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di antichi monumenti già erroneamente spiegati o per non aversi avuto riguardo al gestire delle figure, o perchè malamente capiti. La seconda ragione nasce anche da un altro fatto. Non pochi scienziati nel parlare della mimica degli antichi si esprimono come se vi fosse già pubblicata una norma sulla sua intelligenza; ma quest’opera non è comparsa ancora.

Parlandosi poi della necessità di un trattato di mimica puramente moderna, rapporteremo qualcheduna fra le tante autorità di rinomatissimi scrittori, i quali ce lo attestano e con premura. Ed affinchè non siano sospette le nostre espressioni, crediamo più opportuno in questa occasione servirci delle altrui.

Il Ch. E. Rasori nella sua introduzione alle lettere di Engel, nel 1820 alla pag. XVI. si esprime ne’ seguenti termini. «Non è sfuggita al nostro Engel la molta facilità e vivacità dell’Italiano nel gestire; e ne tocca di proposito nelle lettere VIII. e IX. Chè anzi invita gli attori tedeschi a volere da noi copiare, ma di buon garbo, alquanti di quelli che sono tutti nostri, e ch’ei non conoscono; ed apre persino un desiderio suo, ed è: che un valentuomo italiano prendess’egli a dettare un trattato di mimica, che non fallirebbe di riuscire a bella e buona cosa. Intanto che questo valentuomo sbuchi da qualche angolo di questa nostra Italia «vecchia, oziosa e lenta» e metta la falce nel campo che pro-