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470 ATTO SECONDO

seggiela anca vu a quietarse, a sposar volentieri sior Conte, a desmentegarse Florindo. Xe vero che la xe bona, che la xe ubbidiente, ma vorria che la fusse contenta, che la lo fasse de cuor, e vu colle vostre parole podè farghe cognosser la verità, e farla esser de bon umor.

Beatrice. Non dubitate, signor Pantalone, che farò di tutto per illuminarla, per darle animo; vado in questo momento a ritrovarla nella sua camera, e vorrei che foste presente a sentirmi, che son certa rimarreste contento.

Pantalone. Andemo; vegnirò anca mi.

Beatrice. Oh! no. E meglio ch’io vada sola; parlerò con libertà.

Pantalone. Via, fe pulito. Ma... fermeve. No ghe xe bisogno d’andarla a trovar. La xe qua che la vien.

Beatrice. (Ora son nell’imbroglio). (da sè

SCENA XVII.

Rosaura e detti.

Rosaura. Signore, ho ricevuto questo viglietto. Lo pongo nelle vostre mani.

Pantalone. Chi scrive?

Rosaura. Il signor conte Ottavio.

Pantalone. El vostro novizzo.

Rosaura. (Ma!) (da sè

Beatrice. Cosa scrive di bello il signor Conte?

Pantalone. Adessadesso lal saverà anca ella. (legge piano)

Beatrice. Scrive bene? Ha bel carattere? (osservando sulla carta

Pantalone. La toga; vorla lezzerla? La se serva.

Beatrice. Sì, leggerò io. (prende la lettera

Pantalone. Cussì la sarà contenta.

Beatrice. Signora sposa. (legge) Sentite? Signora sposa. Oggi verrò da voi. Verrà una ballerina, tireremo un lotto. Badate bene che non vi sia il Livornese. Sono vostro sposo e servitore Ottavio del Bagno. Avete sentito? (a Rosaura

Pantalone. Cossa salo del Livornese?