggiornare e vivere nel sommo di una catena di monti. Plinio, il gran conoscitore delle cose naturali, parlando dei popoli alpini li trova nelle grandi e piccole valli, e su le pendici e su le montagne che sono tra il piano d’Italia, e le somme cime de’ monti i più alti disposte in cerchio ad estremo confine del bello Paese. Dante Alighieri, e Francesco Petrarca, volendo chiaramente indicare quella serie di alti gioghi che l’Italia divide e separa dalle altre regioni (provincie, paesi) che sono rispetto ad essa poste ad occidente e settentrione, usarono da saggi per essere bene compresi, la parola Alpe in numero singolare. E il Cardinale Brembo a loro imitazione nominò quello ch'Ei dissero Alpe l'orrido Sasso. Questi, tutti furono uomini sommi; ed è dai sommi che si dee imparar a pensare, e a parlare com'è giusto, e si conviene.
PERIODO D'INCERTA DURATA.
Le montagne e le valli che, imaginando una linea tirata dal lago brigantino, ora di Bregenz o di Costanza, al lago benaco, ora di Garda, restano bene in qua a manca, e molto in là a destra di tal linea, ebbero dagli antichi il comun nome di Rezia, che appellarono regione amplissima, e gli abitatori, ch’ei dissero numerosissimi, nomarono Rezii. Quelli che vollero la Rezia ristretta a’ paesi circostanti alle origini del Reno, dell’Adige, e dell’Enno, ed estesa nella Vindelicia, o non seppero o fecero mostra di non sapere che più altre genti verso il mezzodì appartenevano alla Rezia, e che la Vindelicia fu col nome di seconda Rezia aggiunta all’antica da’ Romani, i quali dopo la conquista fatta di ambe sapean bene distinguere l’una dall’altra, come seppero chiamare i popoli di questa Rezii, e di quella Vindelicii.
Il Trentino che al settentrione avea confinanti gl’Isarci, e i Venosti, quegli abitatori della vallea dell’Eisack, che è lo Isarco, e questi della Venosta, sull’Adige verso le sue sorgenti, e all’occidente i Camuni e i Triumpilini, abitanti delle valli Camonica e Trompia, tutti, come leggesi in Plinio ove parla delle genti alpine, popoli della Rezia, il Trentino che aveva a mezzodì confinante il Veronese, e ad oriente il Feltrino, il Bellunese, e ’l Beruese, le cui città, Verona, Belluno, Berua, Feltre, e per qualche tempo anche dalla parte di sera Como, erano al dire dello stesso Plinio e di Strabone città de’ Rezii, formava anch’esso in que’ tempi antichi parte non piccola, anzi principale dell’ampia Rezia. Di questa verità sono conferma i detti di varii antichi Istorici e Geografi che ne assicurano, essersi i Rezii, e quindi tra primi i prossimi, innoltrati ed estesi in giù fino ai piè delle alpi.
Rezii dunque furono senza dubbio i primitivi abitatori di questo nostro paese; i quali per distinguersi dalle altre molte retiche tribù (popolazioni) dal nome della città da essi edificata si nomarono Trentini. Nomi più antichi non si legge ch’essi abbiano avuto fuor quello che subito dirò.
Ma quale fu de’ Rezii trentini, e degli altri tutti l’origine primitiva? In qual tempo si son eglino innoltrati a prendere possesso delle vallate e de’ monti che il piano d’Italia da quello della meridionale Germania dividono? Dire di questo, e ciò che si dice provare con irrecusabili autorità è difficile molto, sì per la grande lontananza de’ tempi, e sì ancora per la confusa varietà delle opinioni di que’ che ne scrissero. Ma questa varietà medesima ci debb'essere di stimolo a procurar di trovare un filo che ne sia di guida ad uscire da quest'oscuro laberinto.
Vi fu, e vi è chi, per avere letto od udito dire che gli Etrusci diedero origine alla nazione de' Rezii venendo in su dall’Italia a stabilirsi tra questi monti, ciò tenne e tiene fermamente quale indubitata verità. Ma per accettare questo come vero, dovrebbesi avere certezza che prima della venuta degli Etrusci tutta la Rezia era deserta; e noi vedremo ben chiaro, ch'essa era abitata per secoli innanzi che ci venissero Etrusci. Altri tutto al rovescio vogliono far credere che i Rezii sieno stati in origine i primi e veri Etrusci, e che calati giù da queste alpi abbiano abitato e posseduto l’Etruria, dove si fecero col tempo colti e potenti, e sforzansi di sostenere tal opinione col far dire a Tito Livio ciò che non disse. Se chiedete a questi d'onde que' gloriosi genitori degli Etrusci venuti sien nella Rezia, sfuggono di rispondere, o vi mettono innanzi alcuni detti staccati di antichi autori che mal sapevano essi medesimi darne ragione, e conchiudono da questi ciò che già si erano prefisso di conchiudere.
Per discoprire con certezza, o almeno con plausibile ed accettabile probabilità l'origine di un popolo convien seguire la regola sopra proposta in fine della prefazione, consultare l'Istoria generale, e cavare la particolare derivazione de’ popoli dai dati certi di quella. Con questa regola noi verremo a conoscere di qual gente fossero i Rezii, e da qual regione sieno venuti a stabilirsi nelle alpi. Fatta questa scoperta, senza la quale rimarrebbe, come rimase finora, l'antica nostra Istoria confusa ed incerta, tutto quello che gl'Istorici scrissero dello stato antico del nostro paese rendesi ad ognuno intelligibile e chiaro.
Noi sappiamo per ciò che ne insegnano indubitate Istorie di mille anni, da un secolo prima della venuta del Redentore fin al nono e decimo cristiano, che il Settentrione dell'Europa fu quella parte d'onde vennero popoli numerosi in varii tempi a cercare stanza e stabilirsi nel più felice Mezzodì. Vennero Cimbri e Teutoni, calarono più volte Alemanni, discesero Unni, Eruli, e Goti, e poi seguirono Longobardi, Vandali, Franchi, Slavi, Normanni; alcuni di questi popoli furono annichilati, o respinti; gran parte d'essi però si stabilirono nelle Gallie, nelle Spagne, in Italia, e ne' paesi che ora si appellano Turchia europea. Ciò che avvenne in quel corso di secoli si avverò pure, e forse con più frequenza di genti, ne' tempi anteriori e più remoti, ne' quali tutti erano pastori, obbligati per ciò alla vita errante, e costretti a fuggir il freddo e le nevi, e a trasportarsi in climi caldi ove poter nutrire i loro armenti, il che riusciva loro assai facile perchè pochi essendo ancora di numero gli uomini, vi era largo spazio per tutti, e non facea bisogno combattere. E in fatti le tradizioni e le istorie le più antiche ci assicurano che i Celti, venuti dalla Scizia vastissima regione dell’Asia, occuparono l’Europa nel settentrione, e di là estesisi verso l’occidente e il mezzodì, essendo molti di numero e divisi in varie tribù, possederono e popolarono la Germania, e la Gallia, e di quivi passarono fin nella Spagna. Dotti e sensati scrittori affermano sull’autorità degli antichi che: Li Germani ed altri popoli di settentrione, come i Britanni, erano Celti. I Germani somigliavano tanto ai Celti nella lingua, ne' costumi, e nella religione, che non si può dubitare esser eglino stati della medesima nazione, eccettuato, come nota Strabone, che quelli avean conservata, a cagion della loro prossimità con gli Sciti, e coi Sarmati, tutta l’antica ferocia. Gli Elvezii, i Rezii, i Norici, i Pannoni, erano chiamati Celti; e ancora ai tempi dell’imperatore Aureliano le truppe loro portavano il nome di legione celtica. I Galli, i Celtiberi in Spagna, gli Umbri antichi in Italia erano Celti. Ed è a notarsi che quelle calate ed invasioni de' Celti si effettuarono, come abbiam detto, pacificamente, non lungo tempo dopo la dispersione de’ popoli formatisi dalla famiglia di Noè, quindi prima che alcun d'essi popoli osasse mettersi in mare per fare a traverso dell'acque lungo viaggio. I Celti erano discendenti di Gomer nipote di Noè, e furono per ciò detti anche Gomeriti.
Tiram ora la conseguenza. Se vero è, come per le addotte autorità dobbiam credere, che l'Europa meridionale fu assai per tempo, e in gran parte invasa e popolata da genti discese dal settentrione, dalle popolazioni celtiche, egli è ben molto probabile che da una di quelle tribù de' Celti, dalla tribù detta de' Rezii, sieno state per la prima volta occupate e popolate le valli e montagne formanti la vasta regione che si appellò Rezia. Ciò comparirà non solo probabile ma certo a que' che sanno che gli Antichi trovarono al Mezzodì del Danubio fin per entro ai monti parecchi popoli d'origine Celti, quali erano i Giapidi, gli Scordisci, i Bastarni, i Taurisci, e li Boi. Rileggete il passo qui sopra citato in cui parlasi delle diramazioni de' Celti e delle provincie da loro occupate. E poi notatevi che la parola Alpe, come insegnano i conoscitori della lingua, viene dal Celtico, significando in quello idioma: molto alto: e potersi per ciò credere che quelli i quali alle alpi diedero il nome furono anche i primi che le abitarono.
Quando i Rezii giunsero entro ai monti il paese era tutto ingombro da boscaglie, e da selve, ed essendo eglino pastori che del latte e delle carni de' loro armenti dovevan vivere, e delle pelli d'essi vestirsi, chè la pesca e la caccia al loro nutrimento non bastavano, dovettero errare cercando pascolo, e all'avvicinarsi dell'inverno trasferirsi in luoghi più caldi verso il mezzodì. Nè quivi ancora poterono fermarsi tutti; ma spinti dal bisogno e allettati dalla vastità e fertilità delle colline e pianure d'Italia, là giù ancora discesero, e vi si andarono dilatando, facendo forse ritorno tra le alpi nella calda stagione per indi ricalare in autunno su i piani già occupati. Io non intendo con questo affermare che primi a popolare l'Italia furono i Rezii. Fa corona al bel paese un vastissimo cerchio di alpi, ed è ben certo che da più parti, e in varii tempi discesero ivi abitatori, ma certo è pure che non ultimi a calarsi laggiù furono i Rezii, e primi tra questi come più prossimi i Trentini. Che ciò sia vero l'affermano, come sopra notammo, antichi scrittori, e tra gli altri apertamente lo insegna Strabone assicurandoci avere i Rezii tenuta l'Italia. In questo senso, nel senso cioè che anche i Rezii furon tra quelli che primi diedero abitatori all'Italia, io consento pienamente, e consentir dee ognuno che senza prevenzione abbia lette le erudite sue dissertazioni pubblicate negli anni 1844 e 1845, col nostro ora defunto Conte Benedetto Giovanelli.
Leggerete, o vi si dirà, che l'Italia fu abitata ed occupate furono anche le Alpi molto prima che vi scendessero genti dal Settentrione. A provare ciò fu asserito che i due stretti di mare, quello di Costantinopoli che divide l'Europa dall'Asia, e quello di Gibilterra che separa la Spagna dall'Affrica, una volta non v'erano, e che dall'Asia pel paese che ora diciamo Turchia europea, e dall'Affrica per la Spagna potean facilmente venire e vennero a stabilirsi in Italia, ancor prima che si facesse viaggio per mare, vari popoli di varii nomi, Raseni, Iberi, Liguri, Siculi, Tusci, Ausoni, Campani ec. E a render credibile che prima ad essere occupata da que' popoli fu la parte alpina, ossia montana, si disse che la gran valle del Po in que' remotissimi tempi era per la più parte un ampio lago, o piuttosto un largo seno di mare! Se a voi piace di prestare credenza a queste asserzioni io non sarò quegli che, sebben ne dubiti fortemente, voglia vietarvelo. Quello che debbo dir è, voler ragione che abbiamo per certissimo che, se nei primi tempi vennero dall'Asia nella Grecia, e dall'Affrica nella Spagna poche o molte famiglie o tribù (e negar non si può che venute ne sieno, spezialmente dall'Asia, in qualunque modo) quelle genti non ebbero, finchè non si furono grandemente moltiplicate, bisogno o stimolo alcuno di abbandonare que’ paesi per venire in Italia, spezialmente, se, come suppongono, conoscevano già il vivere civile ed avevano coltura. La Grecia, la Spagna sono due bellissime penisole fornite da natura di tutti i vantaggi che offre la pur bellissima Italia. Per lasciare i comodi goduti in quelle, e venire a cercarne con istento d'incerti in questa, non si può immaginare alcuna ragione, se non l'eccesso di popolazione, che non è facile a provarsi avvenuto in breve tempo; quando non si voglia tenere per vero quello che le favole greche raccontano, cioè che in Grecia si facean gli uomini con le pietre gettate dietro le spalle, come fecero que' due bravi conjugi Deucalione e Pirra! Tutt'altro si dee dire di quelle genti che, essendosi sparse verso il Settentrione dell'Asia, si videro necessitate dall'orridezza del clima parte a far ritorno, e parte a piegarsi verso l'Europa. Queste poterono, e come sopra dicevamo, essendo dedite alla pastorizia, dovettero avanzarsi sempre più verso il Mezzodì. Nè la lunghezza o la difficoltà del viaggio li tratteneva, chè rivi, fiumi, e montagne sono quello che cerano i pastori. Nel breve corso di pochi anni, nessuno essendovi che a que' primi lo impedisse, poterono molte famiglie, o bande, salendo su per le valli, e poi scendendo per l'opposta ripa, lungo i grandi fiumi, e valicando erbose montagne, giungere da varie parti al gran cerchio delle somme Alpi che in sé racchiude l'Italia, e per le molte valli formate da' fiumi sul suo versante scendere chi qua chi là sulle feconde sue pendici e pianure. Se a sostegno di questo, che ragion ne dice esser potuto e dovuto farsi, noi interroghiamo l'Istoria, essa ne dice come sopra notai, che veramente già in lontanissimi tempi l’intera valle del Danubio, e la Svizzera, e le Gallie erano abitate da venuti dall'Asia per terra popoli Celti, una parte de' quali erano passati fin in quella porzione della Spagna che è bagnata dall’Ebro, anticamente Ibero, e per distinguersi dagli altri si chiamarono Celti iberi. Che poi anche bande o tribù di Celti venuti nelle Alpi siensi innoltrate bene innanzi nel bello Paese, Plinio e Solino, ce ne danno assicurazione insegnandoci che gli Umbri possessori d’una parte dell'Italia di mezzo e prossimi ai Tusci, erano Celti stabilitisi colà prima, si noti bene, prima che vi giungessero i navigatori Pelasgi partitisi dalla Grecia. Se ricordando tutto questo, e insieme il detto più sopra, voi, senza negare che anche altri popoli scesero dalle Alpi in Italia, sosterrete che i primi Rezii furono di origine Celti, e che pur d'essi alcuni calarono a popolare l'Italia, nessuno potrà con buone ragioni dimostrarvi che siete in inganno.
Ma se i Rezii, e tra questi primi i Trentini, scesero giù a popolare parte d'Italia, che avvenne poi della Rezia! Rimase ella di nuovo deserta? Che per alcuni secoli restasse poco popolata, almeno d’inverno, si può credere tanto più perché molta parte del paese era ancora selvaggia. Deesi però osservare che tra' monti gli uomini si moltiplicano più che ne' piani, di che si hanno dalle Istorie le prove di fatto. Le pianure ebbero quasi dappertutto e sempre i loro abitatori dalle montagne.
Finalmente venne quel tempo in cui l'Italia bastantemente popolata, anche da genti venutevi per mare, non dava più spazio comodo ai sopravegnenti, e i suoi abitanti ricusavan loro l'ospizio, e a respingerli usavano la forza. Fu principalmente allora che i Rezii trentini, obbligati a provvedere nel paese proprio al sostentamento delle crescenti famiglie, si diedero a distruggere su i piani, le selve per ivi averne pascoli, praterie, e campi, e a poco a poco vennero costruendosi qua e là varie abitazioni. Fu allora che Trento incominciò come centro di quelle ad avere pel commercio e per gli affari pubblici importanza di città. Il naturale e comune andamento, ed ordine delle cose umane, in difetto d'Istorie, che poche città possono per le prime loro origini produrre, è prova tale cui nessuno potrebbe altro opporre che avveratissimi fatti dimostranti, le cose essere avvenute altramente; ma chi può addur questi fatti?
Il nome originario, della nostra città fu Trent, del quale i Latini fecero Tridentum, i Tedeschi Trient, i Francesi Trente, e noi Italiani facciamo Trento. Lessi che Trent è parola celtica, ma chi l'affermò non ne disse la significanza. Quello che è a notarsi è che Trent è il vero nome che gli abitatori tutti del Trentino danno ancora in lor dialetto alla propria città. E' poi convenuto tra i Dotti che le istoriche antichità si traggono con assai più certezza dai dialetti che dalle lingue scritte. Un buon uomo sognò che l'antico nome di Trento fosse Turutunusa! Crederete voi piuttosto a costui che ai Trentini? Non posso qui far a meno di osservare che, se Trent è il vero originario nome della nostra città, vane, per non dir ridicole, riputare si debbono tutte le congetture e le conclusioni tirate dalla voce Tridentum, voce latina, e certamente di molti secoli a Trent posteriore.
Di quello che fu proprio de' Trentini rezii primi non misti ad altre genti, diremo alcune cose quando terremo discorso del loro governo, e de' costumi. Gli avvenimenti che restano a narrarsi meritano adesso nuova e molta attenzione.·Dicemmo della venuta de' Rezii nel nostro paese giuntici dal Settentrione, non ommettemmo di far menzione delle loro calate sul piano d'Italia, e procurammo d'indovinare il tempo in cui questo popolo incominciò a vivere stabilmente in queste valli, e ad avere per centro de' suoi pubblici e privati negozii la città di Trent. Adesso la scena sta per essere di molto cangiata. Vedremo gl'Italiani venire da giù in su a stabilirsi nel Trentino, e a conquistare la Rezia. E non saranno mica le nostre sole congetture e supposizioni, saranno fatti, e fatti certi, provati, innegabili.
Avvenimento memorabile, il primo di grande importanza avveratosi nella superiore Italia, di cui si abbiano certe memorie, fu la venuta de' Veneti, e la cacciata degli Euganei. Raccontano gli antichi Istorici che questi abitavano le sponde intorno all'Adriatico fino ai piè de' nostri monti di levante e mezzodì, e ch'erano in molte tribù, o cittadinanze divisi, e nobilissimi per coltura e rinomanza. E aggiungono che i Veneti, secondo alcuni, gente venuta dal distrutto regno di Troja, e secondo Tolomeo popolo dell'Illirio, costrinsero gli Euganei a cedere loro i luoghi, e quindi ad abbandonare il loro paese che occupavan da secoli. I Trentini, se cogli Euganei, com'è presumibile, avevano commercio, dovettero per una guerra che si fece in loro vicinanza non solo stare in angustie, ma risentir gravi danni, perché non è a credersi che gli Euganei cedessero prima di avere forte e lungamente combattuto. Dov'essi vinti e fugati andassero a ricoverarsi, dagli Scrittori non è detto. Plinio afferma che Verona era de' Rezii e degli Euganei, ma non dice se dopo, o prima della sconfitta di questi. Lo stesso autore ne insegna però che Euganei soggiornavano entro alle valli Trompia, e Camonica; e se dovessimo ammettere; ciò che ha molta probabilità, ch'ei siensi colà portati dopo avere perdute le antiche loro sedi, si potrebbe con più ragione affermare che molti di loro chiesero ed ottennero asilo nel Trentino ad essi prossimo, dove il popolo amico poteva sperare di poter meglio col loro ajuto resistere ai Veneti se tentata avesser l'entrata in questi monti.
Non molto dopo la disfatta e dispersione degli Euganei, la Italia di qua del fiume Po, e le Alpi, spezialmente le Retiche, furono invase dagli Etrusci detti anche Tusci, e assoggettate al loro dominio. Il più istrutto, accurato, ed autorevole di tutti forse gl'Istorici, Tito Livio padovano, è quegli ch'espone chiaramente, sebben con poche parole, questo fatto memorando. Nella Decade prima, libro quinto egli scrive: Prima ancora che formato si fosse lo stato de' Romani, erano i Tusci in terra e in mare potentissimi, e di molto paese dominatori, essendosi allargati dal mare toscano che prese nome da loro all'adriatico detto così da Adria colonia pur d'essi. E le dodici Colonie che mandate avevano oltre l'Apennino, s'impadronirono di tutti i luoghi che sono su la sinistra del Po fino alle Alpi, eccettuato l’angolo de' Veneti che sono presso al mare. E questa è senza dubbio l’origine anche delle genti alpine, massimamente de' Rezii: i quali da' luoghi stessi furono resi brutali per modo che nulla ritennero dell’antico, fuorché il suono della lingua, e nemmen questo incorrotto.
Il senso di questa narrazione è chiaro, è più che evidente. Ma poiché nessuno de' nostri scrittori vi pose la debita attenzione, e ne fece quel conto che pur doveasi farne grandissimo, è necessario che i detti di Livio sieno bene spiegati, e il vero senso loro sia fatto chiaro fino all'evidenza, perché si viene a stabilire con ciò, e a render indubitato un fatto, che toglie dalla nostra Istoria un dubbio, un'incertezza, che molti, e molti uomini anche dotti non seppero finora deporre. Livio racconta, che le Colonie dai potentissimi Etrusci stabilite di qua dell'Appennino fin al Po, venute su la sinistra di quel fiume conquistarono tutto il vasto piano fino al piè delle alpi, eccettuato un solo angolo di terreno occupato dai Veneti. Gli abitanti dell'ampio paese conquistato, e indubitatamente ivi n'eran non pochi da lungo tempo, non sono da lui nominati perché, come chiaro apparisce dal contesto, in quel luogo egli volle far sapere solamente quanto fosse ampio e fin dove si fosse esteso il dominio de' Tusci. Indi continuando il discorso aggiunge: Anche delle genti alpine (si noti bene quell’anche) tal è, questa è (in latino ea est) l’origine, massimamente de' Rezii. È chiaro che esso con ciò volle dire: I Tusci dopo essersi impadroniti delle pianure s'inoltrarono anche nelle montagne che quelle circondano, e principalmente nelle retiche più vicine. Degli antichi popoli alpini sottomessi dai conquistatori Etrusci non fa parola per la stessa ragione per cui non menzionò i vinti del piano. Noi vedemmo che nella Rezia erano abitatori molto prima che i Tusci venissero di qua di Po. Non si può dunque la parola origine intendere qui in altro senso che in questo: I Rezii che parlavano la lingua etrusca vennero dall'Etruria, ossia trassero origine da quegli Etrusci che della Rezia in antichi tempi s'impossessarono. Quello ch'ei segue a dire spiega e dilucida maggiormente il suo pensiere già chiaro per sé. Gli Etrusci, dic'egli, ne' luoghi nei quali si stabilirono, per causa di questi luoghi aspri e selvaggi, imbrutirono siffattamente che tutto scordarono quello che alla loro venuta nella Rezia sapevano, od usavano dell'antico, e fin quasi l'uso della lingua etrusca, che bene parlavano alla loro venuta, quivi smenticarono, pronunziandola essi corrotta. Che vuole dir tutto questo se non che que' Rezii che ai tempi di Livio parlavano la lingua etrusca, sebben corrottamente, erano d'origine Etrusci cioè venuti dall'Etruria, e che quello che qui smenticarono aveanlo i loro antenati anticamente imparato ed usato in Italia? È dunque un errore manifesto il conchiudere dai detti di Tito Livio, che i Rezii tutti erano in origine Etrusci e degli Etrusci progenitori; quando egli, fissandone approssimativamente il tempo ai principii di Roma e accennando a fatti certissimi, afferma per cosa non dubbia che gli Etrusci originarii dalla Toscana vennero a conquistare la Rezia già molto prima, come vedemmo, da un altro popolo abitata. Questo errore apparirà più solenne ancora da quello che ci rimane a narrare. Delle cause che apportarono corruzione di lingua e dimenticanza dell'antico negli Etrusci che vennero a prendere stanza nella Rezia, diremo in altro luogo.
Conquistata ch'ebbero i Tusci insieme all'altre alpi la Rezia, restarono essi in possesso di tutto il paese per sempre? Sono indotto a proporre questa domanda per sapere che già da tempo immemorabile parlansi nella Rezia due lingue l'una dall'altra in tutto differenti, nel settentrione quella de' Germani, e nel mezzodì quella degl'Italiani, ed anche nel vedere che l'indole, o come dicesi il carattere di questi differisce grandemente dalla natura di quelli. Per le anticaglie certamente etrusche perché distinte con etrusche, italiche, iscrizioni, che non solo sul Trentino, ma anco di là dell'alto Brenner, e fin nel Norico furono scoperte, delle quali discorre a lungo il nostro dotto antiquario Conte Giovanelli nelle sopra citate dissertazioni, pare doversi avere per certo che in principio, manifestando le scoperte cose remotissima antichità, abbiano i Tusci estese le loro conquiste e la dominazione per tutta la regione alpina come da Tito Livio è affermato. Ma la differenza che da secoli è nella lingua degli abitanti, e in tutto quello che li distingue, porge argomento forte per credere che i Rezii settentrionali, quelli di là dall'Alpe, od abbiano da sé medesimi scosso quel giogo, e siensi rimessi nell’indipendenza, o sieno stati insieme agli Etrusci assoggettati da qualche popolo ad essi confinante, forse da’ Taurisci, e forse dalli Boi. Quello ch’è certo è che dove si conservò l’italica lingua ivi si mantennero stabilmente gli Etrusci; e questo è quello che dirsi dee segnatamente del Trentino, dove, come subito dirò, altri ne giunsero una seconda volta. Della lingua tedesca introdotta di qua dell’alpe diremo altrove.
I Galli che, siccome accennammo, emigrarono più volte per varii paesi, venuti anche in Italia, ebbero quivi cogli Etrusci aspre e lunghe guerre, che al dire di Livio durarono quasi non mai interrotte per ben dugento anni; e i luoghi de’ combattimenti furono, dic’egli tra le Alpi e l’Appennino, cioè nel gran tratto che fu poi detto Gallia Cisalpina, e più tardi Lombardia. Finalmente un nuovo esercito di quella gente bellicosa (guerresca) vinse gli Etrusci ch’erano di qua di Po, e li costrinse ad abbandonare que’ luoghi e cercarsi ricovero in altre terre. Molti di questi condotti da un capitano che fu detto Reto vennero nelle alpi retiche dov’erano i loro connazionali e fratelli. Questo fatto è riferito da Livio quanto alla cacciata degli Etrusci, e quanto a questa cacciata, e all’arrivo de’ Tusci nella Rezia, da Giustino. Ed io non posso non meravigliarmi che i nostri Scrittori non abbiano mai notate le due venute degli Etrusci nella Rezia in due epoche l’una dall’altra lontana di alcuni secoli! e che siasi invece dei due racconti di Livio e di Giustino composto un cotale pasticcio che nella nostra Istoria mise e perpetuò nuova confusione. Vediamo noi al lume della critica in che Giustino meriti, e non meriti fede. Vero è che i Galli Sennoni, que' medesimi che andarono a saccheggiar Roma, il che avvenne l’anno trecentosessantatrè dopo la sua fondazione, batterono gli Etrusci di qua di Po, ed obbligatili a fuggire, si fecero padroni di tutti i luoghi infino all'Adige. Lo afferma Tito Livio. Vero è pure che molti di que' Tusci vennero nel Trentino. Qui avevano stanza Etrusci come là giù; questi e quelli eran tra loro non solo amici ma confratelli, e non è dubbio che facevano di tutto causa comune, perché formavano insieme un solo corpo di nazione. Attaccati que' del piano dai Galli ne diedero avviso a quelli di quassù, che accorsero alla difesa, e combatterono; ma essendo restati soccombenti, gli avanzati alla strage si ricoverarono tra' monti. Evvi al mondo cosa più naturale, e più comune di questa? Anche Giustino dunque, essendo il fatto accaduto così, disse verità. Ma egli poi s'ingannò quando aggiunse che i Tusci, perdute avendo le sedi loro ed occupate le alpi, diedero origine alla nazione de' Rezii così appellati dal nome del loro duce. Tutto il detto e provato da noi infino a qui dimostra ad evidenza che questo suo racconto non merita fede alcuna. Livio ne assicura che gli Etrusci eransi qui stabiliti circa cinque secoli prima, e noi trovammo che anche a quel tempo la Rezia aveva abitatori venutivi dal settentrione. E se dovessimo ammettere che un capitano sia venuto co' suoi Tusci fuggitivi, saremmo autorizzati per le premesse a dire che fu appellato reto cioè retico, appunto perché da' suoi connazionali, che dal luogo di loro dimora, si chiamavano Rezii fu nella Rezia accolto. Si è mai udito che un duce vinto in battaglia e fuggitivo coi seguaci suoi avanzati alla strage abbia dato il suo nome ad un vasto paese già molto prima popolato? Poteva la Rezia essere deserta e senza nome verso la fine del quarto secolo di Roma?Fonte/commento: 76 E la esposta non è già la sola falsità spacciata dal poco accorto Giustino. Ei dice ancora che i Galli, avendo fugati gli Etrusci e costrettili a ritirarsi nella Rezia, qui nella Rezia edificarono Trento. A questa sua nuova fandonia io contrappongo la giudiziosa riflessione del dotto nostro Barone Giangiacopo de' Cresceri. La contraddizione in questo testo, dic'egli, è chiarissima, né so concepire come mai Giustino abbia potuto ottenere credenza per tanti secoli. Ei narra, i Galli avere scacciati gli Etrusci che si ritirarono nelle alpi. Per conseguenza quelli rimasero nel paese aperto d'Italia. Sicché e come mai edificarono Trento i Galli, se esso resta nel cuore delle Alpi e della Rezia? Cresceri: Ragionamento intorno ad un'iscrizione Trentina ec. Null’altro dunque del racconto di Giustino puossi ragionevolmente avere per vero che la venuta seconda nella Rezia di Etrusci fugati dai Galli, e qui accolti dai loro connazionali stabilitivisi come conquistatori più di quattrocento anni prima.
Gli Etrusci rezii per la intromissione de' Galli, che è quanto dire per l'occupazione da questi fatta di tutto il piano di qua di Po, furono separati dappoi sempre dagli altri che ancor rimasero di là e in Toscana, e quindi perdettero i vantaggi che loro procurava per lo innanzi il formare parte di una grande, potente, e colta nazione, fu loro tolto di progredire con quelli di là nell'incivilimento, molto dimenticarono dell'antico, e fin la lingua o restò incolta, o fu soggetta a corrompimento. Queste a parer mio, anziché l'asprezza de' luoghi, come vuol Livio, furono le cause vere di ciò ch'ei dice di dimenticanza e di corruzione. I Trentini trovandosi in prossimità de' Galli nemici n'ebbero a soffrire in tutto danni maggiori che gli altri posti più verso il settentrione.
Avvenne di fatto che i Galli, andatisi a poco a poco avanzando entro alle valli del Bresciano, giunsero a impossessarsi anche di alcune spettanti al Trentino verso occidente. Di questo n'assicura il geografo Tolomeo. Il quale insegna che una schiatta di Galli, da lui detti Becuni, divisi in varie tribù o società, aveva preso stanza nelle valli del Sarca e del Nosio, le quali ei nomina Saracca e Anonio. L'Anonio, che noi per la ragione che dirò diciamo Naunia, conteneva tanto la Valdisole quanto il paese che in dialetto diciamo Valdinon. La vallea Saracca abbracciava, come al presente: Rendeva, le Giudicarie, e le Sarche fino ad Arco e Riva, cioè fino al Benaco. In conseguenza anche la valle di Ledro, e quelle del Chiesio vennero in possesso de' Galli. Forse un conoscitore delle lingue visitando le dette valli vi troverebbe ne' dialetti non poche parole di gallica origine.
I Galli cisalpini venuti in Italia a portar guerra agli Etrusci, e poscia ai Romani per lungo spazio di tempo, furono da questi ultimi perseguitati con tale e tanta perseveranza che dovettero finalmente sottoporsi al giogo che Roma andava imponendo ai popoli i più bellicosi. Quando e come i Galli abbian dovuto cedere il predominio sopra la parte del Trentino da essi tenuta; quando i Romani siensi impadroniti, e sotto qual pretesto, d’una porzione del nostro paese io nol trovo chiaramente notato, e poco rileverebbe il saperlo con precisione. Quello, che dagl'Istorici è riferito come fatto non dubbio è, che al tempo in cui li Cimbri, i Teutoni, ed altri popoli della Germania (circa un secolo prima della venuta di Gesù Cristo) attaccarono col barbarico loro impeto la Gallia e l'Italia, i Romani avevano di buon tratto del trentino territorio preso possesso. I Cimbri vennero dal settentrione sboccando per più valli. Lutazio Catulo, che qui comandava le romane milizie, non avendo potuto occupare tutti i passi, e far loro opposizione, e visto come i barbari passaron l'Adige sotto gli occhi suoi facendosi ponte con alberi e grosse pietre gettatevi entro, si ritirò coll'atterrito esercito fuori de' nostri monti inseguito da' Cimbri fin giù sul piano. Livio, Plutarco, Floro, ed altri, li cui passi trascrisse il Conte Giovanelli nella erudita sua opera: Trento città de' Rezii e Colonia romana: parlano di questi memorandi avvenimenti in modo che si dee credere, avere i Cimbri tragittato l'Adige presso Trento, e da Catulo essere stato lasciato presidio (guardia a difesa) nel forte castello, retico o etrusco, ch'era sulla Verruca, nome dato a quel piccol monte isolato in vicinanza di Trento, però su la destra del fiume, il qual monte è detto adesso Doss Trent. Essendo presto dopo stati vinti e disfatti i Cimbri da Mario accorso in ajuto di Catulo, è più che verosimile che i Romani sieno subito venuti (inseguendo forse gli avanzi de' nemici, che altri crede aver ottenuto di starsi quieti nella valle di Cembra) ad occupare Trento, ed una parte della provincia.
E questi che nell'ordine in cui succederonsi ho esposti, sono gli avvenimenti de' primi antichi tempi riguardanti la Patria nostra. Il Trentino, parte assai ragguardevole dell’ampia Rezia, abitato in prima come il rimanente della regione da' Rezii, popolo venuto dal Settentrione, diede non meno che gli altri tratti del gran cerchio delle Alpi, abitatori agl'italici piani; poi secondo ogni probabilità fece accoglienza nelle sue valli a profughi Euganei; indi fu invaso e posseduto dai Tusci, o Etrusci; molto dopo ci vennero altri Etrusci accoltivi dai primi qui dominanti; qualche tempo dappoi ne occuparono piccola parte i Galli; e più tardi una maggiore i Romani. Gli abitatori suoi ebbero da prima il nome generico di Rezii; conquistati dai Tusci furono detti Rezii etrusci, o Etrusci rezii; ma il nome loro particolare fu sempre quello di Trentini formato e derivato da Trent città di loro capitale.
Alle prove addotte per dimostrare veri gli esposti fatti se ne aggiunge un'altra, per mio avviso concludentissima, somministrataci dalle indagini fatte da varii Dotti, e spezialmente ai dì nostri da Steub; e dal nostro giudizioso diocesano Thaler, sulle origini degli antichi vocaboli che tuttora sono in uso in varie parti della Rezia. Essi vi trovano parole di lingua celtica, e sono le più antiche, non derivate da alcun'altra; ne rinvengono altre di lingua giudicata etrusca; alcune di pelasgica, ossia greca; e finalmente molte di romana, ovvero latina. Questo ne dice chiaramente che nella Rezia si parlò prima di ogni altra lingua quella de' Celti, la quale venne estinguendosi, non però del tutto, dopo la invasione degli Etrusci; che questi col proprio italico idioma introdussero qui anche termini greci imparati dai Pelasgi, e da altri coloni venuti dalla Grecia in Italia; e perultimoFonte/commento: 76 che i romani ultimi venuti, fecero prevalere, spezialmente nella Rezia meridionale, il Latino all'Etrusco ed al Celtico parlato in tutto il paese dai primitivi abitatori, e più tardi rinovato nelle parti verso occidente dai Galli, Celti ancor essi. Così le ricerche dei Dotti intorno alle antiche lingue parlate nella Rezia confermano quanto ne insegna l'Istoria, e la Istoria offre schiarimento ai loro trovati, ed ajuto per metter ordine alla successione dell'uno all'altro de' varii linguaggi.
Del governo, de' costumi, e della religione de' Trentini antichi è difficile parlare con ordine e con precisa verità; non perché manchino le notizie, ma perché a cagione del mescolamento de' varii popoli, nonché della lontananza de' tempi, non è sempre possibile discernere bene di qual popolo e di qual tempo inteso abbiano gli scrittori parlare. I loro racconti si riferiscono sempre alli Rezii, ma resta dubbio a quali; se agli antichi che noi dicemmo essere stati Celti, o ai posteriori Etrusci nella Rezia dominanti. Io dirò di quello ch'è meno incerto, ed ha in sè maggiore importanza.
Gli scrittori che dissero de' Rezii in generale ci raccontano d'essi verità, e falsità. Vero è che nella Rezia erano alcune città, e molti castelli fortificati. E se questo è detto de' tempi vicini alla romana invasione, ognuno dee tuttavia ammettere che que' castelli, e quelle città erano testimoni della lontana antichità della loro costruzione; ché il molto non si fa in breve tempo, meno poi trattandosi di castelli, e di città per quanto si vogliano queste supporre di poca ampiezza. Vero è pure che in questi castelli sapevano i Rezii difendersi bravamente fino all'estremo, e per conseguenza ch'erano valorosi, e della indipendenza a tutti i non vili carissima amanti. È anche verità ch'essi commerciavano con li vicini popoli comperando grano, e vendendo resina, tede di pino, miele, e formaggio. Il qual genere di commercio fa manifesto che questi popoli erano dediti alla coltura de' boschi, alla cura delle api, alla vita pastorale, vita quieta, di pochi bisogni, che tiene lontani i popoli dal ruinoso lusso, e da' vizii ch'esso genera, e conserva nelle genti la rozza sì ma tranquillante semplicità de' costumi, e un invincibile amore de' suoi e della patria.
Ma se tutto questo è vero, e lo afferma con altri Strabone, falso poi è ciò che questo medesimo geografo; e Dione Cassio lasciarono scritto a vitupero de' Rezii. Dissero che questi erano per povertà dediti ai latrocinii, e facevano incursioni nelle terre de' confinanti popoli per riportarne bottino (cose rapite) e che uccidevano i prigioni di guerra e fino i figliuolini di questi maschi, ch'ei distinguevano dalle femmine prima ancor che venissero al mondo per certe loro cerimonie superstiziose! Or chi mai fornito di sano intendimento presterà fede a racconti quali sono questi incredibili! Qual popolo va, se non in tempo di guerra dichiarata, a depredare le terre de' vicini con li quali sta in commerciale corrispondenza! E chi ci assicura che quelle incursioni, se pur le fecero, erano ingiuste, e non piuttosto fatte per gastigare chi aveva loro primo nociuto? Queste accuse furono date ai Rezii da scrittori a’ quali giovava adulare i Romani. Questi, come si vedrà, trovarono nella Rezia forte e ostinata opposizione al loro spirito di conquista e di rapina; e gli scrittori attribuirono alla retica nazione delitti che non commise, e delitto chiamarono fin il difendersi dagli invasori. Questo scrivere calunnie contro gli oppressi è vizio comune agli scrittori partitanti e venduti; ma sciocco chi loro crede!
La Rezia, come insegna Plinio, e confermano altri che ci mostrano i Rezii divisi in molte tribù con proprii differenti nomi, formava una confederazione (un’alleanza) di stati quanto all’amministrazione interna di ciascuno d’essi indipendenti; confederazione che durò anche dopo la venuta degli Etrusci, i quali in ciò non differivano punto dai Celti, nè da alcun’altra nazione antica, avendo essi pure, divisi com’erano in tribù, i loro capi elettivi denominati Lucumoni. Que’ capi, essendo eletti dal popolo, non avevano autorità di sovrani, ma erano vincolati dai patti tra gli elettori ed essi convenuti, e sopratutto dalle consuetudini antiche le quali erano leggi presso loro inviolabili. Tal era la pratica di tutti gli antichi popoli. I Trentini dunque, non altrimenti che gli altri Rezii, tanto prima che dopo l’arrivo degli Etrusci, governaronsi a repubblica, cioè ubbidivano alle vecchie consuetudini, e ai nuovi provvedimenti dettati dal bisogno o dalla convenienza, e seguivano capi eletti a loro scelta liberamente.
Dopo che si furono qua stabiliti gli Etrusci incominciarono i Trentini, in spezie quelli delle valli più favorite dalla natura, ad applicarsi alla coltura de' campi e de' vigneti. Scrittori antichi fanno menzione di un aratro singolare ideato ed usato dai Rezii. Virgilio, Plinio, e Columella prodigano lodi ai vini della Rezia prossima al veronese, dunque ai vini del Trentino, mettendoli al paro ed anche al di sopra de’ migliori d’Italia. Non credo che i Rezii primitivi sapessero coltivare la vite; anzi consta che i Celti non ne coltivavano. Più probabile è perciò che tanto la pianta quanto la sua coltivazione sia venuta dagli Etrusci. E se così fu, bisogna credere, sebben Livio asserisca ch'essi nella Rezia nulla ritennero dell'antico, che almeno la maniera di fare il vino abbianla conservata.
Delle costumanze, e della religione de' Trentini vale per li primi tempi quello che si legge de' prischi popoli, e spezialmente de' Celti. Furono pastori, e cacciatori; ebbero molta attitudine alla guerra; grande in loro era l'amore di patria; amavano le loro donne; ma volevano essere da loro serviti. In punto di religione, sebben prestassero una specie di culto al Sole, e alla Luna, forse come a vicarii della Divinità, riconoscevano il Dio vero e solo, e credevano le anime nostre immortali, e meritevoli di premii e di pene in un'altra vita secondo le azioni, ch'ei tenevano buone o cattive, in questa praticate.
Quanto ai posteriori tempi, quando il paese trovavasi popolato in gran parte da Etrusci che vi signoreggiavano, dobbiamo fermamente credere che, come i Romani a detta de' loro Istorici appresero le arti, le lettere, le norme onde regolare la città e 'l culto religioso dai potenti e colti Etrusci, così anch'essi i Trentini impararono dai medesimi Etrusci molto di arti, di lettere, e di teorica e pratica religione. E siccome gli Etrusci vennero a stabilirsi nelle nostre valli assai per tempo in buon numero, e dopo ne sopraggiunsero altri, e insieme prevalsero in tutto sopra li Rezii originarii da loro sottomessi, dubitar molto dobbiamo della piena verità di ciò che affermava Tito Livio, avere cioè gli Etrusci nella Rezia dimenticato tutto quello che prima avevano di etrusco, e fin quasi la stessa lingua. Ammettiamo pure, come già osservava, che gli Etrusci in queste alpi, dopo che furono disgiunti per circa quattro secoli da quelli di là di Po per l’intromissione de' Galli, più non potendo partecipare alla maggiore crescente civiltà di quelli, e dovendo accomunarsi; affratellarsi con li Rezii della prima razza, e coi Galli, molto abbiano perduto dell'antico, e divenuti sieno rozzi alla foggia de' montanari, tutto questo è credibile. Ma che nulla essi abbiano ritenuto dell'antico, ciò non sta coll'ordine naturale, ciò non si può credere. Ci autorizza a non prendere a rigore quella sua asserzione Livio egli stesso. Ei ne assicura che al tempo suo parlavasi nella Rezia la lingua degli Etrusci; corrotta sì e dissomigliante da quella che parlavano gli Etrusci di oltre Po, ma però lingua etrusca. Ciò basta; imperocchè se i Rezii etrusci parlavano ancora al tempo di lui e di Augusto la loro antica lingua; è al tutto impossibile ch'essi non abbiano ritenuto anche molto di quello che conoscevano, e praticavano, e col medesimo linguaggio esprimevano allorché vennero nella Rezia.
Parlando Plinio de' popoli alpini, e delle alpi affermò appartenere queste e quelli all'Italia, che dice esser sacra agli Iddii. E veramente in senso geografico appartiene all'Italia tutto l'ampio territorio che stendesi fino alla somma Alpe. L'Italia è il bel Paese che Apennin parte (divide) e 'l mar circonda e l'Alpe. Il Trentino poi fu ed è Italiano anche per lingua, per indole, e per costumanze de' suoi abitanti già dal tempo in cui gli Etrusci si furono qui stabiliti, e fattisi dominatori, cioè da non meno di secoli venticinque. Nessuna delle molte e varie vicende che, siccome vedremo in tutto il seguito di questa Istoria, agitarono i Trentini, mai poté alterare la loro nazionalità; ei si mantennero sempre Italiani. Di che tanto si compiaciono, ed a ragione, i Nostri, che molti vorrebbono pure persuadersi essere stati i Rezii, e con essi i Trentini, sempre Italiani o per lo meno un popolo venuto da regione in cui già era in fiore la bella ed utile coltura. Egli è forse perciò che, attenendosi, nell'interpretare i passi di Livio e di Giustino, alla lettera, e sostenendo che i Rezii trassero origine dagli Etrusci, vorrebbono dalla Rezia escludere ogni altro popolo non colto in essa pria della venuta di quelli stabilito. Ma la Istoria non si fa coi desiderii, essa risulta dai fatti. E ad ogni modo conviene ammettere, che tutti i primi popoli erano rozzi e barbari, quali per esempio furono gli stessi Greci per secoli. Noi vedemmo fatto credibile che i Rezii primitivi furono o Celti, o qualche altra razza di gente venuta dal Settentrione; ed imparammo da Livio che i Tusci vennero nella Rezia al tempo in cui si fondava Roma, e forse prima. Non basta potersi dire Italiani per si lungo corso di secoli? E per secoli ne’ quali, notiamcelo ben bene, profittando delle opere degli Etrusci e de’ Romani, e poscia di età in età di quelle di tanti sommi Italiani, spenta e dimenticata l’antica barbarie, poterono i maggiori nostri imparare da quelli quanto in coltura e in sapienza si conosce di meglio nel mondo?