La figlia obbediente/Atto II

Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Strada con casa.

Florindo solo.

Misero me! Sarà vero ciò che dagli amici mi viene avvertito? Rosaura sposa del conte Ottavio? Ma come, se poche ore sono mi accolse con tanto giubbilo? Potrebbe darsi ch’ella non lo sapesse... Ma il signor Pantalone medesimo non me lo avrebbe egli detto? È però vero che ripensando ora al modo suo di parlare, alla poca premura di aprir la lettera, mi entra qualche sospetto. È necessario ch’io mi chiarisca del vero. In casa sua non ho coraggio d’andare1. L’attenderò sulla strada. Se questo è vero, non so a qual eccesso mi trasporterà la disperazione. [p. 448 modifica]

SCENA II.

Beatrice in zendale, di casa di Pantalone,
con un Servitore, e detto.

Beatrice. Presto, presto; a casa, che mio marito mi aspetterà. (al servitore)

Florindo. Riverisco la signora Beatrice.

Beatrice. Oh! signor Fiorindo. Da queste parti?

Florindo. Appunto, signora, premevami di rivedervi.

Beatrice. (Povero giovane!) (da sè) Comandatemi.

Florindo. Vi supplico, in grazia: vi è qualche novità rispetto alla signora Rosaura?

Beatrice. Caro signor Florindo, non so che dire. Delle novità ce ne sono, e non si possono tener nascoste.

Florindo. Dunque è vero ch’ella è promessa sposa del conte Ottavio?

Beatrice. Chi ve l’ha detto?

Florindo. Persone che professano di saperlo.

Beatrice. Sentite, amico: io sono una donna sincera, che non sa dir che la verità. Vi dico in confidenza, che il signor Pantalone ha promessa sua figlia al conte Ottavio.

Florindo. Ma quando?

Beatrice. Questa mattina. Due ore prima della vostra venuta.

Florindo. E la signora Rosaura non lo sapeva?

Beatrice. Non lo sapeva.

Florindo. E ora che lo sa, che cosa dice?

Beatrice. Che cosa volete ch’ella dica? Quando il padre comanda, bisogna obbedire.

Florindo. E con tanta facilità si scorderà dell’amor mio?2 Possibile che voglia anteporre quello del conte Ottavio?

Beatrice. Le ha3 fatto un regalo di gioje, che val mille doppie.4

Florindo. Ah! signora Beatrice, son disperato. [p. 449 modifica]

Beatrice. Povero giovine! Se sapeste quanto me ne dispiace!5

Florindo. Per amor del cielo, raccontatemi come la cosa è andata.

Beatrice. Mi dispiace che è tardi. Mio marito mi aspetta.

Florindo. Credeva Rosaura che meco le fossero mancate gioje? Non sa ch’io sono figlio unico di un padre ricco?

Beatrice. Le ha fatto il Conte anche diecimila ducati di contraddote.

Florindo. Che contraddote? Sarebbe ella stata padrona di tutto il mio.

Beatrice. Già se ne pentiranno. Giuoco questa scatola d’oro, che se ne pentiranno.

Florindo. Il loro pentimento non medicherà le mie piaghe. Ah! signora Beatrice, voi sapete quanto ho amato Rosaura.

Beatrice. Lo so, lo so. Mi ha confidato ogni cosa.

Florindo. Apposta per lei sono andato a Livorno, son ritornato a Venezia.

Beatrice. Spesa, incomodi, patimenti: tutto per lei.

Florindo. Quante lagrime ho sparse a’ piedi del mio genitore, per ottenerla!

Beatrice. Lo credo in verità.

Florindo. In venti giorni ch’io manco, non credo aver dormito due notti.

Beatrice. Quando si vuol bene, si fa così.

Florindo. Pazienza6! Se l’ho da perdere, pazienza; ma che ella medesima si scordi di me con tanta facilità, non lo posso soffrire; sento che mi si spezza il cuore nel petto.

Beatrice. (Mi fa compassione davvero). (da sè

Florindo. Barbara! Ingrata! Tante promesse, tanti giuramenti, tante belle speranze! Oh cielo! Non posso più.7

Beatrice. Or ora fate piangere ancora me.

Florindo. E non vi è più rimedio? Ho da essere disperato? Pietà, signora Beatrice, pietà. [p. 450 modifica]

Beatrice. Povero giovine!... Se potessi... Orsù, venite con me.

Florindo. Dove?

Beatrice. Andiamo da Rosaura.

Florindo. Dalla signora Rosaura?

Beatrice. Sì, venite con me, e non pensate altro.

Florindo. Ma... suo padre...

Beatrice. Suo padre credo non sia in casa. Andiamo.

Florindo. Ah! Signora, non mi ponete in cimento...

Beatrice. Che debolezza!8 Risoluzione vi vuole.

Florindo. Che cosa pensereste di fare?

Beatrice. Andiamo da Rosaura, e qualche cosa sarà. Due che si vogliono bene... Una buona amica di mezzo... Qualche cosa sarà.

Florindo. Ma non vi aspetta vostro consorte?

Beatrice. Quando si tratta di queste cose, non m’importa ne men del marito. Andiamo. (lo prende per mano, e lo conduce in casa

Florindo. Cielo, aiutami.

Beatrice. Son così fatta, non posso veder penare. (entrano in casa di Pantalone

SCENA III.

Camera di Rosaura con tavolino.

Rosaura sola.

Ecco come un solo momento divide il bene dal male, il piacer dal dolore. Due ore prima era io la più contenta donna del mondo; ora sono la più dolente, la più sventurata. Come mai Florindo riceverà la funesta notizia della risoluzion di mio padre? Chi sa, s’egli ancora ne sia consapevole? Come apprenderà il di lui cuore la necessità in cui sono di dover9 obbedire e sagrificarmi? La crederà egli incostanza, infedeltà10? Oh cielo! Sarebbe11 il maggiore de’ miei tormenti, che Florindo mi [p. 451 modifica]riputasse un’ingrata, un’infida! Qualunque abbia ad essere il mio destino, vorrei almeno disingannarlo, assicurarlo almeno, che obbedirà al mio genitore la mano, sopra di cui ha egli l’autorità e l’arbitrio; ma non il mio cuore, il quale non è più in istato di obbedire nè a lui12, nè alla mia ragione, nè alla mia volontà. Sì, è tuo questo cuore, caro il mio adorato Florindo. Lo sarà sempre, ad onta d’ogni legame; ma lo sarà in segreto, ma lo saprò io sola. Ah! che di questi miei sentimenti Florindo potrebbe essere mal persuaso; e ad onta di tutta la mia passione, potrebbe credermi o lieta, o indifferente per le odiate nozze che mi sovrastano. È necessario che mi giustifichi in qualche modo. Lo farò con un foglio, in cui misurando i termini fra il dovere di figlia onesta, e la tenerezza d’amante infelice, spieghisi il mio cordoglio, senza porre in pericolo la mia onestà. Cosa malagevole a farsi, ma necessaria a un animo forte, che in mezzo alle passioni più tenere sa distinguere e preservare il dovere, la virtù, il merito dell’obbedienza e quello d’una cieca rassegnazione. (siede, e si pone a scrivere) Sì, questi termini sono adattati. (dopo avere scritto qualche riga) Oh cielo! Posso lasciar correre questa parola? Sì, moderandola. (scrive) No, pensiamoci... questo sentimento è meglio adattato. (scrive) Una povera figlia, un’amante dolente avrebbe bisogno di chi le desse consiglio. Ma chi è in oggi, che dar sappia i consigli con sincerità e giustizia? (scrive) Ah! Beatrice, Beatrice... Non so che pensare della tua amicizia: mi sembra interessata, volubile, lusinghiera. Farò senza di lei. (scrive) Alfine, ciò ch’io scrivo non può cagionarmi nè rossor, nè rimorso... Il Conte istesso non potrebbe offendersi di tai sentimenti. Mio padre molto meno... Sento gente... Chi sarà mai? Beatrice? Venga, quantunque siami sospetta; la consulterò per prudenza, ma la ascolterò con cautela. [p. 452 modifica]

SCENA VI.

Beatrice e detta.

Beatrice. Rosaura, siete sola?

Rosaura. Sì, lo vedete.13

Beatrice. Scrivete?

Rosaura. Scrivo.

Beatrice. A chi?

Rosaura. Oh cielo! Al signor Fiorindo.

Beatrice. Volete fargli capitar la lettera presto?

Rosaura. Sentitela, e ditemi il parer vostro.

Beatrice. Non vi è tempo da perdere. Se volete fargliela avere, l’occasione è opportuna.

Rosaura. Come?

Beatrice. Piegatela subito. Ora vi troverò chi gliela porterà senza dubbio.

Rosaura. Subito?...

Beatrice. Sì, subito, in un momento. (parte

Rosaura. Sia come esser si voglia. Parmi non aver errato, così scrivendo. La manderò... (va piegando la lettera

SCENA V.

Beatrice, Florindo e detta.

Beatrice. Ecco chi gli porterà la lettera. (conducendo per mano Florindo

Rosaura. Oh cielo! (lascia la lettera sul tavolino, e s’alza

Florindo. (Ingrata!) (da sè

Rosaura. Voi qui?

Florindo. Sì, barbara, io qui a rimproverarvi della vostra incostanza...

Beatrice. Oh! Io non vi ho qui condotto per far il bravo. Parlate con civiltà; Rosaura è ragazza da darvi soddisfazione. [p. 453 modifica]

Rosaura. Già fra me stessa ne dubitai, che voi mi credeste a parte della risoluzion di mio padre. Ah! Florindo, non mi fate così gran torto...

Beatrice. Poverina! Ella non ci ha colpa.

Florindo. Ma voi non mi diceste?... (a Beatrice

Beatrice. Che suo padre, vi dissi, l’ha promessa al Conte.

Florindo. Ed ella...

Beatrice. Io l’ho veduta piangere per amor vostro14.

Florindo. Non so che cosa credere. Rosaura, per amor del cielo, svelatemi sinceramente la verità. M’amate voi? Siete voi fedele a chi v’ama? Se foste in necessità di lasciarmi, penereste a farlo?

Beatrice. Che domande! Guardatela.

Rosaura. In questo foglio, dubitando di non vedervi, a voi io manifestava il mio cuore. Leggetelo, e comprendete da questo... (vuol dargli la lettera

Beatrice. Che bisogno vi è di una lettera, quando potete parlare a bocca? Ditegli i vostri sentimenti con libertà. Non vi prendiate soggezione di me. Son vostra amica, vi comparisco, e dove posso aiutar l’uno e l’altro, lo farò volentieri.

Florindo. Sì, cara, ditemi, se mi amate.

Rosaura. Oh cielo! Vi amo, ma...

Beatrice. Questo ma lasciatelo nella penna. Ella vi ama; e voi l’amate?

Florindo. Sapete ch’ella è l’anima mia.

Beatrice. Pensiamo al rimedio.

Rosaura. Qual rimedio, Beatrice? Voi sapete pure...

Beatrice. So tutto; ma il mondo è pieno di questi casi. Anche Livia si è maritata sei mesi sono contro il voler di suo padre, ed ora tutte le cose sono accomodate. Non ho tanti capelli in capo, quante ne conosco io che hanno fatto l’istesso.

Rosaura. L’esempio delle femmine pazze non dee regolare le savie. Livia si è maritata contro il voler di suo padre; ma [p. 454 modifica] che disse il mondo di lei? Come si parlava nei circoli della sua imprudenza, della sua ardita risoluzione? Dopo sei mesi si acquietò, è vero, il di lei genitore, persuaso dall’amore paterno e dalla necessità, che dopo il fatto consiglia; ma ha ella pertanto riacquistato il decoro? No certamente. Ella non si affaccerà ad una conversazione, che di lei non si mormori dalle medesime amiche sue. Ad ogni sua lode si contrapporrà la passata sua debolezza, si ricorrerà ad una tale memoria, qualunque volta vorrassi discreditarla. Lo sposo istesso, e molto più i di lui congiunti, la pungeranno talora su questo passo, e sarà ella portata per esempio15 delle pazze risoluzioni16, come una femmina che non si deve imitare.

Beatrice. Belle parole, ma non vagliono un fico.

Florindo. Signora Rosaura, capisco benissimo, e lodo il savio modo con cui pensate. Non ardirei nè meno io di proporvi una risoluzione, che offendesse il vostro decoro. Udite ciò che mi pare accordabile dall’amor vostro...

Beatrice. Se vi tratterrete in chiacchiere, perderete il tempo.

Florindo. Signora Beatrice, permettetemi ch’io parli.

Rosaura. Cara amica, in queste contingenze non si precipitano le risoluzioni.

Beatrice. A quest’ora io avrei risoluto.

Florindo. Come?

Beatrice. Una bellissima promissione fra voi altri due: una toccatina di mano, alla mia presenza e del mio servitore, manda a spasso il signor conte Ottavio.

Rosaura. Questo è quello ch’io non intendo di voler fare.

Florindo. Almeno promettetemi di non acconsentire alle nozze del Conte.

Rosaura. Vi posso promettere di non accordargli il mio cuore; ma della mia mano vuol disporre mio padre.

Beatrice. Ad uno la mano, e ad un altro il cuore; anche questo potrebbe passare per un matrimonio alla moda. [p. 455 modifica]

Rosaura. Ma questo cuore, ch’io forse sarò costretta di concedere a Florindo, non mi consiglierà nè meno a vederlo, non che trattarlo.

Beatrice. Consolatevi, signor Florindo, che starete allegro. (con ironia

Florindo. Ah! Rosaura, voi mascherate la mia sventura.

Rosaura. Vi parlo col cuor sulle labbra.

Florindo. Voi date una soverchia estensione all’autorità del padre.

Rosaura. Sono avvezza a obbedirlo.

Florindo. Mi avete pure amato.

Rosaura. Sì, ed egli si compiacea ch’io vi amassi.

Beatrice. E adesso, perchè si mutò egli tutto ad un tratto, può pretendere che vi cangiate anche voi?

Florindo. Dice bene la signora Beatrice; se è uomo ragionevole, non vi vorrà costringere a sì duro passo.

Rosaura. Può darsi ch’ei lo conosca; che trovi il mezzo termine per disimpegnarsi. L’ho sentito io stessa dar degl’impulsi al Conte per lo scioglimento di sua parola.

Florindo. Speriamo dunque.

Rosaura. Speriamo.

Beatrice. Ma assicuriamoci intanto.

SCENA VI.

Pantalone e detti.

All’arrivo di Pantalone che li sorprende, tutti restano ammutoliti. Rosaura abbassa gli occhi; Florindo si cava il cappello, e rimane confuso; Beatrice va dimenando il capo; stanno qualche momento in tali atteggiamenti, senza parlare; finalmente Pantalone fissa gli occhi a Rosaura, e dice:

Pantalone. Andè via de qua.

Rosaura. (Si mortifica; e parte senza parlare, e senza mirar nessuno.

Beatrice. (Seguita a dimenare il capo.

Pantalone. Patroni, xe ora de disnar. (con cera brusca

Beatrice. Mio marito avrà pranzato. [p. 456 modifica]

Pantalone. No, la veda. L’ho visto andar a casa giusto adesso.

Florindo. Andiamo, signora Beatrice.

Beatrice. Diavolo! Avete paura che vi mangi la parte vostra? Me n’anderò.17 (agitandosi per la scena

Pantalone. La compatissa, patrona. Mi son un galantomo, e alla mia tola no ricuso nissun. Da mi la xe restada delle altre volte, e se la vol, no la cazzo via.

Beatrice. Un’amica di tanti anni! sarebbe bella. (si leva il zendale, ed entra per dove è entrata Rosaura

Pantalone. (Tolè18, la vol restar a disnar). (da sè

Florindo. (Beatrice resta, ma io partirò). (da sè) Signor Pantalone, gli son servo.

Pantalone. Patron mio reverito.

Florindo. Non voglio incomodarla, perchè è ora di pranzo.

Pantalone. No so cossa dir: la fazza ela. Ma in casa mia, specialmente co no ghe son mi, la prego de no ghe vegnir.

Florindo. Parleremo con comodo. (alterato

Pantalone. Co la comanda.

Florindo. E parleremo in un modo, che forse vi dispiacerà.

Pantalone. Come, patron? Cossa voravela dir?

Florindo. Con comodo, con comodo. (andando

Pantalone. La se spiega.

Florindo. Vi porto rispetto...

Pantalone. La me lo perda, se ghe basta l’anemo.

Florindo. Lo scriverò a mio padre.

Pantalone. La ghe lo scriva anca a so sior nonno.

Florindo. Farmi andar a Livorno? Farmi tornar a Venezia?

Pantalone. Chi gh’ha dito che la vaga, chi gh’ha dito che la torna?

Florindo. Ma voi sapevate il motivo della partenza; vi era noto l’imminente mio arrivo.

Pantalone. Bisognava scriver.

Florindo. Dovevate aspettare. [p. 457 modifica]

Pantalone. La ghe ne sa pochetto, patron. Vago a disnar. (incamminandosi

Florindo. Ve ne pentirete.

Pantalone. Me pentirò? Come? (torna indietro

Florindo. Parleremo con comodo. Servitor suo.19 (vuol partire)

Pantalone. Se gh’avessi giudizio, no parleressi cussì. Se avessi scritto, v’averave aspettà. Se fussi vegnù un zorno avanti, la saria stada vostra.

Florindo. Ma, caro signor Pantalone, possibile che non vi sia rimedio? (dolcemente

Pantalone. Sto remedio mi no ghe lo so veder. Ho dà parola, ho sottoscritto el contratto. Cossa voleu che fazza?

Florindo. Discorriamola un poco. Vediamo, se si può trovar qualche mezzo termine.

Pantalone. Xe tardi. Bisogna che vaga a tola. Con so bona grazia. (s’incammina

Florindo. So io quel che farò. (forte

Pantalone. Cossa farala, patron? (torna indietro

Florindo. Niente.

Pantalone. La diga, cossa farala?

Florindo. Niente, dico. La riverisco. (vuol partire

Pantalone. Mi, mi ghe farò far giudizio.

Florindo. Che giudizio? Che cosa intendereste di fare? (torna indietro

Pantalone. Sior sì, ghe farò far giudizio. De mia fia mi son patron, e no gh’ho bisogno delle so bulae, e qua se fa far giudizio ai matti.

Florindo. Parleremo meglio.

Pantalone. La diga.

Florindo. Parleremo meglio. (parte [p. 458 modifica]

SCENA VII.

Pantalone solo.

Sì ben, parleremo. Vardè che canapiolo20! el crede farme paura. Giusto adesso mo son in pontiglio de no ghe la dar. Nassa quel che sa nasser; anca che sior Ottavio no la volesse, Florindo no la gh’averà più, casca el mondo. E quella temeraria de mia fia, se l’averà più ardir de parlar, de vardar, e gnanca de pensar a Florindo, la saverò castigar. Tolè! i giera qua tutti do, con quella cara siora Beatrice de mezzo. Oh che cara siora Rosaura! tutta modestia, tutta obbedienza, tutta rassegnazion; ma se no capitava qua, sa el cielo cossa se macchinava. Chi è de là? In tola21. (siede al tavolino, e scrive) Quattro fia sie 24 e otto 32; batter quattro, resta 28; do de provision... Eh! no so gnanca cossa che fazza; sto conto no me vien ben. Che carta xe questa? Una lettera? El xe carattere de mia fia. A sior Florindo? Brava! Una lettera a sior Florindo? Sentimo, mo.

 Signor Florindo.

 Quanto io v’abbia amato, voi lo sapete: e dopo un sì grande amore, sarete ben persuaso, che senza pena non potrò da voi distaccarmi. La mia fede ve l’ho serbata, finchè ho potuto; ma se mio padre vuol disporre di me altrimenti, sono in necessità di obbedirlo. Il mio cuore, che ho in voi collocato, durerà fatica a ritornarmi nel seno, nè io farò gran forza per ritirarlo; ma ad onta ancora di viver senza cuore, la mia mano sottoscriverà il decreto del padre, e morirò obbediente, prima che sopravvivere ingrata. Rassegnatevi anche voi colla vostra virtù ai voleri del cielo; e se questo non muovesi per noi22 a pietà, scordatevi di me, se potete, quantunque io non mi possa scordar di voi.

Rosaura Bisognosi.

[p. 459 modifica] Cossa sèntio? Rosaura ubbidiente a sto segno? Ella stessa licenzia una persona che l’ama tanto? Poveretto mi! Cossa mai oggio fatto? Un’unica fia, che ghe vôi tanto ben, la sagrifico miseramente, la rendo infelice per tutto el tempo de vita soa? Ma come mai possio far? Come possio liberarme da sior conte Ottavio? No ghe xe remedio. Co ghe n’ho dà un motivo, el m’ha cazzà la scrittura in tel muso. Son un omo d’onor. Gh’ho promesso, ho sottoscritto. No trovo cao da cavarme23. Orsù, l’è fatta. Rosaura xe una putta prudente; e quella virtù che la fa esser con mi ubbidiente, la farà deventar amorosa per el novo consorte, e rassegnada al destin. (parte

SCENA VIII.

Camera di locanda.

Arlecchino ed il Cameriere di locanda.

Arlecchino. Disim, caro amigo, se poderia saludar missier Brighella?

Cameriere. Chi è questo messer Brighella?

Arlecchino. Un bergamasco me paesan, che avemo servido insieme in casa de sior Pantalon. I m’ha dito, che l’è allozà in sta locanda.

Cameriere. È forse padre d’una ballerina?

Arlecchino. Giusto; el padre de Olivetta.

Cameriere. Olivetta! Parlate con24 rispetto. Il suo servitore le dà dell’illustrissima.

Arlecchino. Eh! donca no la sarà quella.

Cameriere. Suo padre non è un uomo alto, nero di faccia, gran parlatore?

Arlecchino. Giusto cussì. L’è Brighella senz’altro.

Cameriere. Bene, sono questi, e sono qui alloggiati. [p. 460 modifica]

Arlecchino. Li vorria saludar.

Cameriere. Sono a pranzo.

Arlecchino. Cossa importa? Ho domanda licenza al patron. Disnerò con lori.

Cameriere. Sono a pranzo con un cavalier forestiere.

Arlecchino. Diseghelo, che son qua.

Cameriere. Or ora hanno finito; aspettate un poco.

Arlecchino. No vedo l’ora de veder el me caro Brighella; s’avemo sempre voludo ben.

Cameriere. Mi pare impossibile, perchè ha una superbiaccia terribile.

Arlecchino. Eh! con mi nol averà superbia. Semo sempre stadi come fradelli; caro vu, fem el servizi; diseghe che el vegna qua, che ghe vôi parlar.

Cameriere. Glielo dirò; ma non verrà.

Arlecchino. Perchè?

Cameriere. Non vorrà lasciare la figlia sola con quel forestiere in camera.

Arlecchino. Provè a dirglielo. Fem sto servizio. Ma no ghe disiì chi sia. Ghe vôi far un’improvvisata.

Cameriere. Ora glielo dico. (Pensate se monsieur Brighella si degnerà di costui). (da sè, parte

Arlecchino. Oh che caro Brighella! No ved l’ora de véderlo. Vôi retirarm un tantin, per arrivargh all’improvviso. (si ritira

SCENA IX.

Brighella ben vestito, e detto.

Brighella. Restate, restate, figlia. Giuocate alle carte col signor Conte. (verso la porta

Arlecchino. (Capperi! L’è vestì da siorazzo!)25 (da sè)

Brighella. Chi è26 che me domanda? [p. 461 modifica]

Arlecchino. Son mi, paesan. Ben vegnudo. Ho savù che ti è vegnù a Venezia; te son vegnudo a trovar.

Brighella. Sì, te vedo volentiera. Ma a mi sto tu el se poderia sparagnar.

Arlecchino. No semio amici? No semio camerade?

Brighella. Altri tempi, altre cure. Ti, poverazzo, ti è ancora un povero servitor; mi son qualcossa de più.

Arlecchino. Coss’et, caro ti?

Brighella. No ti vedi in che figura che son?

Arlecchino. Vedo; me ne consolo: ma caro ti...

Brighella. A monte sto ti. Parla con un poco più de respetto.

Arlecchino. Caro signor Brighella, la compatissa.

Brighella. Cosa fate? State bene?

Arlecchino. Mi stago ben, e ti?...

Brighella. Son stufo de sto ti.

Arlecchino. Mo se no me posso tegnir. Com’èla? Me ne consolo. Ti... Vossignoria ha fatto fortuna.

Brighella. Se ti vedessi mia fia!

Arlecchino. Stala ben Olivetta?

Brighella. Coss’è sta Olivetta?

Arlecchino. Domando umilissimo perdon. Cossa fa l’illustrissima to fia?

Brighella. Se vede ben, che ti gh’ha dell’omo ordenario. La sta ben.

Arlecchino. Me ne consolo.

Brighella. Cossa fa sior Pantalon?

Arlecchino. El nostro patron? El sta ben.

Brighella. E so fia?

Arlecchino. La se fa novizza.

Brighella. Lo so. Col conte Ottavio, n’è vero?

Arlecchino. Sì, con elo. Se ti savessi che cavalier generoso!

Brighella. Eh! lo so. Semo amici.

Arlecchino. Amici?

Brighella. Sì. Avemo disnà insieme anca sta mattina. Se pratichemo con confidenza.

Arlecchino. Mo se l’è un siorazzo grando e ricco. [p. 462 modifica]

Brighella. E mi, cossa credistu che sia?

Arlecchino. Coss’estu deventà? Cónteme, caro ti.

Brighella. Arlecchin, co sto darme del ti, ti la passerà mal.

Arlecchino. Cara ela, la me conta.

Brighella. No ti sa, che siora Olivetta xe la prima ballarina d’Europa?

Arlecchino. Cossa mo vol dir?

Brighella. Voi dir che gh’avemo un mondo de roba, un mondo de bezzi, un mondo de zoggie. Oe! fina l’orinail d’arzente.

Arlecchino. Prego el cielo che la possia aver el cantaro d’oro.

Brighella. Oh! Arlecchin, se ti vedessi che figura che fa le mie vissere sul teatro! Oh che roba! I omeni i casca morti co i la vede; i se butta fora dei palchi. Un sora l’altro; casca el teatro, el precipita. No se pol star saldi.

Arlecchino. Prego el cielo de no la veder mai.

Brighella. Perchè mo?

Arlecchino. Se casca el teatro, no me vorave copar.

Brighella. Eh! va via, buffon. Se ti avessi sentìo a Vienna cossa che i diseva in tedesco, co la ballava!

Arlecchino. Cossa diseveli, caro ti?

Brighella. Caro ti!

Arlecchino. Cossa diseveli, cara ela?

Brighella. Brig, luch, nix, fauch, mi intendo tutto el tedesco.

Arlecchino. Sì? Cossa vol dir?

Brighella. Co la ballava, co la fava quelle capriole, i diseva: Oh cara! oh benedetta quella madre, che l’ha fatta! Responde un altro: e gnente a quel povero padre, che l’ha arlevada? Me cascava le lagreme dalla consolazion.

Arlecchino. Mo che bella cossa! Me vôi maridar anca mi.

Brighella. Per cossa mo te vustu maridar?

Arlecchino. Per aver una fia; per non servir più. Perchè la zente no me daga del ti.

Brighella. Poverazzo! Ghe vol altro a arrivar al merito della mia creatura! Vedistu quante ballarine che ghe xe? Gnente: val più una piroletta della mia, de cento capriole d’un altra. [p. 463 modifica]

Arlecchino. Coss’ela mo una piroletta?

Brighella. Una piroletta? Eccola. Ah! (fa la spaccata) Vedistu?

Arlecchino. Ti sa ballar anca lei?

Brighella. Gh’ho insegnà mi a mia fia.

Arlecchino. Ma dove ti astu ela imparà?

Brighella. Mi sono sempre dilettato del ballo.

Arlecchino. Parla toscano lei?

Brighella. Vedete bene; quando si viaggia, si parla... Ecco mia figlia.

Arlecchino. Col conte Ottavio.

Brighella. Sì. Il conte Ottavio la serve.

SCENA X.

Il Conte Ottavio dando il braccio a Olivetta; e detti.

Olivetta. Dopo che avrò riposato, sarò da Rosaura a rirare il lotto.

Arlecchino. Signora...

Brighella. Vardè, fia, sto poveromo che ve vol saludar.

Olivetta. Addio. (ad Arlecchino

Arlecchino. Me consolo infinitamente...

Olivetta. Conte, non v’incomodate d’avvantaggio, mi ritiro nella mia camera.

Ottavio. Non mi volete?

Olivetta. No, vado a dormire.

Ottavio. Non mi volete?

Olivetta. No, vi dico.

Ottavio. Un’altra volta. (la lascia con qualche disprezzo

Olivetta. (Lo soffro, so io perchè). (da sè

Arlecchino. Ela contenta, signora...

Olivetta. Non ho tempo.

Arlecchino. Mo, cara lustrissima...

Olivetta. Mi par di conoscervi.

Arlecchino. Son Arlecchin Battocchio.

Olivetta. Sì sì, mi ricordo. Addio. (parte [p. 464 modifica]

SCENA XI27.

Il Conte Ottavio, Brighella, Arlecchino, poi il Cameriere.

Arlecchino. L’è una signora veramente compita. (a Brighella

Brighella. Ah! La t’ha dito: addio.

Ottavio. Ehi!

Cameriere. La comandi.

Ottavio. La pipa. (passeggiando indietro

Cameriere. La servo. (parte

Brighella. Sior Conte, no la va a dormir?

Ottavio. Non dormo.

Brighella. Anderò mi.

Ottavio. Dormite fin che vi chiamo.

Brighella. Quando me chiamerala?

Ottavio. Mai.

Brighella. La vorria che morisse?

Ottavio. Una bestia di più, una di meno28...

Arlecchino. El la onora segondo el merito. (a Brighella

Brighella. Eh! tra de nu se disemo de le burle. Schiavo, sior Conte.29 (con aria

Ottavio. Meno confidenza.

Brighella. (E meio che vada via). (da sè, parte

SCENA XII.

Il Conte Ottavio, Arlecchino, e poi il Cameriere.

Ottavio. Arlecchino.

Arlecchino. Signor.

Ottavio. Che fa Rosaura?

Arlecchino. Mi credo che la staga ben.

Ottavio. Oggi sarò da lei. [p. 465 modifica]

Cameriere. Eccola servita. Acciò non s’incomodi, l’ho accesa.

Ottavio. Bene. (gli dà una moneta

Cameriere. Grazie a vossignoria illustrissima. (Eh! lo conosco il tempo). (da sè; parte, poi toma

Ottavio. Arlecchino.

Arlecchino. Signor.

Ottavio. Senti.

Arlecchino. La comandi. (s’accosta

Ottavio. (Gli getta una boccata di fumo nel viso.

Arlecchino. Ai altri la ghe dà dei denari, e a mi la me fa su affronti? Cossa sognia30 mi, una bestia?

Ottavio. (Tira fuori la borsa.

Arlecchino. (El vien). (da sè

Ottavio. Va in collera.

Arlecchino. Corponon, sanguenon.

Ottavio. Va in collera.

Arlecchino. Me maraveio, sangue de mi!

Ottavio. Va in collera.

Arlecchino. Son in furia, son in bestia.

Ottavio. Non sai andare in collera. (vuol riporre la borsa

Arlecchino. L’aspetta... A mi sti affronti? Razza maledetta. Fiol d’un becco cornù.

Ottavio. (Ride, e gli dà una moneta.

Arlecchino. Porco, aseno, carogna.

Ottavio. (Gli dà un’altra moneta.

Arlecchino. Ladro, spion.

Ottavio. (Gli rompe la pipa sulla faccia.

Arlecchino. Non vagh altr in collera. Basta cussì.

Ottavio. Ehi!

Cameriere. Comandi.

Ottavio. Un’altra pipa.

Cameriere. Subito. (Un altro filippo). (da sè; parte, poi torna con la pipa accesa

ii [p. 466 modifica]

Arlecchino. Comandela altro?31

Ottavio. Vien qui.

Arlecchino. Signor... (ha paura

Ottavio. Accostati. (con collera

Arlecchino. Son qua. (s’accosta

Ottavio. (Gli dà un calcio, e lo fa saltare.

Arlecchino. Grazie.

Ottavio. (Gli dà una moneta) Un’altra volta.

Arlecchino. Un’altra volta.

Ottavio. (Gli fa il simile, e lo fa saltare.

Cameriere. Servita. (gli porta la pipa accesa

Ottavio. (Prende la pipa, e fuma.

Cameriere. L’ho accesa per minorargli l’incomodo.

Ottavio. (Mette mano alla borsa.

Cameriere. (Un altro felippo). (da sè

Ottavio. (Dà una moneta ad Arlecchino.

Arlecchino. Un’altra volta.

Ottavio. Un’altra volta, (gli dà il calcio, come sopra, e ripone la borsa

Cameriere. Lustrissimo.

Arlecchino. Un’altra volta.

Ottavio. Un’altra volta. (gli dà un altro calcio

Arlecchino. No gh’è niente.

Ottavio. Un’altra volta.

Arlecchino. Basta cussì. (parte

Cameriere. (Sta volta l’è andada sbusa). (da sè) Lustrissimo.

Ottavio. Non c’è altro. (adirato

Cameriere. Gh’è un che la domanda.

Ottavio. (Passeggia un pezzo, e poi dice) Chi è?

Cameriere. Un certo signor Florindo, livornese.

Ottavio. (Passeggia un pezzo, e poi dice) Passi.

Cameriere. Oh che uomo curioso! (parte

Ottavio. Bricconi! Dono quando voglio. (passeggiando e fumando [p. 467 modifica]

SCENA XIII.

Florindo e detto.

Florindo. Servitor umilissimo del signor Conte.

Ottavio. Schiavo suo.

Florindo. Perdoni, se vengo ad incomodarla.

Ottavio. Chi è vossignoria?

Florindo. Florindo Aretusi32, per obbedirla.

Ottavio. Non la conosco.

Florindo. Son venuto a pregarla...

Ottavio. Non la conosco.

Florindo. Favorisca d’ascoltarmi.

Ottavio. Non parlo con chi non conosco. (parte

SCENA XIV.

Florindo solo.

Che maniera33 è codesta? Così si tratta co’ galantuomini? Perchè non mi conosce, non mi vuole ascoltare? Ma mi conoscerà34. Saprà ch’io voleva parlargli intorno al suo matrimonio, e sfuggirà di venir meco a parole35. Giuro al cielo, gli parlerò in luogo dove sarà forzato ad ascoltarmi; e se non vorrà udir le mie voci, lo farò rispondere alla mia spada.

SCENA XV.

Il Conte Ottavio e detto; poi il Cameriere.

Ottavio. M’ha detto il locandiere chi siete. Parlate, che vi ascolterò.

Florindo. Che difficoltà avevate voi di trattar meco?

Ottavio. Il mondo è pieno di bricconi. Sedete.

Florindo. (Mi son note le sue stravaganze). (da sè; siedono) Signore, [p. 468 modifica] mi è stato supposto, che voi vogliate accasarvi colla signora Rosaura Bisognosi; è egli vero?

Ottavio. I fatti miei non li dico a nessuno.

Florindo. Se voi non mi volete dire i fatti vostri, vi dirò io i miei...

Ottavio. Non mi curo saperli.

Florindo. Vi curerete saperli, se vi dirò che la signora Rosaura è meco impegnata.

Ottavio. Da quando in qua?

Florindo. Son anni, che noi ci amiamo.

Ottavio. Pantalone è uomo d’onore.

Florindo. Ma se la figlia non vi acconsente?

Ottavio. Vi acconsente.

Florindo. Forzatamente, forse per obbedienza al padre; non per genio, non per amore di voi.

Ottavio. Il cuor non si vede.

Florindo. Il cuor di Rosaura è mio.36

Ottavio. Siete pazzo.

Florindo. Giuro al cielo. A me pazzo? (s’alza furioso

Ottavio. (Mostra qualche paura.

Florindo. Colla spada mi renderete conto di tale ingiuria.

Ottavio. Ehi!

Cameriere. Comandi.

Ottavio. (S’avvia verso la camera con qualche timore.

Florindo. Se non mi lascerete Rosaura, perderete la vita.

Ottavio. (Tirandosi su li calzoni e sbuffando parte.

Cameriere. Signore, in questa locanda non si fanno bravate. (a Florindo

Florindo. Lo troverò per istrada. Ditegli che si guardi da un disperato. (parte

Cameriere. Che diavolo è stato? Anderò io con due o tre compagni a guardar la vita del signor Conte. Di quando in quando butta filippi, che consolano il cuore. (parte [p. 469 modifica]

SCENA XVI.

Camera di Pantalone.

Pantalone e Beatrice.

Pantalone. Mia fia xe la più bona creatura de sto mondo, e nissun37 la mettesse su, la farave tutto a mio modo, senza una minima difficoltà.

Beatrice. In quanto a me, signor Pantalone, non vi potete dolere; vi ricorderete che questa mattina, in vostra presenza, la consigliava a prendere il conte Ottavio.

Pantalone. Ma po dopo, siora, l’avè fatta parlar co sior Florindo.

Beatrice. Io? Che importa a me di Florindo? Sono amica di casa Bisognosi; voglio bene a Rosaura, desidero vederla star bene, e non m’impaccio dove non mi tocca.

Pantalone. Ve par che col conte Ottavio Rosaura no starà ben?

Beatrice. Anzi benissimo. Questa mattina le ho pur detto dieci volte, che dicesse di sì.

Pantalone. El xe nobile.

Beatrice. La farà diventar Contessa.

Pantalone. E! xe ricco.

Beatrice. E come! Basta veder quelle gioje.

Pantalone. Nol gh’ha altro mal, che el xe un poco lunatico.

Beatrice. Tutti voi altri uomini avete qualche difetto.

Pantalone. Florindo finalmente xe fio de fameggia.

Beatrice. E suo padre lo tien corto.

Pantalone. So padre no vol morir per adesso. Sa el cielo, che vita i ghe farave far a mia fia.

Beatrice. Figuratevi! Gente avara!

Pantalone. E po quel sporco el xe un boccon de temerario.

Beatrice. Ragazzi che non hanno giudizio.

Pantalone. Cara siora Beatrice, vu che se una donna de proposito, che intende la rason, e che volè ben a mia fia, con[p. 470 modifica]seggiela anca vu a quietarse, a sposar volentieri sior Conte, a desmentegarse Florindo. Xe vero che la xe bona, che la xe ubbidiente, ma vorria che la fusse contenta, che la lo fasse de cuor, e vu colle vostre parole podè farghe cognosser la verità, e farla esser de bon umor.

Beatrice. Non dubitate, signor Pantalone, che farò di tutto per illuminarla, per darle animo; vado in questo momento a ritrovarla nella sua camera, e vorrei che foste presente a sentirmi, che son certa rimarreste contento.

Pantalone. Andemo; vegnirò anca mi.

Beatrice. Oh! no. E meglio ch’io vada sola; parlerò con libertà.

Pantalone. Via, fe pulito. Ma... fermeve. No ghe xe bisogno d’andarla a trovar. La xe qua che la vien.

Beatrice. (Ora son nell’imbroglio). (da sè

SCENA XVII.

Rosaura e detti.

Rosaura. Signore, ho ricevuto questo viglietto. Lo pongo nelle vostre mani.

Pantalone. Chi scrive?

Rosaura. Il signor conte Ottavio.

Pantalone. El vostro novizzo.

Rosaura. (Ma!) (da sè

Beatrice. Cosa scrive di bello il signor Conte?

Pantalone. Adessadesso lal saverà anca ella. (legge piano)

Beatrice. Scrive bene? Ha bel carattere? (osservando sulla carta

Pantalone. La toga; vorla lezzerla? La se serva.

Beatrice. Sì, leggerò io. (prende la lettera

Pantalone. Cussì la sarà contenta.

Beatrice. Signora sposa. (legge) Sentite? Signora sposa. Oggi verrò da voi. Verrà una ballerina, tireremo un lotto. Badate bene che non vi sia il Livornese. Sono vostro sposo e servitore Ottavio del Bagno. Avete sentito? (a Rosaura

Pantalone. Cossa salo del Livornese? [p. 471 modifica]

Beatrice. Gli sarà stato detto.

Pantalone. Orsù, che Florindo no vegna più in casa mia. Vu no lo stè a ricever; no ghe dè speranze, e finimo sto pettegolezzo.

Rosaura. (Si asciuga gli occhi, mostrando di piangere.

Pantalone. Via, coss’è sto fiffar38? Sè una putta prudente, pensè al vostro ben. Sentì cossa che dise siora Beatrice: una fortuna de sta sorte no la s’ha da lassar andar. Cossa disela? (a Beatrice

Beatrice. Chi mai sarà questa ballerina?

Rosaura. Credo sarà Olivetta; per quello che mi ha detto Arlecchino, è alloggiata alla locanda col conte Ottavio, e so che questo gentilissimo cavaliere l’ha tenuta a pranzo con lui.

Pantalone. No saveu, cara fia? Alle locande se fa tavola rotonda. I forastieri i magna tutti insieme. Sior Conte xe un omo de proposito; el xe ricco, e vu sarè una prencipessa. Siora Beatrice, la ghe fazza rilevar a mia fia sto boccon de fortuna.

Beatrice. Pensava adesso a quel che scrive il signor conte Ottavio. Tireremo un lotto. Sapete voi che lotto egli sia? (a Rosaura

Rosaura. Io non so nulla.

Pantalone. No parlemo de lotti. El più bel lotto per mia fia xe sto matrimonio. Siora Beatrice, quel che la m’ha dito a mi, la ghe lo diga a Rosaura.

Beatrice. Caro signor Pantalone, compatite. Ho curiosità di rileggere questo viglietto.

Pantalone. No ala sentìo? Velo qua. Oggi verrò da voi. Verrà una ballerina. Tireremo un lotto. Badate bene che non ci sia il Livornese. Questo xe quel che importa. Florindo ha fatto qualche pettegolezzo. Sto Florindo no gh’ha giudizio. La ghe diga ela a mia fia, che bel cambio la farave lassando un Conte, per tor una frasca.

Beatrice. Certo. Il signor Florindo avrà parlato. [p. 472 modifica]

Rosaura. Ora, signor padre, lo maltrattate. Una volta non dicevate così.

Pantalone. Una volta giera una volta. Adesso no posso più dir cussì. El m’ha perso el respetto.

Beatrice. Vi ha perso il rispetto? Oh! signora Rosaura.

Pantalone. La ghe diga le parole. (a Beatrice

Beatrice. (Abbiate pazienza). (piano a Rosaura

Pantalone. Forte, che senta.

Beatrice. In verità direi di quelle cose, che non sono da dire.

Pantalone. Qua no bisogna grattar le recchie a nissun; parlemo con libertà.

SCENA XVIIL

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Signori, l’è qua Brighella colla lustrissima siora Olivetta so fia, che vol onorarli de una visita.

Pantalone. Adesso no gh’avemo tempo...

Beatrice. Oh! sì, sì, signor Pantalone, che vengano. (È bene di tener divertita la signora Rosaura; meno che ci pensa, è meglio). (a Pantalone

Pantalone. Vorria che destrighessimo quel che preme più.

Arlecchino. Cossa disela? Se i femo aspettar, i va in collera.

Beatrice. Vengano, vengano. È vero, signor Pantalone?

Pantalone. Che i vegna. (Sta donna vol tutto a so modo), (da sè

Arlecchino. Ghe dago un avvertimento. A Brighella no le ghe daga del ti, per amor del cielo. (parte

Beatrice. Rosaura, state allegra, divertitevi; non dubitate, che sarete contenta.

Rosaura. Sarei contenta, se avessi un cuor come il vostro.

Beatrice. Oh! ecco la ballerina. [p. 473 modifica]

SCENA XIX.

Brighella ed Olivetta in abito di gala, con due ballerini che le danno braccio; e detti.

Olivetta. Serva di lor signore.

Rosaura. Olivetta, vi riverisco. Ben ritornata.

Olivetta. (Olivetta! Crede ch’io sia ancora una serva). (da sè

Brighella. (L’ha magnà el manego della scoa39). (da sè

Pantalone. Me rallegro. Ben venuti. Caspita! Semo in aria40.

Brighella. Cossa vorla? Povera zente: ma gh’avemo el nostro bisogno.

Beatrice. Venite qui, signora Olivetta, lasciatevi vedere. Siete molto sfarzosa.

Olivetta. Oh! cara signora, siamo da viaggio. Con questo straccio di abito mi vergogno.

Beatrice. Capperi! Da viaggio? Avete delle belle gioje.

Brighella. Bagattelle, védela, bagattelle. La vedrà po’ col tempo. Deme una presa de tabacco. (ad Olivetta

Pantalone. Chi èli quei signori? (i ballerini s’inchinano

Olivetta. Sono due ballerini, che ho condotto con me di Germania. (dà la scatola d’oro a Brighella

Brighella. Do poveri putti, che gh’avemo pagà el viazzo per vegnir in Italia. La favorissa. La se degna. No l’è miga princisbech, sala? (dando tabacco

Pantalone. Ave fatto dei gran bezzi.

Brighella. No l’ha sentìo le nove? La mia putta xe nominada per tutto el mondo.

Beatrice. Vi vedremo a ballare? (ad Olivetta

Olivetta. Può essere.

Brighella. Eh! Sarà difficile. No i vol spender in sti paesi.

Pantalone. No i vol spender? Se i paga più un ballerin de un poeta! [p. 474 modifica]

Beatrice. Se voleste, vi sarebbe ora un’occasione bellissima.

Olivetta. Chi sa! Per farmi vedere, forse forse41 ballerei.

Brighella. Se fa opera?

Beatrice. Sì, vi è un’opera buffa; se volete, parlerò all’impresario.

Brighella. Oe! Un’opera buffa! (ad Olivetta, ridendo

Olivetta. Oh! signora mia, non mi avvilisco tanto.

Brighella. Un’opera buffa! Oh via!42 Semo vegnui in Italia a acquistar qualcossa.

Beatrice. Ma in oggi nelle opere buffe ballano i primi soggetti.

Brighella. Una donna de sta sorte, che ha fatto la prima figura su tutti i teatri regi, imperiali, ducali e monarcali? (tutti ridono

Olivetta. (Povera gente!)43 (da sè

Rosaura. (Se avessi voglia di ridere, costoro mi farebbero smascellare). (da sè

Beatrice. (Che dite? Quanta superbia!) (a Pantalone

Pantalone. (I gh’ha rason. El xe el so secolo). (a Beatrice

Brighella. Gh’aveu el relogio d’oro? Vardè mo, che ora fa.

Olivetta. Signore mie, non istieno a disagio per causa mia. Sono 23 ore. Seggano, se comandano.

Beatrice. Grazie alla sua gentilezza. Accomodiamoci, giacchè la signora Olivetta ce lo permette.

Pantalone. Oh! che cara siora Beatrice! (tutti siedono

Olivetta. La signora Rosaura è sposa, non è egli vero?

Rosaura. Lo sapete anche voi?

Olivetta. Me l’ha detto il Conte?

Rosaura. Il Conte? Avete della gran confidenza con lui.

Olivetta. Oh, non mi prendo gran soggezione.

Brighella. Semo avvezzi a praticar principi, marascialli, plenipotenziari.

Pantalone. (Oh! co bello che xe costù!) (da sè

Olivetta. So anche che il signor Florindo è sulle furie, e ha minacciato il signor Conte. [p. 475 modifica]

Brighella. E sior Conte el gh’ha una paura, che el trema da tutte le bande.

Beatrice. Eccolo il signor Conte.

Pantalone. Rosaura, abbiè giudizio.

Rosaura. (Che giornata è questa per me!) (da sè

SCENA XX.

Il Conte Ottavio e detti; poi Arlecchino.

Ottavio. (Saluta senza parlare; tutti s’alzano, fuor che Olivetta e Brighella. Ottavio guarda d’intorno con attenzione e paura.

Pantalone. Cossa vardela, sior Conte?

Ottavio. Vi è il Livornese?

Pantalone. No la se dubita, nol gh’è, e nol ghe vegnirà.

Ottavio. Schiavo, signora sposa.

Rosaura. Serva sua.

Ottavio. Schiavo, ballerina. Schiavo, grassotta. (a Beatrice

Beatrice. Il signor Conte mi burla.

Ottavio. Sempre i guanti. (a Rosaura

Rosaura. Ma, signore...

Ottavio. Ve li caverete questa sera. Ballerina, avete dormito?

Olivetta. Ballerina! Che cos’è questa confidenza?

Brighella. Gran bel trattar via de qua: sempre madama.

Ottavio. Avete portato il lotto?

Olivetta. La corniola è qui. I viglietti si fanno presto.

Brighella. Se le vol, mi li fazzo in t’un momento.

Ottavio. Da scrivere.

Pantalone. Oe, portè da scriver.

Arlecchino. (Porta un tavolino da scriver, vicino ad Ottavio e Brighella.

Ottavio. Un’altra volta. (ad Arlecchino

Arlecchino. Un felippo alla volta; vado drio fin doman. (parte, poi torna

Ottavio. Scrivete. (a Brighell)

Brighella. Son qua. Numero uno.

Ottavio. La signora Rosaura. (e dà uno zecchino a Olivetta [p. 476 modifica]

Brighella. Numero do. (scrivendo

Ottavio. La grassotta. (dà un zecchino

Beatrice. Obbligatissima.

Brighella. Numero44 tre.

Ottavio. Signor Pantalone. (dà un zecchino

Pantalone. Anca per mi? Grazie.

Brighella. Numero quattro.

Ottavio. La ballerina. (dà un zecchino

Olivetta. Troppo gentile.

Brighella. La signora Olivetta, virtuosa de Sua Maestà, ecc. Numero cinque.

Ottavio. Brighella. (dà un zecchino

Brighella. Il signor Brighella. Numero sei.

Ottavio. Conte Ottavio. (dà un zecchino

Brighella. Numero sette.

Ottavio. (Guarda li due ballerini) Chi sono coloro?

Brighella. Do galantomeni nostri amici.

Ottavio. Mettete. (alli due ballerini, quali si guardano fra di loro) Ho inteso, non ne hanno. Scrivete due spiantati, (dà due zecchini

Brighella. Numero sette. Monsù Bilanzè. Numero otto. Monsù Sassè. Numero nove. (guardando Ottavio

Ottavio. Arlecchino. (chiama

Arlecchino. Signor?

Ottavio. Scrivete Arlecchino.

Brighella. Un servitor?

Ottavio. È stato vostro camerata. Scrivete. (dà un zecchino

Brighella. Basta, lo metteremo.

Arlecchino. Cossa se venze?45

Olivetta. Una corniola.

Arlecchino. Corniola? Sta roba se mette al lotto? Se ghe n’è da cargar una nave.

Brighella. Numero dieci. [p. 477 modifica]

Ottavio. (Guarda d’intorno, non vede, alcuno.

Brighella. Numeri dieci.

Ottavio. Non v’è altri.

Brighella. Se no i gh’è tutti, no se pol cavar.

Ottavio. Uh! (con disprezzo a Brighella) Scrivete.

Brighella. Scrivo.

Ottavio. Un ladro.

Brighella. Un ladro?

Ottavio. Sì, un ladro. Ecco il zecchino. (dà un zecchino

Brighella. Chi èlo sto ladro?

Ottavio. Lo conosco io.

Brighella. Un ladro. Ecco finido.

Beatrice. Questo ladro sarà il signor Conte.

Ottavio. Come?

Beatrice. Sì, perchè ha rubato il cuore alla signora Rosaura.

Ottavio. Brava, grassotta. Ah! Che dite? (a Rosaura

Rosaura. (Beatrice tien da chi vince). (da sè

Pantalone. Via, allegramente. (a Rosaura

Brighella. Adesso bisogna far i bollettini.

Ottavio. Li ho portati io fatti. Eccoli.

Brighella. Mettemoli in cappelli. (offre il suo cappello

Ottavio. Sporco. (tira fuori due fazzoletti puliti: mette i viglietti in uno e nell’altro. Ne dà uno a Rosaura, e l’altro a Beatrice.

Brighella. Chi caverà i viglietti?

Ottavio. Vi vorrebbe un innocente.

Beatrice. Io.

Ottavio. Grassotta, galeotta!

Pantalone. Vorla che fazza vegnir el mio puttelo de mezzà?

Ottavio. Sì.

Pantalone. Chiamè Tonin. (ad Arlecchino

Arlecchino. (Parte.)

Ottavio. Qui sono i numeri. Qui la grazia. E chi non ha la grazia, avrà qualche cosa.

Olivetta. Che cosa?

Ottavio. Una sentenza. Un motto. Una bizzarria. Sentirete. [p. 478 modifica]

Brighella. Eli questi i numeri? (ne spiega alcuni, trova il numero quattro, e lo nasconde con arte) (Questo l’è el numero quattro, el numero de mia fia. Se posso, voi cuccar46 anca la corniola). (da sè)

SCENA XXI.

Tonino e detti.

Tonino. Cosa comandela? (a Pantalone

Pantalone. Senti, cossa dise sior Conte.

Ottavio. Cavate un viglietto qui, uno qui; uno qui, uno qui; uno qui, uno qui.

Tonino. Ho inteso.

Brighella. Vegnì qua: ve insegnerò mi. (Co vien la grazia, tirè fora questo. Scondèlo: ve darò un ducato). (piano a Tonino

Tonino. (Ho inteso). (va a cavare

Beatrice. (Vorrei che toccasse a me). (da sè

Pantalone. Rosaura, ancuo per vu se cava do lotti. Uno ve tocca seguro.

Rosaura. E quale, signore?

Pantalone. Velo là: sior Ottavio.

Ottavio. Bravo suocero.

Tonino. (Cava un viglietto.

Ottavio. Leggete. (a Tonino

Tonino. (Legge.

               Metto per forza, e mai mi tocca grazia.
               Getto il denaro, e niuno mi ringrazia.

Beatrice. Oh bello! Che numero è?

Tonino. Numero due.

Beatrice. Maledetto! Il mio, date qui. (si fa dare il viglietto da Tonino

Olivetta. Chi ha scritto questa bella cosa?

Ottavio. Zitto. Cavate. (a Tonino

Tonino. (Cava e legge.

               Con buona grazia di vossignoria,
               I lotti sono una birbanteria.

[p. 479 modifica]

Beatrice. È vero, date qui. (come sopra

Olivetta. La corniola val più di dieci zecchini.

Brighella.. L’avemo comprada a Petervaradino.

Ottavio. Il numero. (a Tonino

Tonino. Numero nove.

Brighella. Arlecchin. (leggendo

Arlecchino. Za delle corniole no ghe ne manca. (parte

Tonino. (Cava e legge.

               Oh! razza bella e buona,
               Sto a vedere che tocchi alla padrona.

Beatrice. (Oh! toccherà a lei senz’altro). (da sè

Olivetta. Ci sono anch’io, mi può toccare.

Ottavio. Zitto. Il numero. (a Tonino

Tonino. Numero tre.

Pantalone. Son mi. Za al mio solito. Mai ghe n’ho vadagnà uno.

Tonino. (Cava e legge.

               Arte e industria vi vuole,
               Perchè a scialar non bastan le capriole.

Olivetta. Questo poi è troppo.

Brighella. L’è un’insolenza! La scriveremo ai nostri protettori.

Beatrice. Date qui, date qui. (come sopra

Olivetta. Non mi è mai stato perduto il rispetto.

Ottavio. Zitto.

Brighella. Animo, cavè. (a Tonino

Tonino. (Cava e legge.)

               Ecco, la grazia è questa:
               A chi toccò, possa cascar la testa.

Ottavio. Il numero. (a Tonino

Tonino. Numero quattro.

Ottavio. La ballerina.

Beatrice. (Legge.)

               Ecco, la grazia è questa:
               A chi toccò, possa cascar la testa.

Olivetta. Mi è toccata legittimamente. Io non ne ho colpa.

Brighella. I parla per invidia. [p. 480 modifica]

Beatrice. (Legge.)

               Oh! razza bella e buona,
               Sto a vedere che tocchi alla padrona.

Olivetta. E così? Che vorreste dire? È il primo caso questo, che il lotto tocchi a chi lo fa?

Beatrice. (Legge.)

               Arte e industria ci vuole,
               Perchè a scialar non bastan le capriole.

Olivetta. Oh! questa poi non la posso soffrire. (s’alza

Brighella. L’è un’insolenza.

Olivetta. Andiamo via.

Brighella. Schiavo, siori.

Olivetta. Il signor Conte me la pagherà. (parte

Brighella. (Se troveremo fora d’Italia). (parte coi ballerini

Ottavio. (Ride.

Tonino. (Vado a prendere il mio ducato). (da sè, parte

Rosaura. Mi dispiacciono assai queste scene.

Pantalone. Ve tolè suggizion de uno che xe sta nostro servitor?

Beatrice. Con noi viene a far le grandezze? Ha fatto bene il signor Conte a mortificarli.

Ottavio. (Ride.

Beatrice. Ma intanto ha portato via dieci zecchini e la corniola.

Ottavio. (Ride.

Pantalone. Orsù, sior Conte, discorremo dei fatti nostri. Quando vorla che destrighemo sto negozio?

Ottavio. Questa sera.

Pantalone. Donca bisognerà...

Ottavio. A tre ore.

Pantalone. Bisognerà mandar a chiamar...

Ottavio. Verrò a tre ore.

Pantalone. Ho inteso: darò i ordeni...

Ottavio. Sposa.

Pantalone. Via, respondeghe. (a Rosaura

Rosaura. Signore. [p. 481 modifica]

Ottavio. A tre ore... Grassotta, a tre ore. Suocero, a tre ore. Mi vado a metter all’ordine. (parte

Pantalone. Aveu sentìo? A tre ore. (a Rosaura, e parte47

Rosaura. La mia sentenza l’ho intesa. A tre ore sarò sagrificata. (parte

Beatrice. A un tal sagrificio vi sono andata una volta, e vi anderei la seconda.48 (parte

Fine dell’Atto Secondo.



Note

  1. Pap.: In casa non ho coraggio d’andarvi.
  2. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. Caro Florindo, siete pur buono. Queste ragazze non hanno fondamento. Flor. Possibile che ecc.».
  3. Oh! Le ha ecc.
  4. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. Qual è quella donna che non sia interessata? Ah! signora ecc.».
  5. Segue nell’ed. Pap.: «Flor. Non mi sarei mai creduto che Rosaura fosse capace d’abbandonarmi. Beatr. Ma! Volete tabacco? tira fuori la scatola d’oro. Flor. Per amore ecc.».
  6. Pap.: Pazienza in tutto.
  7. Pap. avverte: piange.
  8. Pap. aggiunge: A che serve il piangere!
  9. Pap. aggiunge: forse.
  10. Pap.: mia incostanza, mia infedeltà?
  11. Pap.: Questo sarebbe ecc.
  12. Pap.: a me
  13. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. Vostro padre non è in casa? Ros. A quest’ora suol essere co’ suoi mercanti. Beatr. Scrivete? ecc.».
  14. Pap.: Io l’ho veduta lacrimar per voi con dirotto pianto.
  15. Pap.: per regola.
  16. Segue nell’ed. Pap.: come voi ora la proponeste a me per modello di una scorretta femmina, che non si deve imitare.
  17. Pap. aggiunge: Grazie al cielo, non ho bisogno di mangiare a casa di nessuno.
  18. Pap.: Oh che fazza tosta! Tale ecc.
  19. Segue nell’ed. Pap. «Pant. Parole da frasca. Flor. A chi? torna indietro. Pant. Se gh’avessi ecc.».
  20. Sguaiato. [nota originale]
  21. Ordina che diano in tavola. [nota originale]
  22. Pap. aggiunge: altrimenti.
  23. Non trovo la via d’uscirne. [nota originale]
  24. Pap.: Parlate bene con poco ecc.
  25. Da gran signor. [nota originale]
  26. Pap. aggiunge: sto cavalier.
  27. Continua sc. X nell’ed. Pap.
  28. Pap.: Un porco più, un porco meno.
  29. Segue nell’ed. Pap.: «Ott. Asino. Brigh. La tira et fià. Ott. Gli getta un catino da lavar le mani di terra, che si trova sopra un tavolino. Arl. Scherzi amorosi. a Brigh. Brigh. (È meio ecc.)».
  30. Zatta: sognio.
  31. Segue nell’ed. Pap.: «Ott. Sei buffone. Arl. Quel che la comanda. Ott. Vieni qui ecc.».
  32. Pap. aggiunge: livornese.
  33. Pap. aggiunge: di trattare.
  34. Pap. aggiunge: egli pur troppo.
  35. Pap.: a parlare.
  36. Segue nell’ed. Pap.: «Ott. Dove l’avete? Flor. Nel mio seno rinchiuso. Ott. Sentite, s’accosta. Siete pazzo, ecc.».
  37. Segue nell’ed. Pap.: ghe restasse de mezzo a corneggiarla, se nissun la ecc.
  38. Miagolare. [nota originale]
  39. Vuol dire, che Rosaura non si degna d’inchinarsi per salutarla. [nota originale]
  40. In grandezze. [nota originale]
  41. Pap. aggiunge: anche.
  42. Pap.: Oh via, via.
  43. Segue nell’ed. Pap.: «Brigh. (Cara fia, andemo via). Oliv. E il lotto? Brigh. (Se sior Conte no vien, andemo via). Ros. (Se avessi ecc)».
  44. Pap.: La signora Beatrice. Numero ecc.
  45. Cosa si vince? [nota originale]
  46. Guadagnare con artifizio. [nota originale]
  47. Pap. ha solo: a Rosaura.
  48. Segue nell’ed. Pap.: «Pant. Vardè che spropositi! Cossa credela mia fia, che i la voggia scannar? El matrimonio xe un sagrifizio soave. Amor xe el ministro, l’altar xe fiorìo, el fogo no scotta, e la vittima non se muda».