La Veste d'Amianto/Parte seconda/I

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Parte seconda Parte seconda - II

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I.

— Un posto o due? — interrogò Ugo alzando il sottil viso pallido, pieno di entusiasmo, in faccia ai due collaboratori.

Noris corruscò la fronte e disse:

— Silenzio!

— Nemmeno questo?

— Silenzio! — replicò Noris, — ho detto che voglio la discrezione più assoluta.

Il ragazzo tacque, ma aveva sul viso tante mortificazione, che l’ingegner Dauro credette di poter soggiungere, rivolto all’amico:

— Via, questo non ha importanza! Molto più — soggiunse — che non so ancora cosa deciderai in proposito.

— Ho già deciso.

— Be’, — fece ancora l’ingegnere Dauro parlando ad Ugo, — l’apparecchio è a due posti....

Fu interrotto da un doppio grido di sorpresa e di gioia insieme. Ugo e Minerva Fabbri avevano gridato a Noris, ubbidendo allo stesso impulso:

— Portate me!

Dal suo angolo dove ascoltava, accoccolata per terra, intenta a intrecciare con molta pazienza e altrettanto raccoglimento i fili d’una bizzarra frangia multicolore, Tripoletta lanciò alla [p. 175 modifica]fanciulla un’occhiata d’odio e di collera, poi stette ad ascoltare ansiosa la risposta di Ettore Noris a quella preghiera.

Respirò.

Ettore Noris diceva rude:

— Vado solo! Un sorriso sfiorò le labbra di Tripoletta mentre una identica espressione di malcontento si dipingeva sul viso del piccolo meccanico e dell’allieva di Noris.

L’ingegner Dauro allargò le braccia come a dire:

— lo non ho colpa!

Invece spiegò:

— I posti son due, ma Noris andrà solo.

— Perchè? — insistè la Fabbri rivolta al maestro....

— Perchè ho deciso così.

— Forse — osservò Ugo pensoso — è meglio; l’apparecchio dovrà portare il minor peso possibile.

— No, — osservò Dauro, — la questione del peso in questa proporzione è indifferente.

— Ma diminuisce sempre la velocità.

— Caro mio, abbiamo tanta di quella forza a nostra disposizione!

Il giovinetto spalancò gli occhi inebbriato, come alla contemplazione di una cosa fantastica.

— Dica! — implorò.

Ma Ettore Noris interveniva un’altra volta ammonendo l’amico:

— Ti prego, Dauro, non voglio indiscrezioni.

— Siete fra devoti, — gli osservò la Fabbri con accento di rimprovero.

— Non ne dubito, ma mi piace parlare delle cose soltanto quando siano fatte.

— Non è tutto fatto?

— Ed esperimentato, — soggiunse Noris.

— Insomma, — riprese la fanciulla, — quand’è che contate di poter compiere il grande disegno?

— Fra quindici giorni, se l’esperimento andrà bene. [p. 176 modifica]

— E l’esperimento lo fate?

— Fra una settimana.

— Dove? se è lecito?

— In Inghilterra.

— E perchè?

— Perchè se riuscirà potrò tentare subito il volo.

— Avete ragione: giacchè contate di partire di là....

— Appunto. Ma non ne parlate, ve ne prego.

— A me, dite questo? Voi mi tote torto, Noris. Il vostro tentativo mi sta a cuore almeno quanto a voi.

— Almeno? — domandò Dauro sorridendo.

— Sì, — confermò la fanciulla, — perchè non si sa mica bene che cosà stia a cuore oppure no a Ettore Noris.

— Ti conosce bene, a quanto pare, — osservò ancora l’ingegnere.

Noria non rispose. Ancora, Minerva Fabbri lo supplicava:

— Perchè non mi prendete con voi giacchè il posto c’è?

— Perchè ho deciso d’andar solo.

— Questa non è una ragione.

— Mi pare di sì. Affronto un rischio grave e non ho il diritto di esporre un’altra vita.

— Se non è che questo, Noris, prendetemi con voi!

C’era tanto entusiasmo e una così intensa preghiera nella voce della fanciulla che Tripoletta, dal suo posto, alzò il viso inquieta ad attendere la risposto di Noris.

No, nemmeno stavolta Noris accettava.

La fanciulletta trasse un profondo respiro di soddisfazione, e quando la labbri, malcontenta, ebbe dichiarato al suo maestro:

— Siete cattivo, — quel sospiro si mutò in un sorriso di trionfo.

Non sarebbe andato col «Sidi», la detestata.

La gioia della fanciulla era tonto più profonda in quanto che quella preghiera inutile di Pallade Atena eia una prova della indifferenza [p. 177 modifica]di Noris por lei. E a questo proposito, Tripoletta aveva tanto temuto e tanto sofferto!

Soltanto da qualche giorno era finito il suo tormento: solo da quando, tornato definitivamente Ettore, anche la sua allieva era ricomparsa e Tripoletta Taveva udita raccontare — non veduta — a Noris, una serie di episodi del suo viaggio.

Ma per tanti lunghissimi giorni, e per tante tormentosissime notti, sì, Tripoletta aveva pensato alla coincidenza di quella doppia assenza con un’angoscia indicibile. Le pareva, è vero, di fare un insulto al «Sidi» sospettandolo, ma la sua avversione per Minerva Fabbri era così profonda e invincibile che nella sua semplice fantasia superstiziosa diventava presentimento.

In realtà, Minerva Fabbri aveva sempre, dentro e fuori, le stesse disposizioni e lo stesso contegno verso Ettore Noris.

Lo aveva pensato, lontana, con simpatia; lo aveva ritrovato con gioia tornando e adesso era felice che l’aereodromo di Cassano fosse ripopolato come prima e le permettesse di trascorrervi le serene ore di prima.

Non si trattava più oramai di imparare a volare. Il suo tirocinio era finito ed ella aveva già subito gli esami regolamentari in faccia alla commissione esaminatrice riportando a pieni voti il suo diploma di pilota aviatrice. Ora, a Cassano, ella veniva come amica e come collega di Noris. Aveva le sue entrate libere all’aereodromo come le avevano Lorenzo Rolla e Cino Coralli e Ardenza. E vi contava un amico di più da quando era giunto l’ingegnere Giorgio Dauro.

La sua altera bellezza, e l’originalità del suo carattere, avevano subito fatto una grande impressione sul giovane ingegnere. Non lui era rimasto insensibile al fascino della strana fanciulla come lo era stato Noris e se doveva constatare che la sua ammirazione, al pari di quella di tutti gli altri, rimaneva senza risultato, lo faceva con rammarico.

STENO. La veste d'amianto [p. 178 modifica]

Minerva Fabbri procedeva serena pel suo cammino guidata dal suo sereno equilibrio e dalla sua grande audacia.

Adesso che il suo capriccio di diventare aviatrice era diventato realtà, ella elevava quel capriccio all’altezza di un sogno e si proponeva di compiere, nel campo dove Ettore Noris trionfava su tutti, cose non indegne del tutto di lui.

Progetti ancora vaghi.

Per il momento era il tentativo ancora in parte misterioso di Ettore Noris che la tentava.

Sapeva, come tutti sapevano, che Noris si accingeva a volare dalle coste inglesi a quelle nordamericane, che dopo aver vinto il Cervino, il grande trionfatore delle Alpi si accingeva a vincere l’Oceano e che a questo scopo egli lavorava da mesi con l’ingegner Dauro, suo collaboratore ed amico, a un apparecchio nuovo che sarebbe stato azionato da un motore nuovo mosso a sua volta, da una energia non applicata mai ad apparecchi d’aviazione.

Ma non sapeva nulla di più e il desiderio di conoscere prima di chiunque altri il segreto del suo maestro ed amico, la teneva da giorni avvinta a Cassano con una costanza che formava la delizia di Giorgio Dauro e la disperazione di Tripoletta.

Le serviva poco, quella costanza, per sapere. Giorgio Dauro non avrebbe esitato a confidare alla bellissima il segreto suo e dell’amico se lo avesse sollecitato in proposito colle arti della sua seduzione irresistibile, e Minerva Fabbri lo intuiva. Ma ella sdegnava di ricorrere a quel mezzo per carpire un segreto del quale Noris era geloso e — ella riconosceva — legittimamente.

No, non avrebbe indagato contro la volontà di Noris. Quando fosse piaciuto a lui d’informarla, ella avrebbe accolto la confidenza con rispetto e con gioia.

Adesso, però, un fatto nuovo veniva a sollecitare i suoi entusiasmi: Noris avrebbe potuto — ove avesse voluto — prenderla con sè nel viaggio magnifico, e non voleva! Bisognava vincere [p. 179 modifica]la sua volontà, forzare la sua determinazione e trionfare con lui.

Quella era l’occasione grande, l’occasione unica di affermarsi accanto al trionfatore glorioso. Nessuna delle prove eroiche che ella si proponeva di compiere col tempo sarebbe valsa quella, nessuna l’avrebbe collocata così in faccia al mondo consacrandola vittoriosa accanto al trionfatore insuperato e insuperabile.

Bisognava vincere Noris e farsi accettare da lui come compagna di viaggio.

La sua determinazione fu subito presa in questo senso ma insieme alla risoluzione di non insistere per il momento. Bisognava parlare a Noris da sola a solo, quando tutti fossero stati lontani e prima che quel suo piccolo meccanico fosse riuscito a soppiantarla.

Il nemico era lì, nel desiderio di Ugo che sognava lo stesso suo sogno e che anche ora seguiva, col viso ardente di entusiasmo irrequieto, i discorsi dei due collaboratori.

Come avesse intuito il pensiero della fanciulla, Ugo ripeteva proprio in quell’istante la sua preghiera:

— Perchè non mi vuole con lei, Noris? io potrei anche esserle utile.

— A far che?

— Conosco la macchina....

— Non questa, — interruppe Noris.

— E tanto diversa dall’altra?

— Di uguale non hanno che lo scafo e le ali. Non insistere, Ugo. Tu andrai ad aspettarmi laggiù, come a Evolena; ricordi? E mi sarai di tanto più utile.

Il giovinetto non osò insistere più ma nascose sotto un’apparente rassegnazione il fermo proposito di tornare alla carica.

Uguale proposito coltivava Minerva Fabbri e non disperava di vederlo compiuto poichè Noris ricusava l’aiuto del suo piccolo meccanico.

— Certamente, — ella disse, — la presenza di una persona fidata laggiù potrà esservi di grande utilità. [p. 180 modifica]

— Laggiù potreste recarvi voi, — ribattè Ugo in tono aggressivo.

Calma e tranquilla, Minerva osservò:

— Ci sarò certo se Noris non mi vorrà proprio con sè.

Un’altra volta, lo sguardo di Tripoletta, intenso di rancore e di gelosia, l’avvolse.

La guerra era ormai dichiarata fra i tre giovani amici di Noris, mossi ciascheduno da un sentimento diverso, uniti tutti e tre in un identico scopo, quello di riuscire a essere il più vicino dei tre all’aviatore illustre.

— La più vicina alla sua gloria, — sognava Minerva Fabbri.

— Il più vicino al suo posto, — ambiva Ugo.

— La più addentro nel suo cuore, — sospirava Tripoletta, senza neppure avvedersi del magnifico, incessante atto di dedizione ch’era ogni moto della sua vita.

Fra quella triplice ammirazione così diversa, Noris passava chiuso ed inaccessibile. Più inaccessibile e più chiuso dacchè si accingeva alla prova suprema tanto sognata, perseguita con così lunghi sforzi e vicina finalmente a tradursi in realtà.

Adesso, dacchè era tornato dal suo viaggio, egli passava le giornate chiuso nella sua officina in una solitudine ancora più assoluta e più selvaggia che il lavoro riempiva e che soltanto pochi intimissimi, oltre Dauro, avevano il permesso di violare.

Per l’allieva che aveva le sue libere entrate all’aereodromo, Noris non si scomodava nemmeno più. Se era intento a lavorare quand’ella arrivava, le faceva dire semplicemente che volesse scusarlo e accomodarsi su dove c’erano sempre Ugo e Tripoletta.

Non sempre la Fabbri accettava l’invito. Ella preferiva recarsi nell’hangar, accanto all’officina, e assistere alle cure incessanti dei meccanici di Noris intorno ai velivoli dell’aviatore. E anche i meccanici la consideravano ormai un collega — più importante e soprattutto [p. 181 modifica]più grazioso degli altri ma non meno un collega col quale si poteva discorrere e discutere, che sapeva commentare e consigliare con competenza.

La curiosità la solleticava fino a un certo punto soltanto. Nessuna cosa preoccupava mai troppo quella forte e libera creatura che proseguiva per la sua via guidata soltanto dai suoi impulsi e salvaguardata solo dalla sua infinita alterezza. E se la tempra che ella pensava glaciale di Noris le piaceva, quello che la esaltava nel suo giudizio e nella sua ammirazione per l’uomo non era la sua sentimentalità negativa ma la sua audacia senza limite e senza spavalderia, il suo coraggio che non si vestiva di parole ma che pareva soltanto l’espressione naturale di una tranquillità e di una sicurezza superiori, tanto era semplice e sereno.

Adesso, l’impresa che Noris si accingeva a compiere la riempiva veramente d’entusiasmo. Ed era tale la fiducia che ella nutriva nel suo maestro che nemmeno si poneva mai, sotto forma di dubbio, la domanda se egli sarebbe riuscito. Certamente egli sarebbe riuscito. Ella ne era così convinta come se la cosa fosse stata già un fatto compiuto.

Con questa certezza ella ne parlava agli amici comuni di Ettore Noris e suoi, che vagamente sapevano, che nulla di preciso conoscevano. Com’era orgogliosa di poter vivere nell’ambiente dell’audacissimo che fra poco avrebbe sbalordito il mondo coll’affermazione nuova che sarebbe stata ugualmente frutto del suo ingegno e del suo valore, della freddezza dei suoi nervi e dell’audacia del suo pensiero!

Perchè Minerva Fabbri non dubitava che tutto il merito del tentativo nuovo dovesse venir attribuito a Noris esclusivamente. Giorgio Dauro aveva collaborato con lui all’impresa grandiosa? benissimo. Ma l’idea prima di quell’impresa era germogliata nel cervello di Noris e senza dubbio era suo anche il punto di partenza del modo possibile per tradurla in pratica. [p. 182 modifica]

A questo proposito, ella sosteneva spesso delle discussioni anche coi colleghi del suo maestro che si divertivano a farla inquietare.

— Attenta, divina Pallade Atena, — ammoniva Paolo Adelio, — questo vostro entusiasmo è sospetto!

— Voi correte pericolo di bruciarvi le ali! — insinuava Folco Ardenza.

La fanciulla alzava le spalle sdegnosa e non concedeva neppure l’onore di una parola a quelle insinuazioni che giudicava stupide.

Di quel suo entusiasmo approfittavano i colleghi di Noris per tentare di carpire qualcosa intorno al modo con cui l’aviatore avrebbe realizzato il suo volo.

Un motore nuovo, nevvero? ma azionato come? qual’era la sorgente di energia inesauribile che avrebbe permesso all’apparecchio di sostenere un volo attraverso l’Oceano?

Non sapeva, la Fabbri. Ma nessuno credeva che ella non fosse a giorno di tutti i particolari del tentativo nuovo. Piuttosto, non voleva parlare, ecco.

E per deciderla a parlare, alle domande precise che rimanevano senza risposta, seguivano le insinuazioni intorno alle scarse probabilità di riuscita, i dubbi, le previsioni negative.

Minerva Fabbri ascoltava tutto, ascoltava tutti e concludeva sempre col suo incrollabile atto di fede:

— Ettore Noris volerà attraverso l’Oceano.

— Con fortuna?

— Con fortuna.

— Per asserirlo con tanta sicurezza, bisogna che voi sappiate ogni cosa. Perchè non volete parlare, divina Pallade Atena?

— Non so nulla. Se sapessi ve lo direi o vi direi che non posso parlare se Noris avesse creduto di farmi depositaria del suo segreto e di impormi il silenzio.

Ma davvero Noris aveva serbato il segreto anche per lei ed ella non gliene teneva rancore. Trovava giustissimo quel riserbo che [p. 183 modifica]rappresentava il diritto dell’aviatore e forse anche — di fronte alle precauzioni necessarie di difesa — un suo dovere.


*


Un giorno, ciò che Noris intendeva tacere, ella lo seppe da Giorgio Dauro, senza che lo avesse chiesto, senza che una parola sua avesse sollecitato la confidenza grande.

Lo sarebbe parso un sacrilegio qualsiasi sollecitazione in proposito. Per questo non aveva mai osato interrogare Dauro quantunque da un pezzo avesse intuito confusamente che del giovane collaboratore di Ettore Noris ella avrebbe potuto fare quello che più le fosse piaciuto.

Giorgio Dauro non le aveva mai detto una sola parola che esprimesse la sua ammirazione entusiasta ma quell’ammirazione ella aveva letto mille volte nei suoi occhi che la guardavano come tutti gli occhi maschili la guardavano, ad eccezione di quelli di Ettore Noris, nell’assiduità colla quale egli cercava la sua compagnia, nella gioia che gli illuminava il volto ogni qual volta Minerva Fabbri compariva a Cassano.

Non s’ingannava. Minerva Fabbri. Dacchè il giovane ingegnere l’aveva veduta, ella contava un fedele di più nella coorte dei suoi adoratori. Tuttavia Giorgio Dauro non aveva mai tenuto a ostentare la simpatia vivissima che la fanciulla gli ispirava: se i suoi sguardi parlavano, lo facevano quasi a sua insaputa e non avevano mai avuto la loro eloquenza confermata dalle labbra. Non parlava, Giorgio Dauro, perchè sapeva che sarebbe stato perfettamente inutile e anche perchè gli premeva di non turbare, con delle complicazioni di galanteria, l’ora solenne che egli e Noris attraversavano e che avrebbe potuto essere decisiva per la sua vita.

Poi, quando gli fosse stato assicurato il trionfo, avrebbe pensato anche al proprio cuore e all’avvenire. Sarebbe entrata nel suo avvenire [p. 184 modifica]Minerva Fabbri? Non osava sperarlo. Dagli amici di Noris e della fanciulla, egli aveva saputo la vana corte e la passione ugualmente vana che numerosi adoratori le avevano tributato, la freddezza altera di lei, la sua impassibilità glaciale, la sua strana vita. Certo sarebbe stata una grande e meravigliosa vittoria giungere a piegare quell’orgoglio, ad accendere quel marmo, ad animare quella statua: ma Giorgio Dauro non era sufficientemente vano per illudersi che proprio lui avrebbe compiuto il miracolo.

Quel giorno, egli stesso s’era recato ad aprire alla fanciulla il cancello dell’aereodromo perchè Ugo era assente e gli altri meccanici occupati con Noris ed era stato appunto nel fornirle le ragioni del fatto insolito che il discorso s’era avviato sul grande avvenimento.

— Badate, — aveva detto Dauro alla fanciulla che si dirigeva verso l’hangar, — non c’è nessuno là.

— Nemmeno un meccanico?

— Nemmeno: sono tutti nell’officina con Noris.

— Ah! grande lavoro, dunque?

— Sì, se tutto va bene, domani si monta il motore.

Un lampo di gioia brillò negli occhi della fanciulla.

— E le prove? — ella domandò.

— A prestissimo.

— Qui?

— No: sapete l’idea di Noris: in Inghilterra.

— Cosicchè noi non sapremo nulla di nulla fino a prove finite.

— Dite piuttosto fino a volo compiuto.

— Contate dunque di tener segrete anche le prove?

— Segretissime.

— Che febbre! — mormorò Minerva Fabbri, come parlando fra sè.

— Febbre di che, se è lecito?

— Di sapere, di vedere, di aver finito.

— Anche voi la sentite?

— Vi meraviglia? Vi giuro che vivo queste ore [p. 185 modifica]e l’idea di questa prova come se si trattasse di una cosa mia.

Tutta l’espressione del suo viso acceso da una fiamma insolita confermava le sue parole.

Giorgio Dauro, che la guardava sorpreso e estasiato, osservò:

— Non vi supponevo tanto entusiasmo.

— Perchè? — domandò la Fabbri guardandolo alteramente.

— Non so... siete sempre così serenamente saggia!

Non osò dire:

— Siete sempre così fredda!

Ma la Fabbri osservò:

— Saggezza ed entusiasmo non si escludono.

Anzi, forse è dar prova di saggezza serbare l’entusiasmo solamente per le cose grandi e degne.

Sorrideva, adesso.

— Avete ragione, — approvò Dauro, — avete sempre ragione, voi.

— Non sapete, — domandò la fanciulla improvvisamente, — non sapete se Noris persiste sempre nell’idea di partire solo?

— Credo di sì.

— E non sarà possibile fargli mutare proposito, vero?

— Sarà molto difficile e, in ogni modo non vi consiglierei di accompagnarlo.

— Perchè?

— Perchè la prova, credete, sarà ardua e faticosissima.

La Fabbri domandò, cogli occhi intenti in quelli di Dauro o la fronte aggrottata:

— Voi credete nella riuscita, però.

— Ci credo perchè l’applicazione della nuova energia al motore è non solo possibile ma provata ormai e sicura, e poi perchè l’esperimento è affidato a Noris, a un uomo, cioè, capace di compiere un miracolo.

— Sarà dunque necessario il miracolo per trionfare?

— Noris dovrà certo spiegare una resistenza prodigiosa che avrà del fantastico. Immaginate: [p. 186 modifica]il viaggio, nella migliore delle ipotesi, durerà almeno ventitrè ore ininterrotte.

— Davvero occorrerà un prodigio perchè un uomo possa resistere a una tensione così prolungata, — osservò la fanciulla.

Ma nei suoi occhi non si spegneva la fiamma dell’esaltazione perchè ella era sicura che Noris lo avrebbe compiuto quel prodigio.

Domandò:

— E se l’energia venisse a mancare?

— Non è possibile, — fece Dauro sorridendo.

— Il nostro serbatoio di energia è la stessa atmosfera.

— E cioè?

L’ingegnere s’accorse a un tratto di essersi lasciato trasportare troppo lontano. Non aveva egli tradito il segreto così gelosamente custodito da Noris?

— Sono stato imprudente, — disse, — ma ormai! Eppoi, sono sicuro che serberete il segreto con scrupolo, nevvero?

— Spero che non ne dubiterete, — osservò la Fabbri.

Adesso, il desiderio di sapere si faceva vivissimo in lei, non per una vana curiosità, ma per il bisogno di conoscere e di ammirare.

Le parole del giovane ingegnere le aprivano una visione nuova dove le pareva di potersi dirigere con sicurezza.

— Ho capito, — disse a un tratto, — il vostro nuovo apparecchio sarà mosso dalle onde herziane.

Dauro sorrise.

— Non precisamente, — rispose. — Questa era stata infatti la prima idea balenata a Noris quando, decisa la traversata, comprese la necessità di dover sostituire al motore solito un motore azionato da un’energia che non fosse, come quella della benzina, esauribile. All’esame pratico abbiamo dovuto rinunciare alle onde herziane.

— Perchè?

— Perchè voi sapete come facilissimamente [p. 187 modifica]codesta energia si attenui col crescere della distanza. Non dovete dimenticare che nel caso nostro si trattava di mantenere quasi intatta l’energia iniziale attraverso una distanza di oltre cinquemilacinquecento chilometri....

— E allora?

— E allora abbiamo pensato di utilizzare l’energia elettrica distribuita nell’atmosfera.

Minerva Fabbri aggrottava la fronte nello sforzo vano di riuscire a comprendere.

— Spiegatevi, — pregò.

— Ecco: la terra è un conduttore ad un potenziale elettrico presso che costante nei suoi punti. Questo potenziale si assume di valere zero nella scala delle misure. Così, è convenuto di chiamare temperatura zero, quella del ghiaccio, nel momento che fonde.

— Benissimo.

— Intorno alla terra, gli strati d’aria concentrici formano tante superfici sferiche equipotenziali ma di potenziali differenti e crescenti in proporzione della loro distanza dalla terra. Consideriamo caricato positivamente il primo strato rispetto al secondo. Un aereoplano che si trovasse all’altezza del primo strato e che disponesse di un conduttore semplicemente sospeso uguale alla distanza fra il primo e il secondo strato, potrebbe utilizzare la corrente elettrica che verrebbe a stabilirsi fra i due strati equipotenziali. Mi comprendete?

— Fin qui, sì: ma non vedo ancora come abbiate potuto realizzare tutto questo nella pratica.

Dauro sorrise.

— Il nostro sforzo è appunto stato diretto a trovare l’applicazione possibile del fatto.

— E ci siete riusciti?

— L’esperimento lo dirà: io ritengo di sì.

Minerva Fabbri rifletteva.

— È prodigioso, — mormorò a un tratto.

Soggiunse con vivo interesse:

— E come fate a portare l’apparecchio fino all’altezza dello strato dove potrà utilizzare l’energia elettrica dell’atmosfera? [p. 188 modifica]

— Il velivolo nostro avrà una piccola dotazione di benzina che gli permetterà di innalzarsi con mezzi propri. Questa è stata una delle tanto questioni che abbiamo dovuto risolvere.

— E le altre?

— Sarebbe troppo lungo numerarvele tutte. La difficoltà maggiore che abbiamo dovuto affrontare è stata quella di trovare un organo di presa della corrente da applicare agli estremi del conduttore in modo da permettere alla corrente elettrica di affluire colla minor resistenza possibile.

— L’avete trovato?

— Certamente. E abbiamo anche trovato un conduttore, chiamatelo «guide-rope» se volete, di resistenza elettrica assolutamente minima e di elevatissima resistenza meccanica che rappresenta l’ideale.

— È la rivoluzione dell’aviazione, — osservò Minerva Fabbri.

— In un certo senso, sì, ma è anche il suo trionfo definitivo assicurato. Se Noris riesce vittorioso, nessuno più potrà dubitare che il problema della navigazione aerea non sia definitivamente risolto, poichè l’uomo si muoverà nell’aria, dirigendo visi, utilizzando le energie stesse dell’elemento, tal quale come ha fatto col mare e sul mare.

— Perchè — domandò Minerva — mettete sempre in forma dubitativa la possibilità della riuscita di Noris?

— Dio mi guardi dal dubitare di lui! — esclamò Dauro, — ma poichè vi ho detto tutto, vi confesserò anche che io avrei preferito, per questo primo esperimento, una prova più breve: la traversata del Mediterraneo dalla Sardegna alla Sicilia, per esempio, oppure da Siracusa a Tripoli. Per il trionfo dell’applicazione nuova bastava. E non si correva il rischio di veder compromessa per sempre l’applicazione stessa dalla eventuale non riuscita di uno sforzo veramente quasi superiore alle forze umane.

Minerva Fabbri osservò:

— Voi pensate alla riuscita della scoperta e [p. 189 modifica]legittimamente. Per Noris, la scoperta nuova non è che il mezzo per poter condurre a termine l’impresa sognata. Avete ragione entrambi dal vostro punto di vista; ma forse, l’audacia di Noris sarà l’immediato e definitivo trionfo vostro. Pensate un po’: chi oserà più contestare il valore della vostra macchina quando essa avrà resistito a una simile prova? D’un colpo essa si sarà imposta al mondo.

— Questo è anche vero.

— E Noris trionferà, — disse sicura la Fabbri.

— Voi pure avete tanta fede in lui, nevvero?

— Una fede assoluta.

Giorgio Dauro la guardò e la fanciulla sostenne serena e imperturbabile l’indagine dei suoi acuti occhi che frugavano in fondo alla limpidità delle sue pupille.

Una soddisfazione sincera si diffuse sul volto di Dauro.

No, nessun sentimento all'infuori dell’ammirazione, teneva la fanciulla per Ettore Noris. L’allarme sollevato da quell’inconscia, istintiva gelosia che ispira ad ogni uomo la fortuna sentimentale d’un altro uomo, cadde, e il giovano fece eco, con consenso schietto e senza riserva, all’ammirazione della fanciulla per il grande amico comune.

— La vostra fede risponde alla mia, — disse, — e vedrete che non andranno deluse.

A sua volta, Minerva Fabbri osservò:

— Ho piacere che non dubitiate più di Noris.

— Non ho mai dubitato, — obbiettò Dauro vivacemente, — e se voi avete potuto pensarlo, vuol dire che io mi sono espresso molto male. Intendetemi. Non è di Noris che io dubito, ma della sua umanità. Lo sforzo è tale che l’uomo che lo compirà dovrà possedere la facoltà d’un semidio. Questo solo volevo dire.

L’entusiasmo di Minerva Fabbri diventava febbre nella contemplazione della veste eroica che l’impresa assumeva.

— Ma Noris non teme, — ella disse [p. 190 modifica]alteramente, quasi una ragione d’orgoglio venisse a lei dalla sicurezza superba del grande amico.

— No, Noris non teme. Egli dice che se l’impresa è possibile la compirà. E se non sarà possibile morirà col suo sogno.

Un brivido sfiorò la fanciulla.

— Non è il caso di parlar di morte, — ella disse. — Il pericolo è minimo in una traversata di questo genere. La cosa più probabile che possa capitare a Ettore Noris è di cadere in mare.

In questo caso verrebbe raccolto, nevvero?

— Probabilmente sì.

— Come, probabilmente? Non disporrete perchè vi siano delle navi lungo il percorso?

— Senza dubbio. Verranno disposte, lungo la rotta che l’aereoplano seguirà, parecchie torpediniere d’alto mare. Ma bisogna contemplare tutte le eventualità. Noris può cadere e morire prima che la torpediniera sia giunta sul posto pel salvataggio. Egli può anche lasciarsi morire....

— Voi credete? — domandò la fanciulla con un improvviso sgomento. — Non è possibile. Noris spende troppo bene la vita per non adorarla.

— Ecco l’errore. Egli non adora e non aspetta invece che la morte.

I grandi occhi della fanciulla si spalancarono in faccia al giovane.

— Ma perchè? — ella domandò.

— Perchè non ha nulla e nessuno che lo attacchi alla vita.

— Sciocchezze queste! La vita è bella per sè stessa, perchè è la vita e va adorato per quello che è. Sono i deboli e i sentimentali che hanno bisogno di personificarla in qualcuno per attaccarvisi.

— E chi vi dice che Noris non sia un sentimentale?

— Lui stesso me lo dice attraverso la sua vita fiera e solitaria.

Dauro sorrise.

— E se codesta solitudine e codesta fierezza nascondessero un segreto d’amore? — egli domandò. [p. 191 modifica]

— Volete alludere alla storia della piccola donna morta di spavento?

— O d’amore, — corresse Dauro. — La conoscete?

— Sì, me ne hanno parlato. Ma non credo meriti tutta l’importanza che voi volete attribuirvi.

— Questione d’opinione.

— Se io fossi Noris, — osservò ancora la fanciulla, — mi offenderei di questo romanzo che volete sempre attribuirgli per spiegare la sua audacia e la sua chiusa alterezza. Egli è un eroe; perchè volete diminuirlo e farne un poeta piagnucoloso?

— Piagnucoloso, no. Egli sdegna anzi, sopra ogni cosa, di parlare del dramma della sua vita.

— E voialtri parlate per lui e gli attribuite quello che volete, — disse Minerva Fabbri con una irritazione evidente.

— Non inquietatevi. Comunque sia, io non ho nessuna intenzione di diminuire l’amico nella vostra estimazione.

— Non basta, Dauro. Vorrei che voi rettificaste anche l’opinione degli altri. Nessuno può farlo meglio di voi che avvicinate Noris ogni giorno, che lo conoscete da anni e potete pretendere di giudicarlo con cognizione di causa. È insopportabile, per me, l’idea che tanta gente consideri ancora il tentativo audace al quale l’amico nostro si prepara come una specie di suicidio eroico.

— Vi comprendo e condivido il vostro sentimento, vi assicuro, ma non bisogna nemmeno giudicare con troppa severità coloro che accusano Noris di cercare la morte. Per accettare di compiere l’impresa alla quale l’amico nostro si accinge, bisogna, se non cercare la morte, essere almeno pronti a guardarla in viso.

— Così arduo davvero è il tentativo?

— Giudicate voi: ammettendo che Noris possa resistere a una velocità di centottanta chilometri all’ora, egli dovrà stare all’incirca ventitrè ore al volante del suo apparecchio immobile.

— Più delle ventitrè ore di tensione, mi [p. 192 modifica]sembra impossibile la prolungata resistenza a una velocità così formidabile. Come respirerà, Noris?

— Abbiamo provveduto anche a questo. Oltre che dalla maschera, Noris sarà difeso da uno schermo di vetro composto di due lastre combacianti ad angolo e collocato in modo da proteggere la sua persona senza tuttavia intralciare la velocità dell’apparecchio.

— Ho capito. E codesto schermo, lascierà perfettamente libera la visuale?

— Senza dubbio. Non solo, ma esso è congegnato in modo da poter venire abbassato automaticamente in caso di tempesta, per esempio, quando, cioè, la pioggia dovesse appannare il vetro in modo da togliere al pilota la visione nitida della sua rotta.

— In tal caso, però, poco tempo potrebbe resistere. Noris, alla velocità di centottanta chilometri. Perchè avete voluto imprimere al vostro motore una velocità così formidabile?

— Per abbreviare il più che fosse possibile la durata del percorso, immaginate: la distanza più breve fra una sponda e l’altra dell’Oceano, misura pur sempre più di duemila miglia marine. Io la computo fra le Azzorre e New-York perchè vorrei appunto che Noris salpasse dalle Azzorre per scendere a New-York.

Minerva Fabbri guardò il suo interlocutore meravigliata.

— Ma come? Non avevate detto che Noris sarebbe partito dall’Inghilterra?

— Questo è quanto egli conterebbe di fare; partire dalla punta più occidentale dell’Irlanda e scendere a Terranova. La distanza è superiore a quella che io ho calcolata fra le Azzorre e New-York e il tragitto non sarebbe così rettilineo. Senza contare una quantità di altri inconvenienti che è inutile io stia a ripetervi qui. Spero di riuscire a persuadere Noris. In tal caso, egli potrebbe partire dal posto di Horta, nell’isola di Fayal, la più occidentale del gruppo delle Azzorre. Fra questo punto e New-York, la rotta seguìta dai piroscafi è di duemila centottanta [p. 193 modifica]miglia marine, pari a quattromila e trentasette chilometri. Ma i piroscafi sono costretti a deviare un poco a nord per evitare certe correnti, e questa rotta forzata importa certo due o trecento chilometri in più. L’aereoplano può seguire la linea perfettamente retta compiendo il tragitto che io calcolo all’incirca di tremila e settecento chilometri, in meno di venticinque ore....

— È vero.

— Voi mi avete capito e mi approvate dunque.

— Senza dubbio, bisogna persuadere Noris a seguire il vostro consiglio.

— Io spero di riuscirvi. Voi, non traditevi e non traditemi, per carità! Ricordatevi che di fronte a Noris non sapete niente.

— Non temete. Piuttosto, ditemi: non credete che sarebbe più prudente se si facesse accompagnare?

— Sì, sotto un certo aspetto: il poter cedere anche per brevi istanti il controllo della macchina a un compagno che gli stesse al fianco, gli permetterebbe di riposarsi un poco di una tensione che così dovrà essere atroce.

— Ditegli che prenda me insieme! — supplicò la Fabbri con ardore.

Dauro sorrise.

— Vi renderei un cattivo servizio, vi assicuro.

Senza contare che, all’atto pratico, il progetto presenterebbe molte difficoltà.

— Quali?

— Intanto per sostituire Noris nel governo della macchina dovreste conoscerla punto per punto.

Poi, sono persuaso che Noris non permetterebbe a nessuno di correre il rischio che egli vuol correre.

La Fabbri sospirò.

— Pazienza! — disse poi, — andrò ad aspettarlo a New-York.

— Dato che egli parta dalle Azzorre.

— Sarebbe pazzo se egli si ostinasse a non ascoltarvi!

Il discorso si protrasse ancora a lungo, quel

STENO. La veste d'amianto [p. 194 modifica]giorno, fra il collaboratore di Noris e la sua allieva. I due giovani parlavano ancora insieme, seduti nel capanno, quando l’aviatore uscì dall’officina e mosse incontro alla Fabbri per salutarla. Ma egli non ebbe nemmeno campo di sospettare che i suoi due amici avessero parlato a lungo di lui, perchè quando si avvicinò, essi discorrevano di teatro e di artisti.