La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano/Introduzione
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INTRODUZIONE
Lo studio dell’uomo può chiamarsi la scienza delle scienze. In qualunque aspetto si consideri, presenta sempre una sorgente d’interminabili ricerche, e spesso un impenetrabile muro, cui è vietato il sorpassare. Sconsigliato è colui che, non volendo rispettare quest’argine, s’ingolfa in mille inchieste inutili, impossibili, e pericolose. Quanto meglio farebbe, se piuttosto s’impegnasse di esaminare a fondo quello, che non eccede i limiti dell’umano sapere!
Nel vasto campo che ci presenta l’uomo, non volendosi coltivare che le sue neglette qualità, i suoi più estrinseci e manifesti attributi, i suoi stessi semplici ed esterni movimenti, quanto ancora vi rimane da perfezionare, e da raccogliere? Evvi mai cosa più visibile, più comune e più semplice del gestire dell’uomo? e pure quanto poco si riconosce di esso!! Si guardi, di grazia, per un momento la mimica in tutti i suoi aspetti, ed indi si giudichi non solo della estensione vastissima, ma di quello ancora che ne rimane a percorrere. Si scorra col pensiero la sua parte descrittiva, la filosofica, e l’archeologica, ed a queste si aggiunga di più la pratica, che ha luogo presso tutte le nazioni viventi, e vedrassi quanto poco si conosce della forza mimica dell’uomo, e quant’altro mai abboasi ad osservare di essa. Ma quest’Oceano di scibile arrestar non dee quell’uomo, i di cui passi arrestati non furono, nè atterriti dal vero Oceano dell’infido elemento. Coraggio dunque. Cominciamo quindi dal valicare i lidi ben noti; chi sa se da questi non si possa un giorno giungere alla scoverta di altre ancora ignote terre? Quella fiamma che non ci abbandona se non con l’ultimo respiro, la speranza cioè, ci guiderà forse ad altri porti sicuri, ed a novelle scoverte. Entriamo dunque francamente in materia dopo la seguente protesta. Non intendiamo distendere nella presente introduzione nè l’elogio dell’opera, nè molto meno quello dell’autore, rilevandosi l’utilità dell’una, come il coraggio e la costanza dell’altro nel concepirne l’idea, nell’affrontarne le difticoltà, e nell’impegnarsi a superarle. Tutto ciò è riserbato meglio a coloro che si daranno la pena di leggere, rileggere, ed imparzialmente ponderare il presente lavoro. La nostra unica mira adunque in questo, qualunque siasi preludio, è di esporre tutto ciò che da una parte potrà renderci scusabili per alcune necessarie, o almeno involontarie mancanze; e dall’altra di accennare quelle idee, che potrebbero esser sì di sprone, che di facilitazione a quei dotti, i quali volessero occuparsi alla ricerca di nuove scoverte sulla conoscenza della nostra inimica, come su quella ben più recondita degli avi nostri.
1. Occasione dell’opera. Semplice e naturale fu la circostanza, che da alcuni anni ci fece concepire l’idea di occuparci ad illustrare la sempre e comunemente decantata mimica de’ Napoletani, non che la sua perfetta rassomiglianza all’antica. Ritrovandoci nell’incarico di dare qualche verbale spiegazione a coloro, che venivano ad ammirare la numerosa raccolta de’ vasi Greci-dipinti nel R. M. B. non mancavamo nelle opportunità di far in essi osservare alcuni antichi gesti, dell’intutto simili ai nostri; e quindi dar loro la medesima spiegazione, ed attribuire a quelli le medesime idee, che dai Napoletani loro si attaccano. Tali osservazioni, che colpivano i Napoletani, ed erano all’istante gustate da essi, ed anche da qualche Estero, abitante il mezzogiorno dell’Europa, divenivano fredde ed insignificanti per coloro, che nati in più lontane regioni, pel loro freddo, ed attempato sistema, sono piuttosto disadatti al gestire. Alcuni dotti però fra questi, che per la prima volta incontrarono diflicoltà nella intelligenza del nostro gestire, e grandissimo dubbio sulla sua corrispondenza con l’antico, non si astenevano dal sinceramente manifestarcelo. Questi medesimi Archeologi, dopo qualche anno ritornati fra di noi, ci si presentarono con altro pensiero. Cominciarono essi a dimostrare non poco impegno d’istruirsi sulla nostra mimica, sia antica, sia moderna; ed appena giungevano a gustarne qualche tratto, che si mostravano sorpresi e soddisfatti insieme. Infine, in progresso di tempo ci accorgemmo, che le loro inchieste non erano figlie di una vana e passaggiera curiosità, ma dell’impegno di conoscer bene siffatte materie, e profittarne: come infatti non han mancato di occuparsene; e nelle loro ulteriori produzioni darne delle dotte ripruove. Questi fatti accompagnati dalle incessanti premure a noi fatte da non pochi di essi, erano uno stimolo sufficientemente forte a farne determinare di accingerci all’opera. Il moderno ha benanche avuta la sua parte in questa nostra determinazione.
Vedevamo con pena tanti bravi nostri artisti, i quali per contentare la giusta curiosità degli esteri, non cessavano, come tutt’ora non cessano, a comporre delle graziose Bambocciate, per rappresentare gli usi di queste contrade; ma sventuratamente, ancorché dessero a queste loro composizioni il nome di Bambocciate parlanti, queste ben rare volte parlano. Per lo più le loro rappresentanze dicono o nulla, o ben poco. Le figure sono bene aggruppate, ma nei loro gesti vi si vede una tediosa monotonia, ed un bisogno di vivacità, e di queir anima, che non suole mancare ai nostri venditori, o ad altri che conversano fra di loro. Immaginammo perciò da prima di dare alla luce una raccolta di Bambocciate esclusivamente patrie, nelle quali vi si rappresentasse un soggetto di conversazione, scelto in modo che ogni persona facesse la sua parte mimica, e con quel gesto, che naturalmente esprimesse le sue idee.
Questo è quello, che ci siamo impegnati di ottenere nelle prime sedici tavole aggiunte all’opera1. Speriamo che esse saranno di occasione ai nostri bravi artisti, da scegliere nelle loro composizioni non più il solo e semplice soggetto; per esempio del venditore di acqua, di frutta, di pesci, del Cantatore di Rinaldo ec., ma degl’incidenti ancora animati e parlanti, che spesso accompagnano tali rappresentanze.
A tutto ciò, per dare il colmo alla nostra determinazione, si aggiungeva così il sentire le continue domande, che gli esteri fanno ai nostri, sul significato del tale, o tal altro atteggiamento; come l’affetto pel patrio suolo, che c’invitava ad illustrare, per quanto era in nostro potere, anche questa apparentemente disprezzabile parte degl’interessantissimi usi del nostro paese, che sono in realtà pieni di filosofia, che potrebbe dirsi Romana, Greca, Naturale. Soffrivamo infatti mal volentieri, che questo nostro modo di esprimerci coi gesti, sì nobile per la sua origine, sì vago, rallegrante, e piacevole nel suo esercizio, sì utile, e tal volta necessario pe’ suoi effetti, rimanesse ancora inonorato e negletto.
2. Oggetti dell’opera. Non ci stancheremo mai di ripetere, che la idea principale della nostra intrapresa è l’offrire al pubblico un saggio della mimica de’ Napoletani, e del suo concatenamento con quella degli antichi. Ciocchè abbiamo detto, e diremo sulla difficoltà di questa scienza, dimostra abbastanza, che non si può pretendere altro da colui, che il primo tratti un tale argomento. Se mai l’autore giungerà a tracciare una strada qualunque fra questo tanto folto, quanto spinoso bosco, avrà certamente acquistato un dritto alla gratitudine de’ dotti, non che de’ curiosi di ogni classe. Ciò posto, veniamo ad esporre, ed anche con ingenuità le idee che abbiamo avute presenti nel distendere questo tentativo.
Come da quello, che dicemmo nel n. 1. il figlio primogenito del nostro pensiero su quest’opera fu l’antichità figurata, e le ricerche da farsi su di essa; così a questo sempre abbiamo dirette le nostre cure nel ragionare sulla mimica; e dopo dell’antico ci siamo con tutto l’animo rivolti al moderno. Se poi col fatto si vede che tutti i nostri discorsi incominciano dal moderno, si è, perchè lo crediamo il primo anello di questa catena; anzi il primo scalino per montare al piano nobile del grand’edificio mimico. Havvi di più in favore del nostro metodo un altro argomento, la di cui forza ci viene dimostrata da una giornaliera esperienza; ed in comprova del quale rapportiamo il seguente aneddoto.
Soleva un archeologo imparziale dare ai suoi discepoli quest’avvertimento. Vi dispiace, o figliuoli, (egli diceva) che l’antichità da molti sia stimata brutta, e da moltissimi disgustosa e seccante? esaminate la cagione di un tal modo di pensare di costoro, e vi calmerete. L’antichità è bella, è vero, ma nello stesso tempo è vecchia. Or il volto di una donna, qualunque sia l’avanzata sua età, non mai perderà le proporzioni, le regolarità, e quindi la bellezza fondamentale delle sue giovenili forme; ma le rughe sono quelle che ne allontanano il morbido, il fresco, il tondeggiante magnetico, che con la sua forza attraente lo caratterizza per bello, anche agli occhi ignoranti. Le rughe dunque sono quelle che deturpano, se pure non giungono a rendere disgustoso un volto, altronde oltremodo belio. Se si potesse ottenere l’allontanamento di queste benedette rughe (egli diceva), quante vecchie donne diverrebbero più belle delle giovani stesse! Ma se a questo non si è ancora potuto giungere, nè vi si giungerà giammai per le vecchie donne, vi è il gran rimedio per fare scomparire agli occhi di taluni le rughe della vecchia antichità. Di grazia, accoppiate a costei il moderno; mostrate come i moderni usi non sono, che la copia più o meno fedele de’ costumi degli antichi (non essendo nemmeno necessario di farlo per tutti, già intendendosi che quì si parla di alcuni particolari rami), e tosto vedrete, che anche lo stesso illetterato, il più semplice artista, il buon vivente stesso, al sentirlo, o anche più al vederlo praticamente, crederassi trasportato ne’ tempi andati. Ritrovando egli in quelli qualche oggetto, che ben corrisponda agli usi presenti, e quindi alla sua portata, si elettrizza quasi senza volerlo; ammira l’antichità, perchè v’incontra qualche cosa che oggi le rassomiglia, e tosto se ne rende padrone; ne parla come di cosa a lui notissima, ed al momento spariscono per lui le sue rughe figlie della vecchiezza; incomincia ad amarla, e finisce col trovarla dilettevole e bella.
Se mai a taluno venisse in pensiero che l’opera avesse anche per oggetto il dimostrare che il gestire fosse una lingua, gli poniamo innanzi agli occhi la seguente confessione.
Conveniamo cogli scienziati nel dire, che la mimica non è un linguaggio, e lo ripetiamo, acciò, incontrandosi nel decorso dell’opera l’espressione linguaggio mimico, non s’intenda in senso strettamente preso. Per tutto quello che potrebbe aggiungersi su questo articolo, rimandiamo il lettore alla pag. 1. e seguente. Riguardo poi alla rassomiglianza che il gestire ha con la loquela, non clhe alla sua superiorità in alcuni particolari casi su di quella, ci rimettiamo a quanto leggerassi nell’opera intera, ed in particolare ne’ titoli riguardanti la parte rettorica de’ Gesti.
La gran risorsa di alcuni scrittori, di aver cioè sempre presente l’utile dulci di Orazio, è stato l’oggetto, pel quale fra le più astruse ricerche archeologiche abbiamo frammischiato, forse troppo spesso, gli scherzi, le facezie, gli apologhi, ed anche le fedeli descrizioni di ciocché giornalmente accade fra di noi. Se qualque rigido Aristarco inarcasse le ciglia, credendo a suo modo di pensare, che simili bagattelle deturpano la gravità della scienza archeologica, sappia costui che l’argomento della presente opera è l’antico, è vero, ma è il moderno ancora: che la ben ristretta classe de’ dotti ci era sempre innanzi agli occhi; ma ci siamo sempre veduti accerchiati dalla numerosa classe de’ curiosi savii, dai quali (ci si permetta il dirlo) abbiamo sperato di essere più liberalmente trattati, che dai dotti economici. Fra gli oggetti dunque di quest’opera uno de’ principali è stato di apprestare nuovi lumi agli archeologi per la intelligenza dell’antichità sì figurata, che scritta. Quanta cura si è da noi presa per approssimarci a questo intento, si potrà ricavare dalla lettura della pag. 9. e seguente, non che dalle frequenti nuove interpretazioni date si a qualche passo di classici, come ai moumenti già conosciuti, o inediti e da noi stessi illustrati.
E benanche troppo noto l’impegno di non pochi dotti, e specialmente oltramontani, nel rintracciare l’antichità di alcuni nostri moderni usi; perciò nel presente lavoro abbiamo anche avuto in mira di additare ad essi un altro fonte, onde si possano dissetare a lor piacere, e nello stesso tempo ci siamo occupati di renderne più praticabile la strada per giungervi.
La rinomatissima massima sovente ripetuta dai più accreditati dotti, che i Classici bisogna studiarli in Italia per conoscerne il bello, non che per meglio intenderli, è stata un’altra nostra special cura. Se mai siam giunti al segno da sempre più dimostrare la verità dell’anzidetta massima, non tocca a noi il deciderlo.
Finalmente non abbiamo mai inteso di entrare in briga con quegli scrittori superficiali, ai quali troppo spesso piace di tacciare d’ignoranza il nostro basso popolo. Se essi intendono che costoro ignorino le matematiche, l’astronomia, le lingue morte ec. dicono il vero; ma se mai sostengono che il nostro basso popolo manca di filosofìa naturale, di talento, di spirito, essi sono in errore. Perciò nel decorso dell’opera abbiamo avuto in mira, per quanto la materia stessa, non che altre circostanze ce lo hanno permesso, di dimostrare siffatto loro biasimevole torto.
3. Vantaggi che arreca la conoscenza della mimica. Non intendiamo parlare della conoscenza della mimica generalmente presa, sia cioè antica, sia moderna, sia anche per ciò che riguarda la pantomima, ma unicamente di quella sua parte, di cui qui trattiamo. Gli elogii del vantaggio che si ricava dal ben conoscere la mimica in generale, non che la pantomima sì antica che moderna, sono già stati distesi da non poche dotte penne, più o meno diffusamente, o di passaggio. Ci ristringiamo perciò solo ad accennare il vantaggio, che si potrà ricavare dal presente trattato di antica e moderna mimica, col quale, facendo che l’una dia la mano all’altra, si possano scambievolmente ajutare, sì per aprire una novella via alla spiegazione dell’antico, come all’interesse da accordarsi al moderno.
In più circostanze può rinvenirsi il dotto, trattandosi di spiegare qualche antico gesto: o nel caso di perfetta ignoranza, o in quello di dubbiezza, e questo può riguardare tanto la vera ed esatta conformazione del gesto, quanto il suo significato. In qualunque delle accennate ipotesi, per uscire d’imbarazzo, e ricavare qualche profitto dal presente lavoro, il dotto dovrà rendersi in ispecialità padrone di quanto dirassi titoli Abbiccì de’ Gesti, e Schioppetto, a’ quali particolarmente lo rimandiamo, non tralasciando le altre notizie sparse all’uopo nel decorso dell’Opera. Oltre a ciò, per quest’oggetto abbiamo disteso il terzo ed il quarto indice, acciò nel bisogno amendue si dian la mano, per accorrere in ajuto del dotto, e delle sue ricerche: ed eccone il metodo.
L’archeologo con l’ajuto del presente lavoro conoscendo distintamente il moderno, sia che egli legga, sia che abbia sotto agli occhi qualche antico monumento, più facilmente vedrà risvegliarsi nella sua fantasia delle idee, per indovinare il significato e la forza di quello. All’opposto vedendo eseguire, o anche leggendo un moderno gesto, che troverà qui distintamente descritto, non è difficile che al momento si ricordi o di averlo già letto in qualche antico autore, oppure osservato in qualche monumento. Se mai gli accadesse che dopo lo studio dei presente lavoro, fosse giunto o a ben comprendere qualche passo di classico autore, o qualche monumento, che fino a quel punto gli era stato o oscuro, o anche perfettamente ignoto, a costui tocca il giudicare del vantaggio della scienza, di cui trattiamo; e particolarmente di quello che potrassi ricavare nel seguito, in conseguenza de’ nostri sforzi.
Ed ecco il metodo pratico per valersi anche degli annessi indici. Il primo de’ Titoli, e ’l secondo delle Tavole, sono come la chiave della porta d’ingresso all’edificio; aperta però la quale, non se ne conoscono immediatamente le parti, i nascondigli, i laberinti. Per avviarsi in questi, ed averne una sufficiente guida si farà uso del terzo indice, che è quello de’ gesti, e del quarto, nel quale si enumerano i significati. Ritrovandosi nel terzo alfabeticamente disposti gli atteggiamenti, ad esso si ricorrerà, nella ipotesi che s’ignorasse la forma precisa di un qualche gesto, che si ha sotto gli occhi. Lo stesso indice si dee parimente consultare nel caso che si è sicuro del gesto per la sua semplice conformazione, ma se ne ignora il significato.
L’indice quarto poi, in cui si ordinano alfabeticamente i significati de’ gesti, sebbene dapprima non sembra diretto che ad appagare la curiosità, pure presenta allo studioso molti vantaggi. Che si debba ad esso ricorrere, volendosi dinotare un qualche sentimento senza l’organo della voce, è cosa troppo manifesta, siccome lo è il bisogno che ne ha l’Oratore, per adattare i convenienti gesti alle sue espressioni. Ma esso sarà benanche di grandissimo ajuto al dotto, allorchè egli avesse per le mani un qualche monumento figurato, sulle di cui interpretazioni non fosse interamente sicuro.
Ritrovandosi egli in tale dubbio, ricorrerà al detto indice quarto, nel quale essendo indicate le diverse idee, che egli sospetta potersi rappresentare nel monumento che ha per le mani, e leggendoci annessi i gesti corrispondenti, vedrà se questi sono gli stessi di quelli che si osservano nel monumento, e quindi se le sue congetture hanno un qualche appoggio sulla scienza mimica. V’ha di più, questo stesso metodo di ricorrere ora ad un indice ed ora ad un altro, e sempre al tutto insieme dell’opera, non solo servirà per riconoscere sia gli atteggiamenti, sia i loro significati da noi descritti; ma potrà anche risvegliare nella mente del dotto nuove idee sì degli uni che degli altri; e quindi con darci delle nuove scoverte, arricchire sempre più la conoscenza della mimica sì antica che moderna.
Oltre a ciò. Nel concertare gli anzidetti gruppi ci siamo impegnati d’introdurci l’antico, tenendo sempre presenti quelle stesse mosse che avevamo incontrate in diversi monumenti. Questo talvolta ci è riuscito per qualche intera figura, ma più frequentemente per le semplici mosse, delle braccia, delle mani ec. Con un tale metodo, le sedici bambocciate, sono divenute non solo una perfetta applicazione delle idee rapportate nell’opera, ma anche, in un senso, una specie d’indice pratico del presente lavoro. Quindi esse potran servire ai dotti per una guida pratica, e nello stesso tempo un piccolo saggio del come passare, trattandosi di monumenti, dal moderno all’antico. In comprova di ciò, siamo ricorsi ad un esempio pratico, aggiungendo alle sedici moderne rappresentanze, le tavole 17 e 18. Questi due antichi quadri, uno pel ramo eroico, e l’altro che può chiamarsi di mezzo carattere, non solo saranno una pruova della corrispondenza fra le due mimiche, ma anche una scuola di fatto, onde facilitare l’interpretazione di altre simili rappresentanze.
E qual sarà poi il vantaggio che se ne può ricavare pel moderno? Crederemmo di offendere gli amatori de’ nostri usi, se c’impegnassimo dimostrare l’utile che essi potrebbero ritrarne. Passiamo piuttosto agli artisti. Costoro, dovendo trattare in disegno qualche soggetto, sia di mezzo carattere, sia anche eroico, ricorreranno a quest’indice quarto. In esso vedranno in quale pagina si tratta di quella passione, o semplice idea che hanno per le mani, e molto probabilmente vi ritroveranno materia ed occasione da elettrizzare la loro fantasia; ed animare così e la figura, ed i gruppi.
Altronde ancorchè la mimica teatrale possa, per la ragion del lucro, chiamarsi Mimica principe, come lo è stata presso gli antichi, e non cesserà di esserlo presso le Nazioni civilizzate, perchè l’apice dello studio della mimica; pure nella presente opera non se ne è avuto un particolare riguardo, sì perchè è estranea alle nostre ben ristrette circostanze, come ancora perchè è una materia diffusamente trattata da altri; e perciò non parliamo particolarmente di questo ramo mimico. Ciò non ostante non potremo dissimulare la nostra soddisfazione, se mai per incidente le nostre idee potessero avervi qualche influenza, o essere d’occasione d’ingrandimento, e di ajuto ai moderni pantomimi. A questa precisa occasione leggasi la lettera IX. di Engel vol. I. p. 66. che incomincia, «Ella ha ragione; una mimica scritta in Italia da un valentuomo «del bel paese» non potrebbe non riuscire a pregio ed utile assai… Degli atteggiamenti di quel popolo vivace accaderebbe come di certe idee grandi e semplici, figlie del genio, le quali dal solo genio e non da altri poterono muovere la prima volta, ma, una volta in corso, entrano.a tutti facilissimamente». Ma ritorniamo a noi.
4. Necessità di un’opera su la mimica. Che un trattato melodicamente disteso su la mimica degli antichi fosse stato necessario, crediamo che si possa ricavare, fra le altre, da due ragioni. La prima da un costantissimo fatto. Non havvi autore il quale, occupandosi di antichità figurata, non ci dia de’ belli e dotti pensieri su qualche gesto rappresentato nel monumento che ha per le mani. Ne sono una prova quei pochissimi antichi gesti, che sono a tutti noti e provati, i quali vengono sempre dai moderni scrittori ripetuti e corredati di non poche autorità. Questo però non impedisce, che a dispetto del ben ristretto numero di tali segni, pure i sentimenti de’ dotti su di essi non cessano ancora di essere fluttuanti, vaghi, e spesso contraddittorii (v. Abbiccì de’ Gesti). Speriamo che non tarderà a vedere la luce la continuazione di una eruditissima opera di un nostro profondo archeologo. In essa si dimostrerà col fatto il gran numero di antichi monumenti già erroneamente spiegati o per non aversi avuto riguardo al gestire delle figure, o perchè malamente capiti. La seconda ragione nasce anche da un altro fatto. Non pochi scienziati nel parlare della mimica degli antichi si esprimono come se vi fosse già pubblicata una norma sulla sua intelligenza; ma quest’opera non è comparsa ancora.
Parlandosi poi della necessità di un trattato di mimica puramente moderna, rapporteremo qualcheduna fra le tante autorità di rinomatissimi scrittori, i quali ce lo attestano e con premura. Ed affinchè non siano sospette le nostre espressioni, crediamo più opportuno in questa occasione servirci delle altrui.
Il Ch. E. Rasori nella sua introduzione alle lettere di Engel, nel 1820 alla pag. XVI. si esprime ne’ seguenti termini. «Non è sfuggita al nostro Engel la molta facilità e vivacità dell’Italiano nel gestire; e ne tocca di proposito nelle lettere VIII. e IX. Chè anzi invita gli attori tedeschi a volere da noi copiare, ma di buon garbo, alquanti di quelli che sono tutti nostri, e ch’ei non conoscono; ed apre persino un desiderio suo, ed è: che un valentuomo italiano prendess’egli a dettare un trattato di mimica, che non fallirebbe di riuscire a bella e buona cosa. Intanto che questo valentuomo sbuchi da qualche angolo di questa nostra Italia «vecchia, oziosa e lenta» e metta la falce nel campo che mette messe ubertosa, mi proverò a stender la mano per cogliere una picciolina spiga che si offre alla mia portata».
Colui che amasse diffondersi su questo punto, potrà leggerne nel lodato Engel; e particolarmente le pag. 4. 18. 32. del 1.° vol. coi loro seguiti, e che tralasciamo di trascrivere. In esse ritroverà le promesse, e gli sforzi di Lessing, e Sulzer, pel desiderato intento. Sforzi, e promesse che non sono cessate, nè anche dopo de’ lodati esteri scrittori.
5. Difficoltà di ottenersi un’opera completa su la mimica. Le difficoltà che s’incontrano nel voler distendere un’opera completa, che tratti della mimica sì moderna che antica, si possono distinguere in due classi, generali cioè, ed individuali. Per le prime ci sembrano maestrevolmente raccolte nelle seguenti parole, che possiamo chiamare un canone in archeologia, sì per la sua incontrastabile verità che racchiude, come pel rispetto che si dee alla maschia dottrina del chiarissimo Heyne. Ecco come egli si esprime nel suo elogio al Winkelmann. L’étude de l’antiquité, et particulièrement celle des anciens ouvrages de l’art, exige la combinaison d’une infinité de connoissances, une imagination vive et en mémetems réglée, avec des circonstances heureuses qui se trouvent rarement ensemble2. Degno di questo profondo archeologo è lo sviluppo che egli fu della sua proposizione, al quale, per amore della brevità, rimandiamo il lettore. Aggiungiamo solo due osservazioni da non trascurarsi. Prima, che l’autore non parla che della sola antichità, e qui si tratta di antico e di moderno da innestarsi insieme. La seconda, nasce dalle sue seguenti parole = Mais à cette vaste connoissance de la littérature ancienne, il doit joindre encore celle des principes de la peinture, de la sculpture, et de l’architecture; et la partie mécanique de ces arts ne doit méme pas lui étre tout-à-fait étrangère. ec.
Riguardo poi ad alcune delle tante difficoltà, che dicemmo individuali, le accenneremo ne’ seguenti numeri per essere, il più che è possibile, brevi insieme e chiari.
6. Mezzi praticati nel presente lavoro per superare le anzidette difficoltà. Che altro mezzo avrebbe potuto prendersi per superare la scoraggiante idea di distendere un trattato di antica e moderna mimica, di dare una grammatica ed un dizionario di questa qualunque siasi lingua, se non quello di restringerne, al più che fosse possibile l’orizzonte? Ci siamo perciò fissati a tentarne un semplice saggio; e questo, circoscriverlo ad un solo fra gli diversi rami della mimica si antica, che moderna. Infatti incominciando dall’antica, come questa può considerarsi in tre classi, cioè Crittica, Convenzionale, e Naturale, mettendo perfettamente da banda le prime, non ci siamo occupati che della terza. Ciò non ostante, mentre credevamo di restringerci esclusivamente alla naturale, siamo entrati talvolta anche fra i limiti della convenzionale; non già di quella che passar potea fra alcune private persone, ma soltanto ove si è trattato della convenzionale pubblica di una nazione, di un popolo: e questo tanto per l’immediato rapporto, che può avere colla naturale, quanto per aprir la strada alla sua spiegazione; come anche per ricordare e raccomandare insieme ad altre penne d’occuparsi utilmente così della prima, che della seconda.
Come il moderno ha benanche conservato le tre anzidette mimiche loquele, abbiamo anche per esso tenuto lo stesso metodo. Ma la mimica moderna, ancorché ridotta alla sua parte naturale, ha una diramazione (che certamente non mancava agli antichi) quella cioè che nasce dalla diversità de’ popoli. E un bel dire che i popoli del Nord non gestiscono. È un fatto però che chi più chi meno di essi, anzi gli stessi selvaggi nel bisogno esprimono le loro idee col solo atteggiare, e senza ricorrere alla parola; sempre adattandosi alle loro consuetudini, e circostanze. E ciocchè qui dicesi de’ diversi popoli, e linguaggi, va anche applicato a’ diversi dialetti. L’estero forse al sentire: Gestire Napoletano crederà lo stesso per le due Sicilie, oihb!! Si vada, non diciamo in Sicilia, ma semplicemente nelle Puglie, e vedrassi quale altra sorgente di mimica ricchezza vi s’incontrerà nel dialetto particolare di quelle provincie. Anche questa opprimente difficoltà del gran numero de’ suddetti dialetti si è superata col restringere quest’altro vasto orizzonte, occupandoci del solo gestire Napoletano. Ma sappia di più il lettore, che anche questo semplice rivoletto della mimica loquela noi lo consideriamo come interminabile. Verità che abbiamo conosciuta per prova.
Fra le difficoltà che per la presente opera dicemmo individuali, non è certamente l’ultima, la scelta de’ gesti: e questa vale sì per l’antico, che pel moderno. Considerando i gesti pel loro significato, possono distinguersi in segni serii, indifferenti, ed osceni. Che questi ultimi sieno uno scoglio, particolarmente per noi, preso individualmente, non ci sarà certamente negato. Se qui si trattasse di opera unicamente archeologica, e diretta ai soli dotti, lo scoglio della oscenità quasi scomparirebbe; come lo dimostrano non poche opere sì di rinomatissime accademie, che di profondi archeologi. Ma dopo delle proteste da noi replicatamente fatte, lo scoglio di cui parliamo, ci avrebbe indispensabilmente condotti a naufragare o per un verso, o per un altro. Sembrerà a prima vista che per superare questa difficoltà vi era il facilissimo mezzo di bandire assolutamente dall’opera tutto quello, che in questo senso avrebbe potuto macchiarla. Ma se con un tanto economico quanto facile ripiego avremmo evitato Scilla, chi ci avrebbe salvali da Cariddi? E come si sarebbero potuti citare gli antichi, ed in particolare nei loro monumenti, in appoggio delle nostre scoverte, se quattro quinti di quelli sentono di sfrontata galanteria? Come si sarebbe giustificato nel titolo il detto: La mimica degli antichi, saltandone la maggior parte?
Sappiamo benissimo, e non lo neghiamo, che senza l’osceno, l’opera avrebbe potuto diventare anche voluminosa abbastanza, ma non avrebbe mai cessato di esser monca. Siamo perciò ricorsi ad altri ripieghi, cominciando sempre dalla necessaria riservatezza usata nell’espressioni, non che dalla modestia nelle parole. Ed in questo la ricchezza della nostra lingua, che si presta facilmente a chiunque vuole valersene, non che la parte oratoria della mimica Napoletana, ci sono state di grandissimo ajuto. Oltre a ciò nella stessa scelta de’ soggetti abbiamo ritrovato, non senza qualche pena, è vero, il rimedio al male. In questo articolo solamente, e bisogna confessarlo, l’oceano della mimica Napoletana in vece di disanimarci, ci ha oltremodo incoraggiati. Non abbiamo ritrovato un solo soggetto mimico, per poco decente che fosse, fra quelli tramandatici dagli antichi, sia pel mezzo della parola, sia del disegno, che non avesse potuto essere fedelmente rappresentato dai nostri gesti in senso o serio, o scherzevole. Quindi con un tale innocente ripiego ci è riescito di celare quello che decente non era. Ma ha bisognato non adottare questo ripiego in tutta la sua estensione in un’opera, il di cui oggetto è quello manifestato al n. 2. Quindi siamo ricorsi, oltre all’anzidetto, al seguente mezzo.
7. Rinvii. Ad occasione de’ rinvii, temiamo forte che qualcheduna di quelle persone, le quali intraprendono a leggere un’opera, non per istruirsi, ma piuttosto per trovarci che dire, o divertirsi almeno, osservando esse nel presente lavoro moltiplicati un poco, troppo i rinvii, ora ad una pagina, ed ora ad un’altra, ora ad un titolo, ed ora ad un numero dello stesso, o di altri; prematuramente disgustandosene, non dicano: quante citazioni, e tutte di se stesso!! Non lievi però sono state le ragioni, che ci hanno indotti a non fare alcun caso, di questa malfondata critica.
Volevamo in ogni conto bandire da questa produzione l’indecente, ma bisognava additarlo all’archeologo, onde lo avesse riconosciuto presso gli antichi siano scrittori, sian monumenti, e quindi il nostro lavoro non avesse mancato di prove per la parte archeologica. Abbiamo perciò immaginato di ricorrere alle frequenti citazioni e rinvii, sia per quello che rapportiamo altrove, come per gli originali da noi citati. Con un tal mezzo colui che vuol darsi la pena di approfondire la materia, potrà facilmente riconoscere o il fisico del gesto, o quel suo significato, di cui intendiamo parlare, ma sotto metafora. Infatti, se qualche archeologo si darà la pena di seguire i nostri rinvii, o riscontrare quei monumenti, e quelle citazioni che in essi ritroverà, forse vedrà chiaro quel tale gesto, o suo significato, che non solo la comune de’ lettori, ma egli stesso leggendolo nel nostro testo, o lo aveva preso in una idea semplicissima ed indifferente, o non ben riconosciuto.
Di più, che altro mezzo vi sarebbe stato per evitare le frequenti ripetizioni in un lavoro come il presente? Gesti che continuamente si concatenano fra di loro: significati che ad ogni passo si danno la mano: idee che frequentemente si debbono richiamare alla memoria, acciò l’una renda chiara l’altra: fatti la di cui verità dipende da altri già dimostrati: in fine, una lunga serie di gesti, che riuniti insieme formar debbano una ben lunga catena, in che altro modo potevano concatenarsi se non citandoli, o nojosamente ripetendoli? Quest’ultimo metodo è troppo dispiacevole, ed esoso così allo scrittore, che a chi legge. Lo seguano pure coloro che amano i grossi volumi di carta, ma non di cose. Non cesseremo mai di approssimarci all’insegnamento di un gran metafisico, al dir di Lavater (v. 1. pag. 1.) cioè che il carattere del bello consiste nell’offrire un grand nombre d’idées dans le plus petit espace possible.
In un’opera diretta agli scienziati, ed ai semplici curiosi bisognava servire gli uni senza render tedio agli altri. Con la frequenza de’ rinvii i dotti, volendolo, potranno arrestatisi, riscontrarli, ed esaminarli a lor piacere: I semplici curiosi vi passeranno facilmente per sopra; come più spesso accade a non pochi lettori.
8. Metodo seguito nel distendere il presente lavoro. Se la scelta del metodo influisce più di ogni altro a rendere facili, chiare, e dimostrate quelle verità, che si vogliono esporre al pubblico, anche quando si tratta di notizie già conosciute; quale maggiore influenza non avrà esso nella esposizione di quelle verità, che a tutta ragione possono chiamarsi nuove? I gesti, sian antichi sian moderni, non possono certamente annoverarsi fra le novità: ma la esposizione e concatenazione de’ medesimi, non che l’aspetto, nel quale eransi presentati al pubblico, è quello, della dicui novità non ci ha alcun dubbio. La scelta dunque di un metodo più adattato all’uopo, nel presente caso, è stata di prima necessità, per la riuscita della intrapresa. Il metodo serbato è quello, che abbiamo creduto più espediente di abbracciare nelle nostre attuali difficili circostanze, e nello slancio che intraprendiamo.
Abbiamo creduto adattatissimo l’ordine alfabetico in un’opera, nella quale si deve, per quanto si può, tendere ad una specie di dizionario; e speriamo che in questa scelta non ci sia disparità di sentimenti. Non così però pel metodo da tenersi su la indicazione de’ gesti, se questa cioè avesse dovuta eseguirsi per significati, o per la loro conformazione. Conveniamo che amendue i metodi sarebbero stati eseguibili, e che il primo sia il più conducente all’oggetto; ma volendoli portare innanzi a rigore, sarebbe stato un giogo, anzi una catena ben pesante, la quale non ci avrebbe fatto progredire con facilità, nè con quella libertà che è indispensabile nelle prime intraprese. Perciò ci siamo serviti promiscuamente sì dell’uno che dell’altro sistema, secondo ci è riuscito più facile per lo sviluppo delle nostre idee, dando però quasi sempre la preferenza ai significati. Non volendo poi nemmeno trascurare coloro, i quali desiderassero l’uno piuttosto che l’altro, abbiamo creduto supplirvi co’ due indici, di cui costoro potranno servirsi all’uopo. Non dobbiamo però negare non solo la difficoltà, ma anche la confusione, ed una specie d’inutilità, che produrrebbe il seguire a rigore, e con ordine alfabetico la parte fisica de’ gesti. Questa forse fu l’idea (eccetto l’ordine alfabetico) di un dotto del secolo decimo settimo; ma quanto i suoi sudori abbiano aberrato dall’oggetto propostosi nel titolo3, e quanto poco profitto si possa ricavare anche dall’ammasso di erudizioni raccolte nell’ opera, per un vero trattato di mimica, lo ha dimostrato, e lo dimostra il fatto. Che però abbiamo creduto più conducente l’abbracciare, oltre l’anzidetto, il seguente metodo pel resto dell’opera.
Riguardando questo lavoro tre vedute, cioè la descrittiva, la filosofica, e l’archeologica, il nostro metodo è stato quello di non renderci schiavi di alcun sistema, e di aver sempre a cuore la brevità e la chiarezza, per ciascuno di essi tre riguardi. Non avendo che questo pensiero innanzi agli occhi, comprendevamo benissimo che, trattandosi della parte descrittiva, una certa eleganza, o ricercatezza, ed anche una purità di stile vi avrebbe accresciuto non poco pregio. Ma due considerazioni ci hanno obbligati a sacrificare il tutto alla chiarezza del dire, ed alla sua brevità; la novità cioè del soggetto, e la circostanza della, maggior parte de’ lettori, ai quali ci troviamo diretti. Per la prima, una scorsa all’opera lo dimostrerà abbastanza, per non aver bisogno di prove; e per la seconda, chi potrà negarci che, parlandosi principalmente agli Esteri di atteggiamenti Napoletani, si ragioni d’idee ad essi ignote? Aggiungere poi a costoro, oltre alla novità e l’ignoranza della cosa, non diciamo la ricercatezza dello stile, ma anche un poco di oscurità, e sia di quella che suol nascere da una certa scelta di vocaboli o frasilogie, sarebbe stato lo stesso che accrescere per essi difficoltà a difficoltà. Una prova lampante dell’anzidetto si può riscontrare nella confessione che ne fa lo stesso Winckelmann. v. pag. 176. Oltre a ciò, gli Esteri debbono distinguersi in due classi, per quello che riguarda il nostro proposito. Esteri cioè che visitano queste contrade, e quelli i quali non hanno un tale vantaggio. Per questi secondi specialmente, la chiarezza dello stile nelle descrizioni, ci è sembrata la prima qualità indispensabile per quest’opera. Oltre di che l’essere chiaro nel descrivere la nostra mimica, ed occuparsi nello stesso tempo della scelta di un vocabolo piuttosto che di un altro, incontra, anche a confessione di non pochi dotti, una grandissima difficoltà nella mancanza de’ vocaboli puramente italiani; e questo per moltissimi segni, o atteggiamenti, benché dagl’Italiani stessi sovente praticati. Questa deficienza faceva non poca difficoltà allo stesso Engel, let. VI. p. 47 dopo di altri dotti da lui citati. Eccovi le sue parole.
«Ma che pro ci farebb’ora, mi dirà Ella, lo avere notomizzato un atteggiamento e denominatolo in ogni suo membrolino più minuto, quando di tutti gli atteggiamenti complessivi abbiamo i nomi cui tutti capiscono? Ei si vorrebbe che gli avessimo, le dirò io, ma non gli abbiamo; chè appunto da questo lato la lingua è sì manca, sì imperfetta che mai! Le denominazioni che abbiamo, valgono soltanto a significare, colpa la povertà del linguaggio, alcune classi più generali; ma le specie e le varietà abbisognano ancora d’un osservatore intendente che ne crei proprio dal nulla la nomenclatura. Per alcune differenze di gradazione il dialetto della bassa Sassonia offrirebbe di eccellenti parole dipintive della cosa; ma ormai il dialetto dell’alta Sassonia tenendo il campo sovra gli altri nella letteratura tedesca, ei sarebbe ritroso a onorare della cittadinanza queste intruse. Abbenchè, come fosse chiarito il merito dell’impresa, ciò varrebbe la pena di fiaccar l’orgoglio del dialetto dominatore». Seguita l’autore, e con lo stesso stile, a trattare più a lungo il suo argomento; nella lettera VII; e vi ritorna in altri luoghi. E se tanto dicea egli della ristrettissima mimica tedesca, che dirassi della Napoletana così feconda! Senza entrare nel paragone delle due lingue ne decida il lettore stesso la proporzione. A lui anche ci rimettiamo per giudicare, se meritano qualche compatimento gli sforzi da noi fatti per superare una tale difficoltà, e nello stesso tempo il sistema da noi seguito nell’usare uno stile andante, didascalico e libero nel descrivere i gesti, senza soggettarci ad ulteriori difficoltà. Forse egualmente imbarazzante sarebbe stato il metodo da seguirsi nel trattare la filosofia de’ gesti, ancorché essa in piccola parte entri nel nostro piano, se non ci fossimo decisi di non soggettarci a nessuno metodo rigoroso e costante in questa non dispregevole parte della mimica. Sappiamo benissimo che alcuni avrebbero voluto il metodo sintetico, ed altri l’analitico, ed i due partiti sarebbero prontissimi a pubblicare de’ volumi e pro, e contro. Noi amiamo la pace. Segua ognuno il suo sistema, e così seguirà il nostro. Infatti, eglino vedranno essere stati da noi abbracciati ed indifferentemente or l’uno, or l’altro metodo. Sappiano però costoro che ci siamo valuti nelle diverse circostanze più di uno che di un altro, sol perchè lo abbiamo creduto in quel caso più adattato, sia per la brevità, sia per la chiarezza: oggetti da noi stimati più interessanti di quello che sarebbe l’adottare quel sistema piuttosto, che l’altro.
Il metodo poi da seguirsi per la parte archeologica non era ne anche esso, uno, certo, ed incontrastato. Questa scienza, forse un poco più delle altre, in alcuni casi non manca di varietà di opinioni e di sistemi, ancorché si parli solo di metodo nel trattare gli argomenti archeologici. Quindi è che alcuno avrebbe desiderato dare all’antico il suo posto di onore, cioè il primo, ed altri il vorrebbe situato dove meglio fa al caso, nella ipotesi che venga accoppiato col moderno. Chi non perdona così facilmente la miserabile scarsezza di autorità, quando ve ne sono a dovizia; e chi all’opposto è contento di qualche cosa di nuovo, ancorché sia un briciolo, ed abborrisce il fritto e rifritto, annegato nelle moltiplici citazioni. Credono costoro che, quando con pochi colpi di cannone si è aperta una breccia, non è difficile al Generale far penetrare nella fortezza i soldati a migliaja. Chi ritrova quasi indecente il non adornare un’opera archeologica con un ricco, folto, ed abbondante ricamo di autorità, tutte collocate a lor posto cioè, come essi dicono, in nota; e chi dirà che, quando le autorità fanno al caso, stanno bene tanto in nota, quanto nel testo; nè costoro amano una piccola testa piantata su di un corpo, che scomparisce per la sua picciolezza. Noi rispettiamo tutte queste maniere di pensare, e per una fortissima ragione. Questi sistemi, ancorché opposti, sono stati dottamente seguiti da riputatissimi autori, ai quali la scienza dell’antico dee non poche scoverte. Il nostro rispetto è sincero e reale, e lo dimostriamo coi fatti, avendo perciò indifferentemente seguito or l’un, or l’altro sistema, e con quella libertà, che è stata la base del metodo da noi prescelto. Troverassi infatti, ove una sola, ove più autorità sia de’ classici, sia di monumenti. Queste ora nel testo, ed ora in note, ora prima, ed ora dopo del moderno, come meglio si è creduto conducente alla brevità, ed alla chiarezza, che abbiamo avuta sempre, e più a cuore di qualunque altra cosa.
Parlandosi di autorità, se mai facesse a taluno qualche ombra il vedersi citate, forse troppo spesso, le lettere del ch. Engel; ciò non è senza ragione. Essendoci decisi all’opera, pensammo di metterci a livello di quello che si era scritto sulla mimica. Ricorremmo perciò al citato autore, sì perchè meritatamente riputatissimo, come ancora perchè il più recente, per quanto ci è noto. Questo profondo dotto ci ha dato non poche notizie di altri scrittori sulla stessa materia, ma sventuratamente siam rimasti alla semplice conoscenza de’ loro nomi, e titoli dell’opere, non essendoci riuscito di consultarne la maggior parte. Lo stesso Engel però non ha potuto servirci nè di modello pel piano, nè di guida per le minutezze, come lo dimostrano anche quei pochi suoi tratti da noi rapportati. Questo non diminuisce in nulla la gloria dovuta al lodato autore per le ragioni già dette, e che diremo nel seguito. Lo stesso ci è accaduto per alcune altre opere, perchè anch’esse dirette ad altro oggetto ben diverso dal nostro.
Diamo ormai termine alla presente introduzione, sì perchè comincia ad opporsi alla brevità propostaci, come ancora perchè non poche altre idee che le converrebbero, sono disseminate nell’opera. Sappiamo che essa sola, con poche aggiunzioni, avrebbe potuto formare un’opuscoletto, contenente de’ cenni sul metodo da tenersi, per intraprendere un trattato completo su l’antica e moderna mimica; ma abbiamo creduto più comodo per gli archeologi, e nello stesso tempo di più facile acquisto per essi, il riunirla all’opera.
9. Lacune. Prevediamo che l’accorto lettore incontrerà, scorrendo l’opera, non poche lacune. Queste si possono distinguere in due classi: quelle che diremo reali, e le altre arbitrarie. Quelle cioè che producono una effettiva mancanza, sia nella chiarezza, sia nella prova dell’argomento, e quelle che riguardano il dippiù, che avrebbero potuto indifferentemente aggiungersi, o tralasciarsi senza diminuire in nulla la forza de’ fatti addotti, e delle prove aggiuntevi per dimostrarli. Per la prima lo preghiamo instantemente di avvertircene, come meglio gli aggrada, sia in istampa, sia in iscritto, sia anche a voce; e speriamo dimostrargliene la più sincera gratitudine. Colla stessa sincerità poi lo preghiamo, che non si dia alcuna pena per la seconda; nè senza ragione. Se egli ritroverà molte idee, che vi si potranno aggiungere, moltissimi aneddoti che vi facevano al caso, ed altri gesti che si avrebbero potuti descrivere ec. avverta che, sebbene avessimo molto altro materiale apparecchiato, pure abbiamo creduto di dovere restringerci a quello che presentiamo, e per non escire dall’idea di un saggio, e per non defraudare, anzi indispettire le speranze de’ molti amici, che ci stimolavano alla sollecita pubblicazione. A quei lettori poi, i quali, scorrendo l’opera, si avvedranno delle anzidette lacune, se mai lor venisse in pensiero di aver per noi un qualche compatimento, per maggiormente spingergli, loro ricordiamo la gran verità felicemente espressa dal dottissimo Heyne, cioè quelle benedette heureuses circonstances che troppo spesso mancano… anche a coloro, che sono animati delle migliori fra le buone volontà.
Addio all’opera. A voi finalmente ci rivolgiamo, o parti della nostra mente, qualunque voi siete. Incamminatevi pure e di buon animo fra i dotti, fra gli amatori, e fra i sensati curiosi. Se il vostro autore, animato dalla buona speranza di una qualche riuscita nella sua intrapresa, ha coraggiosamente tentato d’ingolfarsi in un oceano; perchè mai il lusinghiero aspetto di un fortunato avvenire non dovrà spinger voi ad intraprendere un breve viaggio? Via su dunque, incamminatevi pure animosi e lieti, e vi sian felici gli auspicj. Deus Faxit.
Note
- ↑ Queste composizioni sono opera di un nostro stimabilissimo artista Sig. D. Gaetano Gigante. Le di cui bambocciate ad olio sono vivissime, e piene di merito; osservandosi per tutto, lo spirito dei nostri costumi. Al medesimo non abbiamo comunicato che il soggetto e l’andamento de’ gruppi, concertandone i gesti corrispondenti.
- ↑ OEuvres complètes de Winkelmann, v. I.° à Paris 1802. p. LXXXIV.
- ↑ L’Arte de’ Cenni con la quale formandosi favella visibile, si tratta della muta eloquenza, che non è altro che un facondo silenzio, Divisa in due parti. Nella prima si tratta dei cenni, che da noi con le membra del nostro corpo sono fatti, scoprendo la loro significatione, e quella con l’autorità di famosi autori confirmando. Nella seconda si dimostra come di questa cognizione tutte l’arti liberali, e meccaniche si prevagliano. Materia nuova à tutti gli huomini pertinente, e massimamente à Prencipi, che, per loro dignità, più con cenni, che con parole si fanno intendere. Di Giovanni Bonifaccio Giureconsulto, et Assessore ec. Vicenza 1616.